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Ametista Arnaldi – Le terre e le cortecce giocano insieme
In un contesto appercettivo e socio-culturale del genere la posizione del mediatore culturale, del critico se volete, assume un’aura di estrema sospettabilità e, talvolta, connotazioni decisamente equivoche. Di questo più che ipotetico stato delle cose, Ametista Arnaldi è pienamente cosciente.
Comunicato stampa
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In questa nostra difficile, pornotopica e talvolta incomprensibile epoca storica, sembra essersi definitivamente imposto ed istituzionalizzato l’assunto che pone, più o meno metaforicamente, il valore del prodotto infinitamente inferiore rispetto a quello del suo ipotetico venditore. Detto altrimenti, non ha importanza il prodotto, l’opera o la merce, bensì chi o cosa la vende o la propone. In un contesto appercettivo e socio-culturale del genere la posizione del mediatore culturale, del critico se volete, assume un’aura di estrema sospettabilità e, talvolta, connotazioni decisamente equivoche. Di questo più che ipotetico stato delle cose, Ametista Arnaldi è pienamente cosciente e non fa (talvolta giustamente) nulla per nasconderlo.
Tuttavia è necessario continuare ad adoperarsi in una costante opera di mediazione al fine di provare a colmare l’inevitabile distanza che sempre viene ad esistere tra l’opera d’arte tout court e la sua fruibilità. Questo è soprattutto vero e valido quando si tratta dell’implicito iato esistente tra una immagine (qualunque essa sia) e la sua leggibilità, a meno che non si intenda fruire di un’opera visuale esclusivamente in termini di pura emozione e/o sensazione, empaticamente sempre possibile su di un piano psicologico e “personale”, ma impensabile quando poi si tratta di comunicare o indicare ad altri il frutto del nostro “sentire”. Semplificando (per evidenti ragioni di spazio) forse un po’ rozzamente le cose, è possibile approdare realisticamente ad una dicotomica (quanto dirimente) possibilità di pianificare l’essenza (e la comprensibilità) del “fare” artistico in termini di significato (esclusivamente comprensibile nel contesto di una cultura) o di emozione (concepibile nel contesto di un rapporto esistenziale). Quest’ultima rappresenterebbe, a mio avviso, l’indicazione maggiormente adeguata per approcciare coerentemente e sensatamente al lavoro di Ametista Arnaldi. Un lavoro, il suo, che a ben vedere, è quasi impossibile da classificare, irretire ed incasellare nel contesto di correnti artistiche storicizzate o, peggio, da presentarsi a partire da paragoni ed accostamenti con autori estrapolati ad hoc dal variegato mondo dell’arte, ma che comunque non richieda per questo, l’indicazione di qualche piccolo strumento conoscitivo per meglio orientarsi al fine di ottimizzarne la fruizione, la comprensione o, semplicemente, la godibilità. Fuori da tassonomici tentativi di categorizzazione, è quindi ragionevolmente possibile asserire che il lavoro di Ametista certamente rifugge da una dimensione tecnologica, utilitaristica, teleologica e, in ultima analisi, esterna alle ragioni profonde del fare stesso, per proporre una libera, ispirata ed incondizionata azione dal sapore magico, alchemico, atavico (ma anche ecologico), atta ad indagare ed esprime la potenza delle infinite declinabilità formali e cromatiche della materia (o del materiale) decisamente aldilà di semplicistiche connotabilità culturologiche (c.f.r. opere: “Due donne negre”, “Suono di tromba”, “Polifonia”, “La forza e l’agilità”, ecc.). Un lavoro espresso da uno spirito che nega risolutamente e vigorosamente la convenzione; un’agire sorretto da un ispirato istinto che porta addirittura l’autrice a rasentare una sorta di autarchia operativa, sia creativa che produttiva (Ametista si occupa, infatti, di tutte le fasi della sua produzione, dalla selezione e la raccolta dei materiali fino all’eventuale cottura a forno quando si tratta, ad esempio, di opere fittili), dimensionata nel contesto di opere dall’ingombro decisamente lontano da eccessi spettacolaristici o monumentali, ma concepite invece al fine di favorire nello spettatore un adeguato raccoglimento meditativo e stabilire così quella vicinanza, quella prossimità, appunto di tipo intimo ed emotivo, necessaria per accostarsi alla sua dimensione artistica. L’autrice esprime così un’arte che, come si userebbe dire in campo musicale, è “assoluta”, cioè non accessoria, ancillare o asservita a null’altro (meno che mai alle muse incantatrici del mercato e della fama) che non sia l’esclusivo servizio di se stessa, delle proprie precipue peculiarità e potenzialità. Un’arte, un fare le cui ragioni d’essere sono però necessariamente ed esclusivamente rintracciabili nell’irriducibile esigenza di celebrare l’esistenza stessa, l’amore e la gioia di vivere la vita nel suo incessante e meraviglioso divenire nell’unicità di un ostinato rifiuto di formali sovrastrutture identitarie o ideologiche. Curiosamente (quanto singolarmente) il significato dell’espressione e dell’incorruttibile orientamento esistenziale di Ametista sembrano esser contenuti nella mitologia legata al suo stesso nome (derivato dal greco améthystos che significa "non ebbro") la cui leggenda greca narra, sostanzialmente, dell’assoluta determinazione, da parte della mitica ninfa del bosco, a non piegarsi neppure di fronte alla volontà di un dio potente ed importante come Bacco.
Roberto Guerrini.
Tuttavia è necessario continuare ad adoperarsi in una costante opera di mediazione al fine di provare a colmare l’inevitabile distanza che sempre viene ad esistere tra l’opera d’arte tout court e la sua fruibilità. Questo è soprattutto vero e valido quando si tratta dell’implicito iato esistente tra una immagine (qualunque essa sia) e la sua leggibilità, a meno che non si intenda fruire di un’opera visuale esclusivamente in termini di pura emozione e/o sensazione, empaticamente sempre possibile su di un piano psicologico e “personale”, ma impensabile quando poi si tratta di comunicare o indicare ad altri il frutto del nostro “sentire”. Semplificando (per evidenti ragioni di spazio) forse un po’ rozzamente le cose, è possibile approdare realisticamente ad una dicotomica (quanto dirimente) possibilità di pianificare l’essenza (e la comprensibilità) del “fare” artistico in termini di significato (esclusivamente comprensibile nel contesto di una cultura) o di emozione (concepibile nel contesto di un rapporto esistenziale). Quest’ultima rappresenterebbe, a mio avviso, l’indicazione maggiormente adeguata per approcciare coerentemente e sensatamente al lavoro di Ametista Arnaldi. Un lavoro, il suo, che a ben vedere, è quasi impossibile da classificare, irretire ed incasellare nel contesto di correnti artistiche storicizzate o, peggio, da presentarsi a partire da paragoni ed accostamenti con autori estrapolati ad hoc dal variegato mondo dell’arte, ma che comunque non richieda per questo, l’indicazione di qualche piccolo strumento conoscitivo per meglio orientarsi al fine di ottimizzarne la fruizione, la comprensione o, semplicemente, la godibilità. Fuori da tassonomici tentativi di categorizzazione, è quindi ragionevolmente possibile asserire che il lavoro di Ametista certamente rifugge da una dimensione tecnologica, utilitaristica, teleologica e, in ultima analisi, esterna alle ragioni profonde del fare stesso, per proporre una libera, ispirata ed incondizionata azione dal sapore magico, alchemico, atavico (ma anche ecologico), atta ad indagare ed esprime la potenza delle infinite declinabilità formali e cromatiche della materia (o del materiale) decisamente aldilà di semplicistiche connotabilità culturologiche (c.f.r. opere: “Due donne negre”, “Suono di tromba”, “Polifonia”, “La forza e l’agilità”, ecc.). Un lavoro espresso da uno spirito che nega risolutamente e vigorosamente la convenzione; un’agire sorretto da un ispirato istinto che porta addirittura l’autrice a rasentare una sorta di autarchia operativa, sia creativa che produttiva (Ametista si occupa, infatti, di tutte le fasi della sua produzione, dalla selezione e la raccolta dei materiali fino all’eventuale cottura a forno quando si tratta, ad esempio, di opere fittili), dimensionata nel contesto di opere dall’ingombro decisamente lontano da eccessi spettacolaristici o monumentali, ma concepite invece al fine di favorire nello spettatore un adeguato raccoglimento meditativo e stabilire così quella vicinanza, quella prossimità, appunto di tipo intimo ed emotivo, necessaria per accostarsi alla sua dimensione artistica. L’autrice esprime così un’arte che, come si userebbe dire in campo musicale, è “assoluta”, cioè non accessoria, ancillare o asservita a null’altro (meno che mai alle muse incantatrici del mercato e della fama) che non sia l’esclusivo servizio di se stessa, delle proprie precipue peculiarità e potenzialità. Un’arte, un fare le cui ragioni d’essere sono però necessariamente ed esclusivamente rintracciabili nell’irriducibile esigenza di celebrare l’esistenza stessa, l’amore e la gioia di vivere la vita nel suo incessante e meraviglioso divenire nell’unicità di un ostinato rifiuto di formali sovrastrutture identitarie o ideologiche. Curiosamente (quanto singolarmente) il significato dell’espressione e dell’incorruttibile orientamento esistenziale di Ametista sembrano esser contenuti nella mitologia legata al suo stesso nome (derivato dal greco améthystos che significa "non ebbro") la cui leggenda greca narra, sostanzialmente, dell’assoluta determinazione, da parte della mitica ninfa del bosco, a non piegarsi neppure di fronte alla volontà di un dio potente ed importante come Bacco.
Roberto Guerrini.
07
aprile 2011
Ametista Arnaldi – Le terre e le cortecce giocano insieme
Dal 07 aprile al 24 maggio 2011
arte contemporanea
Location
IMMAGINECOLORE.COM
Genova, Vico Del Fieno, 21r, (Genova)
Genova, Vico Del Fieno, 21r, (Genova)
Orario di apertura
tutti i pomeriggi dal martedì al sabato
Vernissage
7 Aprile 2011, ore 18.00
Autore
Curatore