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Analogie analogiche: Radino / Carnisio / Amaduzzi / Toja
L’Archivio Fotografico Italiano, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Castellanza (VA), nelle sale della storica villa Pomini, sede del FIF -Fondo Italiano Fotografia, in collaborazione con EPSON, presenta una serie di mostre provenienti da archivi personali, proponendo un percorso articolato che va dal reportage di viaggio alla sperimentazione, con la finalità di riscoprire un modus operandi certamente più lento e meditato, che nel metodo analogico rivela l’essenza espressiva
Comunicato stampa
Segnala l'evento
ANALOGIE ANALOGICHE
La fotografia, il pensiero, la luce
Villa Pomini – 1/22 maggio 2016
L’Archivio Fotografico Italiano, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del
Comune di Castellanza (VA), nelle sale della storica villa Pomini, sede del FIF -Fondo
Italiano Fotografia, in collaborazione con EPSON, presenta una serie di mostre provenienti
da archivi personali, proponendo un percorso articolato che va dal reportage di viaggio
alla sperimentazione, con la finalità di riscoprire un modus operandi certamente più lento
e meditato, che nel metodo analogico rivela l’essenza espressiva.
Ma la rassegna vuole essere anche occasione di raffronto tra i differenti linguaggi
espressivi, e una comparazione tra le immagini stampate in camera oscura, come quelle di
Carnisio e Toja, e in modern print - fine art Digigraphie, presentate da Radino e alcune di
Amaduzzi, prodotte partendo da scansioni da pellicola, con l’intento di porre a confronto
la possibilità offerta dalle nuove tecnologie, che non mortificano o suppliscono i metodi
originari, ma si integrano, offrendo nuove opportunità di stampa certificata, per il
collezionismo.
AURE D’ORIENTE
Diario di un viaggio di un occidentale nello Shimane di fine millennio
Fotografie di Francesco Radino
Courtesy by EPSON Italia
Aure d’Oriente – Diario di viaggio di un occidentale nello Shimane di fine millennio,
rappresenta la sintesi del viaggio/ricerca che il fotografo ha condotto in Giappone
nell’antica Provincia di Shimane, seguendo le tracce di Lafcadio Hearn, scrittore e
giornalista statunitense vissuto nel Paese del Sol Levante alla fine dell’Ottocento e celebre
per le sue raccolte di leggende giapponesi e storie di fantasmi.
L’atmosfera evanescente di questo mondo, ricco di aure e di mistero, dove al reale si
sovrappone un mondo antico sempre presente, è raccontato in maniera evocativa dalla
maestria e sensibilità di Francesco Radino che ha trovato nella stampa in bianco e nero di
Epson, già conosciuta e utilizzata nel suo lavoro quotidiano di fotografo, il perfetto
equilibrio fra i neri più pieni, le trame sottili dei grigi e i toni delicati ed evanescenti dei
mezzi toni: un equilibrio leggero che dà corpo alle immagini rarefatte del diario di viaggio
del fotografo.
Ciascuna fotografia è una visione che racchiude l’essenza di un mondo che appartiene al
passato ma lascia tracce (im)percettibili nel presente, come Radino stesso annota nel suo
diario: “Ho intrapreso il mio cammino, senz’altro scopo che annotare, osservando. Storie
d’un mondo antico, che riaffiora qua e là, sotto la scorza ruvida degli affanni, nell’intimo
dei cuori, nei recessi ombrosi dei boschi o sulle soglie oranti dei templi... Posso intuire
allora che cosa avesse stregato l’animo inquieto di Lafcadio Hearn, in quel finir di secolo,
cent’anni fa, e attraverso lui intravedere soltanto, fra le pieghe di questo breve,
intensissimo viaggio, l’atmosfera della sua mitica Horai.”
Horai, l’antica terra mistica di cui si narra nella mitologia cinese e giapponese, si chiama
anche Shinkiro, che significa “Miraggio-la visione dell’intangibile”.
Francesco Radino nasce a Bagno a Ripoli (Firenze) nel 1947 da genitori entrambi pittori.
Dopo studi di Sociologia, nel 1970 diventa fotografo professionista e sceglie di operare in
vari ambiti, dalla fotografia industriale al design, dall’architettura al paesaggio.
A partire dagli anni Ottanta partecipa a numerosi progetti di carattere pubblico di ricerca
sul territorio, fra i quali le campagne fotografiche Archivio dello Spazio all’interno del
Progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano, il
progetto Osserva.Te.R promosso dalla Regione Lombardia, il progetto European Eyes on
Japan organizzato da Eu Jap Fest, Atlante italiano 2003 per il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali e Tramsformazione per il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa
Ghirlanda.
Da sempre intreccia lavoro professionale e ricerca artistica ed è oggi considerato uno degli
autori più influenti nel panorama della fotografia contemporanea in Italia.
Partecipe degli sviluppi della fotografia di ricerca sul paesaggio contemporaneo, ha negli
anni elaborato un modo libero di esplorare la realtà che oggi va oltre il genere del
paesaggio, aprendosi a ogni aspetto del mondo, dalla natura ai territori urbanizzati, dalla
figura umana agli oggetti, dagli animali ai manufatti della storia dell’uomo.
Ha esposto il suo lavoro in gallerie e musei italiani, europei, giapponesi e statunitensi, e le
sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private internazionali. Come autore ha
pubblicato numerosi libri e ha realizzato i video After September Eleven, Storie di terra e di
mare, Diario di un viaggiatore occidentale.
ISTANTANEE
L’ITALIA NELLE IMMAGINI DI VIRGILIO CARNISIO
Le immagini in mostra, realizzate sapientemente da Virgilio Carnisio, non racchiudono
solamente l’idea del viaggio, ma invece ci mostrano percorsi di vita quotidiana e stili di
vita, in un divenire di incroci visivi che si intrecciano con l’ambiente, la storia, il lavoro.
Virgilio Carnisio predilige la luce, quella che emanano gli scorci, le strade, le architetture,
ma anche i volti degli abitanti di questo Paese, incontrati nel suo instancabile cammino
lungo la penisola.
Scatti in bianco e nero, in pellicola, contando i fotogrammi, senza smodatezze e
mantenendo una discrezione che si evince nelle immagini in mostra, che sussurrano
atmosfere e di legami
Il bianco e nero, dai toni contrastati, pare scostarsi dalla realtà, permettendo di cogliere
l’essenza dei luoghi, in continuità con i progetti che identificano l’opera di Carnisio
sviluppatasi negli anni in diversi territori.
In definitiva una ri-scoperta, alimentata da narrazioni che dai cassetti di un archivio
emergono dopo oltre vent’anni, contribuendo a nutrire la nostra immaginazione e il
desiderio di conoscere e condividere, quando lo si fa con la giusta dose di interesse e
passione.
Virgilio Carnisio (Milano 1938)
si avvicina al mondo fotografico nel 1961-62 frequentando l’Enalc (Ente nazionale
addestramento lavoratori commercio), partecipando a un corso di fotografia pubblicitaria.
Dal 1968 inizia un lavoro di documentazione sulla vecchia Milano che scompare.
Da allora affina sempre più la sua ricerca, finalizzando il proprio linguaggio espressivo e
rivolgendo il suo interesse al classico reportage in bianconero, anche se non
esclusivamente, con una marcata impostazione di tipo sociale che, anche quando si rivolge
al passato, lo fa senza rimpianti né retorica.
Autore capace di porre sullo stesso piano l’impegno professionale e la passione pura,
collabora attivamente con giornali e riviste, a cui ha fornito importanti spunti iconografici.
In Europa, in Asia e America il suo obiettivo coglie il reale e ce lo trasmette con rigore e
semplicità. Le sue immagini sono una testimonianza antropologica che evita l’eccezionale
e l’esotico, per addentrarsi in una più consapevole lettura del paesaggio e delle storie,
anche umane, che vi sono dentro il mondo.
Sue fotografie fanno parte di collezioni pubbliche e private, e di lui hanno scritto alcuni tra
i più importanti giornalisti, critici ed esperti del settore, pubblicando redazionali su
prestigiose testate.
Ha partecipato a più di cento mostre collettive e realizzato centocinquanta mostre
personali, in ogni parte del mondo.
Ha pubblicato circa trenta libri di successo, una nutrita serie di calendari e cartelle
d’autore. Sue immagini fanno parte di collezioni pubbliche private.
PARIS
Fotografie di Antonio Amaduzzi
Uomo colto e raffinato, Antonio Amaduzzi ha portato queste sue doti anche nel campo
della fotografia scegliendo fin da subito quali erano i punti di riferimento che gli erano più
cari anche se sfuggivano – e continuano a sfuggire – a una precisa definizione. Più ancora
che al reportage classico, il fotografo, ha guardato alle grandi esperienze americane della
straight photography e della Photo League oltre a quelle francesi della cosiddetta
photographie humaniste. Se una grande passione è all’origine delle sue peregrinazioni nel
mondo sempre accompagnato da una fotocamera (meglio se Leica), ciò che ha lasciato in
lui un fondamento così importante da dare vita a un vero e proprio stile è stato lo studio e
la conoscenza del lavoro dei grandi autori: la grande forza espressiva di Henri Cartier-
Bresson, l’eleganza raffinata di Willy Ronis, l’ironia sottile di Edouard Boubat e Izis come
anche le rigorose ricerche di Ugo Mulas e Mario Giacomelli. Un discorso a parte merita
Gianni Berengo Gadin – di tutti quello più vicino alla poetica francese – non solo amico ma
anche compagno di indimenticabili spedizioni fotografiche nate da una precisa sintonia di
vedute. Ben presto, dunque, la quotidianità diviene la dimensione privilegiata in cui
Amaduzzi si muove con l’occhio attento di chi sa che qualcosa di significativo sicuramente
accadrà e finirà nelle sue immagini. Ciò che maggiormente colpisce nelle moltissime opere
da lui realizzate sempre e solo in un classico bianconero ricco di toni attentamente
riprodotti in stampa, è l’apparente semplicità che le caratterizza. Apparente perché la
linearità e la pulizia formale si ottengono con un lungo esercizio interiore poi tradotto in
quell’immediatezza che non sembra ma è invece frutto della complessità. La grande
passione per la Francia e per la sua storia vissuta come universale la si trova in questa
mostra tutta dedicata a Parigi, la città più amata dove, dice, avrebbe voluto nascere e che
ha ripreso ininterrottamente dal 1962. Antonio Amaduzzi le ha dedicato riprese non
convenzionali andando alla ricerca di suggestive atmosfere, sottolineando particolari che
sanno essere unici, soffermandosi su visioni d’assieme di stupefacente bellezza. Dal suo
archivio conservato con la cura che merita (e qui si potrebbe aprire un lungo discorso sulla
superiorità di quello analogico rispetto al digitale, più labile e fragile) emergono immagini
capaci di cogliere quel fascino che Parigi sa sempre misteriosamente trasmettere. I
soggetti raramente occupano la parte centrale dell’immagine e la loro posizione defilata
evidenzia il senso di profondità e quella teatralità del quotidiano che rimane una delle
caratteristiche centrali della sua poetica. Così è, per fare un esempio, nell’immagine della
coppia di innamorati colti mentre si abbracciano sul Pont Neuf: un cielo attraversato da
nuvole scure si contrappone al chiarore della strada sottolineando l’orizzontalità di una
visione interrotta dallo svettare di un lampione. Indifferenti a tutto ciò i due, che pure
occupano solo una piccola porzione dello spazio, sono i veri protagonisti della scena e
attirano i nostri sguardi in un evidente richiamo identificativo. Roberto Mutti
DE CUBICULI FRAGMENTIS
Fotografie di Roberto Toja
Lo Sguardo: Esiste una forma di apparenza che si sfalda nel tragitto che va dall’oggetto
osservato alla sua reale apparizione nella nostra esperienza psichica. Nulla può dirsi
realmente compiuto, ogni cosa si mostra e si rappresenta per un unico spettatore e per lui
recita una variante del copione. Che cosa, dunque, vediamo realmente? Quale parte del
nostro consapevole inganno? Il tutto, credo, nella stratificazione di significati. A noi il
compito di scavare, di sfogliare. A noi il dolore di farlo.
La Presenza: L’ombra che ci segue o ci precede ha dimora nel nostro celare, nel nostro
soffocare il tempo. L’essere dalla forma simile alla nostra, ma altro di noi, conosce ogni
nostra debolezza, ogni nostra meschinità, ma anche la nostra misconosciuta grandezza.
Così si fa evanescente, si vergogna del proprio corpo, lo sfarina nell’unico movimento
prima della fissità. E’ la presenza che ci conosce e ci inquieta.
Lo spazio: Racchiudere è attendere la rinascita. Racchiudere è nutrire prima
dell’abbandono; è prestare attenzione al silenzio della luce riflessa. Le pareti sono
membrane imbevute di pure esistenze senza narratori. Le pareti sanno, ma tacciono per la
modestia che precede la storia. Lo spazio ci costringe alla misura, al percorso, al confronto.
Lo spazio ci dona gli orizzonti posati come linea di divinazione sul palmo delle nostre
mani.
Le scorie: Ogni cosa ha un guscio, una protettiva superficialità. Ognio cosa stratifica il
proprio apparire in forme e colori, nell’illusione di avvolgersi in una corazza d’immortalità.
Poi il guscio fragile si sfalda, abbandona la propria forma, tradisce e muore. Abbandona
l’apparenza più solida e diventa concetto, narrazione, storia. Rimane l’inutile robustezza, la
scoria senza vita della rappresentazione. L’attonito museo. Allora, solo allora, torna a
vivere.
La parola: Schiavi del suono e del segno che precede ogni nostro sforzo di rappresentare
la realtà, ci abbandoniamo alla certezza del codificato. Scivoliamo sul terreno ghiacciato
dell’ovvio, del consolatorio e del riconoscibile. Ma non la poesia. La poesia si svincola
dall’abbraccio evidente, del rappresentabile. Si inventa, si scopre scavando nell’abisso
scuro e ricchissimo dell’evocazione. La parola si denuda e apre il petto al nucleo luminoso
da cui è stata generata. La parola si dona ad occhi chiusi, si lascia possedere, e la poesia
che viene generata da questo abbandono non può che essere che frutto di una
antichissima genesi. La stessa che guida il dispiegarsi della conoscenza, il rivelarsi
quotidiano del nostro misterioso trascorrere. La parola che si fa poesia non è che lo
stupore di riconoscersi ad occhi chiusi dopo aver vissuto ossessivamente di fronte ad uno
specchio. (Aldo Ferraris)
Incontri - Conferenze - Editoria
SABATO 7 MAGGIO 2016 ore 18
Incontro con l’Autore - in dialogo con Claudio Argentiero
PIERGIORGIO BRANZI
Presentazione del libro IL GIRO DELL’OCCHIO – Ediz. Contrasto
La monografia più completa mai pubblicata dedicata a uno dei più importanti autori
della fotografia italiana.
Contrasto pubblica Il giro dell’occhio, libro che raccoglie le fotografie di Piergiorgio Branzi
realizzate in più di cinquanta anni di sguardi sul mondo, anni di “osservazioni attive” di un
grande interprete del nostro tempo.
Le sue immagini, suddivise e raccolte nel volume per serie spaziali e temporali, si
intrecciano con le riflessioni, i ragionamenti e i ricordi di una stagione importante della
fotografia e della cultura italiana. Un insieme di temi che accompagna il racconto di una
vita piena di meraviglie e di scoperte.
Il volume, introdotto da un contributo di Alessandra Mauro e da un saggio di Branzi stesso
in cui l’autore descrive il proprio rapporto con i “linguaggi dell’immagine”, è diviso in sei
sezioni, che corrispondono ai diversi luoghi che l’autore ha fotografato nel corso degli
anni. Ogni sezione è introdotta da un suo breve testo. Ed ecco che, pagina dopo pagina, il
libro ci guida in un percorso che va dalle foto in bianco e nero degli anni Cinquanta
realizzate nella sua Toscana (Chiaroscuro toscano) alle immagini che danno conto di uno
sguardo complessivo sulla Penisola (Scoperta dell’Italia), fino ad arrivare alle fotografie che
riguardano il Mediterraneo, per passare poi a Mosca dove Branzi ha vissuto cinque anni in
quanto inviato per la Rai, e Parigi. Il libro si chiude con la sezione Le forme, che contiene
l’ultima produzione del fotografo, quella più sperimentale, e una breve nota
autobiografica.
Piergiorgio Branzi nasce a Signa, Firenze, nel 1928. La sua attività di fotografo comincia
nei primi anni ’50, periodo in cui conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del gruppo
La Bussola, un’associazione di fotografi creata nel 1947 con l’obiettivo di promuovere la
fotografia come arte dal punto di vista professionale e non solo documentario. Nel
maggio del 1953, Branzi espone per la prima volta nell’ambito della “Mostra della
Fotografia Italiana”, presso la Galleria della Vigna Nuova a Firenze, e a partire dall’autunno
di quello stesso anno si dedica sempre di più alla fotografia, partecipando alle principali
esposizioni italiane e vincendo numerosi concorsi tra il 1955 e il 1957. Intraprende lunghi
viaggi in motocicletta e in auto attraverso l’Italia e la Spagna, raccontando in immagini la
vita quotidiana dei paesi che attraversa, rielaborando in modo originale la lezione di Henri
Cartier-Bresson. Dopo una collaborazione con Il Mondo di Mario Pannunzio, nel 1960 viene
assunto alla Rai e intraprende la carriera di giornalista che, di fatto, rallenterà la sua
produzione fotografica. Come inviato della Rai, e su incarico di Enzo Biagi, si trasferisce a
Mosca per circa cinque anni e diventa il primo corrispondente occidentale nella Russia di
oltrecortina; dal 1966 al 1969 sarà, invece, corrispondente da Parigi. Nel 1969 torna in
Italia, a Roma, per assumere l'incarico di commentatore del telegiornale. Le sue fotografie
sono state esposte in numerose mostre dedicate alla fotografia italiana del Novecento (tra
queste anche l’importante “ItalianMetamorphosis” al Guggenheim Museum di New York),
di cui è considerato uno degli indiscussi maestri.
A seguire book signing e aperitivo con l’artista
MARTEDI 10 MAGGIO 2016 ore 21,15
Incontro con l’Autore - in dialogo con Claudio Argentiero
FRANCESCO RADINO
Prospettive, poetica, contaminazioni
Una visione del mondo ove l'uomo, la natura, il paesaggio e la città si trasformano in un
corpo unico su cui poter indifferentemente posare lo sguardo.
Francesco Radino (Bagno a Ripoli 1947), è attivo nella fotografia fin dagli anni Settanta.
Nel corso del tempo ha elaborato una propria poetica, ricca di suggestioni immaginifiche
ed emozionali. I suoi lavori appaiono come un fluire di molteplici narrazioni dove si
accumulano figure umane, elementi naturali, territori urbanizzati, animali e oggetti, che
perdono l’originaria consistenza fisica per assumere la dimensione atemporale della
memoria. A partire dagli anni Ottanta partecipa a numerosi progetti di carattere pubblico
di ricerca sul territorio, fra i quali le campagne fotografiche di Archivio dello Spazio per la
Provincia di Milano, il progetto Osserva.Te.R della Regione Lombardia, il progetto
European Eyes on Japan, Atlante italiano 2003 per il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali e Tramsformazione per il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda.
Come autore ha pubblicato numerosi libri e video sul tema della fotografia.
MARTEDI 17 MAGGIO 2016 ore 21,15
Parlando di Grandi Fotografi
SEBASTIAO SALGADO
L’opera, l’uomo, i progetti – a cura di Claudio Argentiero
Da decenni Sesbastiao Salgado percorre i continenti per documentare popoli in costante
cammino. Osservatore attento e sensibile, realizza progetti che ci mostrano una umanità
ferita, attraverso una fotografia di grande spessore che lo ha reso celebre in tutto il
mondo, di cui si parlerà nel corso dell’incontro.
A seguire: Visita guidata alle mostre esposte nelle sale di villa Pomini
Informazioni sulla Rassegna:
Luogo: Villa Pomini – Via Don L. Testori, 14 – Castellanza (Va)
Periodo espositivo: 1 – 22 maggio 2016
Orari di visita: venerdi e sabato 15/19 – domenica 10/12,30 – 15/19 – Ingresso libero
Segreteria organizzativa: afi.fotoarchivio@gmail.com / t. 347 5902640
Sito web: www.archiviofotografico.org
Curatore: Claudio Argentiero
La fotografia, il pensiero, la luce
Villa Pomini – 1/22 maggio 2016
L’Archivio Fotografico Italiano, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del
Comune di Castellanza (VA), nelle sale della storica villa Pomini, sede del FIF -Fondo
Italiano Fotografia, in collaborazione con EPSON, presenta una serie di mostre provenienti
da archivi personali, proponendo un percorso articolato che va dal reportage di viaggio
alla sperimentazione, con la finalità di riscoprire un modus operandi certamente più lento
e meditato, che nel metodo analogico rivela l’essenza espressiva.
Ma la rassegna vuole essere anche occasione di raffronto tra i differenti linguaggi
espressivi, e una comparazione tra le immagini stampate in camera oscura, come quelle di
Carnisio e Toja, e in modern print - fine art Digigraphie, presentate da Radino e alcune di
Amaduzzi, prodotte partendo da scansioni da pellicola, con l’intento di porre a confronto
la possibilità offerta dalle nuove tecnologie, che non mortificano o suppliscono i metodi
originari, ma si integrano, offrendo nuove opportunità di stampa certificata, per il
collezionismo.
AURE D’ORIENTE
Diario di un viaggio di un occidentale nello Shimane di fine millennio
Fotografie di Francesco Radino
Courtesy by EPSON Italia
Aure d’Oriente – Diario di viaggio di un occidentale nello Shimane di fine millennio,
rappresenta la sintesi del viaggio/ricerca che il fotografo ha condotto in Giappone
nell’antica Provincia di Shimane, seguendo le tracce di Lafcadio Hearn, scrittore e
giornalista statunitense vissuto nel Paese del Sol Levante alla fine dell’Ottocento e celebre
per le sue raccolte di leggende giapponesi e storie di fantasmi.
L’atmosfera evanescente di questo mondo, ricco di aure e di mistero, dove al reale si
sovrappone un mondo antico sempre presente, è raccontato in maniera evocativa dalla
maestria e sensibilità di Francesco Radino che ha trovato nella stampa in bianco e nero di
Epson, già conosciuta e utilizzata nel suo lavoro quotidiano di fotografo, il perfetto
equilibrio fra i neri più pieni, le trame sottili dei grigi e i toni delicati ed evanescenti dei
mezzi toni: un equilibrio leggero che dà corpo alle immagini rarefatte del diario di viaggio
del fotografo.
Ciascuna fotografia è una visione che racchiude l’essenza di un mondo che appartiene al
passato ma lascia tracce (im)percettibili nel presente, come Radino stesso annota nel suo
diario: “Ho intrapreso il mio cammino, senz’altro scopo che annotare, osservando. Storie
d’un mondo antico, che riaffiora qua e là, sotto la scorza ruvida degli affanni, nell’intimo
dei cuori, nei recessi ombrosi dei boschi o sulle soglie oranti dei templi... Posso intuire
allora che cosa avesse stregato l’animo inquieto di Lafcadio Hearn, in quel finir di secolo,
cent’anni fa, e attraverso lui intravedere soltanto, fra le pieghe di questo breve,
intensissimo viaggio, l’atmosfera della sua mitica Horai.”
Horai, l’antica terra mistica di cui si narra nella mitologia cinese e giapponese, si chiama
anche Shinkiro, che significa “Miraggio-la visione dell’intangibile”.
Francesco Radino nasce a Bagno a Ripoli (Firenze) nel 1947 da genitori entrambi pittori.
Dopo studi di Sociologia, nel 1970 diventa fotografo professionista e sceglie di operare in
vari ambiti, dalla fotografia industriale al design, dall’architettura al paesaggio.
A partire dagli anni Ottanta partecipa a numerosi progetti di carattere pubblico di ricerca
sul territorio, fra i quali le campagne fotografiche Archivio dello Spazio all’interno del
Progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano, il
progetto Osserva.Te.R promosso dalla Regione Lombardia, il progetto European Eyes on
Japan organizzato da Eu Jap Fest, Atlante italiano 2003 per il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali e Tramsformazione per il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa
Ghirlanda.
Da sempre intreccia lavoro professionale e ricerca artistica ed è oggi considerato uno degli
autori più influenti nel panorama della fotografia contemporanea in Italia.
Partecipe degli sviluppi della fotografia di ricerca sul paesaggio contemporaneo, ha negli
anni elaborato un modo libero di esplorare la realtà che oggi va oltre il genere del
paesaggio, aprendosi a ogni aspetto del mondo, dalla natura ai territori urbanizzati, dalla
figura umana agli oggetti, dagli animali ai manufatti della storia dell’uomo.
Ha esposto il suo lavoro in gallerie e musei italiani, europei, giapponesi e statunitensi, e le
sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private internazionali. Come autore ha
pubblicato numerosi libri e ha realizzato i video After September Eleven, Storie di terra e di
mare, Diario di un viaggiatore occidentale.
ISTANTANEE
L’ITALIA NELLE IMMAGINI DI VIRGILIO CARNISIO
Le immagini in mostra, realizzate sapientemente da Virgilio Carnisio, non racchiudono
solamente l’idea del viaggio, ma invece ci mostrano percorsi di vita quotidiana e stili di
vita, in un divenire di incroci visivi che si intrecciano con l’ambiente, la storia, il lavoro.
Virgilio Carnisio predilige la luce, quella che emanano gli scorci, le strade, le architetture,
ma anche i volti degli abitanti di questo Paese, incontrati nel suo instancabile cammino
lungo la penisola.
Scatti in bianco e nero, in pellicola, contando i fotogrammi, senza smodatezze e
mantenendo una discrezione che si evince nelle immagini in mostra, che sussurrano
atmosfere e di legami
Il bianco e nero, dai toni contrastati, pare scostarsi dalla realtà, permettendo di cogliere
l’essenza dei luoghi, in continuità con i progetti che identificano l’opera di Carnisio
sviluppatasi negli anni in diversi territori.
In definitiva una ri-scoperta, alimentata da narrazioni che dai cassetti di un archivio
emergono dopo oltre vent’anni, contribuendo a nutrire la nostra immaginazione e il
desiderio di conoscere e condividere, quando lo si fa con la giusta dose di interesse e
passione.
Virgilio Carnisio (Milano 1938)
si avvicina al mondo fotografico nel 1961-62 frequentando l’Enalc (Ente nazionale
addestramento lavoratori commercio), partecipando a un corso di fotografia pubblicitaria.
Dal 1968 inizia un lavoro di documentazione sulla vecchia Milano che scompare.
Da allora affina sempre più la sua ricerca, finalizzando il proprio linguaggio espressivo e
rivolgendo il suo interesse al classico reportage in bianconero, anche se non
esclusivamente, con una marcata impostazione di tipo sociale che, anche quando si rivolge
al passato, lo fa senza rimpianti né retorica.
Autore capace di porre sullo stesso piano l’impegno professionale e la passione pura,
collabora attivamente con giornali e riviste, a cui ha fornito importanti spunti iconografici.
In Europa, in Asia e America il suo obiettivo coglie il reale e ce lo trasmette con rigore e
semplicità. Le sue immagini sono una testimonianza antropologica che evita l’eccezionale
e l’esotico, per addentrarsi in una più consapevole lettura del paesaggio e delle storie,
anche umane, che vi sono dentro il mondo.
Sue fotografie fanno parte di collezioni pubbliche e private, e di lui hanno scritto alcuni tra
i più importanti giornalisti, critici ed esperti del settore, pubblicando redazionali su
prestigiose testate.
Ha partecipato a più di cento mostre collettive e realizzato centocinquanta mostre
personali, in ogni parte del mondo.
Ha pubblicato circa trenta libri di successo, una nutrita serie di calendari e cartelle
d’autore. Sue immagini fanno parte di collezioni pubbliche private.
PARIS
Fotografie di Antonio Amaduzzi
Uomo colto e raffinato, Antonio Amaduzzi ha portato queste sue doti anche nel campo
della fotografia scegliendo fin da subito quali erano i punti di riferimento che gli erano più
cari anche se sfuggivano – e continuano a sfuggire – a una precisa definizione. Più ancora
che al reportage classico, il fotografo, ha guardato alle grandi esperienze americane della
straight photography e della Photo League oltre a quelle francesi della cosiddetta
photographie humaniste. Se una grande passione è all’origine delle sue peregrinazioni nel
mondo sempre accompagnato da una fotocamera (meglio se Leica), ciò che ha lasciato in
lui un fondamento così importante da dare vita a un vero e proprio stile è stato lo studio e
la conoscenza del lavoro dei grandi autori: la grande forza espressiva di Henri Cartier-
Bresson, l’eleganza raffinata di Willy Ronis, l’ironia sottile di Edouard Boubat e Izis come
anche le rigorose ricerche di Ugo Mulas e Mario Giacomelli. Un discorso a parte merita
Gianni Berengo Gadin – di tutti quello più vicino alla poetica francese – non solo amico ma
anche compagno di indimenticabili spedizioni fotografiche nate da una precisa sintonia di
vedute. Ben presto, dunque, la quotidianità diviene la dimensione privilegiata in cui
Amaduzzi si muove con l’occhio attento di chi sa che qualcosa di significativo sicuramente
accadrà e finirà nelle sue immagini. Ciò che maggiormente colpisce nelle moltissime opere
da lui realizzate sempre e solo in un classico bianconero ricco di toni attentamente
riprodotti in stampa, è l’apparente semplicità che le caratterizza. Apparente perché la
linearità e la pulizia formale si ottengono con un lungo esercizio interiore poi tradotto in
quell’immediatezza che non sembra ma è invece frutto della complessità. La grande
passione per la Francia e per la sua storia vissuta come universale la si trova in questa
mostra tutta dedicata a Parigi, la città più amata dove, dice, avrebbe voluto nascere e che
ha ripreso ininterrottamente dal 1962. Antonio Amaduzzi le ha dedicato riprese non
convenzionali andando alla ricerca di suggestive atmosfere, sottolineando particolari che
sanno essere unici, soffermandosi su visioni d’assieme di stupefacente bellezza. Dal suo
archivio conservato con la cura che merita (e qui si potrebbe aprire un lungo discorso sulla
superiorità di quello analogico rispetto al digitale, più labile e fragile) emergono immagini
capaci di cogliere quel fascino che Parigi sa sempre misteriosamente trasmettere. I
soggetti raramente occupano la parte centrale dell’immagine e la loro posizione defilata
evidenzia il senso di profondità e quella teatralità del quotidiano che rimane una delle
caratteristiche centrali della sua poetica. Così è, per fare un esempio, nell’immagine della
coppia di innamorati colti mentre si abbracciano sul Pont Neuf: un cielo attraversato da
nuvole scure si contrappone al chiarore della strada sottolineando l’orizzontalità di una
visione interrotta dallo svettare di un lampione. Indifferenti a tutto ciò i due, che pure
occupano solo una piccola porzione dello spazio, sono i veri protagonisti della scena e
attirano i nostri sguardi in un evidente richiamo identificativo. Roberto Mutti
DE CUBICULI FRAGMENTIS
Fotografie di Roberto Toja
Lo Sguardo: Esiste una forma di apparenza che si sfalda nel tragitto che va dall’oggetto
osservato alla sua reale apparizione nella nostra esperienza psichica. Nulla può dirsi
realmente compiuto, ogni cosa si mostra e si rappresenta per un unico spettatore e per lui
recita una variante del copione. Che cosa, dunque, vediamo realmente? Quale parte del
nostro consapevole inganno? Il tutto, credo, nella stratificazione di significati. A noi il
compito di scavare, di sfogliare. A noi il dolore di farlo.
La Presenza: L’ombra che ci segue o ci precede ha dimora nel nostro celare, nel nostro
soffocare il tempo. L’essere dalla forma simile alla nostra, ma altro di noi, conosce ogni
nostra debolezza, ogni nostra meschinità, ma anche la nostra misconosciuta grandezza.
Così si fa evanescente, si vergogna del proprio corpo, lo sfarina nell’unico movimento
prima della fissità. E’ la presenza che ci conosce e ci inquieta.
Lo spazio: Racchiudere è attendere la rinascita. Racchiudere è nutrire prima
dell’abbandono; è prestare attenzione al silenzio della luce riflessa. Le pareti sono
membrane imbevute di pure esistenze senza narratori. Le pareti sanno, ma tacciono per la
modestia che precede la storia. Lo spazio ci costringe alla misura, al percorso, al confronto.
Lo spazio ci dona gli orizzonti posati come linea di divinazione sul palmo delle nostre
mani.
Le scorie: Ogni cosa ha un guscio, una protettiva superficialità. Ognio cosa stratifica il
proprio apparire in forme e colori, nell’illusione di avvolgersi in una corazza d’immortalità.
Poi il guscio fragile si sfalda, abbandona la propria forma, tradisce e muore. Abbandona
l’apparenza più solida e diventa concetto, narrazione, storia. Rimane l’inutile robustezza, la
scoria senza vita della rappresentazione. L’attonito museo. Allora, solo allora, torna a
vivere.
La parola: Schiavi del suono e del segno che precede ogni nostro sforzo di rappresentare
la realtà, ci abbandoniamo alla certezza del codificato. Scivoliamo sul terreno ghiacciato
dell’ovvio, del consolatorio e del riconoscibile. Ma non la poesia. La poesia si svincola
dall’abbraccio evidente, del rappresentabile. Si inventa, si scopre scavando nell’abisso
scuro e ricchissimo dell’evocazione. La parola si denuda e apre il petto al nucleo luminoso
da cui è stata generata. La parola si dona ad occhi chiusi, si lascia possedere, e la poesia
che viene generata da questo abbandono non può che essere che frutto di una
antichissima genesi. La stessa che guida il dispiegarsi della conoscenza, il rivelarsi
quotidiano del nostro misterioso trascorrere. La parola che si fa poesia non è che lo
stupore di riconoscersi ad occhi chiusi dopo aver vissuto ossessivamente di fronte ad uno
specchio. (Aldo Ferraris)
Incontri - Conferenze - Editoria
SABATO 7 MAGGIO 2016 ore 18
Incontro con l’Autore - in dialogo con Claudio Argentiero
PIERGIORGIO BRANZI
Presentazione del libro IL GIRO DELL’OCCHIO – Ediz. Contrasto
La monografia più completa mai pubblicata dedicata a uno dei più importanti autori
della fotografia italiana.
Contrasto pubblica Il giro dell’occhio, libro che raccoglie le fotografie di Piergiorgio Branzi
realizzate in più di cinquanta anni di sguardi sul mondo, anni di “osservazioni attive” di un
grande interprete del nostro tempo.
Le sue immagini, suddivise e raccolte nel volume per serie spaziali e temporali, si
intrecciano con le riflessioni, i ragionamenti e i ricordi di una stagione importante della
fotografia e della cultura italiana. Un insieme di temi che accompagna il racconto di una
vita piena di meraviglie e di scoperte.
Il volume, introdotto da un contributo di Alessandra Mauro e da un saggio di Branzi stesso
in cui l’autore descrive il proprio rapporto con i “linguaggi dell’immagine”, è diviso in sei
sezioni, che corrispondono ai diversi luoghi che l’autore ha fotografato nel corso degli
anni. Ogni sezione è introdotta da un suo breve testo. Ed ecco che, pagina dopo pagina, il
libro ci guida in un percorso che va dalle foto in bianco e nero degli anni Cinquanta
realizzate nella sua Toscana (Chiaroscuro toscano) alle immagini che danno conto di uno
sguardo complessivo sulla Penisola (Scoperta dell’Italia), fino ad arrivare alle fotografie che
riguardano il Mediterraneo, per passare poi a Mosca dove Branzi ha vissuto cinque anni in
quanto inviato per la Rai, e Parigi. Il libro si chiude con la sezione Le forme, che contiene
l’ultima produzione del fotografo, quella più sperimentale, e una breve nota
autobiografica.
Piergiorgio Branzi nasce a Signa, Firenze, nel 1928. La sua attività di fotografo comincia
nei primi anni ’50, periodo in cui conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del gruppo
La Bussola, un’associazione di fotografi creata nel 1947 con l’obiettivo di promuovere la
fotografia come arte dal punto di vista professionale e non solo documentario. Nel
maggio del 1953, Branzi espone per la prima volta nell’ambito della “Mostra della
Fotografia Italiana”, presso la Galleria della Vigna Nuova a Firenze, e a partire dall’autunno
di quello stesso anno si dedica sempre di più alla fotografia, partecipando alle principali
esposizioni italiane e vincendo numerosi concorsi tra il 1955 e il 1957. Intraprende lunghi
viaggi in motocicletta e in auto attraverso l’Italia e la Spagna, raccontando in immagini la
vita quotidiana dei paesi che attraversa, rielaborando in modo originale la lezione di Henri
Cartier-Bresson. Dopo una collaborazione con Il Mondo di Mario Pannunzio, nel 1960 viene
assunto alla Rai e intraprende la carriera di giornalista che, di fatto, rallenterà la sua
produzione fotografica. Come inviato della Rai, e su incarico di Enzo Biagi, si trasferisce a
Mosca per circa cinque anni e diventa il primo corrispondente occidentale nella Russia di
oltrecortina; dal 1966 al 1969 sarà, invece, corrispondente da Parigi. Nel 1969 torna in
Italia, a Roma, per assumere l'incarico di commentatore del telegiornale. Le sue fotografie
sono state esposte in numerose mostre dedicate alla fotografia italiana del Novecento (tra
queste anche l’importante “ItalianMetamorphosis” al Guggenheim Museum di New York),
di cui è considerato uno degli indiscussi maestri.
A seguire book signing e aperitivo con l’artista
MARTEDI 10 MAGGIO 2016 ore 21,15
Incontro con l’Autore - in dialogo con Claudio Argentiero
FRANCESCO RADINO
Prospettive, poetica, contaminazioni
Una visione del mondo ove l'uomo, la natura, il paesaggio e la città si trasformano in un
corpo unico su cui poter indifferentemente posare lo sguardo.
Francesco Radino (Bagno a Ripoli 1947), è attivo nella fotografia fin dagli anni Settanta.
Nel corso del tempo ha elaborato una propria poetica, ricca di suggestioni immaginifiche
ed emozionali. I suoi lavori appaiono come un fluire di molteplici narrazioni dove si
accumulano figure umane, elementi naturali, territori urbanizzati, animali e oggetti, che
perdono l’originaria consistenza fisica per assumere la dimensione atemporale della
memoria. A partire dagli anni Ottanta partecipa a numerosi progetti di carattere pubblico
di ricerca sul territorio, fra i quali le campagne fotografiche di Archivio dello Spazio per la
Provincia di Milano, il progetto Osserva.Te.R della Regione Lombardia, il progetto
European Eyes on Japan, Atlante italiano 2003 per il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali e Tramsformazione per il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda.
Come autore ha pubblicato numerosi libri e video sul tema della fotografia.
MARTEDI 17 MAGGIO 2016 ore 21,15
Parlando di Grandi Fotografi
SEBASTIAO SALGADO
L’opera, l’uomo, i progetti – a cura di Claudio Argentiero
Da decenni Sesbastiao Salgado percorre i continenti per documentare popoli in costante
cammino. Osservatore attento e sensibile, realizza progetti che ci mostrano una umanità
ferita, attraverso una fotografia di grande spessore che lo ha reso celebre in tutto il
mondo, di cui si parlerà nel corso dell’incontro.
A seguire: Visita guidata alle mostre esposte nelle sale di villa Pomini
Informazioni sulla Rassegna:
Luogo: Villa Pomini – Via Don L. Testori, 14 – Castellanza (Va)
Periodo espositivo: 1 – 22 maggio 2016
Orari di visita: venerdi e sabato 15/19 – domenica 10/12,30 – 15/19 – Ingresso libero
Segreteria organizzativa: afi.fotoarchivio@gmail.com / t. 347 5902640
Sito web: www.archiviofotografico.org
Curatore: Claudio Argentiero
01
maggio 2016
Analogie analogiche: Radino / Carnisio / Amaduzzi / Toja
Dal primo al 22 maggio 2016
fotografia
Location
VILLA POMINI
Castellanza, Via Don Luigi Testori, 14, (Varese)
Castellanza, Via Don Luigi Testori, 14, (Varese)
Orario di apertura
venerdi e sabato 15/19 – domenica 10/12,30 – 15/19
Sito web
www.archiviofotografico.org
Autore
Curatore