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Anch’io Pinocchio
Negli spazi della Rocca di Cento, venti artisti di generazioni diverse interpretano la figura di Pinocchio attraverso un’immedisimazione dichiarata fin dal titolo: “anch’io Pinocchio!”. Maschera scherzosa dietro cui nascondersi, alter ego grottesco o figura inquieta scaturita da un sogno…
Comunicato stampa
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presentazione di Massimo Marchetti
E’ sempre lì che ci osserva, Pinocchio, diventato definitivamente bambino nel 1883, ma costantemente rianimato nella sua natura burattina da vignette, illustrazioni, film, sculture e chi più ne ha più ne metta. Insomma, questa storia delle bugie che non si dovrebbero dire, ma che fioccano ad ogni piè sospinto, sembra aver portato un certo successo al discolo. E non viene da pensare solo alla classica e storicizzata interpretazione che ne diede Comencini nell’indimenticabile sceneggiato Rai, o all’aggiornamento, un po’ sfortunato ma sicuramente non disprezzabile, dell’alter ego Benigni. No, il mito si è tanto consolidato nella nostra identità collettiva da poter contenere le sferzate di Carmelo Bene nella geniale versione teatral-televisiva dove si ribaltavano le nature, con un Pinocchio in carne e ossa “educato” da un manipolo di cattivi maestri di legno e viti, oppure da adombrarsi in molti dei dissacranti interventi di Maurizio Cattelan, dai bambini impiccati, proprio come Pinocchio alla quercia sotto il chiaro di luna, fino agli autoritratti in forma di “piccola peste” sul triciclo e sugli scaffali dei libri proprio sotto la lettera P, o addirittura in persona con il cappello da asino per la laurea “ad honorem”. Forse solo la fiaba di Alice riesce a tenere il suo passo, mentre Peter Pan, più staccato, tenta di recuperare sul successo perpetuo e trasversale del burattino di legno, e guarda caso si tratta anche in questo caso di un’incarnazione degli aspetti più indefinibili e irriducibili dell’infanzia.
Ma cosa c’è nel cuore di Pinocchio che riesca a parlare all’artista? Forse – azzardiamo – in questa storia fantastica si cela proprio la realtà tragica della creazione artistica. Quasi come Pigmalione, Geppetto ricava dalla materia bruta una forma che prende vita, ma è una vita che se da un lato è imperfetta, sfuggente e pericolante, lo è per la sua natura anarchica e vigorosa. Per perfezionarsi, questa ”opera”, per così dire, dovrà seguire da sola, perché il suo creatore ormai non ha più dominio, i precetti comportamentali che costituiscono un “canone”. Ma una volta diventato un bambino vero, quindi un’opera d’arte “vera” se mai questa possa darsi, ecco che l’incantesimo si spezza, si rientra nella normalità, nel mondo, e tutto ciò che rendeva Pinocchio un prodigio svanisce lasciando che tutti noi, in verità, rimpiangiamo quel che era. Chi mai preferirebbe incontrare il bambino piuttosto che il burattino? E’ quindi non solo inquietate, ma terribile il fatto che Pinocchio alla fine non sia più Pinocchio; e l’arte, che è qualcosa che si mostra al mondo come da una dimensione parallela e fragile, quando esce dall’equilibrio dell’ineffabile e si vuole dichiarare e controllare ed adattare, inevitabilmente muore, diventando nel migliore dei casi, come da classica definizione, “accademica”.
In questa rassegna di interpretazioni, che segue e a sua volta contiene la giornata di creazioni che si è svolta sei anni fa alla galleria del Carbone di Ferrara, ventuno artisti si sono dunque impegnati ad interpretare questo inesauribile personaggio che, a partire dall’indicazione del titolo, “Anch’io Pinocchio!”, imponeva un’immedesimazione, più che una visione distaccata. Ecco così che alla fine, di fronte a queste spontanee compenetrazioni che oscillano tra le punizioni e gli sberleffi, tra gli incubi biomeccanici e i sogni infantili, o addirittura tra la realtà dell’angoscia esistenziale e l’iperrealtà dell’ingegneria genetica, possiamo ancora una volta dire che Pinocchio non solo è vivo, ma lotta insieme a noi!
E’ sempre lì che ci osserva, Pinocchio, diventato definitivamente bambino nel 1883, ma costantemente rianimato nella sua natura burattina da vignette, illustrazioni, film, sculture e chi più ne ha più ne metta. Insomma, questa storia delle bugie che non si dovrebbero dire, ma che fioccano ad ogni piè sospinto, sembra aver portato un certo successo al discolo. E non viene da pensare solo alla classica e storicizzata interpretazione che ne diede Comencini nell’indimenticabile sceneggiato Rai, o all’aggiornamento, un po’ sfortunato ma sicuramente non disprezzabile, dell’alter ego Benigni. No, il mito si è tanto consolidato nella nostra identità collettiva da poter contenere le sferzate di Carmelo Bene nella geniale versione teatral-televisiva dove si ribaltavano le nature, con un Pinocchio in carne e ossa “educato” da un manipolo di cattivi maestri di legno e viti, oppure da adombrarsi in molti dei dissacranti interventi di Maurizio Cattelan, dai bambini impiccati, proprio come Pinocchio alla quercia sotto il chiaro di luna, fino agli autoritratti in forma di “piccola peste” sul triciclo e sugli scaffali dei libri proprio sotto la lettera P, o addirittura in persona con il cappello da asino per la laurea “ad honorem”. Forse solo la fiaba di Alice riesce a tenere il suo passo, mentre Peter Pan, più staccato, tenta di recuperare sul successo perpetuo e trasversale del burattino di legno, e guarda caso si tratta anche in questo caso di un’incarnazione degli aspetti più indefinibili e irriducibili dell’infanzia.
Ma cosa c’è nel cuore di Pinocchio che riesca a parlare all’artista? Forse – azzardiamo – in questa storia fantastica si cela proprio la realtà tragica della creazione artistica. Quasi come Pigmalione, Geppetto ricava dalla materia bruta una forma che prende vita, ma è una vita che se da un lato è imperfetta, sfuggente e pericolante, lo è per la sua natura anarchica e vigorosa. Per perfezionarsi, questa ”opera”, per così dire, dovrà seguire da sola, perché il suo creatore ormai non ha più dominio, i precetti comportamentali che costituiscono un “canone”. Ma una volta diventato un bambino vero, quindi un’opera d’arte “vera” se mai questa possa darsi, ecco che l’incantesimo si spezza, si rientra nella normalità, nel mondo, e tutto ciò che rendeva Pinocchio un prodigio svanisce lasciando che tutti noi, in verità, rimpiangiamo quel che era. Chi mai preferirebbe incontrare il bambino piuttosto che il burattino? E’ quindi non solo inquietate, ma terribile il fatto che Pinocchio alla fine non sia più Pinocchio; e l’arte, che è qualcosa che si mostra al mondo come da una dimensione parallela e fragile, quando esce dall’equilibrio dell’ineffabile e si vuole dichiarare e controllare ed adattare, inevitabilmente muore, diventando nel migliore dei casi, come da classica definizione, “accademica”.
In questa rassegna di interpretazioni, che segue e a sua volta contiene la giornata di creazioni che si è svolta sei anni fa alla galleria del Carbone di Ferrara, ventuno artisti si sono dunque impegnati ad interpretare questo inesauribile personaggio che, a partire dall’indicazione del titolo, “Anch’io Pinocchio!”, imponeva un’immedesimazione, più che una visione distaccata. Ecco così che alla fine, di fronte a queste spontanee compenetrazioni che oscillano tra le punizioni e gli sberleffi, tra gli incubi biomeccanici e i sogni infantili, o addirittura tra la realtà dell’angoscia esistenziale e l’iperrealtà dell’ingegneria genetica, possiamo ancora una volta dire che Pinocchio non solo è vivo, ma lotta insieme a noi!
07
marzo 2008
Anch’io Pinocchio
Dal 07 marzo al 27 aprile 2008
arte moderna e contemporanea
Location
GALLERIA DEL CARBONE
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Ferrara, Via Del Carbone, 18, (Ferrara)
Biglietti
gratuito
Orario di apertura
venerdì a domenica ore 10.30-13 e 15-18.30
Vernissage
7 Marzo 2008, ore 21.00
Autore