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And They Lived Sadly Ever After
Mostra collettiva con opere dei giovani artisti Hamish Chapman, Holly Halkes, Ray Hwang, Tiange Yu che indagano come i concetti di umorismo ed ironia possano aiutarci a superare le fatiche del vivere quotidiano. A cura di Marta Orsola Sironi e TCH.
Comunicato stampa
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Aspettative: questa è la parola giusta. Siamo cresciuti a pane e aspettative per tutta la vita: l'aspettativa per i voti
perfetti, poi la carriera, poi il matrimonio e... beh, sapete meglio di me come continua. Crescendo, purtroppo
scopriamo che a confronto con il mondo reale le aspettative per cui ci hanno inculcato di dover essere all’altezza
si rivelano spesso utopie irrealizzabili, sogni di cartapesta che si infrangono non appena cerchiamo di afferrarli.
Quello che viene spesso percepito come fallimento genera in noi un senso di inadeguatezza e frustrazione,
condannandoci spesso al baratro della disperazione. Ed anche se è vero che la speranza è l’ultima a morire, la mia
domanda è: se non possiamo più fidarci del lieto fine, come possiamo sopravvivere in questo mondo a gambe
all’aria?
La risposta proposta da questa mostra è l’umorismo. Prendere la vita più alla leggera e di traverso, guardando le
cose dal loro lato comico può liberarci dal macigno delle aspettative insoddisfatte. Umorismo e ironia, inoltre,
sono potenti tool comunicativi, che ci permettono di accettare e assimilare la realtà. Forse è vero che una risata
salverà il mondo. Il mio consiglio? Smettete di guardare film romantici e accendete i Simpson. Nel 2023 possiamo
ancora credere alle favole, ma non dobbiamo necessariamente prenderle sul serio. Qualcuno una volta ha detto che
la vita ha un modo buffo di coglierti di sorpresa e forse a volte è meglio essere ironici.
L’ironia è alla base dei lavori di Holly Halkes, artista inglese di base a Londra che dipinge vere e proprie tragicommedie. Battaglie di cibo caotiche e brillanti, dove tempo e spazio sono sospesi, quasi cristallizzati nel gesto di
una mano che cerca di afferrare l’inafferrabile. Cosa si prova a vivere nel XXI secolo, nel secolo dell’abbondanza
e delle cold intimacies, dove tutto sembra a disposizione ma risulta alla fine vano? I dipinti di Holly Halkes si
confrontano con il tema
carnevalesco e mirano a creare uno spazio sociale alternativo caratterizzato da libertà e abbondanza per esplorare i
comportamenti umani e le interazioni sociali al confine tra vita reale e fantasia. Gelati semi sciolti, torte,
maschere, occhiali da sole a forma di cuore, margarita e leccornie di ogni tipo lievitano nel cielo, come dopo un
esplosione, prossimi ormai a un’ineluttabile caduta. Mani grottesche, con unghie rosse contorte come artigli e
gabbiani dagli occhi iniettati di sangue cercano di afferrare più che possono, invano. Quella di Holly Halkes è una
fairy tale che non ce l’ha fatta. Tutto rimane raggelato e inattuale, si può guardare ma non toccare, desiderare ma
non ottenere. Sotto la superfiecie patinata, che richiama alla mente la lucentezza sterile delle immagini digitali
aleggia un senso di solitudine e grottesco, che racconta dei nostri conflitti e della nsotra ricerca di identità oltre
vulneranilità e ansie. Nonostante tutto, a mezzanotte, nella storia cartoonish di Halkes anche la più bella delle
principesse torna ad essere la sorellastra brutta.
Cartoons e humor sono le cifre stilistiche anche della pratica dell’artista Newyorkese Ray Hwang. Nato nel 1992 a
Los Angeles da una famiglia immigrata dall'Asia, ha imparato a disegnare dai cartoni animati mentre doveva
Tube Culture Hall
Piazza XXV Aprile | Milan | www.tubeculture.it | info@tubeculture.it | ig: tube_culture_hall
capire come si formava una nuova cultura per sé e per la sua famiglia. I motivi dei suoi dipinti sono frutto di
ricordi d'infanzia e di questo continuo passaggio tra due backgrounds. Sono immagini trovate, portate alla luce
dall'artista il cui desiderio non è quello di aggiungere un soggetto all'opera, ma di tirare fuori qualcosa che vi è già
presente. Ray Hwang scava negli strati di colori e tecniche per trovare l'immagine sottostante, come un archeologo
in cantiere o un bambino nella sabbiera. La "magia" che la scoperta genera in lui è l'impulso più potente a
dipingere e lo persegue in ogni lavoro.
A fare da padrone nella ricerca di Ray Hwang è l’umorismo. Iniziata nella difficoltà del lockdown, e della
separazione dalla famiglia, questa serie di dipinti affronta tematiche emozionali e drammaticamente attuali, come
il razzismo, la memoria dell’infanzia, il rapporto con la famiglia e con il vivere in sospeso tra due culture. La cifra
stilistica per l’artista è di parlare di simili temi ma senza mai prendersi troppo sul serio. Questa leggerezza, l’ha
imparata proprio dai cartoni, che attraverso humor e ironia sono in grado di comunicate emozioni dirette senza
essere pesanti o crogiolarsi in esse.
Tiange Yu, nato in Cina nel 1998 e di base a Londra, si definisce un orchestratore di spazi, un compositore di
colori e linee e un regista di fantasia. Influenzato dalle passate esperienze di studio della scenografia teatrale,
Tiange Yu trae spesso ispirazione da spazi specifici come drammi, balletti, fughe e spettacoli di giardini botanici.
Sulle sue tele si dipanano paesaggi virtuali di una realtà immaginata e inventata, dove piacere, ambiguità, sogno e
desiderio di evasione non sono mai davvero raggiungibili, ma restano agognati fantasmi inafferrabili.
Al contrario di Halkes, che dipinge fondali piatti così come piatta è l’immagine digitale, Tiange Yu cerca di
opporre a questa la matericità del pigmento in sticks, che permette alla sua mano di vagare libera sulla tela come
quella di un dio creatore o un di direttore d’orchestra. In questo modo l'artista intraprende il proprio viaggio
interiore vagabondando in un teatro naturale e spiritoso. Prende così vita un regno diverso dal mondo reale, che
trasmette un'impressione inquietante a metà tra irrealtà e concretezza, instabilità e stabilità, e abbandona ogni
pretesa di gravità, per farci volare liberi da ogni vincolo. Non c'è gerarchia tra animali, piante ed esseri umani.
Tiange Yu sembra esplorare il proprio universo interiore rompendo continuamente lo spazio convenzionale delle
cose e riorganizzando a proprio modo i frammenti della narrazione.
Parlando di spazio, arriviamo infine ad Hamish Chapman, artista nat* in un paese della campagna inglese nel
1993 e di base tra Glasgow e Londra. Il dipinto per Champman è un campo da gioco, dove tensioni opposte si
scontrano e incontrano, come in una partita di tennis. L’artista esplora concetti come identità queer, gender,
relazioni e transizione. Il tennis, gioco di relazione altamente psicologico, diviene per loro metafora di un viaggio
psicologico attraverso l’idea stessa di transizione, per uscire dai confini ristretti del mondo chiuso delle nostre
convenzioni predate. Per farlo, Chapman fa danzare la pallina della sua pittura sul filo della dualità, portando
nell’opera elementi ambivalenti. Le barriere, come steccati e cancelli, nella sua opera sono sempre attraversabili,
sia metaforicamente che pittoricamente, mentre campo da gioco e corpo si fondono in un unico territorio di
esplorazione.
Guardare ed essere guardat*, percepirsi ed essere percepit*, lo sguardo proprio e altrui, sono i temi allo snodo di
questa dualità analizzata dall’artista. Gli occhi, ricorrenti nella sua pratica riflettono sul modo in cui la decisione di
uscire fuori dai confini delle nostre convenzioni ci renda estremamente visibili allo sguardo e al giudizio della
gente. Quelli dipinti sono da un lato proprio questi occhi giudicanti e
allo stesso tempo sono elementi fissi che aprono a una riflessione in merito al valore dell’occhio come simbolo di
bellezza e primo veicolo della nostra relazione con il mondo. Similmente gli accessori raffigurati da Chapman
sono sempre ambivalenti: se da un lato cambiano il modo in cui noi ci percepiamo, cambiano anche quello in cui
veniamo percepit*. Il ferma capelli, ad esempio, diviene nel percorso di transizione dell’artista un elemento di
trasformazione estetica, ma al contempo è fonte di aggressione, l’aggressione di chi vorrebbe rinchiuderl* in una
forma stabilita.
And just like that questo testo giunge così alla sua fine. Caro pubblico spero non vi aspettaste una morale della
favola, o peggio ancora un lieto fine.
Testo di Marta Orsola Sironi
perfetti, poi la carriera, poi il matrimonio e... beh, sapete meglio di me come continua. Crescendo, purtroppo
scopriamo che a confronto con il mondo reale le aspettative per cui ci hanno inculcato di dover essere all’altezza
si rivelano spesso utopie irrealizzabili, sogni di cartapesta che si infrangono non appena cerchiamo di afferrarli.
Quello che viene spesso percepito come fallimento genera in noi un senso di inadeguatezza e frustrazione,
condannandoci spesso al baratro della disperazione. Ed anche se è vero che la speranza è l’ultima a morire, la mia
domanda è: se non possiamo più fidarci del lieto fine, come possiamo sopravvivere in questo mondo a gambe
all’aria?
La risposta proposta da questa mostra è l’umorismo. Prendere la vita più alla leggera e di traverso, guardando le
cose dal loro lato comico può liberarci dal macigno delle aspettative insoddisfatte. Umorismo e ironia, inoltre,
sono potenti tool comunicativi, che ci permettono di accettare e assimilare la realtà. Forse è vero che una risata
salverà il mondo. Il mio consiglio? Smettete di guardare film romantici e accendete i Simpson. Nel 2023 possiamo
ancora credere alle favole, ma non dobbiamo necessariamente prenderle sul serio. Qualcuno una volta ha detto che
la vita ha un modo buffo di coglierti di sorpresa e forse a volte è meglio essere ironici.
L’ironia è alla base dei lavori di Holly Halkes, artista inglese di base a Londra che dipinge vere e proprie tragicommedie. Battaglie di cibo caotiche e brillanti, dove tempo e spazio sono sospesi, quasi cristallizzati nel gesto di
una mano che cerca di afferrare l’inafferrabile. Cosa si prova a vivere nel XXI secolo, nel secolo dell’abbondanza
e delle cold intimacies, dove tutto sembra a disposizione ma risulta alla fine vano? I dipinti di Holly Halkes si
confrontano con il tema
carnevalesco e mirano a creare uno spazio sociale alternativo caratterizzato da libertà e abbondanza per esplorare i
comportamenti umani e le interazioni sociali al confine tra vita reale e fantasia. Gelati semi sciolti, torte,
maschere, occhiali da sole a forma di cuore, margarita e leccornie di ogni tipo lievitano nel cielo, come dopo un
esplosione, prossimi ormai a un’ineluttabile caduta. Mani grottesche, con unghie rosse contorte come artigli e
gabbiani dagli occhi iniettati di sangue cercano di afferrare più che possono, invano. Quella di Holly Halkes è una
fairy tale che non ce l’ha fatta. Tutto rimane raggelato e inattuale, si può guardare ma non toccare, desiderare ma
non ottenere. Sotto la superfiecie patinata, che richiama alla mente la lucentezza sterile delle immagini digitali
aleggia un senso di solitudine e grottesco, che racconta dei nostri conflitti e della nsotra ricerca di identità oltre
vulneranilità e ansie. Nonostante tutto, a mezzanotte, nella storia cartoonish di Halkes anche la più bella delle
principesse torna ad essere la sorellastra brutta.
Cartoons e humor sono le cifre stilistiche anche della pratica dell’artista Newyorkese Ray Hwang. Nato nel 1992 a
Los Angeles da una famiglia immigrata dall'Asia, ha imparato a disegnare dai cartoni animati mentre doveva
Tube Culture Hall
Piazza XXV Aprile | Milan | www.tubeculture.it | info@tubeculture.it | ig: tube_culture_hall
capire come si formava una nuova cultura per sé e per la sua famiglia. I motivi dei suoi dipinti sono frutto di
ricordi d'infanzia e di questo continuo passaggio tra due backgrounds. Sono immagini trovate, portate alla luce
dall'artista il cui desiderio non è quello di aggiungere un soggetto all'opera, ma di tirare fuori qualcosa che vi è già
presente. Ray Hwang scava negli strati di colori e tecniche per trovare l'immagine sottostante, come un archeologo
in cantiere o un bambino nella sabbiera. La "magia" che la scoperta genera in lui è l'impulso più potente a
dipingere e lo persegue in ogni lavoro.
A fare da padrone nella ricerca di Ray Hwang è l’umorismo. Iniziata nella difficoltà del lockdown, e della
separazione dalla famiglia, questa serie di dipinti affronta tematiche emozionali e drammaticamente attuali, come
il razzismo, la memoria dell’infanzia, il rapporto con la famiglia e con il vivere in sospeso tra due culture. La cifra
stilistica per l’artista è di parlare di simili temi ma senza mai prendersi troppo sul serio. Questa leggerezza, l’ha
imparata proprio dai cartoni, che attraverso humor e ironia sono in grado di comunicate emozioni dirette senza
essere pesanti o crogiolarsi in esse.
Tiange Yu, nato in Cina nel 1998 e di base a Londra, si definisce un orchestratore di spazi, un compositore di
colori e linee e un regista di fantasia. Influenzato dalle passate esperienze di studio della scenografia teatrale,
Tiange Yu trae spesso ispirazione da spazi specifici come drammi, balletti, fughe e spettacoli di giardini botanici.
Sulle sue tele si dipanano paesaggi virtuali di una realtà immaginata e inventata, dove piacere, ambiguità, sogno e
desiderio di evasione non sono mai davvero raggiungibili, ma restano agognati fantasmi inafferrabili.
Al contrario di Halkes, che dipinge fondali piatti così come piatta è l’immagine digitale, Tiange Yu cerca di
opporre a questa la matericità del pigmento in sticks, che permette alla sua mano di vagare libera sulla tela come
quella di un dio creatore o un di direttore d’orchestra. In questo modo l'artista intraprende il proprio viaggio
interiore vagabondando in un teatro naturale e spiritoso. Prende così vita un regno diverso dal mondo reale, che
trasmette un'impressione inquietante a metà tra irrealtà e concretezza, instabilità e stabilità, e abbandona ogni
pretesa di gravità, per farci volare liberi da ogni vincolo. Non c'è gerarchia tra animali, piante ed esseri umani.
Tiange Yu sembra esplorare il proprio universo interiore rompendo continuamente lo spazio convenzionale delle
cose e riorganizzando a proprio modo i frammenti della narrazione.
Parlando di spazio, arriviamo infine ad Hamish Chapman, artista nat* in un paese della campagna inglese nel
1993 e di base tra Glasgow e Londra. Il dipinto per Champman è un campo da gioco, dove tensioni opposte si
scontrano e incontrano, come in una partita di tennis. L’artista esplora concetti come identità queer, gender,
relazioni e transizione. Il tennis, gioco di relazione altamente psicologico, diviene per loro metafora di un viaggio
psicologico attraverso l’idea stessa di transizione, per uscire dai confini ristretti del mondo chiuso delle nostre
convenzioni predate. Per farlo, Chapman fa danzare la pallina della sua pittura sul filo della dualità, portando
nell’opera elementi ambivalenti. Le barriere, come steccati e cancelli, nella sua opera sono sempre attraversabili,
sia metaforicamente che pittoricamente, mentre campo da gioco e corpo si fondono in un unico territorio di
esplorazione.
Guardare ed essere guardat*, percepirsi ed essere percepit*, lo sguardo proprio e altrui, sono i temi allo snodo di
questa dualità analizzata dall’artista. Gli occhi, ricorrenti nella sua pratica riflettono sul modo in cui la decisione di
uscire fuori dai confini delle nostre convenzioni ci renda estremamente visibili allo sguardo e al giudizio della
gente. Quelli dipinti sono da un lato proprio questi occhi giudicanti e
allo stesso tempo sono elementi fissi che aprono a una riflessione in merito al valore dell’occhio come simbolo di
bellezza e primo veicolo della nostra relazione con il mondo. Similmente gli accessori raffigurati da Chapman
sono sempre ambivalenti: se da un lato cambiano il modo in cui noi ci percepiamo, cambiano anche quello in cui
veniamo percepit*. Il ferma capelli, ad esempio, diviene nel percorso di transizione dell’artista un elemento di
trasformazione estetica, ma al contempo è fonte di aggressione, l’aggressione di chi vorrebbe rinchiuderl* in una
forma stabilita.
And just like that questo testo giunge così alla sua fine. Caro pubblico spero non vi aspettaste una morale della
favola, o peggio ancora un lieto fine.
Testo di Marta Orsola Sironi
08
marzo 2023
And They Lived Sadly Ever After
Dall'otto marzo al 07 aprile 2023
arte contemporanea
Location
Tube Culture Hall
Milano, Piazza XXV Aprile, 11, (MI)
Milano, Piazza XXV Aprile, 11, (MI)
Orario di apertura
Da martedì a sabato ore 15.00-19.00
Vernissage
8 Marzo 2023, Dalle 18.00
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