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Anders Christian Pedersen – Per ironia della sorte
Nelle opere di Anders Christian Pedersen, appare evidente l’unità stilistica, l’equilibrio che si instaura, oltre che nell’assetto compositivo e spaziale, in quello cromatico che l’artista sceglie per i suoi dipinti
Comunicato stampa
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Storie, incontri, percorsi e personaggi. Dimensione e sospensione.
Nelle opere di Anders Christian Pedersen, appare evidente l’unità stilistica, l’equilibrio che si instaura, oltre che nell’assetto compositivo e spaziale, in quello cromatico che l’artista sceglie per i suoi dipinti.
Le figure, come qualsiasi altro elemento che appare nel racconto, vivono in armonia nella nitidezza di una scatola prospettica: potrà essere una stanza o un qualsiasi altro spazio delimitato da pareti, alle quali Pedersen affida il ruolo di necessaria quinta per fare da sfondo alla rappresentazione in atto.
Il colore dominante è dato da una scansione di grigi a volte caldi, altre freddi, lievi o intensi, ma sempre trasparenti e orchestrati con notevole maestrìa. Oltre che nella scelta dei toni, Anders Chr. Pedersen non smentisce il suo spirito nordico per le atmosfere infuse nella sua pittura. Si ha la sensazione che dietro le immagini, avvolte da un’aria metafisica, significanti e significati invitano a spingersi oltre il dato visibile. I personaggi recitano solo la parte di se stessi, attori intenti a ripetere in silenzio i gesti di sempre. Sono citate storie o persone dalla precisa identità ma che, in fondo, ricordano la fugace ambiguità delle apparenze, mentre l’ironia dipinge e ne illumina gli eventi.
Dal testo PIXEL? No, grazie di Marta Casati :
«Sogghigni, risate.
Uno sguardo raccolto
tra uno scherzo creduto
lei osserva, tu rifletti
il giro ha inizio,
tra la parata di chi non sa
che il gioco
deve ancora cominciare
La mia osservazione prende inizio da un oggi artistico in perfetto 2001 Odissea nello spazio style. Una quotidianità ridondante da miliardi di nuove terminologie e assalita dalle relative applicazioni tecniche, tra gli infiniti photoshop, pixel, dpi, le alte e basse risoluzioni, talvolta inutili e asettici esercizi tecnologici, forse ideati solo per chiedersi chi, in fondo, sia davvero l’artista, se il grafico, il computer o designer al quale è commissionata l’opera o colui che adora sfoggiare a caratteri cubitali sul proprio biglietto da visita la tanto gettonata etichetta professionale, ormai così comune tra supereroi metropolitani.
Io, sempre 2005, oggi.
Ho davanti i dipinti di Anders Christian Pedersen e tiro un sospiro un sollievo. Il mio respiro è quieto, ponderato. Le narrazioni che mi scorrono davanti, se pur nei toni glaciali per una tavolozza fiera della provenienza scandinava, non sono generate da un intreccio psichedelico di frames impazziti, magari anche casuale per l’imprevedibile effetto di qualche virus insidioso che ha intaccato l’hard disk del pc.
“Esistono ancora”, mi sussurro senza parlare, pensando. Esiste ancora chi sceglie la pittura, lo studio della prospettiva, l’applicazione delle diverse variazioni luminose, chi sceglie di mettersi in gioco usando l’ingegno e, perché no, un pungente e ironico sarcasmo. Con Pedersen si offre l’occasione per smitizzare e buttar giù dal piedistallo il mito mitesco-mitizzato-e-mitizzante dell’artista sofferente lacerato&macerato da dolore o angoscia straziante, il sofferente maledetto pronto a rigettare nella sua pittura (neanche a dirlo, carica del patos più tormentato), i conflitti del suo contorcersi.
Ecco, per una volta (finalmente), scordiamoci tutto questo.
Pedersen è consapevole del valore della serenità, come colui che la voglia apprendere, ora ricercandola, ora assaporandone la gradita presenza. L’artista si diverte nell’organizzare la scena, ad inserirne le figure, a farle dialogare tra loro nella complicità di multiple sfaccettature. Non c’è la superba volontà di chi intende porsi sopra le righe, né la velata intenzione di suggerire o fornire risposte. Non gli interessa.
Al contrario, vuole formulare domande, n’ è incuriosito nell’analizzare i dettagli, divertito articolandone particolari, collocandoli sul dipinto. “Perché l’arte, in fondo, è proprio questo”, mi dice, “non è una risposta studiata, ma il risultato del rapporto che si crea tra il suo creatore, la superficie e lo spettatore. Tutto qua”.
Ma non è proprio tutto qua.».
[...] « E’ una pittura che affida al pensiero il ruolo di un dominatore predominante, non dalle vesti d’autarchico tiranno ma di sovrano, tuttavia autoritario. Il manipolare artistico si svela come il più fedele vassallo del pensiero, la figurazione è lo strumento scelto per far sì che ciò avvenga. Si genera un luogo-non-luogo in cui l’immagine non si riduce a segno costruito perché convenzionato o artificiale, bensì testimone di un qualcosa che non potrebbe essere espresso altrimenti.
Il racconto è per Pedersen lo sgomitolarsi di eventi, l’aprirsi di una finestra, la luce che si intravede in fondo al varco. La conferma offerta dal suo gesto pittorico è di una garantita non-certezza, perché non ci sono risposte certe. Un percorso costellato da spunti narrativi dalle tinte ora più solari, ora riflessive e tese alla più personale introspezione.
Da una parte.
“Bisogna decidere di fare la vita la nostra passione”. (E. Paci)
Dall’altra.
“L’uomo è una passione inutile” .(J.P. Sartre)
Pedersen sceglie di esprimersi lasciando ad ognuno la propria risposta, chicchessia, a suo modo.
Un’opera d’arte, per essere davvero immortale, dev’essere tutta oltre i limiti dell’umano: il buon senso e la logica le mancheranno. Per questa strada si giunge in prossimità della condizione del sogno, e anche della mentalità infantile.
(Giorgio De Chirico) »
Anders Christian Pedersen è nato nel 1968 a Copenaghen, vive e lavora a Milano.
Nelle opere di Anders Christian Pedersen, appare evidente l’unità stilistica, l’equilibrio che si instaura, oltre che nell’assetto compositivo e spaziale, in quello cromatico che l’artista sceglie per i suoi dipinti.
Le figure, come qualsiasi altro elemento che appare nel racconto, vivono in armonia nella nitidezza di una scatola prospettica: potrà essere una stanza o un qualsiasi altro spazio delimitato da pareti, alle quali Pedersen affida il ruolo di necessaria quinta per fare da sfondo alla rappresentazione in atto.
Il colore dominante è dato da una scansione di grigi a volte caldi, altre freddi, lievi o intensi, ma sempre trasparenti e orchestrati con notevole maestrìa. Oltre che nella scelta dei toni, Anders Chr. Pedersen non smentisce il suo spirito nordico per le atmosfere infuse nella sua pittura. Si ha la sensazione che dietro le immagini, avvolte da un’aria metafisica, significanti e significati invitano a spingersi oltre il dato visibile. I personaggi recitano solo la parte di se stessi, attori intenti a ripetere in silenzio i gesti di sempre. Sono citate storie o persone dalla precisa identità ma che, in fondo, ricordano la fugace ambiguità delle apparenze, mentre l’ironia dipinge e ne illumina gli eventi.
Dal testo PIXEL? No, grazie di Marta Casati :
«Sogghigni, risate.
Uno sguardo raccolto
tra uno scherzo creduto
lei osserva, tu rifletti
il giro ha inizio,
tra la parata di chi non sa
che il gioco
deve ancora cominciare
La mia osservazione prende inizio da un oggi artistico in perfetto 2001 Odissea nello spazio style. Una quotidianità ridondante da miliardi di nuove terminologie e assalita dalle relative applicazioni tecniche, tra gli infiniti photoshop, pixel, dpi, le alte e basse risoluzioni, talvolta inutili e asettici esercizi tecnologici, forse ideati solo per chiedersi chi, in fondo, sia davvero l’artista, se il grafico, il computer o designer al quale è commissionata l’opera o colui che adora sfoggiare a caratteri cubitali sul proprio biglietto da visita la tanto gettonata etichetta professionale, ormai così comune tra supereroi metropolitani.
Io, sempre 2005, oggi.
Ho davanti i dipinti di Anders Christian Pedersen e tiro un sospiro un sollievo. Il mio respiro è quieto, ponderato. Le narrazioni che mi scorrono davanti, se pur nei toni glaciali per una tavolozza fiera della provenienza scandinava, non sono generate da un intreccio psichedelico di frames impazziti, magari anche casuale per l’imprevedibile effetto di qualche virus insidioso che ha intaccato l’hard disk del pc.
“Esistono ancora”, mi sussurro senza parlare, pensando. Esiste ancora chi sceglie la pittura, lo studio della prospettiva, l’applicazione delle diverse variazioni luminose, chi sceglie di mettersi in gioco usando l’ingegno e, perché no, un pungente e ironico sarcasmo. Con Pedersen si offre l’occasione per smitizzare e buttar giù dal piedistallo il mito mitesco-mitizzato-e-mitizzante dell’artista sofferente lacerato&macerato da dolore o angoscia straziante, il sofferente maledetto pronto a rigettare nella sua pittura (neanche a dirlo, carica del patos più tormentato), i conflitti del suo contorcersi.
Ecco, per una volta (finalmente), scordiamoci tutto questo.
Pedersen è consapevole del valore della serenità, come colui che la voglia apprendere, ora ricercandola, ora assaporandone la gradita presenza. L’artista si diverte nell’organizzare la scena, ad inserirne le figure, a farle dialogare tra loro nella complicità di multiple sfaccettature. Non c’è la superba volontà di chi intende porsi sopra le righe, né la velata intenzione di suggerire o fornire risposte. Non gli interessa.
Al contrario, vuole formulare domande, n’ è incuriosito nell’analizzare i dettagli, divertito articolandone particolari, collocandoli sul dipinto. “Perché l’arte, in fondo, è proprio questo”, mi dice, “non è una risposta studiata, ma il risultato del rapporto che si crea tra il suo creatore, la superficie e lo spettatore. Tutto qua”.
Ma non è proprio tutto qua.».
[...] « E’ una pittura che affida al pensiero il ruolo di un dominatore predominante, non dalle vesti d’autarchico tiranno ma di sovrano, tuttavia autoritario. Il manipolare artistico si svela come il più fedele vassallo del pensiero, la figurazione è lo strumento scelto per far sì che ciò avvenga. Si genera un luogo-non-luogo in cui l’immagine non si riduce a segno costruito perché convenzionato o artificiale, bensì testimone di un qualcosa che non potrebbe essere espresso altrimenti.
Il racconto è per Pedersen lo sgomitolarsi di eventi, l’aprirsi di una finestra, la luce che si intravede in fondo al varco. La conferma offerta dal suo gesto pittorico è di una garantita non-certezza, perché non ci sono risposte certe. Un percorso costellato da spunti narrativi dalle tinte ora più solari, ora riflessive e tese alla più personale introspezione.
Da una parte.
“Bisogna decidere di fare la vita la nostra passione”. (E. Paci)
Dall’altra.
“L’uomo è una passione inutile” .(J.P. Sartre)
Pedersen sceglie di esprimersi lasciando ad ognuno la propria risposta, chicchessia, a suo modo.
Un’opera d’arte, per essere davvero immortale, dev’essere tutta oltre i limiti dell’umano: il buon senso e la logica le mancheranno. Per questa strada si giunge in prossimità della condizione del sogno, e anche della mentalità infantile.
(Giorgio De Chirico) »
Anders Christian Pedersen è nato nel 1968 a Copenaghen, vive e lavora a Milano.
09
novembre 2005
Anders Christian Pedersen – Per ironia della sorte
Dal 09 novembre al 23 dicembre 2005
arte contemporanea
Location
GALLERIA MAGROROCCA
Milano, Largo Fra' Paolo Bellintani, 2, (Milano)
Milano, Largo Fra' Paolo Bellintani, 2, (Milano)
Orario di apertura
10.00-12.30 e 15.30-19.30. Lunedì e festivi chiuso
Vernissage
9 Novembre 2005, ore 18,30
Autore