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André Kertész – Lo stupore della realtà
L’esposizione presenta al pubblico 90 straordinarie opere che invitano a scoprire l’arte del grande fotografo e a lasciarsi sorprendere da quelle linee – così già mature in Kértesz – di un’immagine capace di reinventare la realtà, destinata a segnare un preciso percorso nella fotografia contemporanea. Un percorso sempre sollecitato da una sorgente, lo stupore della realtà.
Comunicato stampa
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Una vasta e originale scelta di opere che documentano i diversi momenti dell’attività del “maestro dei maestri”. Un incontro con il talento e la personalità di un genio, per la fotografia contemporanea
«Tutto quello che abbiamo fatto,
Kertész l'ha fatto prima».
Cartier Bresson
Curata da Roberto Mutti e ideata da Camillo Fornasieri, la Mostra è organizzata dal Jeu de Paume di Parigi, in collaborazione con la Mediathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Ministère de la Culture - France, con diChroma photography e con il Patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano.
L’esposizione presenta al pubblico 90 straordinarie opere che invitano a scoprire l’arte del grande fotografo e a lasciarsi sorprendere da quelle linee - così già mature in Kértesz - di un’immagine capace di reinventare la realtà, destinata a segnare un preciso percorso nella fotografia contemporanea. Un percorso sempre sollecitato da una sorgente, lo stupore della realtà.
La Mostra è scandita da quattro sezioni che abbracciano diverse stagioni della sua vita e della sua opera.
Una vera rivelazione, forse anche per il pubblico degli esperti, riguarda la presentazione di una rara serie di fotografie a colori nelle quali l’autore conserva il rigore compositivo ma arricchisce la sua visione di nuove possibilità espressive tutte giocate sui toni lievi di cromatismi mai aggressivi.
“André Kertész. Lo stupore della realtà” ci accompagna in un ideale viaggio dove inizialmente prediamo familiarità con lo sguardo dell’autore sulla sua Ungheria rurale e tradizionale dove già realizza assoluti capolavori, come “L’uomo sott’acqua” e anticipa composizioni che poi si ritroveranno nelle immagini scattate a Parigi.
Qui scopre una città europea dove può frequentare il circolo degli artisti ungheresi del quartiere di Montparnasse, rimanere colpito (non solo dal punto di vista artistico) dagli incontri con Piet Mondrian, Fernand Léger e Marc Chagall, conoscere il surrealismo di André Breton, che poi declina personalmente per rimanere all’interno della dimensione ironica, anziché concedersi allo spaesamento e all’assurdo.
Quando arriva negli Stati Uniti (ma anche nei successivi viaggi in Giappone, in Martinica e ancora in Francia) quel suo stile svelerà i tratti di un America singolare e intensa, diversa dal reportage. Fino allo straordinario riconoscimento nel 1964, al Museum of Modern Art di New York: si sprecano gli elogi.
Da quel momento Londra, Parigi, Stoccolma, Melbourne, Tokyo, Buenos Aires, Venezia ospiteranno i suoi lavori.
L’umanità e un lavoro appassionato hanno sempre contraddistinto l’autore che ha trovato nell’adorata moglie Elisabeth, morta nel 1977, la sua più grande sostenitrice.
Nell’ultima fase della sua vita creativa e soprattutto quando non sarà più in grado di uscire di casa, Kertész comincia a fotografare dalla finestra del suo appartamento in Washington Square realizzando immagini che riprendono quel tipo di ripresa dall’alto che è stata una caratteristica costante della sua visione fin dagli esordi.
Durante la sua carriera André Kertész ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti ed è stato fonte di ispirazione per importanti artisti e fotografi suoi contemporanei e fino ad oggi. Per lui “qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, merita di essere fotografato, con amore”. E’ dallo stupore verso fatti inconsueti o quotidiani, esterni o interni, che nasce la possibilità di far diventare le cose “fotografia”.
Con le sue riprese ravvicinate o a volo d’uccello, la sua passione per le strutture geometriche, le ombre e le silhouette, la sua attenzione per le forme di oggetti anche umili (una forchetta, un paio di occhiali) di cui coglie l’armonia, l’artista ungherese dialoga idealmente con il linguaggio del design.
Infine una curiosità: nel suo volume “Leggere” Steve McCurry rende omaggio al fotografo ungherese: “Ho conosciuto André Kertész qualche tempo dopo essermi trasferito a New York, a poco più di trent’anni. Vivevamo nello stesso edificio e ancora oggi mi piace guardare le sue immagini esposte nell’atrio. Alcune delle sue fotografie più interessanti ritraevano gente impegnata a leggere. Scattate durante un arco temporale di cinquant’anni furono riunite nel volume “On Reading” pubblicato nel 1971. “Leggere” costituisce il mio personale omaggio al talento, alla personalità e al genio di Kertész».
“La macchina fotografica è lo strumento, attraverso il quale interpreto il mondo attorno a me. E’ dunque l’inquadratura è l’arte che sa cogliere cosa genera la luce”.
Per lui la fotografia è una specie di diario visivo, uno strumento per descrivere la vita. “Interpreto la mia sensazione in un determinato attimo. Non quello che vedo ma quello che sento, senza sentire non c'è ragione di vivere” (André Kertész)
Breve Profilo di André Kertész
André Kertész, fotografo ungherese, acquisito francese e poi statunitense, è maestro riconosciuto da generazioni di fotografi, da Henri Cartier-Bresson a Werner Bischof fino a Joel Meyerowitz.
Nasce a Budapest nel 1894 da una famiglia della media borghesia ebraica. Autore free lance, tra gli anni ‘20 e ’80 attraversa mondi diversi e vive in simbiosi con grandi capitali dove risiede, lasciando un impronta decisiva per il futuro: Budapest, Parigi, New York dove morirà nel 1985. Negli anni venti, sul crinale di due epoche, altri grandi protagonisti della fotografia internazionale come László Moholy-Nagy, Endre Friedman poi noto come Robert Capa, Germaine Krull e Brassaï (pseudonimo di Gyula Halász) lasciano l’Ungheria per emigrare a Parigi e a Berlino. E’ la riprova della presenza di una vera e propria scuola ungherese di grande valore.
«Tutto quello che abbiamo fatto,
Kertész l'ha fatto prima».
Cartier Bresson
Curata da Roberto Mutti e ideata da Camillo Fornasieri, la Mostra è organizzata dal Jeu de Paume di Parigi, in collaborazione con la Mediathèque de l’Architecture et du Patrimoine, Ministère de la Culture - France, con diChroma photography e con il Patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano.
L’esposizione presenta al pubblico 90 straordinarie opere che invitano a scoprire l’arte del grande fotografo e a lasciarsi sorprendere da quelle linee - così già mature in Kértesz - di un’immagine capace di reinventare la realtà, destinata a segnare un preciso percorso nella fotografia contemporanea. Un percorso sempre sollecitato da una sorgente, lo stupore della realtà.
La Mostra è scandita da quattro sezioni che abbracciano diverse stagioni della sua vita e della sua opera.
Una vera rivelazione, forse anche per il pubblico degli esperti, riguarda la presentazione di una rara serie di fotografie a colori nelle quali l’autore conserva il rigore compositivo ma arricchisce la sua visione di nuove possibilità espressive tutte giocate sui toni lievi di cromatismi mai aggressivi.
“André Kertész. Lo stupore della realtà” ci accompagna in un ideale viaggio dove inizialmente prediamo familiarità con lo sguardo dell’autore sulla sua Ungheria rurale e tradizionale dove già realizza assoluti capolavori, come “L’uomo sott’acqua” e anticipa composizioni che poi si ritroveranno nelle immagini scattate a Parigi.
Qui scopre una città europea dove può frequentare il circolo degli artisti ungheresi del quartiere di Montparnasse, rimanere colpito (non solo dal punto di vista artistico) dagli incontri con Piet Mondrian, Fernand Léger e Marc Chagall, conoscere il surrealismo di André Breton, che poi declina personalmente per rimanere all’interno della dimensione ironica, anziché concedersi allo spaesamento e all’assurdo.
Quando arriva negli Stati Uniti (ma anche nei successivi viaggi in Giappone, in Martinica e ancora in Francia) quel suo stile svelerà i tratti di un America singolare e intensa, diversa dal reportage. Fino allo straordinario riconoscimento nel 1964, al Museum of Modern Art di New York: si sprecano gli elogi.
Da quel momento Londra, Parigi, Stoccolma, Melbourne, Tokyo, Buenos Aires, Venezia ospiteranno i suoi lavori.
L’umanità e un lavoro appassionato hanno sempre contraddistinto l’autore che ha trovato nell’adorata moglie Elisabeth, morta nel 1977, la sua più grande sostenitrice.
Nell’ultima fase della sua vita creativa e soprattutto quando non sarà più in grado di uscire di casa, Kertész comincia a fotografare dalla finestra del suo appartamento in Washington Square realizzando immagini che riprendono quel tipo di ripresa dall’alto che è stata una caratteristica costante della sua visione fin dagli esordi.
Durante la sua carriera André Kertész ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti ed è stato fonte di ispirazione per importanti artisti e fotografi suoi contemporanei e fino ad oggi. Per lui “qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, merita di essere fotografato, con amore”. E’ dallo stupore verso fatti inconsueti o quotidiani, esterni o interni, che nasce la possibilità di far diventare le cose “fotografia”.
Con le sue riprese ravvicinate o a volo d’uccello, la sua passione per le strutture geometriche, le ombre e le silhouette, la sua attenzione per le forme di oggetti anche umili (una forchetta, un paio di occhiali) di cui coglie l’armonia, l’artista ungherese dialoga idealmente con il linguaggio del design.
Infine una curiosità: nel suo volume “Leggere” Steve McCurry rende omaggio al fotografo ungherese: “Ho conosciuto André Kertész qualche tempo dopo essermi trasferito a New York, a poco più di trent’anni. Vivevamo nello stesso edificio e ancora oggi mi piace guardare le sue immagini esposte nell’atrio. Alcune delle sue fotografie più interessanti ritraevano gente impegnata a leggere. Scattate durante un arco temporale di cinquant’anni furono riunite nel volume “On Reading” pubblicato nel 1971. “Leggere” costituisce il mio personale omaggio al talento, alla personalità e al genio di Kertész».
“La macchina fotografica è lo strumento, attraverso il quale interpreto il mondo attorno a me. E’ dunque l’inquadratura è l’arte che sa cogliere cosa genera la luce”.
Per lui la fotografia è una specie di diario visivo, uno strumento per descrivere la vita. “Interpreto la mia sensazione in un determinato attimo. Non quello che vedo ma quello che sento, senza sentire non c'è ragione di vivere” (André Kertész)
Breve Profilo di André Kertész
André Kertész, fotografo ungherese, acquisito francese e poi statunitense, è maestro riconosciuto da generazioni di fotografi, da Henri Cartier-Bresson a Werner Bischof fino a Joel Meyerowitz.
Nasce a Budapest nel 1894 da una famiglia della media borghesia ebraica. Autore free lance, tra gli anni ‘20 e ’80 attraversa mondi diversi e vive in simbiosi con grandi capitali dove risiede, lasciando un impronta decisiva per il futuro: Budapest, Parigi, New York dove morirà nel 1985. Negli anni venti, sul crinale di due epoche, altri grandi protagonisti della fotografia internazionale come László Moholy-Nagy, Endre Friedman poi noto come Robert Capa, Germaine Krull e Brassaï (pseudonimo di Gyula Halász) lasciano l’Ungheria per emigrare a Parigi e a Berlino. E’ la riprova della presenza di una vera e propria scuola ungherese di grande valore.
15
gennaio 2019
André Kertész – Lo stupore della realtà
Dal 15 gennaio al 10 marzo 2019
fotografia
Location
CENTRO CULTURALE DI MILANO
Milano, Largo Corsia Dei Servi, 4, (Milano)
Milano, Largo Corsia Dei Servi, 4, (Milano)
Orario di apertura
Lunedì-venerdì ore 10,00-13,00; 14,00-18,30 Sabato e domenica 15,30-19,00
Vernissage
15 Gennaio 2019, ore 18,30
Autore
Curatore