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Andre the Spider – U suck! Il minuscolo mondo delle super cose
I lavori di Andrea Paleri sono una personalissima centrifuga della pittura e dell’illustrazione no-
vecentesche e quando se ne parla si finisce per correre il rischio che corre lui quando dipinge: prendere migliaia di strade contemporaneamente e moltiplicare all’infinito le narrazioni come scatole cinesi.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
I lavori di Andrea Paleri sono una personalissima centrifuga della pittura e dell’illustrazione no-
vecentesche e quando se ne parla si finisce per correre il rischio che corre lui quando dipinge:
prendere migliaia di strade contemporaneamente e moltiplicare all’infinito le narrazioni come
scatole cinesi.
La prima cosa di cui parlare per tenere la rotta è l’urgenza: la necessità quasi ossessiva del
segno, il ricorso a supporti scelti per necessità (un’anta d’armadio, una porta, una tavolaccia
gettata all’esterno di una falegnameria) e il dialogo con questo limite fisico. Un bisogno materico
di comunicare, ma anche di avere uno spazio dettato dall’esterno, un limite, che è la grande
forza motrice della pittura d’ogni tempo.
Pittura, appunto, è la seconda cosa. Paleri utilizzando come supporto oggetti del quotidiano af-
ferma la sua personale scala delle priorità: la pittura sta sopra, tutto il resto sotto (Spider, il suo
cane, a parte, che difatti ha messo ad abitare il proprio nome d’arte). Non è difficile capire che
potrebbe sventrare una casa intera per dipingerci sopra, e rimanere senza tetto sulla testa: un
po’ come accade a Kurt Schwitters, grande compulsivo dell’arte del XX secolo.
Arte del XX secolo è la terza cosa: ho scritto centrifuga, perché con filologia chirurgica Paleri
prende in mano alcuni momenti fondamentali dell’arte del Novecento e li rimescola nel gran-
de vassoio della contemporaneità. Lui, infatti, vive nel nostro tempo: il tempo in cui la scienza
sembra poter rivelare ogni cosa, in cui il mistero della vita lascia posto agli esami neurologici
e genetici, l’amore si dice sia una questione eminentemente chimica, la sofferenza un disturbo
neuronale, la morte un accidente prima o poi recuperabile. In cui tutto ci guarda attraverso: le
radiologie, le t.a.c., le ecografie, i profili on line, i cookies. Ecco dunque che non è sufficiente la
moltiplicazione di prospettive reali e pensate de Les Demoiselles d’Avignon di Picasso : bisogna
entrare dentro la macchina umana; ecco anche che la distruzione della materia-corpo di Bacon
diventa irrilevanza della carne, deformazione di organi interni, racconto intestinale. Ecco che il
paesaggio multicentrico di Klee diventa narrazione interiore (nel senso delle interiora) e capilla-
re del solo paesaggio che riusciamo a vedere: il nostro.
Capirete che non ci salva facilmente da una pittura così: uno prende una porta, la rovescia e ci
dipinge sopra la presenza costante della morte. Ed è questo, per inciso, che da sempre fa l’arte.
La quarta cosa, quindi, è la salvezza: la pittura che ci rivela la nostra mortalità e nel contempo
si riprende il diritto di guardarci dentro lei, non le t.a.c., le radiografie, le gastroscopie, dandoci
in questo modo una speranza, non di non-morte né di non-consunzione, le illusioni odierne, ma
di poesia. Per farlo, la pittura ci avvicina all’abisso, e quando siamo pronti ci riprende: con un
fiore che cresce a fianco ad un fegato, l’improbabile presenza di figure geometriche al posto
di organi vitali, una moltitudine di segni e oggetti autonomi che abitano i corpi. E con un senso
dell’ironia che rappresenta il distacco necessario dalla sofferenza d’esistere, da che mondo è
mondo. Ironia della quale queste opere sono piene. E per fortuna.
Assessore alla Cultura Paolo Marasca, Comune di Ancona
vecentesche e quando se ne parla si finisce per correre il rischio che corre lui quando dipinge:
prendere migliaia di strade contemporaneamente e moltiplicare all’infinito le narrazioni come
scatole cinesi.
La prima cosa di cui parlare per tenere la rotta è l’urgenza: la necessità quasi ossessiva del
segno, il ricorso a supporti scelti per necessità (un’anta d’armadio, una porta, una tavolaccia
gettata all’esterno di una falegnameria) e il dialogo con questo limite fisico. Un bisogno materico
di comunicare, ma anche di avere uno spazio dettato dall’esterno, un limite, che è la grande
forza motrice della pittura d’ogni tempo.
Pittura, appunto, è la seconda cosa. Paleri utilizzando come supporto oggetti del quotidiano af-
ferma la sua personale scala delle priorità: la pittura sta sopra, tutto il resto sotto (Spider, il suo
cane, a parte, che difatti ha messo ad abitare il proprio nome d’arte). Non è difficile capire che
potrebbe sventrare una casa intera per dipingerci sopra, e rimanere senza tetto sulla testa: un
po’ come accade a Kurt Schwitters, grande compulsivo dell’arte del XX secolo.
Arte del XX secolo è la terza cosa: ho scritto centrifuga, perché con filologia chirurgica Paleri
prende in mano alcuni momenti fondamentali dell’arte del Novecento e li rimescola nel gran-
de vassoio della contemporaneità. Lui, infatti, vive nel nostro tempo: il tempo in cui la scienza
sembra poter rivelare ogni cosa, in cui il mistero della vita lascia posto agli esami neurologici
e genetici, l’amore si dice sia una questione eminentemente chimica, la sofferenza un disturbo
neuronale, la morte un accidente prima o poi recuperabile. In cui tutto ci guarda attraverso: le
radiologie, le t.a.c., le ecografie, i profili on line, i cookies. Ecco dunque che non è sufficiente la
moltiplicazione di prospettive reali e pensate de Les Demoiselles d’Avignon di Picasso : bisogna
entrare dentro la macchina umana; ecco anche che la distruzione della materia-corpo di Bacon
diventa irrilevanza della carne, deformazione di organi interni, racconto intestinale. Ecco che il
paesaggio multicentrico di Klee diventa narrazione interiore (nel senso delle interiora) e capilla-
re del solo paesaggio che riusciamo a vedere: il nostro.
Capirete che non ci salva facilmente da una pittura così: uno prende una porta, la rovescia e ci
dipinge sopra la presenza costante della morte. Ed è questo, per inciso, che da sempre fa l’arte.
La quarta cosa, quindi, è la salvezza: la pittura che ci rivela la nostra mortalità e nel contempo
si riprende il diritto di guardarci dentro lei, non le t.a.c., le radiografie, le gastroscopie, dandoci
in questo modo una speranza, non di non-morte né di non-consunzione, le illusioni odierne, ma
di poesia. Per farlo, la pittura ci avvicina all’abisso, e quando siamo pronti ci riprende: con un
fiore che cresce a fianco ad un fegato, l’improbabile presenza di figure geometriche al posto
di organi vitali, una moltitudine di segni e oggetti autonomi che abitano i corpi. E con un senso
dell’ironia che rappresenta il distacco necessario dalla sofferenza d’esistere, da che mondo è
mondo. Ironia della quale queste opere sono piene. E per fortuna.
Assessore alla Cultura Paolo Marasca, Comune di Ancona
30
agosto 2014
Andre the Spider – U suck! Il minuscolo mondo delle super cose
Dal 30 agosto al 14 settembre 2014
arte contemporanea
Location
MOLE VANVITELLIANA
Ancona, Banchina Giovanni Da Chio, 28, (Ancona)
Ancona, Banchina Giovanni Da Chio, 28, (Ancona)
Orario di apertura
dalle 18 alle 24
Vernissage
30 Agosto 2014, dalle 18 alle 24
Autore