Da un po' di tempo ho iniziato, mio malgrado, un ragionamento sul corpo, inteso principalmente come contenitore o involucro, e quindi con un suo dentro e un suo fuori. Avrei preferito pensare ad altro ma mi è stato difficile, se non impossibile. La società mediatica ci vede comparse forzate di un gioco di riflessi il cui andamento comincia ad apparirmi sempre più intricato. Non riesco più a comprendere chi imita chi; non mi è più chiaro se il pubblico genera desideri o se sono i desideri a produrre pubblico. Ho l'impressione che l'immaginario di massa stia cavalcando scanzonato un'evoluzione che funziona per partenogenesi, riproducendosi continuamente dai brandelli di sé; e quanto più rapidamente si consuma la sua ripetuta gestazione tanto più velocemente scompaiono alle nostre spalle gli ovuli che hanno generato quei brandelli. I manichini che popolano le vetrine non sono più un invito a immaginarsi diversi o, nel più sano spirito commerciale, migliori, ma sembra che guardino verso la strada e vedano una popolazione che li ha talmente copiati da assomigliare loro ancora più di loro stessi. Deve essere desolante. Appaiono ai miei occhi come vecchie lavastoviglie ormai superate ma senza un buon motiv, come se gli umani si fossero messi in testa di poter lavare i piatti assai meglio di loro. La vetrina, che spesso percepiamo come uno spazio chiuso e isolato potrebbe essere in realtà un cortile esterno nel retro della quotidianità da cui i manichini ci osservano.

Non provo tenerezza per loro, ma percepisco paradossalmente un' idea di personalità e di dignità che vedo scarseggiare altrove


ANDREA CAMUFFO, nato a Venezia nel 1974. Vive e lavora a Roma come videomaker e fotografo.