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Andrea Liberni – Eden
Simulacri, figure che simulano la condizione dell’uomo, l’anima e le ombre che lo abitano…corpicini forgiati in maniera incompleta, fragili come la porcellana di cui sono fatti, inadeguati eroi alla ricerca di un’identità. Inconclusi e soggetti a limiti, come gli homunculus creati dagli alchimisti.
Comunicato stampa
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Simulacri, figure che simulano la condizione dell’uomo, l’anima e le ombre che lo abitano. Sono i protagonisti del lavoro di Andrea Liberni, corpicini forgiati in maniera incompleta, fragili come la porcellana di cui sono fatti, inadeguati eroi alla ricerca di un’identità. Inconclusi e soggetti a limiti, come gli homunculus creati dagli alchimisti, si trovano in un libro d’artista in cui Liberni sovrappone la loro immagine sofferente alle pagine di un trattato di Anatomia Patologica. Mancanti di una parte di sé, questi corpi costituiscono l’opposto dell’uomo vitruviano, per via della loro aspirazione irrazionale a riguadagnare la perfezione del paradiso terrestre.
Lo sviluppo e la conformazione delle porcellane bianche procedono attraverso il disegno e quindi, nel momento in cui l’artista dà loro forma, la fragilità dei simulacri viene sottoposta alla prova delle installazioni, di volta in volta appositamente concepite. Quella del limite è una circostanza ricorrente – limite della forma umana, dello spazio vitale, del contenitore o del confine – che a livello fisico e psicologico attiva un insidioso doppio gioco fra il sentimento di protezione e quello di impedimento; un insanabile dualismo tra il conforto del limite e la volontà di evadere, tra il sentirsi costretti e il voler andare oltre. Come in un esperimento, gli omini mettono in atto una verifica, cercano di forzare e al contempo resistere al limite, intraprendono strategie di sopravvivenza.
In Eden, gli omuncoli sono collocati in recipienti di materiali di risulta, insieme alle macerie. Pur non essendo della stessa sostanza informe, danno l’impressione di spartire il medesimo destino dei calcinacci. Questi, apparentemente inerti, riproducono una sorta di demolizione in cui il dramma si rivela nello smarrimento dei piccoli corpi. E c’è – letteralmente – un fil-rouge che filtra la percezione tra il disagio dei simulacri nei contenitori e il muro di fondo della galleria, dove appare in video un cielo blu, l’Eden appunto, un paesaggio rassicurante ma lontano, infinito e indefinito. Il filo rosso viene teso tra i recipienti, a disegnare la forma della quadratura del cerchio, il simbolo esoterico che è divenuto sinonimo di impresa impossibile, ma potrebbe anche rappresentare la carnalità, l’irrazionalità, l’inadeguatezza cui l’umanità è stata obbligata dopo la cacciata. Costrizione e sofferenza si sovrappongono al piano del piacere agognato e alla consapevolezza della propria natura. Riconoscendo la dignità dell’informe, dell’incompiuto ed incompleto, il dispositivo del filtro realizza la sintesi tra forma e contenuto. Accettare l’impossibilità di reagire infatti, secondo l’artista, può essere utile per “creare il desiderio e superarlo per sé stessi”.
Diletta Borromeo
Lo sviluppo e la conformazione delle porcellane bianche procedono attraverso il disegno e quindi, nel momento in cui l’artista dà loro forma, la fragilità dei simulacri viene sottoposta alla prova delle installazioni, di volta in volta appositamente concepite. Quella del limite è una circostanza ricorrente – limite della forma umana, dello spazio vitale, del contenitore o del confine – che a livello fisico e psicologico attiva un insidioso doppio gioco fra il sentimento di protezione e quello di impedimento; un insanabile dualismo tra il conforto del limite e la volontà di evadere, tra il sentirsi costretti e il voler andare oltre. Come in un esperimento, gli omini mettono in atto una verifica, cercano di forzare e al contempo resistere al limite, intraprendono strategie di sopravvivenza.
In Eden, gli omuncoli sono collocati in recipienti di materiali di risulta, insieme alle macerie. Pur non essendo della stessa sostanza informe, danno l’impressione di spartire il medesimo destino dei calcinacci. Questi, apparentemente inerti, riproducono una sorta di demolizione in cui il dramma si rivela nello smarrimento dei piccoli corpi. E c’è – letteralmente – un fil-rouge che filtra la percezione tra il disagio dei simulacri nei contenitori e il muro di fondo della galleria, dove appare in video un cielo blu, l’Eden appunto, un paesaggio rassicurante ma lontano, infinito e indefinito. Il filo rosso viene teso tra i recipienti, a disegnare la forma della quadratura del cerchio, il simbolo esoterico che è divenuto sinonimo di impresa impossibile, ma potrebbe anche rappresentare la carnalità, l’irrazionalità, l’inadeguatezza cui l’umanità è stata obbligata dopo la cacciata. Costrizione e sofferenza si sovrappongono al piano del piacere agognato e alla consapevolezza della propria natura. Riconoscendo la dignità dell’informe, dell’incompiuto ed incompleto, il dispositivo del filtro realizza la sintesi tra forma e contenuto. Accettare l’impossibilità di reagire infatti, secondo l’artista, può essere utile per “creare il desiderio e superarlo per sé stessi”.
Diletta Borromeo
12
aprile 2021
Andrea Liberni – Eden
Dal 12 al 30 aprile 2021
arte contemporanea
Location
AOCF58 – Galleria Bruno Lisi
Roma, Via Flaminia, 58, (RM)
Roma, Via Flaminia, 58, (RM)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì ore 16.30 - 19.00 (chiuso sabato e festivi)
Vernissage
12 Aprile 2021, 17.00-20.30
Autore
Curatore