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Andrea Magaraggia – Ciò che resta
(…) e dunque il tuo lavoro mi appare così, un mettere a nudo.
La ricerca del momento preciso in cui l’opera si palesa, in cui non c’è altro passo possibile, perché essa è già lì, svelata, ridotta all’osso.
Comunicato stampa
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(…) e dunque il tuo lavoro mi appare così, un mettere a nudo.
La ricerca del momento preciso in cui l'opera si palesa, in cui non c'è altro passo possibile, perché essa è già lì, svelata, ridotta all'osso. Ciò che resta oltre l’accessorio, il mutevole, il temporaneo è l’opera che si dà come scheletro, nella sua struttura, nel suo grado minimo, solido, rimasto. In effetti penso spesso al processo di realizzazione di un lavoro come ad un’accelerazione temporale. L’oggetto subisce un procedimento d’irriducibile semplificazione, una sintesi verso il suo potenziale più basico. Ciò che resta presuppone l’idea di un appena prima e di un subito dopo, si tratta di scivolare lungo una linea temporale senza la pretesa di confrontarsi con l’eternità o con l’effimero. E’ semplicemente aver a che fare con delle cose, appunto, rimaste. Ciò che resta è anche il frammento, qualcosa che si percepisce come mancante,
perdita d'altro, di una matrice, di un corpo. E' l'abbandonato, la parte rimasta che conquista presto una sua autonomia formale. In questo senso Ciò che resta, resta solo un attimo, l’attimo in cui il residuo smette d’essere tale per diventare già opera, già forma compiuta. E’ semplicemente come dici tu: un corpo. Qualcosa che è stato all’interno della vita, del tempo e per un attimo (o da sempre) si trova qui. Ora. La sua magia sta nel fatto d’essere presente. Ciò che resta allude a qualcosa che ha raggiunto una fissità formale definita, ma che al tempo stesso, innesca un processo immaginativo. L’opera oscilla tra
l’ambiguità del materiale amorfo e un’immagine formale chiara e definita. Ciò che resta è ancora l’incombenza della morte nel tuo lavoro o la beffa della vita. Un memento mori forse. Alcune opere sembrano sacrificare una parte di sé per
continuare ad essere o per essere finalmente, un processo brutale di cui il lavoro porta il segno. Penso a quelle opere che appaiono parzialmente erose, combuste, la cui materia trasformata si rivela lentamente. In questi lavori ad interessarmi è l’impossibilità di comunicare tutto e subito. Guardando l’opera non è possibile averne un’impressione univoca, definita; è necessario vederla complessivamente nei suoi scarti, nei suoi ritardi e nei suoi eccessi. Ci sono parti in attesa di acquisire una forma specifica, che poeticamente devono ancora avvenire, così come ce ne sono altre non ancora riconoscibili, nella scultura agiscono momenti diversi alcuni passati, decaduti ed altri appena germinati, sospesi.
La ricerca del momento preciso in cui l'opera si palesa, in cui non c'è altro passo possibile, perché essa è già lì, svelata, ridotta all'osso. Ciò che resta oltre l’accessorio, il mutevole, il temporaneo è l’opera che si dà come scheletro, nella sua struttura, nel suo grado minimo, solido, rimasto. In effetti penso spesso al processo di realizzazione di un lavoro come ad un’accelerazione temporale. L’oggetto subisce un procedimento d’irriducibile semplificazione, una sintesi verso il suo potenziale più basico. Ciò che resta presuppone l’idea di un appena prima e di un subito dopo, si tratta di scivolare lungo una linea temporale senza la pretesa di confrontarsi con l’eternità o con l’effimero. E’ semplicemente aver a che fare con delle cose, appunto, rimaste. Ciò che resta è anche il frammento, qualcosa che si percepisce come mancante,
perdita d'altro, di una matrice, di un corpo. E' l'abbandonato, la parte rimasta che conquista presto una sua autonomia formale. In questo senso Ciò che resta, resta solo un attimo, l’attimo in cui il residuo smette d’essere tale per diventare già opera, già forma compiuta. E’ semplicemente come dici tu: un corpo. Qualcosa che è stato all’interno della vita, del tempo e per un attimo (o da sempre) si trova qui. Ora. La sua magia sta nel fatto d’essere presente. Ciò che resta allude a qualcosa che ha raggiunto una fissità formale definita, ma che al tempo stesso, innesca un processo immaginativo. L’opera oscilla tra
l’ambiguità del materiale amorfo e un’immagine formale chiara e definita. Ciò che resta è ancora l’incombenza della morte nel tuo lavoro o la beffa della vita. Un memento mori forse. Alcune opere sembrano sacrificare una parte di sé per
continuare ad essere o per essere finalmente, un processo brutale di cui il lavoro porta il segno. Penso a quelle opere che appaiono parzialmente erose, combuste, la cui materia trasformata si rivela lentamente. In questi lavori ad interessarmi è l’impossibilità di comunicare tutto e subito. Guardando l’opera non è possibile averne un’impressione univoca, definita; è necessario vederla complessivamente nei suoi scarti, nei suoi ritardi e nei suoi eccessi. Ci sono parti in attesa di acquisire una forma specifica, che poeticamente devono ancora avvenire, così come ce ne sono altre non ancora riconoscibili, nella scultura agiscono momenti diversi alcuni passati, decaduti ed altri appena germinati, sospesi.
14
settembre 2011
Andrea Magaraggia – Ciò che resta
Dal 14 settembre al 22 ottobre 2011
arte contemporanea
Location
UNOSOLO PROJECT ROOM
Milano, Via Broletto, 26, (Milano)
Milano, Via Broletto, 26, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a venerdì dalle 15.00 alle 19.00 (o su appuntamento)
apertura straordinaria sabato 17 e domenica 18 settembre dalle 15.00 alle 19.00
Vernissage
14 Settembre 2011, ore 19.00
Autore