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Andrea Marini/ Roberto Pupi – Leggerezza sostenibile
Due percorsi complementari che comportano un confronto dialogico sulle proposte creative di due artisti che nel corso degli anni hanno sperimentato attraverso varie modalità di lavoro la possibilità di ‘ri- editare’ attraverso l’operazione artistica la natura in modo completamente ‘inedito’.
Comunicato stampa
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La mostra si articola secondo due percorsi complementari che comportano un confronto dialogico sulle proposte creative di due artisti, Andrea Marini e Roberto Pupi, che nel corso degli anni hanno sperimentato attraverso varie modalità di lavoro la possibilità di ‘ri- editare’ attraverso l’operazione artistica la natura in modo completamente ‘inedito’. Può sembrare un gioco di parole, ma, in verità, ambedue manifestano una componente ludica che si esprime propriamente nella relazione tra natura e artificio e che sottende ogni loro creazione. Infatti, traendo spunti dalle testimonianze del mondo come ecumene, riconsiderano forme e ambienti di carattere fenomenico per riflettere sulla possibilità di apportare una variazione allo stato di natura, di ricomporre e scomporre un elemento organico per decontestualizzarlo, farlo diventare altro attraverso materiali o tecniche ‘artificiali’ dal momento che si distinguono come costruzioni e ricombinazioni che si approssimano all’idea concepita da Gillo Dorfles di una ‘natura artificializzata’. Nello spazio asettico di una galleria l’osservatore può percepire un organismo simil vivente, che, nonostante sia stato sintetizzato nella resina o nel metallo, come nei lavori - installazione di Andrea Marini – sembra pulsare ancora, sprigionare energie anche se eclissato nel rigore di un materiale, mantenendo la flessibilità, il dinamismo, contrariamente all’assetto iniziale che potrebbe recare sensazioni prossime al non senso e alla paralisi. Così lo scatto fotografico di Roberto Pupi che sembra bloccare la vita dell’elemento naturale, secondo una falsa credenza per cui il medium raffreddante arresta il potere seduttivo della generazione naturale, in verità, appare altrettanto vivo, in quanto che fissando l’occhio dell’obiettivo su un particolare o su un resto – testimonianza nell’hic et nunc, per aumentarne le dimensioni, e ‘movimentarlo’ nel riporto fotografico sulla tela, acquista attraverso le estroflessioni una connotazione volumetrica e altrettanto dinamica. Chiaramente l’abbandono del tipico formato bidimensionale per diventare foto – scultura, installazione tridimensionale, ormai distante dal desueto concetto della fotografia stessa considerata di per sé solo come rappresentativa, comporta di reinterpretare il gioco talora tra simbolo e realtà, ma in modo altrettanto spontaneo, naturale per cui gli elementi stessi della natura ‘trasportata in uno spazio espositivo chiuso e asettico si vivificano proprio per il fatto di conservare ed esprimere un carattere sacrale come reliquie viventi.
Leggerezza è quindi un termine che esprime la spontaneità degli elementi naturali e in modo preciso la modalità per cui nel passaggio attraverso tecniche artificiali ad altro materiale, i due artisti tentano di mantenere sempre quella leggerezza dell’essere che sembra contraddire il titolo del libro di Milan Kundera, nel dibattersi tra necessità e insensatezza, tra potenziale affermazione e effimera negazione, per cui ogni elemento si rende sostenibile e non il contrario. Questo perché la creazione artistica attraverso la leggerezza di ogni componente che tende ad una forma elevata, quasi rarefatta rispetto alla dimensione quotidiana, come assoluta, può potenziarsi attraverso una energia interna che permette la sostenibilità ed esclude l’estinzione, come se volesse grado a grado, dimensionarsi e adattarsi per non venir meno a questa esistenza, garantendo ritmi per mantenere un sottile equilibrio, una linea d’onda con i portati dell’universo, facile a frantumarsi.
“Ri – creazione del mondo, ri – creazione di un mondo ‘altro’ […] in un viaggio che si insinua tra il conscio e l’inconscio tra lo stupore e l’angoscia. Roberto Pupi e Andrea Marini agiscono insieme – nello – spazio plasmato da immagini che disorientano e forme di vita allo stato primordiale e sul punto di divenire chissà che cosa” (Francesca Pontuale, 2005).
Mimetismi, contaminazioni, embricazioni sono i termini che si addicono maggiormente per caratterizzare la loro ricerca nella commistione di presenze che, nate da una riflessione critica capace di sottentrare ad uno sguardo ironico sul mondo, esprimono in ogni caso densità lirica nel dialogo tra bianchi e neri che si alternano tra le opere in mostra, come positivo e negativo, tra testimonianza e assenza, tra percezione della negazione e perpetuarsi della generazione, come proliferazione continua eminentemente poetica.
“Un viaggio nella psiche, attraverso le porte della memoria. I ricordi, evanescenti, si materializzano confondendosi col sogno, affiorano particolari, altri si perdono. […]. Marini ritrova i luoghi del meraviglioso peregrinare, evocando contrasti e contatti tra dimensione naturale e artificiale. Resine, vetroresine, materiali plastici e metalli si combinano in strutture che suggeriscono possibili forme organiche dalle immense potenzialità evolutive. Elementi primordiali che sembrano alludere ad una nuova biologicità che come un virus si adatta a diverse situazioni. Marini plasma la materia giocando con le proprietà fisiche dei materiali, sottomettendole alla morbidezza delle forme organiche che sembrano attendere solo un soffio, un alito di vita. Se è vero che la fotografia è di per sé sublimazione di un esatto momento è altrettanto vero che la scultura ne amplifica le intrinseche caratteristiche. Una lezione che i due artisti sembrano conoscere a fondo: Pupi rende la fotografia tridimensionale e Marini, viceversa, cogliendo l’attimo esatto di una imminente trasformazione, trasferisce le potenzialità del media fotografico nella scultura. Il comune obiettivo di rendere eterno il momento fugace sembra inseguire l’ancestrale umana illusione di sconfiggere la morte” (Loris Schermi, 2005).
Il percorso espositivo creato all’interno degli spazi si distingue come un processo alchemico alla scoperta della pietra filosofale, come a riscoprire l’essenza, l’alito cosmico nel seme della terra.
Leggerezza è quindi un termine che esprime la spontaneità degli elementi naturali e in modo preciso la modalità per cui nel passaggio attraverso tecniche artificiali ad altro materiale, i due artisti tentano di mantenere sempre quella leggerezza dell’essere che sembra contraddire il titolo del libro di Milan Kundera, nel dibattersi tra necessità e insensatezza, tra potenziale affermazione e effimera negazione, per cui ogni elemento si rende sostenibile e non il contrario. Questo perché la creazione artistica attraverso la leggerezza di ogni componente che tende ad una forma elevata, quasi rarefatta rispetto alla dimensione quotidiana, come assoluta, può potenziarsi attraverso una energia interna che permette la sostenibilità ed esclude l’estinzione, come se volesse grado a grado, dimensionarsi e adattarsi per non venir meno a questa esistenza, garantendo ritmi per mantenere un sottile equilibrio, una linea d’onda con i portati dell’universo, facile a frantumarsi.
“Ri – creazione del mondo, ri – creazione di un mondo ‘altro’ […] in un viaggio che si insinua tra il conscio e l’inconscio tra lo stupore e l’angoscia. Roberto Pupi e Andrea Marini agiscono insieme – nello – spazio plasmato da immagini che disorientano e forme di vita allo stato primordiale e sul punto di divenire chissà che cosa” (Francesca Pontuale, 2005).
Mimetismi, contaminazioni, embricazioni sono i termini che si addicono maggiormente per caratterizzare la loro ricerca nella commistione di presenze che, nate da una riflessione critica capace di sottentrare ad uno sguardo ironico sul mondo, esprimono in ogni caso densità lirica nel dialogo tra bianchi e neri che si alternano tra le opere in mostra, come positivo e negativo, tra testimonianza e assenza, tra percezione della negazione e perpetuarsi della generazione, come proliferazione continua eminentemente poetica.
“Un viaggio nella psiche, attraverso le porte della memoria. I ricordi, evanescenti, si materializzano confondendosi col sogno, affiorano particolari, altri si perdono. […]. Marini ritrova i luoghi del meraviglioso peregrinare, evocando contrasti e contatti tra dimensione naturale e artificiale. Resine, vetroresine, materiali plastici e metalli si combinano in strutture che suggeriscono possibili forme organiche dalle immense potenzialità evolutive. Elementi primordiali che sembrano alludere ad una nuova biologicità che come un virus si adatta a diverse situazioni. Marini plasma la materia giocando con le proprietà fisiche dei materiali, sottomettendole alla morbidezza delle forme organiche che sembrano attendere solo un soffio, un alito di vita. Se è vero che la fotografia è di per sé sublimazione di un esatto momento è altrettanto vero che la scultura ne amplifica le intrinseche caratteristiche. Una lezione che i due artisti sembrano conoscere a fondo: Pupi rende la fotografia tridimensionale e Marini, viceversa, cogliendo l’attimo esatto di una imminente trasformazione, trasferisce le potenzialità del media fotografico nella scultura. Il comune obiettivo di rendere eterno il momento fugace sembra inseguire l’ancestrale umana illusione di sconfiggere la morte” (Loris Schermi, 2005).
Il percorso espositivo creato all’interno degli spazi si distingue come un processo alchemico alla scoperta della pietra filosofale, come a riscoprire l’essenza, l’alito cosmico nel seme della terra.
10
ottobre 2015
Andrea Marini/ Roberto Pupi – Leggerezza sostenibile
Dal 10 al 31 ottobre 2015
arte contemporanea
Location
D’A SPAZIO D’ARTE
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Empoli, Via Della Repubblica, 52, (Firenze)
Orario di apertura
per appuntamento
Vernissage
10 Ottobre 2015, ore 18.00
Autore