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Andrea Martinucci – Glory Black Hole
Accompagnato da un testo di Claudia Contu, una pubblicazione a edizione limitata e un sito web, il progetto di Martinucci comprende dei dipinti inediti della serie .jpeg e un’installazione che insieme trasformano lo spazio espositivo in un ambiente a metà tra vita reale e virtuale.
Comunicato stampa
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Dimora Artica presenta Glory Black Hole, mostra personale di Andrea Martinucci (1991, Roma), in collaborazione con Renata Fabbri arte contemporanea. Accompagnato da un testo di Claudia Contu, una pubblicazione a edizione limitata e un sito web, il progetto di Martinucci comprende dei dipinti inediti della serie .jpeg e un’installazione che insieme trasformano lo spazio espositivo in un ambiente a metà tra vita reale e virtuale.
― Nothing unknown is knowable.
Don't you think it's depressing?” ―
Tony Kushner, Millennium Approaches
2018. Da qui si vedono tutti i segnali di una crisi visuale ed epistemologica (insieme ad altre di stampo ecologico, economico e politico) che ha effetto a livello globale e si manifesta attraverso un rifiuto collettivo per significati certi o giudizi morali ereditati dalla tradizione del passato. La sicurezza con cui qualcosa era considerato “giusto” e il suo opposto potenzialmente pericoloso non trova più riscontro, così come il dare per scontato che una persona debba essere chiamata “lei” o “lui”, o il dire che l’antropologia ha a che fare con l’uomo, o che questa fetta di torta di carote che sto mangiando esiste ma non percepisce la realtà. Esempio pratico: un’intelligenza artificiale è generalmente vista come un oggetto (non respira) che può imparare dall’esperienza della realtà. Se questo è vero, sarai d’accordo nel dire che tale intelligenza deve percepire un qualche grado di realtà, se vuole imparare da essa (lo vorrà davvero?).
Per crisi visuale, invece, intendo una crisi nel campo dell’estetica: oggi si guarda con diffidenza ai paradigmi estetici teorizzati dall’Occidente e consolidati nella Critica del Giudizio di Kant, e tale rifiuto coinvolge l’idea stessa di “arte”, che si lega sempre più a diversi settori creativi e sociali dal quale in passato prendeva nette distanze. Il ritorno del cattivo gusto è una delle testimonianze più evidenti di questa crisi, così come l’influenza di modelli estetici sviluppati al di fuori di Europa e America. Le foto dell’ultima campagna di Balenciaga sono tutto tranne che “belle”, ma questo non vuol dire che le persone non ne siano attratte. La critica Lea Vergine, parlando dell’uso della spazzatura in arte, ha scritto che “noi stessi siamo stati gettati via o rifiutati da altri esseri umani, più o meno su base giornaliera, e siamo forzati a recuperare, raschiare e riassemblare insieme frammenti di noi stessi” (L. Vergine, When Trash Becomes Art. Trash rubbish mondo, 2007: 7). Mi riconosco in uno scatto di Balenciaga molto più di quanto non farei di fronte alla Nike di Samotracia. I grandi ideali non mi ispirano più di tanto: a influenzare chi sono e qual è il mio posto in questo mondo sono quei frammenti tutti strani, storpi ed ibridi che assimilo dall’unione di realtà e fantasia.
Queste premesse danno la possibilità di mescolare di tutto per il semplice gusto di farlo, permettendo di formare significati nuovi e modi di sentire inaspettati. Il lavoro di Andrea Martinucci (*1991, Roma) si trova qui, nella metropoli chiamata Realismo Speculativo, luogo in cui elementi del reale vengono combinati attraverso l’uso di meccanismi narrativi speculativi. È la stessa città dove coabitano, seppur in diversi quartieri, artisti come Björk, Jesse Darling, Marguerite Humeau, Lawrence Lek, Alessandro Michele, Hardeep Pandhal e molti altri. La pittura di Andrea fa uso di un vocabolario di immagini che attinge alla massa di fotografie trovate online. Esse vengono poi riprodotte su tela e coperte da campiture di colore, scritte e linee che ne cancellano la narrazione originaria. Rifiuti digitali, il senso di tali foto era in realtà già nullo per via del volume con cui si presentano in rete e il numero di volte in cui sono riprodotte. Ma i loro frammenti danno ora a te, spettatore, la possibilità di domandarti che cosa stesse a significare l’originale, che bisogno ci fosse di trasmettere quel ricordo, chi o cosa fosse sullo sfondo della foto e in primo piano, la loro relazione l’uno con l’altro e così via. Forme, colori e soggetti usati dall’artista riflettono la contemporanea estetica del consumo che prende spunto da grafiche fai-da-te e forme di graphic design al limite del trash che prendono ispirazione dall’immaginario sviluppato dalla tecnologia e dalla sua velocissima capacità di sviluppo.
Per Glory Black Hole, Andrea ha creato un ambiente che sta a metà tra vita reale e virtuale. Le tele della serie .jpeg abitano lo spazio al piano terra di Dimora Artica insieme a una tenda su cui è riprodotto “Bliss”, il famoso wallpaper di Windows XP. Tale immagine, acquistata da Microsoft tra una miriade di immagini stock, è stata scelta forse per delle qualità invitanti rintracciabili nel titolo (“suprema gioia”), nel soggetto e nei colori, che avrebbero aiutato a produrre un senso di benessere in quegli impiegati costretti alla scrivania e al computer. Se oggi, riguardando l’immagine, quel senso di benessere sembra costruito e di fatto inarrivabile tramite un’immagine del genere (crisi visuale), il velo presentato da Andrea invita al superamento della collina per raggiungere nuove immagini, nuove narrative e nuovi orizzonti, suggeriti dalle tele sulla parete retrostante “Bliss”. Come in Schopenhauer e nella sua teoria sul velo di Maya, solo superando un iniziale stato di cecità e incomprensione dato dalla novità dell’esperienza che si attraversa sarà possibile entrare in un mondo in cui nessuno può dire che A sia per forza uguale ad A e diverso da B, perché tutto sarà semplicemente sfumato e intrecciato, come un sogno. È anche vero che in un ambiente del genere nessuna narrazione o fatto saranno abbastanza completi per farci davvero comprendere gli oggetti, le persone e le situazioni che ci circondano. Al primo piano della galleria, l’appropriazione indebita di una delle massime più famose del pensiero occidentale gioca con questo potenziale di essere in errore, e al contempo allerta il pubblico nei confronti di preconcetti o narrative costruite per consolidare sistemi di conoscenza e credenze prodotte per sostenere punti di vista strettamente arbitrari, ritenuti inaffidabili o addirittura pericolosi.
Crisi epistemologica, come suggerito all’inizio.
― Nothing unknown is knowable.
Don't you think it's depressing?” ―
Tony Kushner, Millennium Approaches
2018. Da qui si vedono tutti i segnali di una crisi visuale ed epistemologica (insieme ad altre di stampo ecologico, economico e politico) che ha effetto a livello globale e si manifesta attraverso un rifiuto collettivo per significati certi o giudizi morali ereditati dalla tradizione del passato. La sicurezza con cui qualcosa era considerato “giusto” e il suo opposto potenzialmente pericoloso non trova più riscontro, così come il dare per scontato che una persona debba essere chiamata “lei” o “lui”, o il dire che l’antropologia ha a che fare con l’uomo, o che questa fetta di torta di carote che sto mangiando esiste ma non percepisce la realtà. Esempio pratico: un’intelligenza artificiale è generalmente vista come un oggetto (non respira) che può imparare dall’esperienza della realtà. Se questo è vero, sarai d’accordo nel dire che tale intelligenza deve percepire un qualche grado di realtà, se vuole imparare da essa (lo vorrà davvero?).
Per crisi visuale, invece, intendo una crisi nel campo dell’estetica: oggi si guarda con diffidenza ai paradigmi estetici teorizzati dall’Occidente e consolidati nella Critica del Giudizio di Kant, e tale rifiuto coinvolge l’idea stessa di “arte”, che si lega sempre più a diversi settori creativi e sociali dal quale in passato prendeva nette distanze. Il ritorno del cattivo gusto è una delle testimonianze più evidenti di questa crisi, così come l’influenza di modelli estetici sviluppati al di fuori di Europa e America. Le foto dell’ultima campagna di Balenciaga sono tutto tranne che “belle”, ma questo non vuol dire che le persone non ne siano attratte. La critica Lea Vergine, parlando dell’uso della spazzatura in arte, ha scritto che “noi stessi siamo stati gettati via o rifiutati da altri esseri umani, più o meno su base giornaliera, e siamo forzati a recuperare, raschiare e riassemblare insieme frammenti di noi stessi” (L. Vergine, When Trash Becomes Art. Trash rubbish mondo, 2007: 7). Mi riconosco in uno scatto di Balenciaga molto più di quanto non farei di fronte alla Nike di Samotracia. I grandi ideali non mi ispirano più di tanto: a influenzare chi sono e qual è il mio posto in questo mondo sono quei frammenti tutti strani, storpi ed ibridi che assimilo dall’unione di realtà e fantasia.
Queste premesse danno la possibilità di mescolare di tutto per il semplice gusto di farlo, permettendo di formare significati nuovi e modi di sentire inaspettati. Il lavoro di Andrea Martinucci (*1991, Roma) si trova qui, nella metropoli chiamata Realismo Speculativo, luogo in cui elementi del reale vengono combinati attraverso l’uso di meccanismi narrativi speculativi. È la stessa città dove coabitano, seppur in diversi quartieri, artisti come Björk, Jesse Darling, Marguerite Humeau, Lawrence Lek, Alessandro Michele, Hardeep Pandhal e molti altri. La pittura di Andrea fa uso di un vocabolario di immagini che attinge alla massa di fotografie trovate online. Esse vengono poi riprodotte su tela e coperte da campiture di colore, scritte e linee che ne cancellano la narrazione originaria. Rifiuti digitali, il senso di tali foto era in realtà già nullo per via del volume con cui si presentano in rete e il numero di volte in cui sono riprodotte. Ma i loro frammenti danno ora a te, spettatore, la possibilità di domandarti che cosa stesse a significare l’originale, che bisogno ci fosse di trasmettere quel ricordo, chi o cosa fosse sullo sfondo della foto e in primo piano, la loro relazione l’uno con l’altro e così via. Forme, colori e soggetti usati dall’artista riflettono la contemporanea estetica del consumo che prende spunto da grafiche fai-da-te e forme di graphic design al limite del trash che prendono ispirazione dall’immaginario sviluppato dalla tecnologia e dalla sua velocissima capacità di sviluppo.
Per Glory Black Hole, Andrea ha creato un ambiente che sta a metà tra vita reale e virtuale. Le tele della serie .jpeg abitano lo spazio al piano terra di Dimora Artica insieme a una tenda su cui è riprodotto “Bliss”, il famoso wallpaper di Windows XP. Tale immagine, acquistata da Microsoft tra una miriade di immagini stock, è stata scelta forse per delle qualità invitanti rintracciabili nel titolo (“suprema gioia”), nel soggetto e nei colori, che avrebbero aiutato a produrre un senso di benessere in quegli impiegati costretti alla scrivania e al computer. Se oggi, riguardando l’immagine, quel senso di benessere sembra costruito e di fatto inarrivabile tramite un’immagine del genere (crisi visuale), il velo presentato da Andrea invita al superamento della collina per raggiungere nuove immagini, nuove narrative e nuovi orizzonti, suggeriti dalle tele sulla parete retrostante “Bliss”. Come in Schopenhauer e nella sua teoria sul velo di Maya, solo superando un iniziale stato di cecità e incomprensione dato dalla novità dell’esperienza che si attraversa sarà possibile entrare in un mondo in cui nessuno può dire che A sia per forza uguale ad A e diverso da B, perché tutto sarà semplicemente sfumato e intrecciato, come un sogno. È anche vero che in un ambiente del genere nessuna narrazione o fatto saranno abbastanza completi per farci davvero comprendere gli oggetti, le persone e le situazioni che ci circondano. Al primo piano della galleria, l’appropriazione indebita di una delle massime più famose del pensiero occidentale gioca con questo potenziale di essere in errore, e al contempo allerta il pubblico nei confronti di preconcetti o narrative costruite per consolidare sistemi di conoscenza e credenze prodotte per sostenere punti di vista strettamente arbitrari, ritenuti inaffidabili o addirittura pericolosi.
Crisi epistemologica, come suggerito all’inizio.
14
novembre 2018
Andrea Martinucci – Glory Black Hole
Dal 14 novembre al 15 dicembre 2018
arte contemporanea
Location
DIMORA ARTICA
Milano, Via Dolomiti, 11, (Milano)
Milano, Via Dolomiti, 11, (Milano)
Orario di apertura
da mercoledì a venerdì ore 17 - 19, altri giorni su appuntamento
Vernissage
14 Novembre 2018, ore 18.30
Autore
Curatore