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Andrea Scopetta – Aloe Vera
Si intravede ancora la scia di un bagliore istantaneo e accecante; affiorano le tracce segnate lungo un viaggio dalle implicazioni imprevedibili – e, pur tuttavia, inesorabili. Un viaggio senza fine, che si perde nell’orizzonte dei sensi.
Comunicato stampa
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Si intravede ancora la scia di un bagliore istantaneo e accecante; affiorano le tracce segnate lungo un viaggio dalle implicazioni imprevedibili - e, pur tuttavia, inesorabili. Un viaggio senza fine, che si perde nell’orizzonte dei sensi. Il pensiero, qui, ha preso il sopravvento nel riproporre l’urgenza di una analisi rigorosa delle condizioni di possibilità della conoscenza. Ma “è necessario un procedimento artificioso e complicato per poter sentire un rumore puro”, ammoniva Martin Heidegger a proposito di quel viaggio che porta alla comprensione del “senso dell’essere”.
All’inizio del secolo scorso un folto numero di pensatori europei riteneva che la visione scientifica del mondo, imposta con il positivismo e con il successo della tecnica, avesse comportato un allontanamento dell’uomo dai problemi “che sono decisivi per una umanità autentica”. Questo allontanamento avrebbe determinato la crisi della civiltà occidentale - negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e nei decenni a seguire - fatta di individui che, nella condizione abituale della vita quotidiana, assumevano in maniera acritica e non consapevole le idee, i pregiudizi e i valori comuni che caratterizzavano una data situazione storico-sociale. In questo scenario, retto da dinamiche votate all’impersonalità, non c’era spazio, né tempo per affrontare i problemi più scottanti per l’uomo, quelli relativi al senso (oppure al non senso) dell’esistenza umana nel suo complesso.
Scegliere di avere a che fare con questo ultimo progetto di Andrea Scopetta significa aprirsi alla possibilità di vivere una condizione in cui tutto galleggia in un’aura pacifica di sospensione, che apre nuove vie di fuga ma rinvia il giudizio, senza pretendere una univoca risoluzione della questione originaria. Lo spazio reale - quello che convenzionalmente riconosciamo come architettura, immagini, segni, oggetti - si presta ad un processo visionario, metafisico, all’interno del quale si rischia lo smarrimento, l’abbandono. Anche i mezzi espressivi che riconosciamo come tali (disegno, fotografia, installazione) diventano veicolo dell’immaginazione. L’atmosfera è tersa, distesa, a prima vista pacata e rassicurante. Un insieme di piccole “tracce” si offre agli occhi dell’osservatore, restituendo una mappa dall’aspetto semplice e poco pretensioso. Un’armonia e un ordine generale sembrano vigere - e vigilare - su cose, contenuti e forma. In fondo, anche l’obiettivo della ricerca appare chiaro e legittimo. L’artista stesso, nei suoi appunti scritti, esplicitamente ci mette in guardia: tentare di “posizionare nella giusta collocazione la propria interpretazione del mondo”. Ovvero, trovare la giusta chiave di lettura per interpretare l’esistenza e individuare la sfera semantica entro cui alimentarla. In realtà questa mappa - all’apparenza leggera, spensierata - sembra regolata da un rapporto di proporzionalità inversa tra la freschezza formale e la densità dei contenuti. Il conflitto - al pari della soggettività - incombe, per quanto si tenti di esorcizzarlo. Temporeggia tra gli scatti desolati e i disegni minimali, ispirati alle teorie di Gilles Clément sul Terzo paesaggio; si adagia tra le righe dei grafi sulla luce, a ponte tra ricerca estetica e indagine scientifica; si manifesta energicamente nell’installazione che dà il titolo alla mostra: quell’Aloe Vera - ultimo barlume di speranza per una comprensione “autentica” - che introduce sommessamente la questione ontologica della “cura”. Con accento umile quanto rigoroso, Andrea Scopetta suggerisce una sequenza di aperture, di strade ipotetiche, di presunte glorie o di sconfitte certe. In mostra, presenta solo alcuni appunti raccolti lungo il suo viaggio, lasciando che sia il fruitore ad intuire il resto.
Una serie di disegni, tenuti insieme in un raccoglitore, ci guida verso la (ri)scoperta delle proprietà della luce e dei suoi effetti. Tuttavia, il dualismo onda-particella assunto quale punto di partenza, diventa un pretesto per soffermarsi sui concetti di variabilità e relatività. Il movente scientifico, nel momento della trascrizione visiva, si piega a un naturale processo di adeguamento, formale quanto mentale; così, i grafici appaiono privi di qualsiasi indizio, tabella, nota, legenda, mutando in matrici astratte, aperte alla libera interpretazione dell’osservatore. La scelta di “celare” ogni riferimento aggiuntivo, in virtù del ridimensionamento, trova ulteriore conferma nei disegni ispirati al Manifesto del Terzo paesaggio. Ricordando il pensiero di Clément, secondo il quale “la presa di coscienza della finitezza ecologica mette l'accento sulla fragilità della vita”, questi disegni assecondano l’urgenza immediata dell’artista di misurarsi con la mondità. Confronto imprescindibile; atto di forza necessario, reso visibile attraverso la purezza di un tratto sintetizzato ai minimi termini. Allo stesso modo, un piccolo gruppo di istantanee punta i riflettori su lembi di paesaggi estremi, abbandonati; territori calpestati dallo stesso artista, che ne ha fissato il ricordo sotto forma di polaroid. I soggetti di questi scatti (aree ai margini; “somma del rifiuto e dell’incolto”; ma anche rifugi accoglienti per la diversità), come nella descrizione riportata nel manifesto dedicato a questo misterioso paesaggio, sono luoghi sfuggiti all’azione, al controllo e alla gestione umana. Per un analogo processo di privazione, nella ricerca artistica che ci riguarda, la vivace e attenta osservazione della natura elude ogni aspettativa documentaristica e rimanda, invece, ad una indagine più profonda, legata alle zone “al limite” della ragione. I paesaggi immortalati diventano, soprattutto, “spazi dell’indecisione”: previsti, voluti, necessari. Aree che, pur vivendo di vita propria, generano condizioni di equilibrio sorprendenti. Luoghi, per questo, preziosi, da salvaguardare, da curare. A chiudere il cerchio concettuale dell’esposizione l’Aloe vera, trafitta e sospesa al centro dello spazio fisico che la accoglie, vuole accendere una riflessione sul modello di contemplazione e astrazione scientifica della natura. Presupposto teorico che rende l’opera – e l’intera mostra – un invito a prendere (coscientemente) parte di un “progetto” rispetto al quale siamo tutti, inconsapevolmente, coinvolti.
(Alessandra Ferlito)
Il compositore e scrittore canadese Raymond Murray Schafer, sottolinea già a partire dagli anni ’60, come sempre più velocemente ci si avvii verso un paesaggio sonoro low-fidelity, dove i singoli segnali acustici si sovrappongono e
si moltiplicano giungendo al mascheramento della matrice sonora di un luogo, di tutte quelle impronte (soundmarks), in grado di rappresentare il paesaggio preservandone l’identità.
Scopetta sembra disegnare attraverso un processo di sintesi, dinamiche universali trascritte come copie distorte della lamina di un vecchio astrolabio. Restituendoci, attraverso l’archiviazione di tracce e geometrie sistematicamente occultate dall’uomo, quel senso di appartenenza che dalla rivoluzione elettrica di metà 800 sembra implodere irrimediabilmente.
Avvicinarsi al corpus di lavori di “Aloe Vera” è come sfogliare un vecchio manuale scientifico dalle affascinanti illustrazioni. Dai grafi, in punta di penna, alle istantanee scattate da Andrea, l’estasi intimista si sposa e raffredda tra le linee di un paesaggio inteso come una complessa struttura tesa all’astrazione, spinta sino ad un’impietosa dissoluzione.
(Federico Lupo)
Aloe Vera
-appunti-
Questa mostra è composta essenzialmente da appunti di un viaggio intimo, attraverso luoghi ed un libro in cui l’autore analizza e definisce le zone liminari del territorio.
Spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’ assenza di ogni attività umana.
Abbiamo fatto questo viaggio insieme, in Sicilia.
Quando parlo di viaggio intimo non mi riferisco semplicemente ad uno spostamento spaziale né ad una soggettività della visione e della propria esperienza, ma piuttosto alla volontà di posizionare nella giusta collocazione la propria interpretazione del mondo.
Misurarsi con la mondità ha portato nel mio caso ad uno strumentale impoverimento del segno ad un suo sparire nel mondo... sciogliersi nelle relazioni…in cenni...in una sostanza minimale che rappresenta il mio reale peso all’interno di un processo di cui sono parte.
I lavori in mostra sono i fili sottili di questo processo d’identificazione, delle tracce che provano ad accendere la capacità d’astrazione umana nel mare di strumenti che componiamo e che compongono la mondità di cui siamo, a nostra volta, porzione .
(Andrea Scopetta)
All’inizio del secolo scorso un folto numero di pensatori europei riteneva che la visione scientifica del mondo, imposta con il positivismo e con il successo della tecnica, avesse comportato un allontanamento dell’uomo dai problemi “che sono decisivi per una umanità autentica”. Questo allontanamento avrebbe determinato la crisi della civiltà occidentale - negli anni a cavallo tra le due guerre mondiali e nei decenni a seguire - fatta di individui che, nella condizione abituale della vita quotidiana, assumevano in maniera acritica e non consapevole le idee, i pregiudizi e i valori comuni che caratterizzavano una data situazione storico-sociale. In questo scenario, retto da dinamiche votate all’impersonalità, non c’era spazio, né tempo per affrontare i problemi più scottanti per l’uomo, quelli relativi al senso (oppure al non senso) dell’esistenza umana nel suo complesso.
Scegliere di avere a che fare con questo ultimo progetto di Andrea Scopetta significa aprirsi alla possibilità di vivere una condizione in cui tutto galleggia in un’aura pacifica di sospensione, che apre nuove vie di fuga ma rinvia il giudizio, senza pretendere una univoca risoluzione della questione originaria. Lo spazio reale - quello che convenzionalmente riconosciamo come architettura, immagini, segni, oggetti - si presta ad un processo visionario, metafisico, all’interno del quale si rischia lo smarrimento, l’abbandono. Anche i mezzi espressivi che riconosciamo come tali (disegno, fotografia, installazione) diventano veicolo dell’immaginazione. L’atmosfera è tersa, distesa, a prima vista pacata e rassicurante. Un insieme di piccole “tracce” si offre agli occhi dell’osservatore, restituendo una mappa dall’aspetto semplice e poco pretensioso. Un’armonia e un ordine generale sembrano vigere - e vigilare - su cose, contenuti e forma. In fondo, anche l’obiettivo della ricerca appare chiaro e legittimo. L’artista stesso, nei suoi appunti scritti, esplicitamente ci mette in guardia: tentare di “posizionare nella giusta collocazione la propria interpretazione del mondo”. Ovvero, trovare la giusta chiave di lettura per interpretare l’esistenza e individuare la sfera semantica entro cui alimentarla. In realtà questa mappa - all’apparenza leggera, spensierata - sembra regolata da un rapporto di proporzionalità inversa tra la freschezza formale e la densità dei contenuti. Il conflitto - al pari della soggettività - incombe, per quanto si tenti di esorcizzarlo. Temporeggia tra gli scatti desolati e i disegni minimali, ispirati alle teorie di Gilles Clément sul Terzo paesaggio; si adagia tra le righe dei grafi sulla luce, a ponte tra ricerca estetica e indagine scientifica; si manifesta energicamente nell’installazione che dà il titolo alla mostra: quell’Aloe Vera - ultimo barlume di speranza per una comprensione “autentica” - che introduce sommessamente la questione ontologica della “cura”. Con accento umile quanto rigoroso, Andrea Scopetta suggerisce una sequenza di aperture, di strade ipotetiche, di presunte glorie o di sconfitte certe. In mostra, presenta solo alcuni appunti raccolti lungo il suo viaggio, lasciando che sia il fruitore ad intuire il resto.
Una serie di disegni, tenuti insieme in un raccoglitore, ci guida verso la (ri)scoperta delle proprietà della luce e dei suoi effetti. Tuttavia, il dualismo onda-particella assunto quale punto di partenza, diventa un pretesto per soffermarsi sui concetti di variabilità e relatività. Il movente scientifico, nel momento della trascrizione visiva, si piega a un naturale processo di adeguamento, formale quanto mentale; così, i grafici appaiono privi di qualsiasi indizio, tabella, nota, legenda, mutando in matrici astratte, aperte alla libera interpretazione dell’osservatore. La scelta di “celare” ogni riferimento aggiuntivo, in virtù del ridimensionamento, trova ulteriore conferma nei disegni ispirati al Manifesto del Terzo paesaggio. Ricordando il pensiero di Clément, secondo il quale “la presa di coscienza della finitezza ecologica mette l'accento sulla fragilità della vita”, questi disegni assecondano l’urgenza immediata dell’artista di misurarsi con la mondità. Confronto imprescindibile; atto di forza necessario, reso visibile attraverso la purezza di un tratto sintetizzato ai minimi termini. Allo stesso modo, un piccolo gruppo di istantanee punta i riflettori su lembi di paesaggi estremi, abbandonati; territori calpestati dallo stesso artista, che ne ha fissato il ricordo sotto forma di polaroid. I soggetti di questi scatti (aree ai margini; “somma del rifiuto e dell’incolto”; ma anche rifugi accoglienti per la diversità), come nella descrizione riportata nel manifesto dedicato a questo misterioso paesaggio, sono luoghi sfuggiti all’azione, al controllo e alla gestione umana. Per un analogo processo di privazione, nella ricerca artistica che ci riguarda, la vivace e attenta osservazione della natura elude ogni aspettativa documentaristica e rimanda, invece, ad una indagine più profonda, legata alle zone “al limite” della ragione. I paesaggi immortalati diventano, soprattutto, “spazi dell’indecisione”: previsti, voluti, necessari. Aree che, pur vivendo di vita propria, generano condizioni di equilibrio sorprendenti. Luoghi, per questo, preziosi, da salvaguardare, da curare. A chiudere il cerchio concettuale dell’esposizione l’Aloe vera, trafitta e sospesa al centro dello spazio fisico che la accoglie, vuole accendere una riflessione sul modello di contemplazione e astrazione scientifica della natura. Presupposto teorico che rende l’opera – e l’intera mostra – un invito a prendere (coscientemente) parte di un “progetto” rispetto al quale siamo tutti, inconsapevolmente, coinvolti.
(Alessandra Ferlito)
Il compositore e scrittore canadese Raymond Murray Schafer, sottolinea già a partire dagli anni ’60, come sempre più velocemente ci si avvii verso un paesaggio sonoro low-fidelity, dove i singoli segnali acustici si sovrappongono e
si moltiplicano giungendo al mascheramento della matrice sonora di un luogo, di tutte quelle impronte (soundmarks), in grado di rappresentare il paesaggio preservandone l’identità.
Scopetta sembra disegnare attraverso un processo di sintesi, dinamiche universali trascritte come copie distorte della lamina di un vecchio astrolabio. Restituendoci, attraverso l’archiviazione di tracce e geometrie sistematicamente occultate dall’uomo, quel senso di appartenenza che dalla rivoluzione elettrica di metà 800 sembra implodere irrimediabilmente.
Avvicinarsi al corpus di lavori di “Aloe Vera” è come sfogliare un vecchio manuale scientifico dalle affascinanti illustrazioni. Dai grafi, in punta di penna, alle istantanee scattate da Andrea, l’estasi intimista si sposa e raffredda tra le linee di un paesaggio inteso come una complessa struttura tesa all’astrazione, spinta sino ad un’impietosa dissoluzione.
(Federico Lupo)
Aloe Vera
-appunti-
Questa mostra è composta essenzialmente da appunti di un viaggio intimo, attraverso luoghi ed un libro in cui l’autore analizza e definisce le zone liminari del territorio.
Spazi diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati solo dall’ assenza di ogni attività umana.
Abbiamo fatto questo viaggio insieme, in Sicilia.
Quando parlo di viaggio intimo non mi riferisco semplicemente ad uno spostamento spaziale né ad una soggettività della visione e della propria esperienza, ma piuttosto alla volontà di posizionare nella giusta collocazione la propria interpretazione del mondo.
Misurarsi con la mondità ha portato nel mio caso ad uno strumentale impoverimento del segno ad un suo sparire nel mondo... sciogliersi nelle relazioni…in cenni...in una sostanza minimale che rappresenta il mio reale peso all’interno di un processo di cui sono parte.
I lavori in mostra sono i fili sottili di questo processo d’identificazione, delle tracce che provano ad accendere la capacità d’astrazione umana nel mare di strumenti che componiamo e che compongono la mondità di cui siamo, a nostra volta, porzione .
(Andrea Scopetta)
30
ottobre 2009
Andrea Scopetta – Aloe Vera
Dal 30 ottobre al 27 novembre 2009
arte contemporanea
Location
ZELLE ARTE CONTEMPORANEA
Palermo, Via Matteo Bonello, 19, (Palermo)
Palermo, Via Matteo Bonello, 19, (Palermo)
Orario di apertura
ore 17.00 - 20.00
Vernissage
30 Ottobre 2009, ore 19.00
Autore
Curatore