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Andreina Robotti – Gotico fiorito
Secondo (e integrativo) appuntamento con l’opera di Andreina Robotti (Iseo, Brescia 1913 – Verona 1996). Dopo la Galleria Incorniciarte, ecco gli spazi suggestivi dell’Oratorio della Beata Vergine del Drago, una Cappella di stile classico alle porte di Verona (sotto l’egida dell’Associazione Artemisia). Sono esposte una ventina di opere che attraversano un po’ tutte le fasi della ricerca dell’artista. L’obiettivo è quello di riaprire una ricognizione critica su un percorso troppo frettolosamente dimenticato o sommariamente confinato tra modi naïf o bizzarri paradossi visivi
Comunicato stampa
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Secondo (e integrativo) appuntamento con l’opera di Andreina Robotti (Iseo, Brescia 1913
– Verona 1996). Dopo la Galleria Incorniciarte, ecco gli spazi suggestivi dell’Oratorio della
Beata Vergine del Drago, una Cappella di stile classico alle porte di Verona (sotto l’egida
dell’Associazione Art-emisia). Sono esposte una ventina di opere che attraversano un po’
tutte le fasi della ricerca dell’artista. L’obiettivo è quello di riaprire una ricognizione critica
su un percorso troppo frettolosamente dimenticato o sommariamente confinato tra modi
naïf o bizzarri paradossi visivi.
E’ un regno segreto, un po’ fatato, un po’ stregonesco, quello che Andreina Robotti dipinge
fin dagli anni ‘50: vedute colte con una manualità rapida, sempre sul punto di dissolversi
o illustrazioni di passi evangelici, poco più che abbozzate, come fossero pure apparizioni.
Occhi fantasiosi, quelli della pittrice veronese, che vedono cose invisibili, che scovano
e trapassano acque, salgono alberi e fiori, sorvegliano le mille vite dei boschi. Universi
“spiritosi e garbati”, li ha definiti Buzzati. Ma, a partire dagli anni ‘60, tutte le figure tendono
a perdere la loro identità, come se retrocedessero in se stesse: diventano puri calchi,
stampini, sagome istoriate. Piccoli personaggi, soli e stonati, che si accalcano a formare
masse sterminate, ai margini della storia. Esseri spettrali che hanno abbandonato ogni
carnevale cromatico, per affidarsi alla crudezza e alla concisione dell’inchiostro indelebile.
E’ il momento ideologicamente impegnato dell’artista, quello che l’ha portata ad avere
una riconoscibilità a livello nazionale e ad esporre fianco a fianco di artiste come Marina
Abramovic, Valie Export, Gina Pane, Marisa Merz. Non più sguardi incantati, fogli riempiti
di acquarelli onirici, ma segnali di rivolta, denunce dei tanti rituali della repressione cui
la donna è sottoposta da sempre sia nella sfera domestica che in quella sociale. E da
vecchi bauli Andreina estrae camicie, lenzuola, tovaglie, assieme ad indumenti intimi della
messinscena della sacra “oscenità familiare”. Solo che non pensa minimamente di lavare
i panni sporchi di casa: piuttosto li impressiona di memorie, di ricami, di dipinti: li decora
con stormi di uccelli, omini stralunati, giochi dell’oca. In una parola, partecipa al “Fronte di
liberazione della donna”, ma senza scandali o azioni rivoluzionarie, quanto piuttosto con
una vena di ironia e con un sorriso bonario che avvolgono le vittime e il carnefice in una
medesima condizione.
Così, quando negli anni ‘80 fa ritorno all’acquerello, l’artista non ha addosso le ferite
di mille battaglie (vinte o perse), ma solo occhi più aperti, quasi onnivori. Non ha più
bisogno di guardare al mondo, perchè il mondo lei lo ha letteralmente nello sguardo.
E allora il foglio diventa una specie di immersione nel paesaggio, dove la natura si
fa intrico, ragnatela vegetale, foresta sconfinata. E’ come se il colore disegnasse
un’apparizione che abita in ogni luogo e viene da ogni tempo. In che modo spiegare, del
resto, l’inserimento di immagini che salgono dalla profondità della Storia dell’Arte (brani
che vengono dall’Angelico, da Duccio, da Pisanello)? E’ un suscitare una migrazione
di motivi, di ipotesi, di corrispondenze tra il passato e il presente, tra la classicità e la
contemporaneità. Mai un sistema fermo, in Andreina, ma solo indicazione di sentieri
provvisori, di molteplicità e di varietà visive. Paesaggi come galassie, labirinti, arabeschi,
fuochi d’artificio: come amati giochi in cui perdersi e in cui ritrovarsi infinitamente.
– Verona 1996). Dopo la Galleria Incorniciarte, ecco gli spazi suggestivi dell’Oratorio della
Beata Vergine del Drago, una Cappella di stile classico alle porte di Verona (sotto l’egida
dell’Associazione Art-emisia). Sono esposte una ventina di opere che attraversano un po’
tutte le fasi della ricerca dell’artista. L’obiettivo è quello di riaprire una ricognizione critica
su un percorso troppo frettolosamente dimenticato o sommariamente confinato tra modi
naïf o bizzarri paradossi visivi.
E’ un regno segreto, un po’ fatato, un po’ stregonesco, quello che Andreina Robotti dipinge
fin dagli anni ‘50: vedute colte con una manualità rapida, sempre sul punto di dissolversi
o illustrazioni di passi evangelici, poco più che abbozzate, come fossero pure apparizioni.
Occhi fantasiosi, quelli della pittrice veronese, che vedono cose invisibili, che scovano
e trapassano acque, salgono alberi e fiori, sorvegliano le mille vite dei boschi. Universi
“spiritosi e garbati”, li ha definiti Buzzati. Ma, a partire dagli anni ‘60, tutte le figure tendono
a perdere la loro identità, come se retrocedessero in se stesse: diventano puri calchi,
stampini, sagome istoriate. Piccoli personaggi, soli e stonati, che si accalcano a formare
masse sterminate, ai margini della storia. Esseri spettrali che hanno abbandonato ogni
carnevale cromatico, per affidarsi alla crudezza e alla concisione dell’inchiostro indelebile.
E’ il momento ideologicamente impegnato dell’artista, quello che l’ha portata ad avere
una riconoscibilità a livello nazionale e ad esporre fianco a fianco di artiste come Marina
Abramovic, Valie Export, Gina Pane, Marisa Merz. Non più sguardi incantati, fogli riempiti
di acquarelli onirici, ma segnali di rivolta, denunce dei tanti rituali della repressione cui
la donna è sottoposta da sempre sia nella sfera domestica che in quella sociale. E da
vecchi bauli Andreina estrae camicie, lenzuola, tovaglie, assieme ad indumenti intimi della
messinscena della sacra “oscenità familiare”. Solo che non pensa minimamente di lavare
i panni sporchi di casa: piuttosto li impressiona di memorie, di ricami, di dipinti: li decora
con stormi di uccelli, omini stralunati, giochi dell’oca. In una parola, partecipa al “Fronte di
liberazione della donna”, ma senza scandali o azioni rivoluzionarie, quanto piuttosto con
una vena di ironia e con un sorriso bonario che avvolgono le vittime e il carnefice in una
medesima condizione.
Così, quando negli anni ‘80 fa ritorno all’acquerello, l’artista non ha addosso le ferite
di mille battaglie (vinte o perse), ma solo occhi più aperti, quasi onnivori. Non ha più
bisogno di guardare al mondo, perchè il mondo lei lo ha letteralmente nello sguardo.
E allora il foglio diventa una specie di immersione nel paesaggio, dove la natura si
fa intrico, ragnatela vegetale, foresta sconfinata. E’ come se il colore disegnasse
un’apparizione che abita in ogni luogo e viene da ogni tempo. In che modo spiegare, del
resto, l’inserimento di immagini che salgono dalla profondità della Storia dell’Arte (brani
che vengono dall’Angelico, da Duccio, da Pisanello)? E’ un suscitare una migrazione
di motivi, di ipotesi, di corrispondenze tra il passato e il presente, tra la classicità e la
contemporaneità. Mai un sistema fermo, in Andreina, ma solo indicazione di sentieri
provvisori, di molteplicità e di varietà visive. Paesaggi come galassie, labirinti, arabeschi,
fuochi d’artificio: come amati giochi in cui perdersi e in cui ritrovarsi infinitamente.
31
maggio 2014
Andreina Robotti – Gotico fiorito
Dal 31 maggio al 28 giugno 2014
arte contemporanea
Location
ORATORIO AL DRAGO – TENUTA MUSELLA
San Martino Buon Albergo, Via Xx Settembre, 56, (Verona)
San Martino Buon Albergo, Via Xx Settembre, 56, (Verona)
Orario di apertura
sa. 18.00-19.00 dom. 10.30-12.30
Vernissage
31 Maggio 2014, ore 18
Sito web
www.art-emisia.com
Autore
Curatore