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Andreoni_Fortugno – Non si fa in tempo ad avere paura
Strutture di raccordo per eccellenza, architetture costruite al solo scopo di consentire il proprio attraversamento. Sono le gallerie stradali di Andreoni_Fortugno che divengono luoghi di sosta in cui i fotografi posano il cavalletto
Comunicato stampa
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Strutture di raccordo per eccellenza, architetture costruite al solo scopo di consentire il proprio attraversamento. Sono le gallerie stradali di Andreoni_Fortugno che divengono luoghi di sosta in cui i fotografi posano il cavalletto e compongono con precisione l’inquadratura sotto il panno nero, in un atto performativo che li vede contrapporsi alle autovetture che, ad ogni passaggio, li costringono a indietreggiare e ripetere ossessivamente i gesti preparatori di un rituale antico di oltre centosessant’anni: individuare un punto esatto, sistemarvi il treppiede, osservare l’immagine che si forma sul vetro smerigliato. Il risultato sono immagini che costringono a fermarsi, a guardare, ad ascoltare. Colori forti, saturi invadono questi antri - generalmente bui - e li trasformano. Le luci al neon definiscono nuovi contorni, nuovi dettagli; creano nuove suggestioni. Non più luoghi di transito, bensì luoghi di sosta in cui l’osservatore è costretto per la prima volta a guardare. Tutto è perfettamente a fuoco. I particolari più minuti sono riprodotti con nitidezza cristallina: ogni cosa è spogliata del fisiologico velo d’indeterminatezza che la protegge. Eppure si tratta di una perfezione che non appaga, che tiene distanti. Non c’è calore; piuttosto un senso di vuoto e desolazione che è una costante del vivere contemporaneo.
Forse proprio perché luoghi di passaggio, le gallerie solo raramente sono state i soggetti privilegiati della fotografia. Agli opposti estremi temporali s’incontrano Nadar e Naoya Hatakeyama: il francese intorno al 1860, quando primo fra tutti scese nel sottosuolo parigino svelando all’intera nazione il suo ventre di condotti fognari e catacombe, mentre in tempi molto più recenti il secondo si è calato, per un progetto simile, cinque metri al di sotto dei marciapiedi di Tokyo, fra stretti cunicoli e acque maleodoranti. Le immagini di A_F, tuttavia, sono le uniche ad essere state realizzate sfruttando esclusivamente le condizioni luminose esistenti; i colori spesso eccessivi e i dettagli clinicamente evidenti, danno l’impressione di trovarsi di fronte alla raffigurazione di una realtà ricostruita e messa a punto in un secondo momento, seppure nessuna manipolazione sia intervenuta né prima né dopo l’esposizione della pellicola.
A guardarle bene, soffermandosi, le gallerie stradali sono esattamente così, come le fotografie di A_F le rappresentano: non solo passaggi, ma opere d’arte in cui è evidente la somiglianza con i lavori di artisti contemporanei, come il Varese Corridor di Dan Flavin e la sua sofisticata disposizione di oltre duecento tubi al neon, il tunnel immaginato da James Turrell per il Museum of Fine Arts di Houston, che riporta a un’atmosfera psichedelica e visionaria a metà fra l’ambientazione di un videogame e l’imboccatura di un inferno o ancora le scenografie fatte realizzare da Stanley Kubrick: gli stretti passaggi della Discovery di 2001: Odissea nello spazio e il celeberrimo corridoio di Shining. A contraddistinguere e congiungere tutti i luoghi menzionati, indistintamente carichi di un percettibile pathos mistico, sembrerebbe essere il silenzio, o perlomeno una sua approssimazione. Qui questo non accade. Poiché il suono del silenzio, all’interno di una galleria stradale senz’auto che l’attraversino, è così: forte, da coprire completamente qualsiasi altro rumore, coinvolgendo chiunque vi si trovi in un’intensa esperienza sonora senza interruzioni né direzione. Le mute immagini di A_F agiscono paradossalmente allo stesso modo: predispongono all’ascolto lo spettatore, mettendolo in condizione di prestare un’insolita attenzione agli immancabili rumori di fondo. “Non si fa in tempo ad avere paura”, recita l’ultimo verso di una succinta rima di Gianni Rodari intitolata La galleria: troppi sono gli incanti e le distrazioni lungo questi brevi percorsi che conducono verso la luce o verso il buio.
Tra gli autori più attivi della fotografia italiana contemporanea, Luca Andreoni (1961) e Antonio Fortugno (1963) lavorano insieme dal 1994. Cresciuti all'interno della fotografia italiana di paesaggio, il loro lavoro ha nel tempo maturato una fotografia caratterizzata da forti valenze simboliche, coniugate attraverso ricerche formali e poetiche di particolare intensità e rigore espressivo. Un percorso attento e severo, riconosciuto da prestigiose realtà della fotografia e dell'arte contemporanea, che li ha chiamati a partecipare a importanti mostre e pubblicazioni. Nel 2005 le loro opere sono state esposte in Germania presso la Ursula Blickle Stiftung all’interno della mostra intitolata Landscape as a Metaphor, a Torino all’interno della Triennale T1- La sindrome di Pantagruele curata da Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, a Villa Manin (UD) nella mostra curata da Francesco Bonami e Sarah Cosulich Canarutto La Dolce Crisi – Fotografia italiana Contemporanea e infine al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato. In anni precedenti i due artisti hanno inoltre esposto alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Palermo, alla Galleria Civica di Modena, al Padiglione, Venezia 2002, alla Triennale di Milano, alla Kunsthalle di Kiel e all’interno di molti altri musei e gallerie private.
Forse proprio perché luoghi di passaggio, le gallerie solo raramente sono state i soggetti privilegiati della fotografia. Agli opposti estremi temporali s’incontrano Nadar e Naoya Hatakeyama: il francese intorno al 1860, quando primo fra tutti scese nel sottosuolo parigino svelando all’intera nazione il suo ventre di condotti fognari e catacombe, mentre in tempi molto più recenti il secondo si è calato, per un progetto simile, cinque metri al di sotto dei marciapiedi di Tokyo, fra stretti cunicoli e acque maleodoranti. Le immagini di A_F, tuttavia, sono le uniche ad essere state realizzate sfruttando esclusivamente le condizioni luminose esistenti; i colori spesso eccessivi e i dettagli clinicamente evidenti, danno l’impressione di trovarsi di fronte alla raffigurazione di una realtà ricostruita e messa a punto in un secondo momento, seppure nessuna manipolazione sia intervenuta né prima né dopo l’esposizione della pellicola.
A guardarle bene, soffermandosi, le gallerie stradali sono esattamente così, come le fotografie di A_F le rappresentano: non solo passaggi, ma opere d’arte in cui è evidente la somiglianza con i lavori di artisti contemporanei, come il Varese Corridor di Dan Flavin e la sua sofisticata disposizione di oltre duecento tubi al neon, il tunnel immaginato da James Turrell per il Museum of Fine Arts di Houston, che riporta a un’atmosfera psichedelica e visionaria a metà fra l’ambientazione di un videogame e l’imboccatura di un inferno o ancora le scenografie fatte realizzare da Stanley Kubrick: gli stretti passaggi della Discovery di 2001: Odissea nello spazio e il celeberrimo corridoio di Shining. A contraddistinguere e congiungere tutti i luoghi menzionati, indistintamente carichi di un percettibile pathos mistico, sembrerebbe essere il silenzio, o perlomeno una sua approssimazione. Qui questo non accade. Poiché il suono del silenzio, all’interno di una galleria stradale senz’auto che l’attraversino, è così: forte, da coprire completamente qualsiasi altro rumore, coinvolgendo chiunque vi si trovi in un’intensa esperienza sonora senza interruzioni né direzione. Le mute immagini di A_F agiscono paradossalmente allo stesso modo: predispongono all’ascolto lo spettatore, mettendolo in condizione di prestare un’insolita attenzione agli immancabili rumori di fondo. “Non si fa in tempo ad avere paura”, recita l’ultimo verso di una succinta rima di Gianni Rodari intitolata La galleria: troppi sono gli incanti e le distrazioni lungo questi brevi percorsi che conducono verso la luce o verso il buio.
Tra gli autori più attivi della fotografia italiana contemporanea, Luca Andreoni (1961) e Antonio Fortugno (1963) lavorano insieme dal 1994. Cresciuti all'interno della fotografia italiana di paesaggio, il loro lavoro ha nel tempo maturato una fotografia caratterizzata da forti valenze simboliche, coniugate attraverso ricerche formali e poetiche di particolare intensità e rigore espressivo. Un percorso attento e severo, riconosciuto da prestigiose realtà della fotografia e dell'arte contemporanea, che li ha chiamati a partecipare a importanti mostre e pubblicazioni. Nel 2005 le loro opere sono state esposte in Germania presso la Ursula Blickle Stiftung all’interno della mostra intitolata Landscape as a Metaphor, a Torino all’interno della Triennale T1- La sindrome di Pantagruele curata da Francesco Bonami e Carolyn Christov-Bakargiev presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, a Villa Manin (UD) nella mostra curata da Francesco Bonami e Sarah Cosulich Canarutto La Dolce Crisi – Fotografia italiana Contemporanea e infine al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato. In anni precedenti i due artisti hanno inoltre esposto alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Palermo, alla Galleria Civica di Modena, al Padiglione, Venezia 2002, alla Triennale di Milano, alla Kunsthalle di Kiel e all’interno di molti altri musei e gallerie private.
07
giugno 2006
Andreoni_Fortugno – Non si fa in tempo ad avere paura
Dal 07 giugno al 22 luglio 2006
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
NEPENTE ART GALLERY
Milano, Via Alessandro Volta, 15, (Milano)
Milano, Via Alessandro Volta, 15, (Milano)
Orario di apertura
dal martedì al sabato 15-19,30 e su appuntamento
Vernissage
7 Giugno 2006, ore 18,30
Autore