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Angelo Bertoglio – Periferiche cromie
Spirito colto e rigoroso, Bertoglio appartiene a quell’area sempre più circoscritta di artisti che osano ancora affidare ai classici strumenti della pittura la risonanza poetica dell’immagine, sognata e conquistata attraverso la fatalità dell’atto pittorico che sempre si rinnova senza mai indossare i panni della falsa attualità
Comunicato stampa
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ANGELO BERTOGLIO nasce a Cremona nel 1951.
Dall’età di cinque anni si trasferisce a Pavia dove vive
e lavora. Fin da ragazzo manifesta precoce interesse
e attitudine per il disegno; frequenta il Liceo artistico
prima e l’Accademia di Brera successivamente. Grazie
a molteplici stimoli culturali, acquisisce una visione
complessa dell’arte.
Sceglie di dedicare il proprio interesse alla pittura,
che lo impegna in un percorso solitario, ma
produttivo che continua tuttora.
di claudio cerritelli
“… Spirito colto e rigoroso, Bertoglio appartiene a quell’area sempre più circoscritta di
artisti che osano ancora affidare ai classici strumenti della pittura la risonanza poetica
dell’immagine, sognata e conquistata attraverso la fatalità dell’atto pittorico che sempre si
rinnova senza mai indossare i panni della falsa attualità. Per questo orientamento di pensiero
ciò che conta è la dimensione interiore dell’immagine, la contemplazione dello spazio come
enigma che nessun altro mezzo può sostenere o illudere di poterlo fare. Del resto, il mestiere
di pittore presuppone un destino che non ha altre verifiche se non quelle interne all’ossessione
del proprio sguardo che analizza la macchina della pittura e si emoziona di fronte al mistero
del visibile. In questo senso, il processo del dipingere è coscienza di un continuo passaggio
del pensiero nel colore, è una verità soggettiva che non può essere esiliata dall’ansia frenetica
dei nuovi strumenti di comunicazione. È colloquio con la profondità della storia che ritrova
la sua voce nel presente, nella caparbia tensione a immaginare spazi possibili, perché sempre
possibile è l’esperienza della pittura come intensità della visione poetica, lirico desiderio
estatico, non solo estetico, della forma pura…
La scelta di dialogare con le strutture della prospettiva classica è stata la base per elaborare
nuovi impulsi formali, per dare peso a turbamenti e tentazioni che sono degni di un rapporto
acuto, e per nulla scontato, con i vincoli della rappresentazione. Per assumere questa
dimensione problematica Bertoglio trasforma il dato prospettico nel mistero costruttivo
della scena metafisica, tiene in reciproca tensione la strutturalità delle forme e l’emozione del
colore-luce che tocca punti inattesi, situazioni intriganti dove lo sguardo inverte la sua rotta,
muovendosi da limpidi bagliori iperreali a lenti sprofondamenti nell’ombra.
Dall’inquietudine di queste ragioni nasce il suo esperimento di pittore visionario, interessato a
coinvolgere lo spettatore nella metafora teatrale della pittura che mette in scena i suoi artifici
e le sue regole per contemplare un mondo carico di mistero, uno spazio disorientato dalle
ombre. Per questo Bertoglio riflette sul valore perenne della luce come rivelazione della parte
oscura della rappresentazione, conoscenza che si nutre di forme nascoste, spazi non detti,
pieghe enigmatiche e lembi rivolti verso l’indicibile, segni che cercano di varcare i limiti stabili
della visione stessa.
Uno dei caratteri di questa visione è infatti quello di creare contrappesi di volumi in bilico,
astratte fissità del colore inserite in mutevoli piani di lettura che si mostrano serrati davanti
al lettore. Egli vorrebbe superarne il perimetro, rispondere alle sollecitazioni mentali che
quello spazio lascia intuire, entrare nel racconto segreto dell’immagine attraverso ragioni non
dissimili da quelle messe in atto dall’artista…
Per Bertoglio il valore della contemplazione si identifica nella costruzione di una metafisica
spaziale dove la realtà delle forme comprende anche il senso dell’assenza, vale a dire
la compresenza di elementi astratti (ritmi di piani che si sovrappongono), di atmosfere
impalpabili (cieli, terre e vuoti d’aria) e di risonanze che coincidono con le penombre dello
sguardo (margini taglienti, perimetri ambivalenti, bordi e ripiegamenti).
Tale è la sensazione che si sprigiona in alcune opere di maggior impatto costruttivo dove
la plasticità dei piani pittorici esprime un ritmo segnato da lievi inclinazioni, da slittamenti
di equilibrio e, soprattutto, da eventi di luce che rompono la soglia del monocromo e del
monocorde…
Dopo i sentieri misteriosi della luce e i riflessi precari del visibile, altre realtà vengono incontro
all’ansia creativa di Bertoglio, sono sempre visioni dove il colore si fonde nel sogno di un luogo
senza tempo, l’angelo della pittura ha superato il peso delle cose e ci parla ancora di immagini
sospese, di spazi infiniti”.
(Da Scene contemplate di luce, 2005)
A partire dagli anni Ottanta partecipa a mostre sia
collettive che personali, dosandole con prudente
consapevolezza critica.
Dall’età di cinque anni si trasferisce a Pavia dove vive
e lavora. Fin da ragazzo manifesta precoce interesse
e attitudine per il disegno; frequenta il Liceo artistico
prima e l’Accademia di Brera successivamente. Grazie
a molteplici stimoli culturali, acquisisce una visione
complessa dell’arte.
Sceglie di dedicare il proprio interesse alla pittura,
che lo impegna in un percorso solitario, ma
produttivo che continua tuttora.
di claudio cerritelli
“… Spirito colto e rigoroso, Bertoglio appartiene a quell’area sempre più circoscritta di
artisti che osano ancora affidare ai classici strumenti della pittura la risonanza poetica
dell’immagine, sognata e conquistata attraverso la fatalità dell’atto pittorico che sempre si
rinnova senza mai indossare i panni della falsa attualità. Per questo orientamento di pensiero
ciò che conta è la dimensione interiore dell’immagine, la contemplazione dello spazio come
enigma che nessun altro mezzo può sostenere o illudere di poterlo fare. Del resto, il mestiere
di pittore presuppone un destino che non ha altre verifiche se non quelle interne all’ossessione
del proprio sguardo che analizza la macchina della pittura e si emoziona di fronte al mistero
del visibile. In questo senso, il processo del dipingere è coscienza di un continuo passaggio
del pensiero nel colore, è una verità soggettiva che non può essere esiliata dall’ansia frenetica
dei nuovi strumenti di comunicazione. È colloquio con la profondità della storia che ritrova
la sua voce nel presente, nella caparbia tensione a immaginare spazi possibili, perché sempre
possibile è l’esperienza della pittura come intensità della visione poetica, lirico desiderio
estatico, non solo estetico, della forma pura…
La scelta di dialogare con le strutture della prospettiva classica è stata la base per elaborare
nuovi impulsi formali, per dare peso a turbamenti e tentazioni che sono degni di un rapporto
acuto, e per nulla scontato, con i vincoli della rappresentazione. Per assumere questa
dimensione problematica Bertoglio trasforma il dato prospettico nel mistero costruttivo
della scena metafisica, tiene in reciproca tensione la strutturalità delle forme e l’emozione del
colore-luce che tocca punti inattesi, situazioni intriganti dove lo sguardo inverte la sua rotta,
muovendosi da limpidi bagliori iperreali a lenti sprofondamenti nell’ombra.
Dall’inquietudine di queste ragioni nasce il suo esperimento di pittore visionario, interessato a
coinvolgere lo spettatore nella metafora teatrale della pittura che mette in scena i suoi artifici
e le sue regole per contemplare un mondo carico di mistero, uno spazio disorientato dalle
ombre. Per questo Bertoglio riflette sul valore perenne della luce come rivelazione della parte
oscura della rappresentazione, conoscenza che si nutre di forme nascoste, spazi non detti,
pieghe enigmatiche e lembi rivolti verso l’indicibile, segni che cercano di varcare i limiti stabili
della visione stessa.
Uno dei caratteri di questa visione è infatti quello di creare contrappesi di volumi in bilico,
astratte fissità del colore inserite in mutevoli piani di lettura che si mostrano serrati davanti
al lettore. Egli vorrebbe superarne il perimetro, rispondere alle sollecitazioni mentali che
quello spazio lascia intuire, entrare nel racconto segreto dell’immagine attraverso ragioni non
dissimili da quelle messe in atto dall’artista…
Per Bertoglio il valore della contemplazione si identifica nella costruzione di una metafisica
spaziale dove la realtà delle forme comprende anche il senso dell’assenza, vale a dire
la compresenza di elementi astratti (ritmi di piani che si sovrappongono), di atmosfere
impalpabili (cieli, terre e vuoti d’aria) e di risonanze che coincidono con le penombre dello
sguardo (margini taglienti, perimetri ambivalenti, bordi e ripiegamenti).
Tale è la sensazione che si sprigiona in alcune opere di maggior impatto costruttivo dove
la plasticità dei piani pittorici esprime un ritmo segnato da lievi inclinazioni, da slittamenti
di equilibrio e, soprattutto, da eventi di luce che rompono la soglia del monocromo e del
monocorde…
Dopo i sentieri misteriosi della luce e i riflessi precari del visibile, altre realtà vengono incontro
all’ansia creativa di Bertoglio, sono sempre visioni dove il colore si fonde nel sogno di un luogo
senza tempo, l’angelo della pittura ha superato il peso delle cose e ci parla ancora di immagini
sospese, di spazi infiniti”.
(Da Scene contemplate di luce, 2005)
A partire dagli anni Ottanta partecipa a mostre sia
collettive che personali, dosandole con prudente
consapevolezza critica.
02
maggio 2019
Angelo Bertoglio – Periferiche cromie
Dal 02 al 17 maggio 2019
arte contemporanea
Location
GALLERIA MARCO FRACCARO
Pavia, piazza Collegio Cairoli, 1, (Pavia)
Pavia, piazza Collegio Cairoli, 1, (Pavia)
Orario di apertura
giovedi, venerdi, sabato
dalle 17:00 alle 19:00
Vernissage
2 Maggio 2019, ore 18.30
Autore
Curatore