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Angelo Conte
E’ il fantastico di matrice surreale il territorio in cui si muove, libera e stravagante, la pittura dell’ultracinquatenne Angelo Conte, pontino di nascita e campano di formazione, con riscontri artistici e culturali anche d’ambito universitario.
Comunicato stampa
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ANGELO CONTE
E' il fantastico di matrice surreale il territorio in cui si muove, libera e stravagante, la pittura dell'ultracinquatenne Angelo Conte, pontino di nascita e campano di formazione, con riscontri artistici e culturali anche d'ambito universitario, ma trovatosi più a suo agio in terre più a settentrione della vecchia linea gotica, in particolare in Svizzera, dove ha vissuto per circa di un ventennio, e ora nel tranquilo agro a ridosso di Parma, in cui da qualche tempo risiede.
Un nordismo biografico, d'adozione, che mi pare avere le sue corrispondenze anche in arte, a indicare lo sviluppo, rispetto al contesto d'origine, di una sensibilità specifica, intellettuale più ancora che formale. Non che i riferimenti ad antecedenze italiane siano del tutto irrilevanti, come in "Quel dietro la verità nascosta", pregno di umori variegati e contrastati, con la figura femminile androgina, per via di superbi addominali che quasi annullano la rorondità dei seni, e il volto celato e fortemente ombreggiato all'altezza delle orbite oculari, che mi ricorda qualcosa di De Chirico, tra il Revenant e il Ritratto di Guillaume Apollinaire, oppure in quella coppia di presumibili amanti a mezzo busto, lei che svela il petto, lui col capo nascosto da non si capisce bene cosa, un cappelo un elmo, una testa animale, che mi riporta alla mente certi eccessi di Riccardo Tommasi Ferroni nel reinventare grottescamente la mitologia, ravvisabili in maniera ancora piu esplicita nella donnatucano, mostruosamnente realistica, di "Apteosi e delirio ovvero le tentazioni di S. Antonio", opera peraltro sapida di esemplificative assonanze nordiche, e non tra le più recenti, dato che spaziano disinvoltamente tra Schongauer, Dürer, Bosch, Altdofer, Bruegel il Vecchio, Lucas Cranach, Michael Pacher, Johana Füssli, per dire solo dei primi che mi vengono da citare. Altrove, la riedizione del pittoresco in chiave pre-romantica, alla Salvator Rosa o alla Marco Ricci, si coniuga con un senso atmosferico del magico alla Wainer Vaccari di una volta, condito con una punta di sagace, dissacrante malizia, questa rimasta magari meridionale( frequente in questa come in altre opere, l'accostamento tra ecclesiastici e donne piuttosto provocanti). ma nel complesso, la predominanza dell'elemento ultramontano, come si sarebbe detto un tempo, mi sembra caratterizzare la visione artistica di Conte. A fare nomi più aggiornati di queli fatti in precedenza, finalmente novecenteschi, direi Max Ernst, quello di Oedipus Rex almeno, il più metafisico ma indicherei Magritte sopra ogni altro, non solo per gli espedienti più superficiali (i cieli azzurri e le nuvole bianche che fanno da sfondo prediletto, a mimetizzare in un ipotetico ordinario di natura ciò che della prevedibilità è invece la negazione), o per il fatto di fare affidamento a una dialettica tra linguaggio artistico e verbale che ne verifica anche le reciproche incongruenze (in "Cercando in un altro Egitto" tutto rimanda ad immaginario geografico diverse dalle terre del Nilo, da piana del Don nella stagione estiva, co la matrioska gigate da fare da sfinge), ma per il modo stesso di concepire l'invenzione pittorica, con il regista che non rinuncia a farsi spettatore del proprio stesso spettacolo, quando si dovesse accorgere che ciò che ha portato in scena è perfettamente in grado di significare, o non significare, per proprio conto, parlando un idioma che riusciamo a tradurre solo in parte. il resto lasciando alla nostra volontà di intendere, diversa in ciascuno di noi quanto sono diverse le nostre esperienze di vita e conoscenza ("autoritratto agnostico", falsamente vicino ad una natura morta di Gianfranco Ferroni, ha in realtà lo stesso senso della presenza umana di Madame Recamier del David).
Sarebbe però ingeneroso nei confronti di Conte, soffermarsi troppo su eventuali debiti, come se la sua pittura trovasse giustificazione solo in essi, quando invece possiede un'indiscutile originalità, difficilmente riducibile a questo e a quell'influsso esterno.
In fondo, Conte non chiede altro che non chiederci, invitandoci a seguire passivamente i suoi racconti privi di una storia compiuta, flussi incantati che ci estraniano dai nostri mondi per proporcene altri, spaesanti, non rapportabili alla nostra logica, ma assolutamente attraenti, rivelatori di piccoli grandi slanci d'immaginazione, dolci ossessioni non solo personali.
Al massimo come recita uno ei suoi suggestivi dipinti orizzontali, con un albero dal fusto cavo che regge una chioma di nuvola, ci chiede di ascoltare "Il rumore del niente", che solo i più sordi d'animo potrebbero non sentire.
Vittorio Sgarbi
2 luglio 2014
22
giugno 2019
Angelo Conte
Dal 22 giugno al 09 luglio 2019
arte contemporanea
Location
SPAZIO 6
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Verona, Via Santa Maria In Organo, 6, (Verona)
Orario di apertura
da martedì a sabatore ore 16,30-19,30
Vernissage
22 Giugno 2019, ore 18,00
Autore
Curatore