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Angelo Formica – Doppio gioco
Collages coloratissimi realizzati in punta di dita e ispirati all’arte popolare siciliana. Le feste dei santi, i dolci preparati per l’occasione e i giochi di carte sotto gli alberi di gelso. La Sicilia di Angelo Formica è un continente di segni sempre in festa, un’arte intesa e vissuta come rito universale
Comunicato stampa
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Da IL COLLAGE SICILIANO di Emilio Isgrò. Testo incluso nel catalogo di Angelo Formica edito dalla Galleria Toselli.
La verità è che il Collage Siciliano di Angelo Formica mi ha completamente spiazzato, evocando un mondo che senza quella tecnica (e senza un artista come Formica) sicuramente non
esisterebbe più. Una volta Lucio Piccolo, parlando dei suoi Canti barocchi, disse
che con quelle poesie voleva serbare la memoria di un mondo – l’aristocratico barocco d’impronta palermitana – che altrimenti sarebbe stato travolto dall’accumularsi di vicende e di storie. Un ricordo per i posteri, oltre che per se stesso.
Ora Formica, sia pure in una chiave più domestica e popolana, a tratti deliberatamente quanto ironicamente "plebea", evoca un mondo che in qualche modo completa e rende più intelligibile
quello di Lucio Piccolo. Ed è l’universo rutilante delle feste siciliane, della carta d’arancio e della cassata. Conosco bene quel mondo perché anch’io, come Angelo, lì sono
nato e lì sono cresciuto, in quel tratto della Sicilia orientale che allinea sulla costa, di fronte al superbo paesaggio delle Eolie,
paesi e paesoni come Milazzo, Spadafora, Barcellona Pozzo di Gotto, Tindari, Capo d'Orlando. Sono città e luoghi addormentati
d’inverno, ma d’estate si svegliano all’improvviso, e tra una Madonna del Carmine che scende dal cielo in un fragore di banda
paesana e un San Rocco che taglia il mare avvolto e circonfuso da un profumo di porco bollito e salsicce arrostite, l’isola del sole
vive la sua stagione più colma di grazia, la più conturbante. Sarebbe facile, per l’autore di questi deliziosi collages, cedere al
peso della nostalgia. Ma sarebbe un gioco semplice, prevedibile, mentre il discorso verte sostanzialmente sulla necessità di
insospettire un pubblico (non solo siciliano, evidentemente) che a volte non vede i vermi brulicanti dentro la ricotta del cannolo
siciliano, così come non si accorge che lo spazio dei santi è stato ridotto per far posto ai diavoli. Quelle di Formica sono opere formalmente non verbali. Eppure vanno lette non meno che guardate, fino a quando il pugno arriva finalmente allo stomaco. Con il ciclo delle Ascensioni, per esempio, dove la Vergine sale al cielo non si sa bene da quale fango, da quale materia. Mentre in un altro ciclo, quello delle
Carte truccate, il Cristo alla colonna è in realtà incatenato al Tre di Bastoni della briscola e Maria con Giuseppe e il Bambino fa i
conti col Sette d’Oro dello scopone, in uno smagliante gioco di colori (anche nel senso più pittorico del termine) che raramente il
collage riesce a raggiungere.
Direi che il tema della santità corrotta è il tema portante di tutta l’esperienza di Formica, con un tocco irridente che non risparmia
niente e nessuno, mostrandoci senza paura, per esempio, teste di santi e santoni trasformate in cucchiaini per gelati, mentre le vergini martiri sognano dolci al miele e le paste di mandorla
vedono in sogno la Madonna.
Un discorso a parte, in questo incantevole delirio, lo meritano certamente le preziosissime carte che da sempre avvolgono le arance siciliane mandate alla vendita sui mercati interni della
Sicilia o su quelli del Nord.
Anche qui c’è sfolgorio di colori, ma Formica queste carte le usa già stropicciate, rivelando il senso del loro uso, che è proprio
quello di avvolgere e preservare la frutta, non certo quello di avvincere l’occhio. E tuttavia l’occhio è ugualmente catturato: ora
da un San Giorgio che infilza il drago, ora da un Cristo resuscitato con la sua bandierina, ora da un San Cristoforo costretto a trasportare un Bambino troppo pesante anche per lui.
Quando Angelo venne a parlarmi di questi suoi lavori, prevalse in me, non meno che in lui, il naturale desiderio di rievocare il nostro mondo, la nostra storia, le nostre contrade. Sono cose
che succedono quando la nostalgia ha il sopravvento; e tuttavia non potei non rilevare il distacco di Formica da quello stesso
mondo, non per mancanza d’amore, ma perché anche l’amore va distanziato quando insidia la nostra visione della realtà.
Il risultato è ora sotto i nostri occhi, ed è un risultato in cui la mitezza del cuore si sposa perfettamente con la necessità di
chiamare le cose con il loro nome, conferendo al “locale” la funzione di innescare un minimo di malessere in una società pianificata fin troppo soddisfatta di sé.
Più che l’effusione baroccheggiante, tuttavia, è la secchezza epigrammatica che soccorre Formica nel suo tragitto. Sicché ogni immagine, anche la più colorata e splendente, alla fine è una sentenza, un giudizio morale, riportando il collage a ciò che deve essere nelle sue espressioni più risolte: una forma di scrittura
strappata al caos della comunicazione mediatica. Discorso che tanto più balza all'occhio con prepotenza quanto più l’artista sposta il discorso in zone arcaiche dela nostra sensibilità e della nostra vita. Disorientandoci con molta determinazione, ma anche con molta grazia.
Emilio Isgrò
La verità è che il Collage Siciliano di Angelo Formica mi ha completamente spiazzato, evocando un mondo che senza quella tecnica (e senza un artista come Formica) sicuramente non
esisterebbe più. Una volta Lucio Piccolo, parlando dei suoi Canti barocchi, disse
che con quelle poesie voleva serbare la memoria di un mondo – l’aristocratico barocco d’impronta palermitana – che altrimenti sarebbe stato travolto dall’accumularsi di vicende e di storie. Un ricordo per i posteri, oltre che per se stesso.
Ora Formica, sia pure in una chiave più domestica e popolana, a tratti deliberatamente quanto ironicamente "plebea", evoca un mondo che in qualche modo completa e rende più intelligibile
quello di Lucio Piccolo. Ed è l’universo rutilante delle feste siciliane, della carta d’arancio e della cassata. Conosco bene quel mondo perché anch’io, come Angelo, lì sono
nato e lì sono cresciuto, in quel tratto della Sicilia orientale che allinea sulla costa, di fronte al superbo paesaggio delle Eolie,
paesi e paesoni come Milazzo, Spadafora, Barcellona Pozzo di Gotto, Tindari, Capo d'Orlando. Sono città e luoghi addormentati
d’inverno, ma d’estate si svegliano all’improvviso, e tra una Madonna del Carmine che scende dal cielo in un fragore di banda
paesana e un San Rocco che taglia il mare avvolto e circonfuso da un profumo di porco bollito e salsicce arrostite, l’isola del sole
vive la sua stagione più colma di grazia, la più conturbante. Sarebbe facile, per l’autore di questi deliziosi collages, cedere al
peso della nostalgia. Ma sarebbe un gioco semplice, prevedibile, mentre il discorso verte sostanzialmente sulla necessità di
insospettire un pubblico (non solo siciliano, evidentemente) che a volte non vede i vermi brulicanti dentro la ricotta del cannolo
siciliano, così come non si accorge che lo spazio dei santi è stato ridotto per far posto ai diavoli. Quelle di Formica sono opere formalmente non verbali. Eppure vanno lette non meno che guardate, fino a quando il pugno arriva finalmente allo stomaco. Con il ciclo delle Ascensioni, per esempio, dove la Vergine sale al cielo non si sa bene da quale fango, da quale materia. Mentre in un altro ciclo, quello delle
Carte truccate, il Cristo alla colonna è in realtà incatenato al Tre di Bastoni della briscola e Maria con Giuseppe e il Bambino fa i
conti col Sette d’Oro dello scopone, in uno smagliante gioco di colori (anche nel senso più pittorico del termine) che raramente il
collage riesce a raggiungere.
Direi che il tema della santità corrotta è il tema portante di tutta l’esperienza di Formica, con un tocco irridente che non risparmia
niente e nessuno, mostrandoci senza paura, per esempio, teste di santi e santoni trasformate in cucchiaini per gelati, mentre le vergini martiri sognano dolci al miele e le paste di mandorla
vedono in sogno la Madonna.
Un discorso a parte, in questo incantevole delirio, lo meritano certamente le preziosissime carte che da sempre avvolgono le arance siciliane mandate alla vendita sui mercati interni della
Sicilia o su quelli del Nord.
Anche qui c’è sfolgorio di colori, ma Formica queste carte le usa già stropicciate, rivelando il senso del loro uso, che è proprio
quello di avvolgere e preservare la frutta, non certo quello di avvincere l’occhio. E tuttavia l’occhio è ugualmente catturato: ora
da un San Giorgio che infilza il drago, ora da un Cristo resuscitato con la sua bandierina, ora da un San Cristoforo costretto a trasportare un Bambino troppo pesante anche per lui.
Quando Angelo venne a parlarmi di questi suoi lavori, prevalse in me, non meno che in lui, il naturale desiderio di rievocare il nostro mondo, la nostra storia, le nostre contrade. Sono cose
che succedono quando la nostalgia ha il sopravvento; e tuttavia non potei non rilevare il distacco di Formica da quello stesso
mondo, non per mancanza d’amore, ma perché anche l’amore va distanziato quando insidia la nostra visione della realtà.
Il risultato è ora sotto i nostri occhi, ed è un risultato in cui la mitezza del cuore si sposa perfettamente con la necessità di
chiamare le cose con il loro nome, conferendo al “locale” la funzione di innescare un minimo di malessere in una società pianificata fin troppo soddisfatta di sé.
Più che l’effusione baroccheggiante, tuttavia, è la secchezza epigrammatica che soccorre Formica nel suo tragitto. Sicché ogni immagine, anche la più colorata e splendente, alla fine è una sentenza, un giudizio morale, riportando il collage a ciò che deve essere nelle sue espressioni più risolte: una forma di scrittura
strappata al caos della comunicazione mediatica. Discorso che tanto più balza all'occhio con prepotenza quanto più l’artista sposta il discorso in zone arcaiche dela nostra sensibilità e della nostra vita. Disorientandoci con molta determinazione, ma anche con molta grazia.
Emilio Isgrò
17
marzo 2012
Angelo Formica – Doppio gioco
Dal 17 marzo al 17 aprile 2012
arte contemporanea
Location
PALAZZO PLATAMONE – PALAZZO DELLA CULTURA – EX CONVENTO SAN PLACIDO
Catania, Via Vittorio Emanuele Ii, 121, (Catania)
Catania, Via Vittorio Emanuele Ii, 121, (Catania)
Orario di apertura
Dal lunedì al sabato: 9.30-13.00 / 16.00-19. Domenica: 9 - 13
Vernissage
17 Marzo 2012, ore 19.30
Sito web
www.artfactory01.it
Autore
Curatore