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Antonella Cappuccio
mostra della pittrice
Comunicato stampa
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Il 5 Dicembre alle ore 18.30 inaugura presso la Sala del Refettorio di Palazzo Venezia “Giochi D’Arte”, la mostra della pittrice Antonella Cappuccio, curata da Claudio Strinati e organizzata da Elisabetta Cantone.
Sponsor: Gruppo Fendi.
Collaborazione della Galleria L’Archimede.
Antonella Cappuccio, figlia d’arte (madre pianista, nonna cantante lirica) è la madre di Gabriele, Laura e Silvio Muccino
La mostra sarà inaugurata dal Sindaco di Roma Walter Veltroni.
Al vernissage interverranno personaggi di spicco del mondo dell’Arte, dello Spettacolo, del Cinema.
“L’Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Questo bellissimo aforisma di Adorno, tratto dal suo “Minima Moralia”, figura come titolo della prima opera di questo ciclo così riferito ai “giochi”.
Tra i giochi, l’attenzione dell’artista si è posata anche sul cruciverba. Se il cruciverba è un gioco popolare, l’Arte no, perché si fa gioco universale.
L’Arte gioca con i piani, li rende”finestre” sullo spazio tridimensionale: il piano in ogni caso è solo un pretesto. Infatti Antonella Cappuccio gioca con la Pittura; scompiglia le carte dei nessi, dei significati, della progressività storico –artistica degli stili e dei contenuti, ma lo fa simulando l’ordine elementare di un cruciverba, a metà strada, quindi, tra ordine e caos e sulla soglia sottile e sfumata regola la fruizione sinottica di brani d’Arte ed il loro casuale dispiegamento.
E’ una gioia liberatoria quella che esprime la pittrice quando si riconosce quale elemento attivo di un gioco senza confini, e audacemente gioca anche con tale assenza di confini.
E questo perché “l’Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Dunque è
Magia. Poi Magia liberata. E infine libertà allo stato puro, selvatico, né vera né menzognera, solo liberata in sé e per questo sterminata.
Il ciclo di quadri esposti a Palazzo Venezia raccoglie 20 opere realizzate con i più diversi supporti: dall’oro coniugato con il ferro, l’argento e la sabbia, al rame e poi al ferro e infine al vetro e allo specchio.
Dai diversi materiali e partendo da una parola, da un’immagine, da un sogno nasce l’idea e la poetica di tale pittura che perciò possiamo definire “simbolismo polimorfo”.
Giochi d’arte
di Claudio Strinati
Antonella Cappuccio ha avuto una evoluzione lunga e complessa di cui questa mostra è preziosa testimonianza. Sono tutte opere recenti ispirate a un unico principio generatore, quello della scomposizione -ricomposizione della forma in una sorta di “gioco” intellettuale che, nel contempo, è severamente meditato e formulato ma anche spontaneo e immediato nei suoi presupposti e nella sua realizzazione. La visione della nostra artista è stata sempre acuta e penetrante, improntata a un senso esplicito del più evidente naturalismo, con una presa sul Reale forte e perentoria e tale visione non è mai cambiata nel corso del tempo, mentre molti e talvolta inaspettati sono stati gli sviluppi di una simile idea figurativa sempre incompatibile con l’ovvio e col banale. Non è, infatti, un’artista dolce e tenera, la Cappuccio, ma netta e aliena da qualunque ammorbidimento della percezione, e più è progredita nella sua carriera più ha fatto decadere ogni possibile sospetto di imitazione e recupero pedissequo di un passato certo latente nella sua opera ma improponibile come ricalco.
Oggi la Cappuccio è arrivata a una concezione della forma articolata ma non annichilita nella sua essenza profonda, che reca dentro di sé una componente enigmatica che l’artista esalta e, anzi, vuole mettere nella massima evidenza al punto che continui sono i riferimenti, nella sua peculiare costruzione delle immagini, al gioco del Rebus in cui frammenti di parola si incastrano e si collegano per ricreare un insieme coerente e logico.
E, in effetti, Antonella, in una visione complessiva in parte profondamente religiosa in parte dipendente da un assoluto e razionalistico laicismo, stabilisce nel suo discorso pittorico regole e vincoli che non sono un limite alla sua creatività ma, all’opposto, sono un concreto veicolo di espressione, per cui l’atto del frammentare e scomporre le immagini è in definitiva rivolto all’esaltazione del vedere, che non è più quella del naturalismo spinto degli esordi ma una forma attenuata di verosimiglianza in cui si inseriscono echi disparati di iperrealismo, di metafisica, di oggettivismo rappresentativo, senza che si possa iscrivere il suo lavoro in nessuna di queste antiche categorie.
L’oceano della vita
di Carla Vangelista e Luca Di Fulvio
I sociologi hanno ormai sfornato la definizione per gli esseri umani di questa nostra società contemporanea: homo videns. La nascita del cinema e, soprattutto, lo sviluppo della televisione ci hanno trasformati in esseri che guardano – troppo spesso passivamente – immagini. Siamo una società che vive di immagini. E facciamo mestieri che si basano sull’immagine.
Ma allora che posto hanno i quadri, i figli di quelle prime immagini che i nostri antenati, appena si raddrizzarono in piedi, sentirono il bisogno di disegnare sulle pareti delle loro caverne?
Non ci azzardiamo a dare una soluzione assoluta, ma certo – guardando i quadri di Antonella Cappuccio – una risposta ci viene naturale. La pittura – il regno per eccellenza delle immagini – nei quadri di Antonella può permettersi lo straordinario lusso di immaginare l’inconscio, l’intimo, quel che c’è laggiù, oltre lo specchio rilucente in fondo a un pozzo. Può raccontarci chi siamo non attraverso aneddoti e particolarismi ma restituendoci un’unica, straordinaria psiche universale. È questo che fa Antonella: ci descrive tutti insieme, per quello che siamo e non per come appariamo esteriormente. Prende in considerazione la polpa che ci accomuna tutti e non la scorza che ci differenzia superficialmente.
La sua è una pittura libera che lascia liberi. Antonella sa dividere in quadrati il mondo che rappresenta, secondo una rigorosa geometria, e con la creatività dell’artista sa però poi far risaltare alcuni tasselli in particolare, per guidarci in un dedalo, in un cruciverba, in un puzzle, in un enigma che puntualmente racconta una storia ricca di emozioni pure. La storia dei sentimenti più arcaici, più primari. La storia di una commozione che non rimane persa e imprigionata in quel labirinto ma tracima dal pennello, dalla tela, dai materiali vivi che usa. E, come fossimo in riva all’oceano del nostro inconscio, della nostra vita, questa liquida, calda, amniotica emozione ci bagna prima i piedi e poi sale su, dolcemente, fino a impregnarci completamente. Fino a cambiarci. E a cambiare la percezione di noi stessi e del mondo che ci circonda.
È impossibile non parlare delle parole dipinte nei suoi quadri, che si fanno sonore e ci suggeriscono nell’orecchio musica e poesia, e non pedanti spiegazioni, lasciandoci meravigliosamente liberi di provare quell’emozione che cantano come se fosse nostra. È impossibile non parlare di quegli occhi, di quegli sguardi che non ci indagano ma ci invitano a essere indagati, che ci mostrano la strada per vedere quel che non è in vista. È impossibile non parlare delle bocche che dipinge Antonella, carnose, come appena baciate. Oppure nascoste da un gesto, da una mano, come a svelarci che quelle bocche hanno già detto le loro parole, o non vogliono – possono? – pronunciarne di nuove. È impossibile per noi non dire tutto dei quadri di Antonella.
Ma come si fa a raccontare un immenso, straordinario oceano? Forse semplicemente abbandonandosi alla corrente e alla risacca, in sintonia con le maree e al loro fluire, senza altro desiderio che lasciarsi cullare da quelle onde – a volte impetuose, a volte delicate – che Antonella sa evocare. Anzi, sa far sgorgare da noi stessi.
Nel cuore del labirinto
di Antonella Amendola
Qualche volta ci ho pensato. Di fronte agli squisiti indovinelli di Magritte mi sono chiesta perché tanto algida fosse la mia risposta. Dell'artista belga ho sempre colto l'arduo gioco intellettuale, apprezzato la provocazione tutta cerebrale, ma il cuore resta tiepido, mi manca il coinvolgimento, non sopporto le brillanti acrobazie dei grafici.
Al contrario, gli enigmi di Antonella Cappuccio mi parlano, rimescolano il mio io profondo, mi strappano una partecipazione anche emotiva perché dentro sento che c'è la vita. La vita tutta intera, mai repressa, mai addomesticata, mai ridotta a puro esercizio estetico. Gioie, dolori, ricordi, aspirazioni, sogni e anche illusioni, melanconie, addii. Antonella Cappuccio sancisce l'aurea dignità del biografico, nel senso che sono davvero materiali preziosi, sono luce, tracce d'oro e d'argento, sono fulvo bagliore di rame quei lacerti di storia privata che le sue mani sapienti accolgono, quasi santificano in una laica preghiera.
Antonella ha dalla sua questa fierezza, questo orgoglio di non voler esistere dimidiata, da una parte la donna, la madre, la moglie, dall'altra l'artista; lei non conosce alto e basso, non censura la propria femminile quotidianità. Docile, fiduciosa, si lascia vivere, si concede fino in fondo all'attimo fuggente, consapevole che nulla è troppo piccolo o insignificante nella grande tessitura dell'arte e anche una lacrima oscura che pareva superflua, da dimenticare in un fazzoletto, riaffiora nella trama dei suoi cruciverba, è forse l'indizio, la chiave magica per accendere nel cuore del labirinto.
Antonella tende la mano, invita: «Questi», sorride, «sono i nodi del mio sentire, sono i miei anni, i miei pensieri, forse ti ci ritrovi anche un po' tu. Prova, se vuoi. Comincia da dove ti pare. Sei libera di uscire quando vuoi...» È questo che mi attrae negli ultimi lavori della Cappuccio: la circolarità dei temi, la trasversalità dei materiali che s'intersecano senza preconcetti e barriere, la generosa liberalità degli interrogativi. Tutto è vita e tutto rimane impigliato nella sottile rete dell'arte. Una volta, ammirando una composizione di Antonella con un viso di donna trasognato, etereo, quasi un fantasma, che sortiva dalle concretissime maglie di un pull, mi sorpresi per l'accostamento e cominciai a coltivare l'idea che la mia amica fosse una specie di Aracne, una tessitrice che paziente, abile assoggetta ciò che è spurio e diverso nell'unicità del canone estetico.
Le sue ultime opere sono anche opere aperte perché percorribili in più sensi e catartiche perché esigono che chi guarda aderisca e deponga in un'ideale casella almeno uno scampolo del proprio vissuto.
Sono, ancora, opere in fieri, diaristiche perché l'artista non occulta nulla delle proprie scelte materiali, ma anzi mostra la propria felice manualità, il percorso col quale arriva a governare la trasmutazione di un materiale in un altro.
«Si fa così, ma può farsi anche diversamente, si può sublimare il negativo di una vecchia foto, ma anche raccattare la polvere sotto le scarpe», pare suggerire la Cappuccio, che, da vera, moderna alchimista nasconde la sua riflessione più segreta negli squarci di specchio e chiede di andare oltre la sensibile campitura degli enigmi.
Biografia
Antonella Cappuccio nasce ad Ischia e si trasferisce da bambina a Roma, con la famiglia. Intraprende giovanissima la carriera di costumista per il cinema, il teatro e la televisione e parallelamente comincia a dipingere, inaugurando le sue prime mostre nel ’75.
In oltre trent’anni di carriera Antonella Cappuccio ha prodotto opere per Istituzioni (Arma dei Carabinieri), per la Chiesa (molte sue opere sono in Vaticano), per lo Stato e per collezionisti d’arte internazionali. E’ membro dell’Accademia Pontificia ed è inoltre la ritrattista ufficiale di Papa Benedetto XVI. E’ madre di tre figli, moglie, nonna, pittrice, bambina.
Mostre Personali
1976 Galleria Sirio (Roma)
1980 Galleria Arteclub (Catania)
1981 Omaggio a Mantenga (Casa del mantenga, Mantova)
1982 Omaggio a Botticelli (Chiostro delle Oblate, Firenze)
1986 Musée d’Art Contemporain (Chamalièrs, Saint-Etienne)
1987 Sagrato del Duomo (Milano)
1988 Consolato Generale d’Italia (Lyon)
1990 Galleria Agorà (Palermo)
1991 Castello Aragonese (Ischia)
1995 Museo Italo-Americano (San Francisco)
1998 Amor del Sacro, Amor del Profano (Palazzo Ducale, Mantova)
1999 Accademia Nazionale di Costume (Roma)
2002 Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (Roma)
2004 Galleria d’Arte Moderna (Roma)
2006 Galleria Archimede (Roma)
2006 Palazzo Venezia (Roma)
Principali Opere Pubbliche
1997 Roma, Vetrate a mosaico del Comando Generale dei Carabinieri
Giugliano (NA), Abside della Chiesa di San Massimiliano Kolbe
1999 Roma, Chiesa di S. Caterina della Rota, dipinto su tela Le Sante Madri
2001 Giugliano (NA), Chiesa di San Massimiliano Kolbe, battistero
2002 Città del Vaticano, Sala Udienze Paolo VI, Polittico sulla vita di San Pietro
2003 San Giovanni Rotondo (FG), Mosaico di Padre Pio, realizzato con la fabbrica di San Pietro
2003 Roma, Marriot Hotel, grande teliere Roma Pagana, Roma Cristiana
Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipinti vari
2004 Roma, Nuova sede Avvocatura di Stato, L’Albero del Diritto
Ritrattistica
Carlo d’Inghilterra, Londra
Fiammetta Lemme, Roma
A. di Liscia, Buenos Aires
Katriona e Guy Munthe, Londra
Friederich Spiegelberg, San Francisco
Rollo May, New York
Cardinale L. Poggi, Biblioteca Vaticana
Claudio Naranjo, Barcellona
R. Wagner, Los Angeles
Mons. Paolo de Nicolò, Roma
Sponsor: Gruppo Fendi.
Collaborazione della Galleria L’Archimede.
Antonella Cappuccio, figlia d’arte (madre pianista, nonna cantante lirica) è la madre di Gabriele, Laura e Silvio Muccino
La mostra sarà inaugurata dal Sindaco di Roma Walter Veltroni.
Al vernissage interverranno personaggi di spicco del mondo dell’Arte, dello Spettacolo, del Cinema.
“L’Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Questo bellissimo aforisma di Adorno, tratto dal suo “Minima Moralia”, figura come titolo della prima opera di questo ciclo così riferito ai “giochi”.
Tra i giochi, l’attenzione dell’artista si è posata anche sul cruciverba. Se il cruciverba è un gioco popolare, l’Arte no, perché si fa gioco universale.
L’Arte gioca con i piani, li rende”finestre” sullo spazio tridimensionale: il piano in ogni caso è solo un pretesto. Infatti Antonella Cappuccio gioca con la Pittura; scompiglia le carte dei nessi, dei significati, della progressività storico –artistica degli stili e dei contenuti, ma lo fa simulando l’ordine elementare di un cruciverba, a metà strada, quindi, tra ordine e caos e sulla soglia sottile e sfumata regola la fruizione sinottica di brani d’Arte ed il loro casuale dispiegamento.
E’ una gioia liberatoria quella che esprime la pittrice quando si riconosce quale elemento attivo di un gioco senza confini, e audacemente gioca anche con tale assenza di confini.
E questo perché “l’Arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità”. Dunque è
Magia. Poi Magia liberata. E infine libertà allo stato puro, selvatico, né vera né menzognera, solo liberata in sé e per questo sterminata.
Il ciclo di quadri esposti a Palazzo Venezia raccoglie 20 opere realizzate con i più diversi supporti: dall’oro coniugato con il ferro, l’argento e la sabbia, al rame e poi al ferro e infine al vetro e allo specchio.
Dai diversi materiali e partendo da una parola, da un’immagine, da un sogno nasce l’idea e la poetica di tale pittura che perciò possiamo definire “simbolismo polimorfo”.
Giochi d’arte
di Claudio Strinati
Antonella Cappuccio ha avuto una evoluzione lunga e complessa di cui questa mostra è preziosa testimonianza. Sono tutte opere recenti ispirate a un unico principio generatore, quello della scomposizione -ricomposizione della forma in una sorta di “gioco” intellettuale che, nel contempo, è severamente meditato e formulato ma anche spontaneo e immediato nei suoi presupposti e nella sua realizzazione. La visione della nostra artista è stata sempre acuta e penetrante, improntata a un senso esplicito del più evidente naturalismo, con una presa sul Reale forte e perentoria e tale visione non è mai cambiata nel corso del tempo, mentre molti e talvolta inaspettati sono stati gli sviluppi di una simile idea figurativa sempre incompatibile con l’ovvio e col banale. Non è, infatti, un’artista dolce e tenera, la Cappuccio, ma netta e aliena da qualunque ammorbidimento della percezione, e più è progredita nella sua carriera più ha fatto decadere ogni possibile sospetto di imitazione e recupero pedissequo di un passato certo latente nella sua opera ma improponibile come ricalco.
Oggi la Cappuccio è arrivata a una concezione della forma articolata ma non annichilita nella sua essenza profonda, che reca dentro di sé una componente enigmatica che l’artista esalta e, anzi, vuole mettere nella massima evidenza al punto che continui sono i riferimenti, nella sua peculiare costruzione delle immagini, al gioco del Rebus in cui frammenti di parola si incastrano e si collegano per ricreare un insieme coerente e logico.
E, in effetti, Antonella, in una visione complessiva in parte profondamente religiosa in parte dipendente da un assoluto e razionalistico laicismo, stabilisce nel suo discorso pittorico regole e vincoli che non sono un limite alla sua creatività ma, all’opposto, sono un concreto veicolo di espressione, per cui l’atto del frammentare e scomporre le immagini è in definitiva rivolto all’esaltazione del vedere, che non è più quella del naturalismo spinto degli esordi ma una forma attenuata di verosimiglianza in cui si inseriscono echi disparati di iperrealismo, di metafisica, di oggettivismo rappresentativo, senza che si possa iscrivere il suo lavoro in nessuna di queste antiche categorie.
L’oceano della vita
di Carla Vangelista e Luca Di Fulvio
I sociologi hanno ormai sfornato la definizione per gli esseri umani di questa nostra società contemporanea: homo videns. La nascita del cinema e, soprattutto, lo sviluppo della televisione ci hanno trasformati in esseri che guardano – troppo spesso passivamente – immagini. Siamo una società che vive di immagini. E facciamo mestieri che si basano sull’immagine.
Ma allora che posto hanno i quadri, i figli di quelle prime immagini che i nostri antenati, appena si raddrizzarono in piedi, sentirono il bisogno di disegnare sulle pareti delle loro caverne?
Non ci azzardiamo a dare una soluzione assoluta, ma certo – guardando i quadri di Antonella Cappuccio – una risposta ci viene naturale. La pittura – il regno per eccellenza delle immagini – nei quadri di Antonella può permettersi lo straordinario lusso di immaginare l’inconscio, l’intimo, quel che c’è laggiù, oltre lo specchio rilucente in fondo a un pozzo. Può raccontarci chi siamo non attraverso aneddoti e particolarismi ma restituendoci un’unica, straordinaria psiche universale. È questo che fa Antonella: ci descrive tutti insieme, per quello che siamo e non per come appariamo esteriormente. Prende in considerazione la polpa che ci accomuna tutti e non la scorza che ci differenzia superficialmente.
La sua è una pittura libera che lascia liberi. Antonella sa dividere in quadrati il mondo che rappresenta, secondo una rigorosa geometria, e con la creatività dell’artista sa però poi far risaltare alcuni tasselli in particolare, per guidarci in un dedalo, in un cruciverba, in un puzzle, in un enigma che puntualmente racconta una storia ricca di emozioni pure. La storia dei sentimenti più arcaici, più primari. La storia di una commozione che non rimane persa e imprigionata in quel labirinto ma tracima dal pennello, dalla tela, dai materiali vivi che usa. E, come fossimo in riva all’oceano del nostro inconscio, della nostra vita, questa liquida, calda, amniotica emozione ci bagna prima i piedi e poi sale su, dolcemente, fino a impregnarci completamente. Fino a cambiarci. E a cambiare la percezione di noi stessi e del mondo che ci circonda.
È impossibile non parlare delle parole dipinte nei suoi quadri, che si fanno sonore e ci suggeriscono nell’orecchio musica e poesia, e non pedanti spiegazioni, lasciandoci meravigliosamente liberi di provare quell’emozione che cantano come se fosse nostra. È impossibile non parlare di quegli occhi, di quegli sguardi che non ci indagano ma ci invitano a essere indagati, che ci mostrano la strada per vedere quel che non è in vista. È impossibile non parlare delle bocche che dipinge Antonella, carnose, come appena baciate. Oppure nascoste da un gesto, da una mano, come a svelarci che quelle bocche hanno già detto le loro parole, o non vogliono – possono? – pronunciarne di nuove. È impossibile per noi non dire tutto dei quadri di Antonella.
Ma come si fa a raccontare un immenso, straordinario oceano? Forse semplicemente abbandonandosi alla corrente e alla risacca, in sintonia con le maree e al loro fluire, senza altro desiderio che lasciarsi cullare da quelle onde – a volte impetuose, a volte delicate – che Antonella sa evocare. Anzi, sa far sgorgare da noi stessi.
Nel cuore del labirinto
di Antonella Amendola
Qualche volta ci ho pensato. Di fronte agli squisiti indovinelli di Magritte mi sono chiesta perché tanto algida fosse la mia risposta. Dell'artista belga ho sempre colto l'arduo gioco intellettuale, apprezzato la provocazione tutta cerebrale, ma il cuore resta tiepido, mi manca il coinvolgimento, non sopporto le brillanti acrobazie dei grafici.
Al contrario, gli enigmi di Antonella Cappuccio mi parlano, rimescolano il mio io profondo, mi strappano una partecipazione anche emotiva perché dentro sento che c'è la vita. La vita tutta intera, mai repressa, mai addomesticata, mai ridotta a puro esercizio estetico. Gioie, dolori, ricordi, aspirazioni, sogni e anche illusioni, melanconie, addii. Antonella Cappuccio sancisce l'aurea dignità del biografico, nel senso che sono davvero materiali preziosi, sono luce, tracce d'oro e d'argento, sono fulvo bagliore di rame quei lacerti di storia privata che le sue mani sapienti accolgono, quasi santificano in una laica preghiera.
Antonella ha dalla sua questa fierezza, questo orgoglio di non voler esistere dimidiata, da una parte la donna, la madre, la moglie, dall'altra l'artista; lei non conosce alto e basso, non censura la propria femminile quotidianità. Docile, fiduciosa, si lascia vivere, si concede fino in fondo all'attimo fuggente, consapevole che nulla è troppo piccolo o insignificante nella grande tessitura dell'arte e anche una lacrima oscura che pareva superflua, da dimenticare in un fazzoletto, riaffiora nella trama dei suoi cruciverba, è forse l'indizio, la chiave magica per accendere nel cuore del labirinto.
Antonella tende la mano, invita: «Questi», sorride, «sono i nodi del mio sentire, sono i miei anni, i miei pensieri, forse ti ci ritrovi anche un po' tu. Prova, se vuoi. Comincia da dove ti pare. Sei libera di uscire quando vuoi...» È questo che mi attrae negli ultimi lavori della Cappuccio: la circolarità dei temi, la trasversalità dei materiali che s'intersecano senza preconcetti e barriere, la generosa liberalità degli interrogativi. Tutto è vita e tutto rimane impigliato nella sottile rete dell'arte. Una volta, ammirando una composizione di Antonella con un viso di donna trasognato, etereo, quasi un fantasma, che sortiva dalle concretissime maglie di un pull, mi sorpresi per l'accostamento e cominciai a coltivare l'idea che la mia amica fosse una specie di Aracne, una tessitrice che paziente, abile assoggetta ciò che è spurio e diverso nell'unicità del canone estetico.
Le sue ultime opere sono anche opere aperte perché percorribili in più sensi e catartiche perché esigono che chi guarda aderisca e deponga in un'ideale casella almeno uno scampolo del proprio vissuto.
Sono, ancora, opere in fieri, diaristiche perché l'artista non occulta nulla delle proprie scelte materiali, ma anzi mostra la propria felice manualità, il percorso col quale arriva a governare la trasmutazione di un materiale in un altro.
«Si fa così, ma può farsi anche diversamente, si può sublimare il negativo di una vecchia foto, ma anche raccattare la polvere sotto le scarpe», pare suggerire la Cappuccio, che, da vera, moderna alchimista nasconde la sua riflessione più segreta negli squarci di specchio e chiede di andare oltre la sensibile campitura degli enigmi.
Biografia
Antonella Cappuccio nasce ad Ischia e si trasferisce da bambina a Roma, con la famiglia. Intraprende giovanissima la carriera di costumista per il cinema, il teatro e la televisione e parallelamente comincia a dipingere, inaugurando le sue prime mostre nel ’75.
In oltre trent’anni di carriera Antonella Cappuccio ha prodotto opere per Istituzioni (Arma dei Carabinieri), per la Chiesa (molte sue opere sono in Vaticano), per lo Stato e per collezionisti d’arte internazionali. E’ membro dell’Accademia Pontificia ed è inoltre la ritrattista ufficiale di Papa Benedetto XVI. E’ madre di tre figli, moglie, nonna, pittrice, bambina.
Mostre Personali
1976 Galleria Sirio (Roma)
1980 Galleria Arteclub (Catania)
1981 Omaggio a Mantenga (Casa del mantenga, Mantova)
1982 Omaggio a Botticelli (Chiostro delle Oblate, Firenze)
1986 Musée d’Art Contemporain (Chamalièrs, Saint-Etienne)
1987 Sagrato del Duomo (Milano)
1988 Consolato Generale d’Italia (Lyon)
1990 Galleria Agorà (Palermo)
1991 Castello Aragonese (Ischia)
1995 Museo Italo-Americano (San Francisco)
1998 Amor del Sacro, Amor del Profano (Palazzo Ducale, Mantova)
1999 Accademia Nazionale di Costume (Roma)
2002 Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (Roma)
2004 Galleria d’Arte Moderna (Roma)
2006 Galleria Archimede (Roma)
2006 Palazzo Venezia (Roma)
Principali Opere Pubbliche
1997 Roma, Vetrate a mosaico del Comando Generale dei Carabinieri
Giugliano (NA), Abside della Chiesa di San Massimiliano Kolbe
1999 Roma, Chiesa di S. Caterina della Rota, dipinto su tela Le Sante Madri
2001 Giugliano (NA), Chiesa di San Massimiliano Kolbe, battistero
2002 Città del Vaticano, Sala Udienze Paolo VI, Polittico sulla vita di San Pietro
2003 San Giovanni Rotondo (FG), Mosaico di Padre Pio, realizzato con la fabbrica di San Pietro
2003 Roma, Marriot Hotel, grande teliere Roma Pagana, Roma Cristiana
Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipinti vari
2004 Roma, Nuova sede Avvocatura di Stato, L’Albero del Diritto
Ritrattistica
Carlo d’Inghilterra, Londra
Fiammetta Lemme, Roma
A. di Liscia, Buenos Aires
Katriona e Guy Munthe, Londra
Friederich Spiegelberg, San Francisco
Rollo May, New York
Cardinale L. Poggi, Biblioteca Vaticana
Claudio Naranjo, Barcellona
R. Wagner, Los Angeles
Mons. Paolo de Nicolò, Roma
05
dicembre 2006
Antonella Cappuccio
Dal 05 dicembre 2006 al 07 gennaio 2007
arte contemporanea
Location
PALAZZO VENEZIA
Roma, Via Del Plebiscito, 118, (Roma)
Roma, Via Del Plebiscito, 118, (Roma)
Vernissage
5 Dicembre 2006, ore 18.30
Autore
Curatore