Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Antonella Romano – Sacri(in)ficio
prima personale dell’artista Antonella Romano
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sabato 04 settembre 2010 dalle ore 18.00 alle 21.00 alla galleria Numen, arti contemporanee di Benevento si inaugurerà la prima personale dell’artista Antonella Romano dal titolo Sacri(in)ficio a cura della curatrice cosentina Loredana Barillaro.
Antonella Romano nata nel 1970 vive e lavora a Napoli. Nel 1993 si avvicina al teatro come attrice, sperimentando diversi linguaggi, passando dal Teatro di strada al Teatro tradizionale per approdare infine al Teatro contemporaneo. Tra le esperienze più significative si annoverano quelle con la compagnia catalana La Fura del Baus in “Simbiosis”; con Isa Danieli diretta da Cristina Pezzoli in “Filumena Marturano”; con Arturo Cirillo con cui lavora dal 2003 in diversi spettacoli ;nel 2005 vince il Primio Girulà come migliore attrice giovane per spettacolo “L’Ereditiera “ di Annibale Ruccello regia Arturo Cirillo. La sua ricerca attoriale la porta ad approfondire la consapevolezza e la forza dell’espressione corporea, attraverso studi di danza contemporanea ( Raffaella Giordano), di danza BUTO ( Masaki Iwana), ponendo sempre più attenzione all’essenzialità di un corpo in movimento nello spazio vuoto, fino a sentire la necessità di trascendere dal proprio corpo, utilizzando l’esperienza acquisita per plasmare la materia, rame e ferro, in forma scultorea. Dal 2008 collabora con la galleria Numen, arti contemporanee di Giuliana Ippolito.
IL TEMPO DELLA MATERIA
di Loredana Barillaro
Il lavoro di Antonella Romano sembra palesarsi immediatamente per una grande gestualità, all’interno di una ricerca in cui la sperimentazione degli strumenti diviene, simbioticamente, momento contemplativo e realizzazione dell’opera; l’idea si forma nella mente e in essa diviene sostanza, cresce fin quando non sarà matura per venire al mondo, senza passaggi intermedi e senza certezze su quale potrà, poi, essere il risultato finale. Un lavoro fatto di pazienza, di calma e di manualità; il gesto di intrecciare i fili di metallo, quasi a tessere preziose trame ha il sapore di altri tempi.
Ed ecco che l’artista si riappropria del proprio tempo, della durata dell’azione che non si discosta dalla durata del pensiero, la quale poi altro non è che la durata del corpo, della materia e della natura. Non è pertanto lo spazio, ma forse un ritmo ad accompagnarne il lavoro.
Quelli di Antonella Romano sono lavori “abitabili”, in cui sembra quasi poter transitare e in cui la luce gioca un ruolo fondamentale, divenendo elemento tangibile nella costruzione dell’opera, attraverso le trame di una maglia o passando tra le fessure di una finestra. Le installazioni di Antonella Romano tracciano, ognuna, la propria esistenza di opera d’arte rimanendo comunque – e seppur in una acquisita autonomia – quasi un’appendice dell’artista, in uno spazio che viene ridefinito nella sua interezza mediante il mirabile controllo delle proporzioni ed in cui la materia acquisisce la teatralità necessaria alla sua messa in opera, all’interno di un processo creativo in cui ogni cosa - luce, segno, forma - ne è parte.
Nessuna regola alla base, dunque, nessuna costrizione fatta di schemi, solo l’immagine mentale che, lungi dal definirsi concetto o momento prestabilito, nasce come apertura verso l’esterno. Elemento visivo costantemente recepito e stimolato, esso traccia un percorso e ne diviene linea guida. La scelta dei materiali, il metallo o la pietra, sembra pertanto collocare l’artista in un tempo trascorso, in cui il gesto, la mano e la fatica definivano, e definiscono, un rapporto con la materia che si fa intenso, mentale e carnale, ed in cui il tangibile e l’intangibile divengono, semplicemente, le due anime di uno stesso corpo. …La mia esperienza con il metallo, con la sua forza e sua la sua energia che mi attraversano, il rischio che corro ogni volta che lo lavoro, che lo trasporto, che lo vivo… la sensibilità che gli restituisco nel dargli una vita diversa. L’atto di intrecciare, di tessere, mi riporta ad un tempo lontano, in cui il ferro è il mio filo, e lo strumento per tessere, le mie mani…(A.Romano)
SACRI(IN)FICIO
di Loredana Barillaro
L’installazione di Antonella Romano presenta un dualismo in cui il dato negativo si veste di sembianze positive, l’opera si fa contenitore di un messaggio che nulla ha di armonioso. Un titolo, che solo, richiama alla mente il dolore insito nella parola sacrificio. Un profondo senso di disfatta, è il segno che qualcosa non va, un equilibrio che si è rotto, quello stato della natura in cui ogni cosa trova posto.
Ma, per molti, non sembra esserci più alcun posto, uomini donne e bambini sembrano paradossalmente non avere diritto ad un’esistenza, ed ecco allora che su quelle lamiere è impresso forse il loro sudore, le tracce del loro sangue. Gli indumenti ammassati ne rendono tangibile il dolore, ogni straccio ha perso la sua dignità, non copre più nulla, nessuna parte, di nessun corpo. Non raccontano più alcuna storia.
Un messaggio di grande attualità che si connota come momento di ribellione dell’artista, ma che diventa bisogno di negazione collettiva. Ella ci mostra il dopo, il momento in cui qualcosa di terribile è già accaduto o che forse deve ancora compiersi da qualche parte nel mondo. Un lavoro che diviene testimone di un sogno, una speranza, un grido di aiuto soffocato e anonimo che solo lo spettatore può decidere di udire e recepire. Ogni elemento trova la sua collocazione nello spazio, ogni cosa è simbolo che conduce ad un’esperienza, quella della natura, e ne racconta la ribellione all’interno di un circuito in cui l’uomo è al contempo vittima e carnefice di se stesso, un teorema, una linea che parte da un punto e ad esso si ricongiunge. Un lavoro duro, faticoso, a creare un’apparenza per nulla drammatica; come le due facce di una stessa medaglia, i tre lavori che compongono unitariamente l’installazione appaiono come uno spettacolo felice, ma dai risvolti drammatici subito dietro l’angolo, quasi un brusco risveglio a riportarci ad una terribile attualità.
Forse tutto è una scommessa: il fiore, simbolo per eccellenza della natura, nella sua semplicità viene qui triplicato a formare il nucleo perfetto, la famiglia, l’unione fra due esseri porta il suo frutto il quale si apre però, ad una condizione innaturale, restituita nella sua deformità dall’immagine nello specchio. E allora, potrà un prato capovolto crescere e vivere, o il suo collocarsi in una dimensione che non gli è propria ne segna certamente la fine? Il viaggio intrapreso da un’umanità disperata avrà un approdo? L’anima, intesa qui nella sua globalità, dà vita ad una lotta con se stessa, un corpo a corpo che, solo metaforicamente, può alimentarsi, poiché costretta ad una vita non sua.
Un lavoro che diviene, forse, prova di un più ampio fenomeno di spettacolarizzazione e umiliazione della natura, la quale perde, gradatamente ma inesorabilmente, il suo equilibrio.
Un work in progress, dunque, un patto malato fra l’uomo e la natura, il cui tempo non si esaurisce, ma il cui spazio diviene, invece, gabbia e contenitore oltre cui probabilmente non poter andare, un’opera che sembra voler trasmettere uno stato d’animo – il senso di sconfitta misto a speranza - così tipico della società contemporanea.
Antonella Romano nata nel 1970 vive e lavora a Napoli. Nel 1993 si avvicina al teatro come attrice, sperimentando diversi linguaggi, passando dal Teatro di strada al Teatro tradizionale per approdare infine al Teatro contemporaneo. Tra le esperienze più significative si annoverano quelle con la compagnia catalana La Fura del Baus in “Simbiosis”; con Isa Danieli diretta da Cristina Pezzoli in “Filumena Marturano”; con Arturo Cirillo con cui lavora dal 2003 in diversi spettacoli ;nel 2005 vince il Primio Girulà come migliore attrice giovane per spettacolo “L’Ereditiera “ di Annibale Ruccello regia Arturo Cirillo. La sua ricerca attoriale la porta ad approfondire la consapevolezza e la forza dell’espressione corporea, attraverso studi di danza contemporanea ( Raffaella Giordano), di danza BUTO ( Masaki Iwana), ponendo sempre più attenzione all’essenzialità di un corpo in movimento nello spazio vuoto, fino a sentire la necessità di trascendere dal proprio corpo, utilizzando l’esperienza acquisita per plasmare la materia, rame e ferro, in forma scultorea. Dal 2008 collabora con la galleria Numen, arti contemporanee di Giuliana Ippolito.
IL TEMPO DELLA MATERIA
di Loredana Barillaro
Il lavoro di Antonella Romano sembra palesarsi immediatamente per una grande gestualità, all’interno di una ricerca in cui la sperimentazione degli strumenti diviene, simbioticamente, momento contemplativo e realizzazione dell’opera; l’idea si forma nella mente e in essa diviene sostanza, cresce fin quando non sarà matura per venire al mondo, senza passaggi intermedi e senza certezze su quale potrà, poi, essere il risultato finale. Un lavoro fatto di pazienza, di calma e di manualità; il gesto di intrecciare i fili di metallo, quasi a tessere preziose trame ha il sapore di altri tempi.
Ed ecco che l’artista si riappropria del proprio tempo, della durata dell’azione che non si discosta dalla durata del pensiero, la quale poi altro non è che la durata del corpo, della materia e della natura. Non è pertanto lo spazio, ma forse un ritmo ad accompagnarne il lavoro.
Quelli di Antonella Romano sono lavori “abitabili”, in cui sembra quasi poter transitare e in cui la luce gioca un ruolo fondamentale, divenendo elemento tangibile nella costruzione dell’opera, attraverso le trame di una maglia o passando tra le fessure di una finestra. Le installazioni di Antonella Romano tracciano, ognuna, la propria esistenza di opera d’arte rimanendo comunque – e seppur in una acquisita autonomia – quasi un’appendice dell’artista, in uno spazio che viene ridefinito nella sua interezza mediante il mirabile controllo delle proporzioni ed in cui la materia acquisisce la teatralità necessaria alla sua messa in opera, all’interno di un processo creativo in cui ogni cosa - luce, segno, forma - ne è parte.
Nessuna regola alla base, dunque, nessuna costrizione fatta di schemi, solo l’immagine mentale che, lungi dal definirsi concetto o momento prestabilito, nasce come apertura verso l’esterno. Elemento visivo costantemente recepito e stimolato, esso traccia un percorso e ne diviene linea guida. La scelta dei materiali, il metallo o la pietra, sembra pertanto collocare l’artista in un tempo trascorso, in cui il gesto, la mano e la fatica definivano, e definiscono, un rapporto con la materia che si fa intenso, mentale e carnale, ed in cui il tangibile e l’intangibile divengono, semplicemente, le due anime di uno stesso corpo. …La mia esperienza con il metallo, con la sua forza e sua la sua energia che mi attraversano, il rischio che corro ogni volta che lo lavoro, che lo trasporto, che lo vivo… la sensibilità che gli restituisco nel dargli una vita diversa. L’atto di intrecciare, di tessere, mi riporta ad un tempo lontano, in cui il ferro è il mio filo, e lo strumento per tessere, le mie mani…(A.Romano)
SACRI(IN)FICIO
di Loredana Barillaro
L’installazione di Antonella Romano presenta un dualismo in cui il dato negativo si veste di sembianze positive, l’opera si fa contenitore di un messaggio che nulla ha di armonioso. Un titolo, che solo, richiama alla mente il dolore insito nella parola sacrificio. Un profondo senso di disfatta, è il segno che qualcosa non va, un equilibrio che si è rotto, quello stato della natura in cui ogni cosa trova posto.
Ma, per molti, non sembra esserci più alcun posto, uomini donne e bambini sembrano paradossalmente non avere diritto ad un’esistenza, ed ecco allora che su quelle lamiere è impresso forse il loro sudore, le tracce del loro sangue. Gli indumenti ammassati ne rendono tangibile il dolore, ogni straccio ha perso la sua dignità, non copre più nulla, nessuna parte, di nessun corpo. Non raccontano più alcuna storia.
Un messaggio di grande attualità che si connota come momento di ribellione dell’artista, ma che diventa bisogno di negazione collettiva. Ella ci mostra il dopo, il momento in cui qualcosa di terribile è già accaduto o che forse deve ancora compiersi da qualche parte nel mondo. Un lavoro che diviene testimone di un sogno, una speranza, un grido di aiuto soffocato e anonimo che solo lo spettatore può decidere di udire e recepire. Ogni elemento trova la sua collocazione nello spazio, ogni cosa è simbolo che conduce ad un’esperienza, quella della natura, e ne racconta la ribellione all’interno di un circuito in cui l’uomo è al contempo vittima e carnefice di se stesso, un teorema, una linea che parte da un punto e ad esso si ricongiunge. Un lavoro duro, faticoso, a creare un’apparenza per nulla drammatica; come le due facce di una stessa medaglia, i tre lavori che compongono unitariamente l’installazione appaiono come uno spettacolo felice, ma dai risvolti drammatici subito dietro l’angolo, quasi un brusco risveglio a riportarci ad una terribile attualità.
Forse tutto è una scommessa: il fiore, simbolo per eccellenza della natura, nella sua semplicità viene qui triplicato a formare il nucleo perfetto, la famiglia, l’unione fra due esseri porta il suo frutto il quale si apre però, ad una condizione innaturale, restituita nella sua deformità dall’immagine nello specchio. E allora, potrà un prato capovolto crescere e vivere, o il suo collocarsi in una dimensione che non gli è propria ne segna certamente la fine? Il viaggio intrapreso da un’umanità disperata avrà un approdo? L’anima, intesa qui nella sua globalità, dà vita ad una lotta con se stessa, un corpo a corpo che, solo metaforicamente, può alimentarsi, poiché costretta ad una vita non sua.
Un lavoro che diviene, forse, prova di un più ampio fenomeno di spettacolarizzazione e umiliazione della natura, la quale perde, gradatamente ma inesorabilmente, il suo equilibrio.
Un work in progress, dunque, un patto malato fra l’uomo e la natura, il cui tempo non si esaurisce, ma il cui spazio diviene, invece, gabbia e contenitore oltre cui probabilmente non poter andare, un’opera che sembra voler trasmettere uno stato d’animo – il senso di sconfitta misto a speranza - così tipico della società contemporanea.
04
settembre 2010
Antonella Romano – Sacri(in)ficio
Dal 04 settembre al 30 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
NUMEN ART GALLERY
Benevento, Vico Noce, 20-22, 33 , (Benevento)
Benevento, Vico Noce, 20-22, 33 , (Benevento)
Orario di apertura
dal martedì al giovedì dalle ore 10.00 alle 13.00 ed il venerdì e sabato dalle 17.00 alle 20.00 e su appuntamento
Vernissage
4 Settembre 2010, ore 18-21
Autore
Curatore