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Antonio Bardino – Mutevoli transiti
Sarà esposta una selezione dei lavori pittorici realizzati nel corso degli ultimi anni dove vengono riproposte immagini di luoghi assai diversi tra loro ma aventi una chiave unica di lettura
Comunicato stampa
Segnala l'evento
MUTEVOLI TRANSITI
Per capire questa mostra occorre partire dalla fine, dal punto di
arrivo, almeno a questa data, del percorso di Antonio Bardino,
pittore colto e rigoroso, perfettamente immerso nella
contemporaneità che osserva, indaga e che ispira la sua poetica.
A dominare il dibattito del presente è senza dubbio il tema
vischioso e scottante dell’ambiente che, detto in altri termini e in una
dimensione più vasta, investe il rapporto tra l’uomo e la natura.
Tema eterno e universale, viene affrontato da Antonio Bardino
nell’accezione più seducente e appassionante che Gilles Clement ha
chiamato “ terzo paesaggio”. Quel paesaggio che crea la natura
quando si espande selvatica e innocente in “giardini involontari”,
quelli che si incontrano ai bordi delle strade, nelle zone incolte, nei
terreni abbandonati dove proliferano piante migratorie, convivono
specie diverse, germogliano infiorescenze inaspettate. Metafora di
una società aperta e inclusiva, il giardino è “terreno privilegiato dei
cambiamenti permanenti”, (Clement), luogo ideale di metamorfosi,
passaggio obbligato della vita in trasformazione, spazio accogliente
di mutevoli transiti. Tra quelle piante pioniere, dentro quel ciclo
dove si rigenera l’eterno ritorno del tutto, Antonio Bardino invita a
entrare, a camminare “senza cercare di sapere dove si mettono i
piedi”, a pensare il tempo presente in una foresta di erbe vagabonde
e imperfette. Prendono vita così, nella raffinata maniera pittorica
dell’artista, visioni luminose di verdi accecanti, di variazioni
cromatiche modulate come una sinfonia seduttiva proiettata in fughe
infinite. Fino quasi a sconfinare nell’astrazione. L’arte sopperisce
alla realtà. L’arte crea ciò che la realtà solitamente nega o rifiuta,
ignora e disprezza: le “malerbe” che infestano zolle periferiche e si
moltiplicano incontrollate e incolte trovano qui dignità di esistenza,
rivelazione di identità. Bardino fa ancora di più: le trasporta in interni
colonizzati da piante succulente e primigenie dove la pittura
magnifica le architetture vegetali e non contempla la presenza
umana. Diventata non necessaria. Non significativa. A questo punto
è chiaro l’intento: se la natura si riprende il ruolo che le spetta, è
innegabile che stiamo assistendo alla fine dell’antropocentrismo. O
almeno, come dichiara la filosofia stessa, alla sua messa in
discussione. Queste geometrie arboree in felice espansione, come
dichiarano le opere di Antonio Bardino, invadono lo spazio
disponibile, spingono in ogni direzione, oscillano mosse dal vento,
inondate di luce, in illimitata moltiplicazione vitale. Un rinascimento
della natura, dunque, che esautora l’intervento umano perché, a
differenza di qust’ultimo, non crea gerarchie e abusi di potere ma si
diffonde come spazio di libertà, espressione di un ordine biologico
superiore a quello artificioso e autoritario dei sistemi sociali.
Nascono così i “Paesaggi laterali” come emozionanti sinestesie dove
i sensi si esaltano e si sollecitano in un rinnovato romanticismo della
percezione.
Punto di arrivo, dicevamo, della ricerca di Bardino che da anni
conduce un’accurata e lucida analisi sulle trasformazioni del
paesaggio. Osservato, anni addietro, nella versione postmoderna di
asettici e raggelanti spazi di passaggio per anonimi e invisibili
viaggiatori in transito verso luoghi sconosciuti. Immobili e superbi
nelle loro strutture frigide e anaffettive, i luoghi di Antonio Bardino
appaiono come contenitori a cui è stata sottratta la vita, dove il vuoto
e il silenzio si impadroniscono delle forme e le rendono simili a una
aggiornata condizione metafisica.
Se in quei lavori dei primi decenni del 2000 l’artista ingaggiava
una sfida con la fotografia di interni (per dichiarare modi e esiti
differenti dei due medium ) ora, al contrario, nel dar forma alla
visione della natura in movimento si affida alla memoria e alla
visionarietà di paesaggi visti e sognati, attraversati e immaginati.
Tra i due versanti di questa mostra si insinua un filo ideale che
lega insieme due storie di una stessa storia. Adottato il punto di vista
del giardino inaspettato e selvatico Bardino si volta a guardare il suo
recente passato e scopre che il suo è un viaggio non programmato
ma necessario nello spazio vitale della contemporaneità. Dagli
interni agli esterni, dal vuoto al troppo pieno, dai non-luoghi ai
paesaggi dell’anima, dalla straniante visione degli air terminals
soffocanti nonostante l’ampiezza e le dimensioni, alle prospettive
luminose di mappe arboree vicine e rassicuranti. Il tempo nuovo è
quello stabilito dai ritmi dei processi naturali. Così l’artista sente la
responsabilità di un’arte che parli al presente, chiamato a
interrogarsi sul rapporto tra cultura e natura. E allora, se nelle
scenografiche rappresentazioni di interni svuotati e impaginati come
sontuose nature morte Bardino si misurava con un mimetismo fuori
misura per approfondire la sua visione personale della pittura, qui,
tra le piante corsare e indipendenti sottende un messaggio al
confine tra politica e cultura del sociale.
La seconda parte inizia dove finisce la prima.
Mariolina Cosseddu
Per capire questa mostra occorre partire dalla fine, dal punto di
arrivo, almeno a questa data, del percorso di Antonio Bardino,
pittore colto e rigoroso, perfettamente immerso nella
contemporaneità che osserva, indaga e che ispira la sua poetica.
A dominare il dibattito del presente è senza dubbio il tema
vischioso e scottante dell’ambiente che, detto in altri termini e in una
dimensione più vasta, investe il rapporto tra l’uomo e la natura.
Tema eterno e universale, viene affrontato da Antonio Bardino
nell’accezione più seducente e appassionante che Gilles Clement ha
chiamato “ terzo paesaggio”. Quel paesaggio che crea la natura
quando si espande selvatica e innocente in “giardini involontari”,
quelli che si incontrano ai bordi delle strade, nelle zone incolte, nei
terreni abbandonati dove proliferano piante migratorie, convivono
specie diverse, germogliano infiorescenze inaspettate. Metafora di
una società aperta e inclusiva, il giardino è “terreno privilegiato dei
cambiamenti permanenti”, (Clement), luogo ideale di metamorfosi,
passaggio obbligato della vita in trasformazione, spazio accogliente
di mutevoli transiti. Tra quelle piante pioniere, dentro quel ciclo
dove si rigenera l’eterno ritorno del tutto, Antonio Bardino invita a
entrare, a camminare “senza cercare di sapere dove si mettono i
piedi”, a pensare il tempo presente in una foresta di erbe vagabonde
e imperfette. Prendono vita così, nella raffinata maniera pittorica
dell’artista, visioni luminose di verdi accecanti, di variazioni
cromatiche modulate come una sinfonia seduttiva proiettata in fughe
infinite. Fino quasi a sconfinare nell’astrazione. L’arte sopperisce
alla realtà. L’arte crea ciò che la realtà solitamente nega o rifiuta,
ignora e disprezza: le “malerbe” che infestano zolle periferiche e si
moltiplicano incontrollate e incolte trovano qui dignità di esistenza,
rivelazione di identità. Bardino fa ancora di più: le trasporta in interni
colonizzati da piante succulente e primigenie dove la pittura
magnifica le architetture vegetali e non contempla la presenza
umana. Diventata non necessaria. Non significativa. A questo punto
è chiaro l’intento: se la natura si riprende il ruolo che le spetta, è
innegabile che stiamo assistendo alla fine dell’antropocentrismo. O
almeno, come dichiara la filosofia stessa, alla sua messa in
discussione. Queste geometrie arboree in felice espansione, come
dichiarano le opere di Antonio Bardino, invadono lo spazio
disponibile, spingono in ogni direzione, oscillano mosse dal vento,
inondate di luce, in illimitata moltiplicazione vitale. Un rinascimento
della natura, dunque, che esautora l’intervento umano perché, a
differenza di qust’ultimo, non crea gerarchie e abusi di potere ma si
diffonde come spazio di libertà, espressione di un ordine biologico
superiore a quello artificioso e autoritario dei sistemi sociali.
Nascono così i “Paesaggi laterali” come emozionanti sinestesie dove
i sensi si esaltano e si sollecitano in un rinnovato romanticismo della
percezione.
Punto di arrivo, dicevamo, della ricerca di Bardino che da anni
conduce un’accurata e lucida analisi sulle trasformazioni del
paesaggio. Osservato, anni addietro, nella versione postmoderna di
asettici e raggelanti spazi di passaggio per anonimi e invisibili
viaggiatori in transito verso luoghi sconosciuti. Immobili e superbi
nelle loro strutture frigide e anaffettive, i luoghi di Antonio Bardino
appaiono come contenitori a cui è stata sottratta la vita, dove il vuoto
e il silenzio si impadroniscono delle forme e le rendono simili a una
aggiornata condizione metafisica.
Se in quei lavori dei primi decenni del 2000 l’artista ingaggiava
una sfida con la fotografia di interni (per dichiarare modi e esiti
differenti dei due medium ) ora, al contrario, nel dar forma alla
visione della natura in movimento si affida alla memoria e alla
visionarietà di paesaggi visti e sognati, attraversati e immaginati.
Tra i due versanti di questa mostra si insinua un filo ideale che
lega insieme due storie di una stessa storia. Adottato il punto di vista
del giardino inaspettato e selvatico Bardino si volta a guardare il suo
recente passato e scopre che il suo è un viaggio non programmato
ma necessario nello spazio vitale della contemporaneità. Dagli
interni agli esterni, dal vuoto al troppo pieno, dai non-luoghi ai
paesaggi dell’anima, dalla straniante visione degli air terminals
soffocanti nonostante l’ampiezza e le dimensioni, alle prospettive
luminose di mappe arboree vicine e rassicuranti. Il tempo nuovo è
quello stabilito dai ritmi dei processi naturali. Così l’artista sente la
responsabilità di un’arte che parli al presente, chiamato a
interrogarsi sul rapporto tra cultura e natura. E allora, se nelle
scenografiche rappresentazioni di interni svuotati e impaginati come
sontuose nature morte Bardino si misurava con un mimetismo fuori
misura per approfondire la sua visione personale della pittura, qui,
tra le piante corsare e indipendenti sottende un messaggio al
confine tra politica e cultura del sociale.
La seconda parte inizia dove finisce la prima.
Mariolina Cosseddu
20
settembre 2019
Antonio Bardino – Mutevoli transiti
Dal 20 settembre al 10 ottobre 2019
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE PER L’ARTE BARTOLI FELTER
Cagliari, Via XXIX Novembre 1847, 3, (Cagliari)
Cagliari, Via XXIX Novembre 1847, 3, (Cagliari)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì
dalle ore 17 alle 20, festivi esclusi
Vernissage
20 Settembre 2019, ore 18.30
Autore
Curatore