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Antonio Caranti – Terra Mater Est. Fragmentum
Con una coraggiosa capacità di riconoscersi e di farsi riconoscere nel caos della realtà contemporanea, dal suo valoroso presidio-atelier di Massa Lombarda, Caranti manda messaggi di denuncia delle contraddizioni del sistema, ma anche inattesi segnali di speranza
Comunicato stampa
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Dal 17 al 29 marzo 2018 la Galleria Arianna Sartori di Mantova nella sede di Via Cappello 17, ospiterà la mostra “Terra Mater Est - fragmentum” dell’artista Antonio Caranti.
L’inaugurazione della mostra si svolgerà Sabato 17 marzo alle ore 17.00 alla presenza dell’artista e con intervento critico di Paolo Trioschi.
“TERRA MATER EST - fragmentum” è un estratto della mostra “TERRA MATER EST” di Antonio Caranti che si è svolta lo scorso anno nelle Sale Espositive della Confcommercio-Ascom di Lugo di Romagna.
“È molto faticoso seguire le vicende del nostro mondo. Non tanto per una sua lettura, spesso ingannevole ed oscura, quanto perchè i suoi protagonisti hanno oggi una fisionomia fortemente incerta, sfuggente. Non si capisce bene che uomini e donne siamo, cosa pensiamo, cosa vogliamo davvero; che idea abbiamo del mondo in cui viviamo, né del nostro presente e, scommessa vertiginosa, del nostro futuro. Antonio Caranti, armato della sua naturale sensibilità umana, sa bene che “chi non ha storia non ha sconfitte” e quindi non aggiunge inutili scontri, non ha guerre personali all’orizzonte, non pretende di catturare colpevoli; ma piutto-sto e questo sì, cerca chiarezze. Va in cerca di chiavi di lettura. E lo fa innanzitutto aiutandosi con gli stru-menti che tenacemente utilizza da trent’anni di vita d’arte: pennelli, colori ad olio, vetri, ceramica, tele e legni dimenticati. Si guarda intorno, si ascolta dentro, osserva, respira e infine cerca di raccogliere i fili della sua ri-cerca. Da questi pensieri prende vita “Terra mater est”, è il suo più recente lavoro tematico, sospeso tra pit-tura ed installazione, dedicato in particolare al rapporto dell’uomo con la natura e “all’evidente stato di diffi-coltà”. Come sensi vivi o di morte apparente, i suoi fiori doloranti, le sue le piante dipinte rinchiuse e impri-gionate; richiamano un dolore inafferrabile, vago, destrutturato; come a volerci portare di fronte a quella di-strazione colpevole che nutriamo verso di loro. Dalle più semplici mancanze di senso di responsabilità, la sua riflessione concettuale sul rapporto tra uomo e ambiente, contiene in sé moltissimi temi. “Viviamo in mezzo a lei, le siamo stranieri” scriveva Goethe a proposito della natura. L’attribuzione di contenuti etici è attività esclusivamente umana, frutto della nostra consapevolezza e della capacità di riflettere sui fenomeni. Cosa che, pur con tutti i suoi dilemmi e i suoi drammi, soltanto la nostra specie è riuscita a raggiungere. Nel rap-porto con la natura, l’uomo si guarda, si specchia e capisce se stesso: i suoi errori, i suoi limiti, le sue stesse origini. Antonio ormai sa che qualsiasi cosa in questo mondo complesso può risultare vera, tremenda, assur-da, persino catastrofica o addirittura considerata inevitabile. La sua arte invece, connaturata di un solido equilibrio tecnico, non chiede mai d’essere solo cibo per gli occhi e tregua per la mente, ma testimonia una continua, sottile, instancabile ricerca. Avanzare piano piano tra le feritoie dimenticate sul terreno. La sua azione pittorica è dentro la più autentica scelta della sua vita, è un continuo e progressivo scavare interiore; ieri nel racconto della figurazione ed oggi vertiginosamente dentro la stessa materia del sensibile. Che esat-tamente come noi, si presenta apparentemente solida, ma in realtà è assai fragile; tanto che può bastare un soffio di vento a spezzarla, a spazzare via per sempre le sue foglie delicate. Con una coraggiosa capacità di riconoscersi e di farsi riconoscere nel caos della realtà contemporanea, dal suo valoroso presidio-atelier di Massa Lombarda, Caranti manda messaggi di denuncia delle contraddizioni del sistema, ma anche inattesi segnali di speranza. Dobbiamo fidarci di essa, altrimenti al suo posto avremmo muri di apparenza e indiffe-renza. Il suo colore non mente. Preziose e squillanti pennellate ci parlano in maniera inequivocabile; ci co-municano relazioni che riguardano noi e l’universo stesso di cui facciamo parte. Forse, ci sono tempo ed energia per seminare ancora, per tornare a farci scuotere da altre armonie (e la recente paternità, con l’arrivo di Rebecca è un impulso meraviglioso!) per ampliare la nostra visione e il nostro sentire.
La speranza ha il potere di generare speranza. La vita, come la terra che sostiene la vegetazione, possiede la capacità di trasformarsi, di trasformare anche il dolore e come il vento che attraversa spazi liberi, può sradi-care ostacoli e impensabili difficoltà. Del resto, per nostra fortuna, è proprio la stessa natura che ci ha messo al mondo e ci ha regalato la vita”.
Paolo Trioschi
“Se il naturalismo letterario della seconda metà dell’Ottocento intendeva soverchiare quel romanticismo dive-nuto astratto, immaginario e spirituale della prima metà del XIX secolo, in pittura le regole riconducibili ad un naturalismo scientifico, oltremodo rappresentabile e rappresentato con simboli non più classici della figurazio-ne tradizionale, le ritroviamo sempre più diffuse e ricorrenti verso la fine del ‘800; figure che danno espressione ad un momento di rottura delle forme in uso ad una figurazione stucchevole e di maniera a cui la pittura stessa si era ammaestrata da secoli. Da lì le mille influenze che hanno aperto spazi e origine a quel concetto rivoluzio-nario di dare vita e corpo all’immagine informale che in arte, in pochi anni, si è andata rapidamente ad afferma-re dominando poi su tutta l’epoca contemporanea. L’artista così, sconquassate le regole del gioco, e scoprendo un percorso di maggiore intimità con la tela e con il mondo incombente lì, fuori, contestuale e quotidiano, si è posto da allora non più come un riproduttore passivo di realtà immobili e plastiche bensì si è impadronito in maniera piena ed irrinunciabile del proprio ruolo di studioso e traduttore - mediando con forme ed immagini - delle frequenze impalpabili e potenti del contesto. “Race, milieu, moment”, sintetizzava Hippolyte Taine, ce-lando nella sintesi di tre parole un mondo ed una rivoluzione di pensiero positivista tutto nuovo, diverso, tutto da considerare. Eccoci al punto. La pittura di Antonio Caranti, tessitore abile di trame geometriche e cromati-che che “tingono” la figura e la proiettano in una dimensione ora informale ora espressionista, lega proprio queste dimensioni. Protagonista di un messaggio intimo ed incisivo, che si accosta a quel naturalismo letterario dei più grandi scrittori della seconda metà dell’Ottocento, Caranti assume il ruolo di far vivere e convivere gli elementi tanto cari non solo al Celli di cui al Manifesto “Arte e Natura” e di quel “Dio bifronte che noi siamo chiamati oggi a riscoprire in tutta la sua interezza”, ma a quelle forme espressive fatte di una figurazione poten-te e talvolta drammatica che rispecchia la natura e quindi l’uomo, le origini, le evoluzioni e le condizioni antro-pologiche e sociali elaborate in maniera nuova e convulsiva. Con Antonio Caranti ci immergiamo in una pittura che nasce dal pensiero di un uomo che vive l’arte per scelta di vita, che traguarda costantemente il mondo da una prospettiva di luce e energia che non può prescindere dalla sua esigenza di produrre arte per bisogno. Un’arte, quella di Caranti, che si sofferma sui contenuti del mondo che ci circonda, al significato della natura, alle espressioni caratteriali dell’uomo, alla sua storia, attraverso un linguaggio ora formale ora informale, con costanti richiami al simbolismo e all’iconicità delle forme e delle figure. Il tutto, poi, e negli ultimi lavori spesso, in un mix di monocromie e di linee verticali a voler simboleggiare talvolta il supporto pentagrammatico su cui l’artista scandisce le proprie impressioni o le proprie illusioni; in altre, invece, immersioni di genere, cioè in un magma bidimensionale di forme e di segni che, coabitando spesso a forza ma comunque in un efficace equili-brio di sintesi, ci fa vivere efficacemente le sensazioni del tema prescelto, un tema che nasce dall’esigenza di raccontare quel che la vita è, e, con essa, la natura, ed entrambe nelle loro più realistiche verità: nude, crude, ri-spetto alla fonte e alla specie del soggetto. Una pittura, quella di Caranti, senza veli, spesso tragica e inquietante, talvolta addirittura ironica e grassa, espressa sempre con vivi e definiti colori che non lasciano dubbi al linguag-gio prescelto; colori che denotano certezza e chiarezza nel racconto, nessun ripensamento o titubanze. Così come nel segno, nelle linee, nelle verticalizzazioni: determinate, forti, siano esse isolate, originate dalle - o con-testualizzate nelle – figurazioni e simboli scelti a racconto. Un simbolismo, poi, ora orripilante e tetro, ora irri-verente e arrogante, ora goliardico o umoristico, talvolta lacrimoso o tragico comunque mai banale, mai buttato la per caso, e “spaccato” spesso da un gesto adrenalinico lineare e chiaro, virile e coraggioso nella sua essenza estetica. Insomma un artista Antonio Caranti che, nel più vero senso della parola, “graffia” sia sulla tela che nello spettatore, e da cui - per dirla nel suo linguaggio forte e simbolicamente di sintesi - difficilmente si passa indenni”.
Vittorio Spampinato
Ca’ la Ghironda – Modern Art Museum
Antonio Caranti nasce a Lugo il 28 Gennaio 1971.
Vive e lavora a Massa Lombarda. Frequenta la scuola Arti e Mestieri “Umberto Folli” di MassaLombarda, i suoi insegnanti sono Giuseppina Zardi e Luigi Valgimigli. Nel frattempo frequenta l’Istituto d’Arte per la Ceramica G.Ballardini di Faenza, specializzandosinei rivestimenti ceramici di interni ed esterni. Sin dagli esordi è pittore, ceramista, scultore. Il filo della ricerca artistica si basa soprattuto sul uomo e la natura e sulle visione notturne e giornaliere che lo circondano. Dai forti accenti espressionistici, in gran parte dei suoi lavori è presente un’ironia potente e dissacrante che avvolge la figurazione nei suoi tratti surreali fino a spingersi oltre,verso un altro mon-do, dove prendono vita maschere ed icone della nostra contemporaneità, mostruose a volte, altre volte, brutal-mente tenere. La sua riflessione di artista tocca territori che dall’informale slittano verso un espressionismo di sapore tedesco fino ad arrivare ad un surrealismo cosmico. In gran parte dei suoi lavori utilizza materiali riciclati. Dal 2006 realizza le prime scenografie per gli spettacoli di danza di Barbara Zanoni ed apre in collaborazione con Roberto Morini lo STUDIO ARTECONTEMPORANEA SanVitale41.
L’inaugurazione della mostra si svolgerà Sabato 17 marzo alle ore 17.00 alla presenza dell’artista e con intervento critico di Paolo Trioschi.
“TERRA MATER EST - fragmentum” è un estratto della mostra “TERRA MATER EST” di Antonio Caranti che si è svolta lo scorso anno nelle Sale Espositive della Confcommercio-Ascom di Lugo di Romagna.
“È molto faticoso seguire le vicende del nostro mondo. Non tanto per una sua lettura, spesso ingannevole ed oscura, quanto perchè i suoi protagonisti hanno oggi una fisionomia fortemente incerta, sfuggente. Non si capisce bene che uomini e donne siamo, cosa pensiamo, cosa vogliamo davvero; che idea abbiamo del mondo in cui viviamo, né del nostro presente e, scommessa vertiginosa, del nostro futuro. Antonio Caranti, armato della sua naturale sensibilità umana, sa bene che “chi non ha storia non ha sconfitte” e quindi non aggiunge inutili scontri, non ha guerre personali all’orizzonte, non pretende di catturare colpevoli; ma piutto-sto e questo sì, cerca chiarezze. Va in cerca di chiavi di lettura. E lo fa innanzitutto aiutandosi con gli stru-menti che tenacemente utilizza da trent’anni di vita d’arte: pennelli, colori ad olio, vetri, ceramica, tele e legni dimenticati. Si guarda intorno, si ascolta dentro, osserva, respira e infine cerca di raccogliere i fili della sua ri-cerca. Da questi pensieri prende vita “Terra mater est”, è il suo più recente lavoro tematico, sospeso tra pit-tura ed installazione, dedicato in particolare al rapporto dell’uomo con la natura e “all’evidente stato di diffi-coltà”. Come sensi vivi o di morte apparente, i suoi fiori doloranti, le sue le piante dipinte rinchiuse e impri-gionate; richiamano un dolore inafferrabile, vago, destrutturato; come a volerci portare di fronte a quella di-strazione colpevole che nutriamo verso di loro. Dalle più semplici mancanze di senso di responsabilità, la sua riflessione concettuale sul rapporto tra uomo e ambiente, contiene in sé moltissimi temi. “Viviamo in mezzo a lei, le siamo stranieri” scriveva Goethe a proposito della natura. L’attribuzione di contenuti etici è attività esclusivamente umana, frutto della nostra consapevolezza e della capacità di riflettere sui fenomeni. Cosa che, pur con tutti i suoi dilemmi e i suoi drammi, soltanto la nostra specie è riuscita a raggiungere. Nel rap-porto con la natura, l’uomo si guarda, si specchia e capisce se stesso: i suoi errori, i suoi limiti, le sue stesse origini. Antonio ormai sa che qualsiasi cosa in questo mondo complesso può risultare vera, tremenda, assur-da, persino catastrofica o addirittura considerata inevitabile. La sua arte invece, connaturata di un solido equilibrio tecnico, non chiede mai d’essere solo cibo per gli occhi e tregua per la mente, ma testimonia una continua, sottile, instancabile ricerca. Avanzare piano piano tra le feritoie dimenticate sul terreno. La sua azione pittorica è dentro la più autentica scelta della sua vita, è un continuo e progressivo scavare interiore; ieri nel racconto della figurazione ed oggi vertiginosamente dentro la stessa materia del sensibile. Che esat-tamente come noi, si presenta apparentemente solida, ma in realtà è assai fragile; tanto che può bastare un soffio di vento a spezzarla, a spazzare via per sempre le sue foglie delicate. Con una coraggiosa capacità di riconoscersi e di farsi riconoscere nel caos della realtà contemporanea, dal suo valoroso presidio-atelier di Massa Lombarda, Caranti manda messaggi di denuncia delle contraddizioni del sistema, ma anche inattesi segnali di speranza. Dobbiamo fidarci di essa, altrimenti al suo posto avremmo muri di apparenza e indiffe-renza. Il suo colore non mente. Preziose e squillanti pennellate ci parlano in maniera inequivocabile; ci co-municano relazioni che riguardano noi e l’universo stesso di cui facciamo parte. Forse, ci sono tempo ed energia per seminare ancora, per tornare a farci scuotere da altre armonie (e la recente paternità, con l’arrivo di Rebecca è un impulso meraviglioso!) per ampliare la nostra visione e il nostro sentire.
La speranza ha il potere di generare speranza. La vita, come la terra che sostiene la vegetazione, possiede la capacità di trasformarsi, di trasformare anche il dolore e come il vento che attraversa spazi liberi, può sradi-care ostacoli e impensabili difficoltà. Del resto, per nostra fortuna, è proprio la stessa natura che ci ha messo al mondo e ci ha regalato la vita”.
Paolo Trioschi
“Se il naturalismo letterario della seconda metà dell’Ottocento intendeva soverchiare quel romanticismo dive-nuto astratto, immaginario e spirituale della prima metà del XIX secolo, in pittura le regole riconducibili ad un naturalismo scientifico, oltremodo rappresentabile e rappresentato con simboli non più classici della figurazio-ne tradizionale, le ritroviamo sempre più diffuse e ricorrenti verso la fine del ‘800; figure che danno espressione ad un momento di rottura delle forme in uso ad una figurazione stucchevole e di maniera a cui la pittura stessa si era ammaestrata da secoli. Da lì le mille influenze che hanno aperto spazi e origine a quel concetto rivoluzio-nario di dare vita e corpo all’immagine informale che in arte, in pochi anni, si è andata rapidamente ad afferma-re dominando poi su tutta l’epoca contemporanea. L’artista così, sconquassate le regole del gioco, e scoprendo un percorso di maggiore intimità con la tela e con il mondo incombente lì, fuori, contestuale e quotidiano, si è posto da allora non più come un riproduttore passivo di realtà immobili e plastiche bensì si è impadronito in maniera piena ed irrinunciabile del proprio ruolo di studioso e traduttore - mediando con forme ed immagini - delle frequenze impalpabili e potenti del contesto. “Race, milieu, moment”, sintetizzava Hippolyte Taine, ce-lando nella sintesi di tre parole un mondo ed una rivoluzione di pensiero positivista tutto nuovo, diverso, tutto da considerare. Eccoci al punto. La pittura di Antonio Caranti, tessitore abile di trame geometriche e cromati-che che “tingono” la figura e la proiettano in una dimensione ora informale ora espressionista, lega proprio queste dimensioni. Protagonista di un messaggio intimo ed incisivo, che si accosta a quel naturalismo letterario dei più grandi scrittori della seconda metà dell’Ottocento, Caranti assume il ruolo di far vivere e convivere gli elementi tanto cari non solo al Celli di cui al Manifesto “Arte e Natura” e di quel “Dio bifronte che noi siamo chiamati oggi a riscoprire in tutta la sua interezza”, ma a quelle forme espressive fatte di una figurazione poten-te e talvolta drammatica che rispecchia la natura e quindi l’uomo, le origini, le evoluzioni e le condizioni antro-pologiche e sociali elaborate in maniera nuova e convulsiva. Con Antonio Caranti ci immergiamo in una pittura che nasce dal pensiero di un uomo che vive l’arte per scelta di vita, che traguarda costantemente il mondo da una prospettiva di luce e energia che non può prescindere dalla sua esigenza di produrre arte per bisogno. Un’arte, quella di Caranti, che si sofferma sui contenuti del mondo che ci circonda, al significato della natura, alle espressioni caratteriali dell’uomo, alla sua storia, attraverso un linguaggio ora formale ora informale, con costanti richiami al simbolismo e all’iconicità delle forme e delle figure. Il tutto, poi, e negli ultimi lavori spesso, in un mix di monocromie e di linee verticali a voler simboleggiare talvolta il supporto pentagrammatico su cui l’artista scandisce le proprie impressioni o le proprie illusioni; in altre, invece, immersioni di genere, cioè in un magma bidimensionale di forme e di segni che, coabitando spesso a forza ma comunque in un efficace equili-brio di sintesi, ci fa vivere efficacemente le sensazioni del tema prescelto, un tema che nasce dall’esigenza di raccontare quel che la vita è, e, con essa, la natura, ed entrambe nelle loro più realistiche verità: nude, crude, ri-spetto alla fonte e alla specie del soggetto. Una pittura, quella di Caranti, senza veli, spesso tragica e inquietante, talvolta addirittura ironica e grassa, espressa sempre con vivi e definiti colori che non lasciano dubbi al linguag-gio prescelto; colori che denotano certezza e chiarezza nel racconto, nessun ripensamento o titubanze. Così come nel segno, nelle linee, nelle verticalizzazioni: determinate, forti, siano esse isolate, originate dalle - o con-testualizzate nelle – figurazioni e simboli scelti a racconto. Un simbolismo, poi, ora orripilante e tetro, ora irri-verente e arrogante, ora goliardico o umoristico, talvolta lacrimoso o tragico comunque mai banale, mai buttato la per caso, e “spaccato” spesso da un gesto adrenalinico lineare e chiaro, virile e coraggioso nella sua essenza estetica. Insomma un artista Antonio Caranti che, nel più vero senso della parola, “graffia” sia sulla tela che nello spettatore, e da cui - per dirla nel suo linguaggio forte e simbolicamente di sintesi - difficilmente si passa indenni”.
Vittorio Spampinato
Ca’ la Ghironda – Modern Art Museum
Antonio Caranti nasce a Lugo il 28 Gennaio 1971.
Vive e lavora a Massa Lombarda. Frequenta la scuola Arti e Mestieri “Umberto Folli” di MassaLombarda, i suoi insegnanti sono Giuseppina Zardi e Luigi Valgimigli. Nel frattempo frequenta l’Istituto d’Arte per la Ceramica G.Ballardini di Faenza, specializzandosinei rivestimenti ceramici di interni ed esterni. Sin dagli esordi è pittore, ceramista, scultore. Il filo della ricerca artistica si basa soprattuto sul uomo e la natura e sulle visione notturne e giornaliere che lo circondano. Dai forti accenti espressionistici, in gran parte dei suoi lavori è presente un’ironia potente e dissacrante che avvolge la figurazione nei suoi tratti surreali fino a spingersi oltre,verso un altro mon-do, dove prendono vita maschere ed icone della nostra contemporaneità, mostruose a volte, altre volte, brutal-mente tenere. La sua riflessione di artista tocca territori che dall’informale slittano verso un espressionismo di sapore tedesco fino ad arrivare ad un surrealismo cosmico. In gran parte dei suoi lavori utilizza materiali riciclati. Dal 2006 realizza le prime scenografie per gli spettacoli di danza di Barbara Zanoni ed apre in collaborazione con Roberto Morini lo STUDIO ARTECONTEMPORANEA SanVitale41.
17
marzo 2018
Antonio Caranti – Terra Mater Est. Fragmentum
Dal 17 al 29 marzo 2018
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Orario di apertura
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
17 Marzo 2018, ore 17.00
Autore
Curatore