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Antonio Frintino – Parole interdette
Mostra personale di Antonio Frintino.
Durante l’inaugurazione concerto di Paolo Zampini e lettura di poesie di Roberto Carifi
Comunicato stampa
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Questa è la terza mostra di foto firmata da Antonio Frintino e “musicata” da Paolo Zampini. Sono passati ormai parecchi anni da quando Antonio, fino ad allora raffinato operatore culturale in città, mi convocò nel suo appartamento di via Fattori, per chiedere un parere “sincero e spassionato” sul suo lavoro con la macchina fotografica. Eravamo già in piena epoca digitale, ma l’artista Frintino operava con una vecchia Nikon analogica (distanza, messa a fuoco, pellicola, sviluppo, stampa) per fotografare nel suo studio (il terrazzo di casa), alla stessa ora e quindi con la stessa luce, degli oggetti, i più vari, disposti in maniera sempre diversa, a formare astratte composizioni, variabili in base alle spinte umorali del momento.
Il risultato mi parve straordinario, anche perchè l’artista aveva già deciso in partenza di disperdere, nel senso di gettare via, gli oggetti utilizzati per l’operazione e tenere solo gli scatti che quindi venivano elevati al livello di opera. Nacque così, nel 2005, “Sequenze quaternarie”, progetto in cui le foto, montate verticalmente in sequenza di quattro, costituivano una serie di ventiquattro “pacchetti”, fortemente legati l’uno all’altro, tanto da far quasi pensare ad un’opera unica. La mostra che ne derivò, ospitata al Museo Marini e magistralmente musicata dal flautista pistoiese Paolo Zampini che, per l’occasione, compose ventiquattro mini-suite in quattro movimenti, costituì l’ultimo atto di “Strumentario”, una felice iniziativa vissuta al Tau per sei anni, che si proponeva di indagare i generi musicali più vari facendoli ruotare, ogni volta, intorno ad uno strumento diverso. Il successo fu straordinario quanto inaspettato, per l’oggettiva novità e complessità dell’operazione.
Due anni dopo, era il 2007, il duo Frintino-Zampini ci riprovò. Mostra alla Galleria Fyr di Firenze, titolo “Geometrie in rosso”, con il colore del fuoco e della passione in grande evidenza. Foto e musiche di nuovo ad altissimo livello, grande successo, pubblico entusiasta. Pausa.
Antonio ha ripreso la macchina fotografica in mano solo nel 2010 e lo ha fatto non più a Pistoia, ma nella residenza estiva di famiglia, in Sicilia, una villa sulla costa sud dell’isola, a due passi dal mare; un piccolo paradiso adatto alla meditazione.
E’ con lo sguardo rivolto all’Africa e dentro se stesso che l’artista ha concepito e realizzato, in piena solitudine, le opere di questa mostra, una prima parte nell’estate 2010, il resto in quella del 2011. Stessa macchina analogica, ma diverso l’approccio e il metodo. Materiali impiegati: un bel mucchio di giornali (sempre il Sole 24 ore), spiegazzati in più modi, a fare da fondo, ritagli di riviste, con figure e testi, utilizzati con la tecnica del collage e, assoluta novità, una bella dose di colore da pareti, vero, pieno, proveniente dalla fabbrica di un parente. Da ultimo gli scatti, come sempre.
Questa volta però le opere, unite dalla colla, finite e fotografate non sono state gettate via, ma conservate. Esiste così un originale e il suo doppio fotografico ed è quest’ultimo che viene presentato. La differenza con i lavori dei primi due progetti è palese. Qui il colore (mediterraneo?) irrompe con forza, rende tutto più plastico e, in contrapposizione alle immagini, più denso e misterioso.
Paolo Zampini ha raccolto la sfida per la terza volta. Ha composto ed eseguito per l’occasione un’opera musicale in tre tempi ispirata al lavoro dell’amico. Anche qui una novità. Entra e si fa valere la voce umana.
Ad arricchire ulteriormente il progetto “Frintino 3” un regalo dell’amico poeta Roberto Carifi: tre splendide poesie che sono diventate il testo della composizione musicale di Paolo Zampini.
Maurizio Tuci
Narrare con la luce
Siliano Simoncini
Antonio Frintino fotografo? Pittore? Graphic designer? Probabilmente dovremmo prendere in esame tutte queste modalità espressive e le relative pertinenze tecniche, linguistiche, concettuali, per tentare di definire il suo ambito di ricerca e di comunicazione creativa. Perché questo? Perché la particolare procedura che egli adotta per realizzare il suo immaginario visivo si sviluppa per fasi: a) sollecitazione psico/emotiva; b) correlazione tra materiali e soggetto; c) composizioni pittoriche; d) tagli fotografici.
Un metodo dunque che prevede l’apporto di esperienze diverse, pur mantenendosi l’autore coerente con il presupposto della sua poetica espressiva. Perciò il processo, nel suo divenire, non si può disgiungere dagli esiti, a mio avviso, sempre aperti alla riflessione, all’arte pittorica, alla comunicazione grafica - non sono anche potenziali manifesti le opere di Frintino? - alla fotografia sperimentale.
Detto questo, passiamo ad analizzare i quattro punti: il primo (a) è peculiare per chiunque si accinga a trasferire in immagini uno stato d’animo, una condizione esistenziale, un pensiero ideologico, un sentimento (per le opere esposte, la solitudine). Ovvero, nel caso dell’artista, certamente il temperamento e il patrimonio genetico/culturale hanno il sopravvento e la sintonia con il fare è, per così dire, immediata e diretta; il mondo interiore plasma quello esteriore e quanto risulta è lo schermo del “mondo” personale; a meno che, da parte dell’artista, l’indagine analitica del reale non domini e controlli ogni impulsività, dando così luogo all’immagine “scientifica” - corrispettivo della realtà - filtrata dal meccanismo del pensiero. Ebbene, il lavoro realizzato da Antonio Frintino non prescinde da entrambi le prassi, e la sua indole/intenzione, fin dalle prime esperienze, è sempre stata quella di mediarle.
Questa mostra presenta opere che sono il frutto dell’esperienza siciliana di Antonio e di un particolare momento della sua vita; quindi, la propria condizione esistenziale in rapporto con la caustica solarità mediterranea di quella terra, ha sicuramente influito nel sollecitarlo ad affrontare il tema dell’isolamento. Quel momento e quel luogo, hanno fatto sì che la sollecitazione psico/emotiva facesse leva sulle sue facoltà creative e gli consentissero di riassumere in immagini quanto percepiva e desiderava manifestare: luce, colore, materia, segni/simbolo, tracce/memoria.
Per il secondo punto (b) direi che è sempre importante, quando si deve comunicare un significato attraverso le immagini, trovare il medium idoneo per renderlo più esplicito. Antonio ha scelto diversi tipi di carta, compreso quella di giornale, figure ritagliate da rotocalchi, cartone piano, cannettato, e pigmento. Con questi materiali ha trovato la sintonia giusta per realizzare la correlazione tra mezzo (parole) e soggetto.
Da sempre, le esperienze fotografiche di Antonio non sono la registrazione della realtà naturale bensì, di quella artificiale; quella che egli si crea come “argomento” d’indagine. Di solito assemblaggi di materiali eterogenei, organizzati in composizioni singole o sequenziali, ma comunque afferenti all’esperienza artistica dell’astrazione geometrica. In quest’occasione invece, ha realizzato delle vere e proprie opere pittoriche (punto c) che egli però, non considera tali. Per lui sono il pretesto per l’ulteriore approfondimento fotografico; di fatto, il campo in cui percorrere le vicende del proprio vissuto come seconda istanza, come seconda opportunità. Però, la scelta dei colori: verde, rosso, giallo, nero - di natura minerale - e azzurri nella variazione cobalto/prussia, oltre ad alludere in parte ai colori dell’arte della Magna Grecia, intende anche suggerire il colore stesso di quella splendida terra. Colore materico, colore luce, colore aspro e, perché no, anche colore triste. Il lavoro di questa fase, seppure non si possa considerare un’esperienza “artistica” in senso lato, ha comunque una sua vitalità espressiva, è frutto di una sensibilità estetica educata e, in particolare, tramite la scelta di comporre per flussi organici - questa volta c’è poco rigore geometrico - il risultato è sostanzialmente nuovo nel contesto della sua opera, e d’indubbio interesse espressivo.
Definita e argomentata la parte “preparatoria” del processo di messa a punto per la parte inerente al dato fotografico, analizziamo di questo, del metodo e dei risultati (d). L’autore, disponendo di molteplici risposte pittoriche, deve prima esaminarle con cura, probabilmente traguardando l’insieme e il particolare di ognuna per entrare nella giusta sintonia che gli consentirà di decidere l’inquadratura, il taglio, definitivi. Taglio fotografico che dovrà soddisfare esigenze estetiche, luministiche e, in particolare, esprimere quell’idea, quel concetto, quella poetica, che Antonio Frintino è andato “progettando” nella sua lunga esperienza creativa. Contenuti, questi, che a ogni successiva prova, egli cerca di ottimizzare sia sul piano stilistico quanto su quello del significato, adeguandone l’immaginario visivo alle contingenze del vissuto personale, oltre a quello della ricerca artistica e fotografica in atto. La fotografia è il risultato dell’energia trasmessa dai fotoni luminosi; dunque è luce “catturata” con procedimenti analogici (quelli usati da Antonio) e oggi, essenzialmente digitali, ma il principio fisico non cambia. Per chi fotografa quindi, la scelta della sorgente luminosa è fondamentale. Frintino, relativamente al connotato che desidera attribuire all’immagine, abitualmente usa i tre tipi canonici ereditati dalla tradizione: luce diretta, indiretta, contrastante. La resa - ottenuta sempre con la luce naturale - sarà di volta in volta bidimensionale, soffusa, plastico/espressiva. Questa volta però lui ha scelto di lavorare con quella contrastante, proprio perché voleva evidenziare la “corposità” dei suoi lavori, voleva esprimere la tensione e il groviglio personali, oltre alle conseguenze della causticità rovente del sole siciliano.
Le opere sono dunque un diario visivo, un resoconto che potremmo leggere, in successione, individuando di volta in volta l’intenzionalità progettuale e comunicativa voluta dall’autore e riflessa dalle immagini. Diverse presentano figure ritagliate da rotocalchi e poste nel contesto pittorico; queste, in maniera esplicita, denunciano la condizione d’isolamento. Da quello “fisico” imposto dal dogmatismo religioso - vedi donne con il burka - a quello metafisico proposto da de Chirico con i suoi manichini (la solitudine dell’arte?); per passare, metaforicamente, dall’essere solo dell’uomo nella moltitudine esultante di uno stadio, all’essere sola della donna che esprime il proprio stato raccogliendo le mani indifese nel grembo e reclinando il capo (atto di resa?). Non manca poi la denuncia del lusso con il riferimento alla casa di mode francese Hermès - nel nostro caso pubblicità di orologi e di selle - un lusso che isola chi ne fa uso e chi, purtroppo, si sente escluso da quella condizione privilegiata. Una serie di fotografie davvero inconsuete per il codice linguistico di Frintino, ma che potranno essere utili per uno sviluppo tematico/visivo sicuramente interessante. Le altre immagini sono in linea con il lavoro precedente, anche se l’organicità delle composizioni - il rapporto con il naturale piuttosto che con l’artificiale - ha certamente il sopravvento sul rigore geometrico. Spesso è presente il riferimento materico, altre quello della piega o del segno/simbolo, oppure negano l’immagine e si presentano come emblematici monocromi o rivelano tracce graffite come fugace testimonianza. Certe alludono alla vegetazione con squarci di azzurro e al sole rosso del tramonto (la voce del presente) e alcune sembrano voler dar corpo a degli ectoplasmi (la voce del passato).
Una mostra, questa di Antonio Frintino, che ci “narra” di un variegato mondo d’impulsi emotivi e riflessioni attente, proposti con un linguaggio estetico sì molto coinvolgente ma che, soprattutto, esige di essere compreso per il suo profondo significato.
Roberto Carifi nasce nel 1948 a Pistoia, città in cui vive. Attratto dal pensiero di Nietzsche e Heidegger studia Filosofia presso l’università di Firenze ove si laurea nel 1972 con Paolo Rossi. Alla fine del 1974 si reca più volte a Parigi, ove frequenta le lezioni di Jacque Lacan, il cui pensiero, unitamente a quello di Gilles Deleuze, influenzerà le future sue composizioni poetiche.
Negli anni ’80 conosce il poeta Piero Bigongiari e si lega in amicizia con i poeti Giuseppe Conti, Roberto Mussapi, Cesare Viviani, Tommaso Kemency e Rosita Cipigli.
Assai vasta è la sua produzione poetica, apprezzata nel panorama della letteratura italiana contemporanea; ampia è pure la sua attività di narratore.
Roberto Carifi è impegnato pure nella traduzione di opere di Rilke, Hesse, Traki, Bataille, Flaubert, Racine, Simon Weil, Prévert, Rousseau, ed è autore di numerosi saggi.
So che nulla accade e tutto può accadere
ma se il ghiaccio si spalanca
e si spezzano le nevi
tutti ritornano, uno per uno
si stringono le mani,
devono dove nessuno osa,
dove anche le altre cose sbiancano,
lì sta il cuore di ognuno
non c’è colore che copra le cose.
Scopri dov’è il nulla,
dov’è la tua divisa e la tua neve
poi comincia a salire
sempre più su, fino all’aperto
e da lì senti l’ululato
che piange, che piange
ti sentirai trasformato
fino alle braccia spalancate.
Di sera, fino a toccare i sette punti di un triangolo,
sarai riposo, toccherai il nulla da parte a parte
sentirai il gelo,urlerai di pietra
a una certa ora qualcosa piangerà
né tu né io saremo vivi o morti
ma somiglieremo a due laghi spezzati
finché la luce improvvisa si calmerà
e tutti saranno bestie.
Il risultato mi parve straordinario, anche perchè l’artista aveva già deciso in partenza di disperdere, nel senso di gettare via, gli oggetti utilizzati per l’operazione e tenere solo gli scatti che quindi venivano elevati al livello di opera. Nacque così, nel 2005, “Sequenze quaternarie”, progetto in cui le foto, montate verticalmente in sequenza di quattro, costituivano una serie di ventiquattro “pacchetti”, fortemente legati l’uno all’altro, tanto da far quasi pensare ad un’opera unica. La mostra che ne derivò, ospitata al Museo Marini e magistralmente musicata dal flautista pistoiese Paolo Zampini che, per l’occasione, compose ventiquattro mini-suite in quattro movimenti, costituì l’ultimo atto di “Strumentario”, una felice iniziativa vissuta al Tau per sei anni, che si proponeva di indagare i generi musicali più vari facendoli ruotare, ogni volta, intorno ad uno strumento diverso. Il successo fu straordinario quanto inaspettato, per l’oggettiva novità e complessità dell’operazione.
Due anni dopo, era il 2007, il duo Frintino-Zampini ci riprovò. Mostra alla Galleria Fyr di Firenze, titolo “Geometrie in rosso”, con il colore del fuoco e della passione in grande evidenza. Foto e musiche di nuovo ad altissimo livello, grande successo, pubblico entusiasta. Pausa.
Antonio ha ripreso la macchina fotografica in mano solo nel 2010 e lo ha fatto non più a Pistoia, ma nella residenza estiva di famiglia, in Sicilia, una villa sulla costa sud dell’isola, a due passi dal mare; un piccolo paradiso adatto alla meditazione.
E’ con lo sguardo rivolto all’Africa e dentro se stesso che l’artista ha concepito e realizzato, in piena solitudine, le opere di questa mostra, una prima parte nell’estate 2010, il resto in quella del 2011. Stessa macchina analogica, ma diverso l’approccio e il metodo. Materiali impiegati: un bel mucchio di giornali (sempre il Sole 24 ore), spiegazzati in più modi, a fare da fondo, ritagli di riviste, con figure e testi, utilizzati con la tecnica del collage e, assoluta novità, una bella dose di colore da pareti, vero, pieno, proveniente dalla fabbrica di un parente. Da ultimo gli scatti, come sempre.
Questa volta però le opere, unite dalla colla, finite e fotografate non sono state gettate via, ma conservate. Esiste così un originale e il suo doppio fotografico ed è quest’ultimo che viene presentato. La differenza con i lavori dei primi due progetti è palese. Qui il colore (mediterraneo?) irrompe con forza, rende tutto più plastico e, in contrapposizione alle immagini, più denso e misterioso.
Paolo Zampini ha raccolto la sfida per la terza volta. Ha composto ed eseguito per l’occasione un’opera musicale in tre tempi ispirata al lavoro dell’amico. Anche qui una novità. Entra e si fa valere la voce umana.
Ad arricchire ulteriormente il progetto “Frintino 3” un regalo dell’amico poeta Roberto Carifi: tre splendide poesie che sono diventate il testo della composizione musicale di Paolo Zampini.
Maurizio Tuci
Narrare con la luce
Siliano Simoncini
Antonio Frintino fotografo? Pittore? Graphic designer? Probabilmente dovremmo prendere in esame tutte queste modalità espressive e le relative pertinenze tecniche, linguistiche, concettuali, per tentare di definire il suo ambito di ricerca e di comunicazione creativa. Perché questo? Perché la particolare procedura che egli adotta per realizzare il suo immaginario visivo si sviluppa per fasi: a) sollecitazione psico/emotiva; b) correlazione tra materiali e soggetto; c) composizioni pittoriche; d) tagli fotografici.
Un metodo dunque che prevede l’apporto di esperienze diverse, pur mantenendosi l’autore coerente con il presupposto della sua poetica espressiva. Perciò il processo, nel suo divenire, non si può disgiungere dagli esiti, a mio avviso, sempre aperti alla riflessione, all’arte pittorica, alla comunicazione grafica - non sono anche potenziali manifesti le opere di Frintino? - alla fotografia sperimentale.
Detto questo, passiamo ad analizzare i quattro punti: il primo (a) è peculiare per chiunque si accinga a trasferire in immagini uno stato d’animo, una condizione esistenziale, un pensiero ideologico, un sentimento (per le opere esposte, la solitudine). Ovvero, nel caso dell’artista, certamente il temperamento e il patrimonio genetico/culturale hanno il sopravvento e la sintonia con il fare è, per così dire, immediata e diretta; il mondo interiore plasma quello esteriore e quanto risulta è lo schermo del “mondo” personale; a meno che, da parte dell’artista, l’indagine analitica del reale non domini e controlli ogni impulsività, dando così luogo all’immagine “scientifica” - corrispettivo della realtà - filtrata dal meccanismo del pensiero. Ebbene, il lavoro realizzato da Antonio Frintino non prescinde da entrambi le prassi, e la sua indole/intenzione, fin dalle prime esperienze, è sempre stata quella di mediarle.
Questa mostra presenta opere che sono il frutto dell’esperienza siciliana di Antonio e di un particolare momento della sua vita; quindi, la propria condizione esistenziale in rapporto con la caustica solarità mediterranea di quella terra, ha sicuramente influito nel sollecitarlo ad affrontare il tema dell’isolamento. Quel momento e quel luogo, hanno fatto sì che la sollecitazione psico/emotiva facesse leva sulle sue facoltà creative e gli consentissero di riassumere in immagini quanto percepiva e desiderava manifestare: luce, colore, materia, segni/simbolo, tracce/memoria.
Per il secondo punto (b) direi che è sempre importante, quando si deve comunicare un significato attraverso le immagini, trovare il medium idoneo per renderlo più esplicito. Antonio ha scelto diversi tipi di carta, compreso quella di giornale, figure ritagliate da rotocalchi, cartone piano, cannettato, e pigmento. Con questi materiali ha trovato la sintonia giusta per realizzare la correlazione tra mezzo (parole) e soggetto.
Da sempre, le esperienze fotografiche di Antonio non sono la registrazione della realtà naturale bensì, di quella artificiale; quella che egli si crea come “argomento” d’indagine. Di solito assemblaggi di materiali eterogenei, organizzati in composizioni singole o sequenziali, ma comunque afferenti all’esperienza artistica dell’astrazione geometrica. In quest’occasione invece, ha realizzato delle vere e proprie opere pittoriche (punto c) che egli però, non considera tali. Per lui sono il pretesto per l’ulteriore approfondimento fotografico; di fatto, il campo in cui percorrere le vicende del proprio vissuto come seconda istanza, come seconda opportunità. Però, la scelta dei colori: verde, rosso, giallo, nero - di natura minerale - e azzurri nella variazione cobalto/prussia, oltre ad alludere in parte ai colori dell’arte della Magna Grecia, intende anche suggerire il colore stesso di quella splendida terra. Colore materico, colore luce, colore aspro e, perché no, anche colore triste. Il lavoro di questa fase, seppure non si possa considerare un’esperienza “artistica” in senso lato, ha comunque una sua vitalità espressiva, è frutto di una sensibilità estetica educata e, in particolare, tramite la scelta di comporre per flussi organici - questa volta c’è poco rigore geometrico - il risultato è sostanzialmente nuovo nel contesto della sua opera, e d’indubbio interesse espressivo.
Definita e argomentata la parte “preparatoria” del processo di messa a punto per la parte inerente al dato fotografico, analizziamo di questo, del metodo e dei risultati (d). L’autore, disponendo di molteplici risposte pittoriche, deve prima esaminarle con cura, probabilmente traguardando l’insieme e il particolare di ognuna per entrare nella giusta sintonia che gli consentirà di decidere l’inquadratura, il taglio, definitivi. Taglio fotografico che dovrà soddisfare esigenze estetiche, luministiche e, in particolare, esprimere quell’idea, quel concetto, quella poetica, che Antonio Frintino è andato “progettando” nella sua lunga esperienza creativa. Contenuti, questi, che a ogni successiva prova, egli cerca di ottimizzare sia sul piano stilistico quanto su quello del significato, adeguandone l’immaginario visivo alle contingenze del vissuto personale, oltre a quello della ricerca artistica e fotografica in atto. La fotografia è il risultato dell’energia trasmessa dai fotoni luminosi; dunque è luce “catturata” con procedimenti analogici (quelli usati da Antonio) e oggi, essenzialmente digitali, ma il principio fisico non cambia. Per chi fotografa quindi, la scelta della sorgente luminosa è fondamentale. Frintino, relativamente al connotato che desidera attribuire all’immagine, abitualmente usa i tre tipi canonici ereditati dalla tradizione: luce diretta, indiretta, contrastante. La resa - ottenuta sempre con la luce naturale - sarà di volta in volta bidimensionale, soffusa, plastico/espressiva. Questa volta però lui ha scelto di lavorare con quella contrastante, proprio perché voleva evidenziare la “corposità” dei suoi lavori, voleva esprimere la tensione e il groviglio personali, oltre alle conseguenze della causticità rovente del sole siciliano.
Le opere sono dunque un diario visivo, un resoconto che potremmo leggere, in successione, individuando di volta in volta l’intenzionalità progettuale e comunicativa voluta dall’autore e riflessa dalle immagini. Diverse presentano figure ritagliate da rotocalchi e poste nel contesto pittorico; queste, in maniera esplicita, denunciano la condizione d’isolamento. Da quello “fisico” imposto dal dogmatismo religioso - vedi donne con il burka - a quello metafisico proposto da de Chirico con i suoi manichini (la solitudine dell’arte?); per passare, metaforicamente, dall’essere solo dell’uomo nella moltitudine esultante di uno stadio, all’essere sola della donna che esprime il proprio stato raccogliendo le mani indifese nel grembo e reclinando il capo (atto di resa?). Non manca poi la denuncia del lusso con il riferimento alla casa di mode francese Hermès - nel nostro caso pubblicità di orologi e di selle - un lusso che isola chi ne fa uso e chi, purtroppo, si sente escluso da quella condizione privilegiata. Una serie di fotografie davvero inconsuete per il codice linguistico di Frintino, ma che potranno essere utili per uno sviluppo tematico/visivo sicuramente interessante. Le altre immagini sono in linea con il lavoro precedente, anche se l’organicità delle composizioni - il rapporto con il naturale piuttosto che con l’artificiale - ha certamente il sopravvento sul rigore geometrico. Spesso è presente il riferimento materico, altre quello della piega o del segno/simbolo, oppure negano l’immagine e si presentano come emblematici monocromi o rivelano tracce graffite come fugace testimonianza. Certe alludono alla vegetazione con squarci di azzurro e al sole rosso del tramonto (la voce del presente) e alcune sembrano voler dar corpo a degli ectoplasmi (la voce del passato).
Una mostra, questa di Antonio Frintino, che ci “narra” di un variegato mondo d’impulsi emotivi e riflessioni attente, proposti con un linguaggio estetico sì molto coinvolgente ma che, soprattutto, esige di essere compreso per il suo profondo significato.
Roberto Carifi nasce nel 1948 a Pistoia, città in cui vive. Attratto dal pensiero di Nietzsche e Heidegger studia Filosofia presso l’università di Firenze ove si laurea nel 1972 con Paolo Rossi. Alla fine del 1974 si reca più volte a Parigi, ove frequenta le lezioni di Jacque Lacan, il cui pensiero, unitamente a quello di Gilles Deleuze, influenzerà le future sue composizioni poetiche.
Negli anni ’80 conosce il poeta Piero Bigongiari e si lega in amicizia con i poeti Giuseppe Conti, Roberto Mussapi, Cesare Viviani, Tommaso Kemency e Rosita Cipigli.
Assai vasta è la sua produzione poetica, apprezzata nel panorama della letteratura italiana contemporanea; ampia è pure la sua attività di narratore.
Roberto Carifi è impegnato pure nella traduzione di opere di Rilke, Hesse, Traki, Bataille, Flaubert, Racine, Simon Weil, Prévert, Rousseau, ed è autore di numerosi saggi.
So che nulla accade e tutto può accadere
ma se il ghiaccio si spalanca
e si spezzano le nevi
tutti ritornano, uno per uno
si stringono le mani,
devono dove nessuno osa,
dove anche le altre cose sbiancano,
lì sta il cuore di ognuno
non c’è colore che copra le cose.
Scopri dov’è il nulla,
dov’è la tua divisa e la tua neve
poi comincia a salire
sempre più su, fino all’aperto
e da lì senti l’ululato
che piange, che piange
ti sentirai trasformato
fino alle braccia spalancate.
Di sera, fino a toccare i sette punti di un triangolo,
sarai riposo, toccherai il nulla da parte a parte
sentirai il gelo,urlerai di pietra
a una certa ora qualcosa piangerà
né tu né io saremo vivi o morti
ma somiglieremo a due laghi spezzati
finché la luce improvvisa si calmerà
e tutti saranno bestie.
14
dicembre 2012
Antonio Frintino – Parole interdette
Dal 14 dicembre 2012 al 12 gennaio 2013
fotografia
arte moderna e contemporanea
arte contemporanea
arte moderna e contemporanea
arte contemporanea
Location
FONDAZIONE MARINO MARINI
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Pistoia, Corso Silvano Fedi, 30, (Pistoia)
Orario di apertura
10-17
Vernissage
14 Dicembre 2012, h 17
Autore
Curatore