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Antonio Maraini – L’Andata al calvario secondo Antonio Maraini
La mostra presenta i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini, artista e critico d’arte, padre di Fosco Maraini.
Comunicato stampa
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La Fondazione Giovanni Pratesi presenta la mostra “l’Andata al calvario secondo Antonio Maraini” nello spazio espositivo dell’ex Oratorio dello Spedale Serristori a Figline Valdarno (Fi), dal 16 aprile al 12 giugno 2011. Si tratta della prima di una serie di mostre ed attività culturali che la Fondazione Giovanni Pratesi intende realizzare in questo spazio storico, tra i più belli, del Valdarno fiorentino. Sabato 16 aprile l’inaugurazione della mostra con la presentazione di Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani (ore 16.30).
La mostra, curata da Francesca Bardazzi, presenta i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini, artista e critico d’arte, padre di Fosco Maraini. I modelli furono realizzati da Maraini, nel 1925, per il ciclo di quattordici rilievi in pietra d’Arezzo, raffiguranti le Stazioni della Passione, per decorare le pareti della Cattedrale di San Giovanni a Rodi, in quel Dodecanneso che dal 1912 al 1947 fu colonia italiana. Passati dalla Cattedrale alla chiesa di San Francesco i rilievi furono collocati all’esterno subendo il degrado e l’erosione del tempo, che i modelli in gesso di notevoli proporzioni (cm 80x120) della collezione Pratesi non hanno mai conosciuto, divenendo in tal modo una testimonianza significativa dell’arte scultorea di soggetto religioso di Maraini. In mostra, oltre ai modelli della Via Crucis, il gesso raffigurante la Pietà (h cm 220) realizzato dall’artista per il concorso del Monumento alla Madre Italiana, per la Basilica di Santa Croce a Firenze, a cui partecipò fra il 1922 e il 1924. Maraini fu tra i prescelti per la gara di secondo grado, vinta da Libero Andreotti.
Con l’occasione della mostra, Giovanni Pratesi, per consolidare il profondo legame che lo unisce al suo paese di origine, annuncia l’intenzione di donare i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini al convento di San Francesco a Figline.
L’importante ciclo della Via Crucis si inserisce in un momento particolarmente intenso della vita intellettuale ed artistica di Antonio Maraini, ovvero alla vigilia della nomina a Segretario Generale della Biennale di Venezia del 1927, resa possibile da Ugo Ojetti che non più tardi dell’anno antecedente l’aveva introdotto nel Consiglio Direttivo. Un incarico di enorme prestigio che si aggiungeva alla sua già notevole fama di critico e animatore culturale. Francesca Bardazzi, studiosa dell’artista e curatrice della mostra, sottolinea con sottile acume come “la ricerca della sintesi architettonica e della chiarezza geometrica appare il primo obiettivo del Maraini anche in questa opera: in ogni rilievo sul fondo piatto e privo di riferimenti connotativi del paesaggio e dell’ambiente si stagliano due o tre figure armoniosamente dialoganti tra loro. Mentre la croce, elemento centrale, si volge ora a destra ora a sinistra, o si erge in verticale, alla ricerca di simmetrici equilibri”.
Peculiarità di queste formelle in gesso della Via Crucis è un rilievo basso che dà la sensazione di un’opera pittorica accresciuta da raffinati accorgimenti tecnici, come la minuziosa lavorazione delle superfici finemente animate a tratteggio ad imitazione di una trama divisionista.
Nel 1926 tre delle Stazioni in pietra furono esposte alla I Mostra del “Novecento Italiano” alla Permanente di Milano, mentre l’intero ciclo fu presente all’inaugurazione della Galleria d’Arte Antica di Palazzo Feroni a Firenze nella mostra d’Arte Moderna dell’ottobre del 1927.
Antonio Maraini (Roma 1886 – Firenze 1963), nato a Roma da una colta e raffinata famiglia di origine ticinese, nella sua giovinezza assorbe voracemente gli stimoli che gli inizi del XX secolo gli offre, dalla Secessione germanica al Simbolismo, dalla pittura preraffaellita alle avanguardie di Boccioni, Balla, Severini e Sironi. Parallelamente all’attività artistica si distingue come critico d’arte informato e sagace. Si deve alla scrittrice inglese di origine ungherese Yoi Crosse Powlowsky, compagna e poi moglie dell’artista la scelta di intraprendere la carriera di scultore e nel 1912 di trasferirsi a Firenze a contatto con l’ambiente cosmopolita che gravitava in città che ebbe così tanta influenza sulla vocazione internazionale della sua arte. Amico di Marcello Piacentini, icona dell’architettura razionalista fin dai tempi del progetto del Teatro Savoia (ora cinema Odeon) del 1922, affianca una intima produzione sacra e profana di destinazione privata a commissioni pubbliche dove le proporzioni assurgono a valore simbolico e politico. La seconda metà degli anni Venti rappresenta il momento di ascesa della sua fama, che gli permise di ottenere commissioni rilevanti quali i due bassorilievi per la Tomba di Giacomo Puccini a Torre del Lago nel 1926, la Via Crucis a Rodi e la Tomba di Carlo Loeser per il cimitero degli Allori a Firenze nel 1929, dove la fantasia geometrica decò si stempera in una fluida contaminazione di stilemi arcaici.
Ad un’iniziale ostilità agli assunti programmatici di Margherita Sarfatti e alla volontà della musa del Gruppo del Novecento di mettere in competizione il movimento degli artisti fiorentini a quelli milanesi, le assonanze spirituali che lo avvicinano a pittori come Felice Casorati e Mario Sironi oltrepassano l’artificiosa polemica e lo fanno compagno non schierato ad un ritorno alla classicità, propugnato dagli artisti di “Novecento”.
Le affinità classiciste lo mettono in relazione con Gio Ponti, raffinato protagonista della scena artistica milanese con il quale stabilì dalla metà degli anni Venti un rapporto di intensa collaborazione che lo vede protagonista con articoli e foto relativi all’arredamento, gli arredi e le suppellettili disegnati insieme alla moglie Yoi, sulle prestigiose pagine di “Domus”. Negli anni Trenta e Quaranta la scultura di Maraini si pone al servizio di un’integrazione delle arti come critico e come artista, collaborando a grandi opere pubbliche commissionate dal governo con pittori, architetti e decoratori che riscrivono con colori e pietra l’iconografia del regime. A questo periodo possiamo ascrivere il Portale per il palazzo della Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali, le statue il fregio per il palazzo della Società Montecatini e il grande bassorilievo Lex del Palazzo di Giustizia di Milano, oltre al severo Arengario a Brescia.
È pertanto l’intelligenza e la passione di un mecenate come Giovanni Pratesi se oggi possiamo ammirare questi splendidi modelli in gesso della Via Crucis, opera iconica degli anni Venti, come un’importante testimonianza dell’arte italiana, dove alle temperie moderniste si privilegiava un ritorno alla misura e all’equilibrio della cultura umanistica, che in Firenze e la Toscana tutta trovava la sua culla ideale.
La mostra, curata da Francesca Bardazzi, presenta i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini, artista e critico d’arte, padre di Fosco Maraini. I modelli furono realizzati da Maraini, nel 1925, per il ciclo di quattordici rilievi in pietra d’Arezzo, raffiguranti le Stazioni della Passione, per decorare le pareti della Cattedrale di San Giovanni a Rodi, in quel Dodecanneso che dal 1912 al 1947 fu colonia italiana. Passati dalla Cattedrale alla chiesa di San Francesco i rilievi furono collocati all’esterno subendo il degrado e l’erosione del tempo, che i modelli in gesso di notevoli proporzioni (cm 80x120) della collezione Pratesi non hanno mai conosciuto, divenendo in tal modo una testimonianza significativa dell’arte scultorea di soggetto religioso di Maraini. In mostra, oltre ai modelli della Via Crucis, il gesso raffigurante la Pietà (h cm 220) realizzato dall’artista per il concorso del Monumento alla Madre Italiana, per la Basilica di Santa Croce a Firenze, a cui partecipò fra il 1922 e il 1924. Maraini fu tra i prescelti per la gara di secondo grado, vinta da Libero Andreotti.
Con l’occasione della mostra, Giovanni Pratesi, per consolidare il profondo legame che lo unisce al suo paese di origine, annuncia l’intenzione di donare i quattordici modelli in gesso della Via Crucis di Antonio Maraini al convento di San Francesco a Figline.
L’importante ciclo della Via Crucis si inserisce in un momento particolarmente intenso della vita intellettuale ed artistica di Antonio Maraini, ovvero alla vigilia della nomina a Segretario Generale della Biennale di Venezia del 1927, resa possibile da Ugo Ojetti che non più tardi dell’anno antecedente l’aveva introdotto nel Consiglio Direttivo. Un incarico di enorme prestigio che si aggiungeva alla sua già notevole fama di critico e animatore culturale. Francesca Bardazzi, studiosa dell’artista e curatrice della mostra, sottolinea con sottile acume come “la ricerca della sintesi architettonica e della chiarezza geometrica appare il primo obiettivo del Maraini anche in questa opera: in ogni rilievo sul fondo piatto e privo di riferimenti connotativi del paesaggio e dell’ambiente si stagliano due o tre figure armoniosamente dialoganti tra loro. Mentre la croce, elemento centrale, si volge ora a destra ora a sinistra, o si erge in verticale, alla ricerca di simmetrici equilibri”.
Peculiarità di queste formelle in gesso della Via Crucis è un rilievo basso che dà la sensazione di un’opera pittorica accresciuta da raffinati accorgimenti tecnici, come la minuziosa lavorazione delle superfici finemente animate a tratteggio ad imitazione di una trama divisionista.
Nel 1926 tre delle Stazioni in pietra furono esposte alla I Mostra del “Novecento Italiano” alla Permanente di Milano, mentre l’intero ciclo fu presente all’inaugurazione della Galleria d’Arte Antica di Palazzo Feroni a Firenze nella mostra d’Arte Moderna dell’ottobre del 1927.
Antonio Maraini (Roma 1886 – Firenze 1963), nato a Roma da una colta e raffinata famiglia di origine ticinese, nella sua giovinezza assorbe voracemente gli stimoli che gli inizi del XX secolo gli offre, dalla Secessione germanica al Simbolismo, dalla pittura preraffaellita alle avanguardie di Boccioni, Balla, Severini e Sironi. Parallelamente all’attività artistica si distingue come critico d’arte informato e sagace. Si deve alla scrittrice inglese di origine ungherese Yoi Crosse Powlowsky, compagna e poi moglie dell’artista la scelta di intraprendere la carriera di scultore e nel 1912 di trasferirsi a Firenze a contatto con l’ambiente cosmopolita che gravitava in città che ebbe così tanta influenza sulla vocazione internazionale della sua arte. Amico di Marcello Piacentini, icona dell’architettura razionalista fin dai tempi del progetto del Teatro Savoia (ora cinema Odeon) del 1922, affianca una intima produzione sacra e profana di destinazione privata a commissioni pubbliche dove le proporzioni assurgono a valore simbolico e politico. La seconda metà degli anni Venti rappresenta il momento di ascesa della sua fama, che gli permise di ottenere commissioni rilevanti quali i due bassorilievi per la Tomba di Giacomo Puccini a Torre del Lago nel 1926, la Via Crucis a Rodi e la Tomba di Carlo Loeser per il cimitero degli Allori a Firenze nel 1929, dove la fantasia geometrica decò si stempera in una fluida contaminazione di stilemi arcaici.
Ad un’iniziale ostilità agli assunti programmatici di Margherita Sarfatti e alla volontà della musa del Gruppo del Novecento di mettere in competizione il movimento degli artisti fiorentini a quelli milanesi, le assonanze spirituali che lo avvicinano a pittori come Felice Casorati e Mario Sironi oltrepassano l’artificiosa polemica e lo fanno compagno non schierato ad un ritorno alla classicità, propugnato dagli artisti di “Novecento”.
Le affinità classiciste lo mettono in relazione con Gio Ponti, raffinato protagonista della scena artistica milanese con il quale stabilì dalla metà degli anni Venti un rapporto di intensa collaborazione che lo vede protagonista con articoli e foto relativi all’arredamento, gli arredi e le suppellettili disegnati insieme alla moglie Yoi, sulle prestigiose pagine di “Domus”. Negli anni Trenta e Quaranta la scultura di Maraini si pone al servizio di un’integrazione delle arti come critico e come artista, collaborando a grandi opere pubbliche commissionate dal governo con pittori, architetti e decoratori che riscrivono con colori e pietra l’iconografia del regime. A questo periodo possiamo ascrivere il Portale per il palazzo della Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali, le statue il fregio per il palazzo della Società Montecatini e il grande bassorilievo Lex del Palazzo di Giustizia di Milano, oltre al severo Arengario a Brescia.
È pertanto l’intelligenza e la passione di un mecenate come Giovanni Pratesi se oggi possiamo ammirare questi splendidi modelli in gesso della Via Crucis, opera iconica degli anni Venti, come un’importante testimonianza dell’arte italiana, dove alle temperie moderniste si privilegiava un ritorno alla misura e all’equilibrio della cultura umanistica, che in Firenze e la Toscana tutta trovava la sua culla ideale.
16
aprile 2011
Antonio Maraini – L’Andata al calvario secondo Antonio Maraini
Dal 16 aprile al 12 giugno 2011
Location
EX ORATORIO DELL’ OSPEDALE SERRISTORI
Figline Valdarno, Piazza Marsilio Ficino, (Firenze)
Figline Valdarno, Piazza Marsilio Ficino, (Firenze)
Orario di apertura
sabato dalle ore 10.30 alle 12.30 e dalle 17.00 alle 19.30
domenica dalle 10.30 alle 12.30
su richiesta la mostra può essere visitata nei giorni non compresi nel calendario
Ufficio stampa
AMBRA NEPI
Autore