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Antonio Trotta – l’effimero reale
Chi crea immagini, o meglio forme plastiche, come Antonio Trotta, si serve da sempre, di forme capaci di esprimere valori che vanno al di là della loro sembianza, cosicchè ogni scultura è un’interpretazione della realtà.
Comunicato stampa
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ANTONIO TROTTA
La virtù della mano.
Chi crea immagini, o meglio forme plastiche, come Antonio Trotta, si serve da sempre, di forme capaci di esprimere valori che vanno al di là della loro sembianza, cosicchè ogni scultura è un’interpretazione della realtà, non una realtà in sé, infatti ci sembra interessato a proporci la quiete, o la tristezza dell’anima umana, di ciò che è inanimato, ma contiene per sempre questi sentimenti, anche se tra un’icona e l’emozione cè tuttora una distanza densa della faticosa la verità del vivere.
Trotta sviluppa i suoi lavori, che possono essere indifferentemente di bronzo, di marmo, di mosaico vetroso e d’altro, perché non è più interessato al pallore plastico della classicità, ma se mai a una proliferazione di segni conquistati ad un percorso di vissuto, che pur avendo il suo asse portante nella virtù della mano—che contiene storia, metafisica, e presente—e trova fonti sia nel lavoro psichico e talora nell’introspezione alchemica, ignorando modelli estetici egemonici. Ricordiamo con ammirazione la sala personale di Trotta alla XLIV Biennale di Venezia, e vediamo ora i lavori che sono presenti in questa personale—citiamo: “ Calzini” ( 2003 ), “Novia” (2001) “ Virgilio” – essi rivelano slittamenti di senso, e scelte tematiche legate ad oggetti fuori uso, abbandonati, tristi, inutili, ma che attivano una “sostanza simbolica” suggestiva, essi infatti si risemantizzano in un altro contesto, che genera consapevolezza in chi guarda. E’ evidente che in tutte le opere citate è chiara la simbologia del “nodo”, della “rete”, nella quale non si esprime una visione esclusivamente “magica” , o “religiosa” della vita, bensì esprime, nella sua complessità, la situazione stessa dell’uomo nel mondo, la condizione dell’esistente in sé. Il filo della vita, simboleggia il destino dell’uomo. Lo stesso Cosmo è concepito come un tessuto, come un’enorme trama, che equivale a una “legatura” cosmica che tiene insieme l’universo. Nella mitologia greca invece Efesto cattura con una rete dalle maglie di bronzo, Venere, la moglie infedele. Quindi la rete universalmente è simbolo della cattura, mentre lacci e nastri sono simbolo da porsi in relazione al gesto dello sciogliere e del legare. Ma Trotta non resta solo avviluppato nei sui fili, anzi vuole lavorare anche lavorare il marmo, sottile come un foglio di carta, in modo tanto virtuoso da simulare con esso la leggerezza di un “sospiro”, di un soffio di brezza. Poi chiude tutto in “gloria” con un fuoco artificiale di luci, che testimoniano come uno scultore come lui non intende privarsi del piacere erotico di un’esplosione di colore, quindi di energia.
Marisa vescovo.
La virtù della mano.
Chi crea immagini, o meglio forme plastiche, come Antonio Trotta, si serve da sempre, di forme capaci di esprimere valori che vanno al di là della loro sembianza, cosicchè ogni scultura è un’interpretazione della realtà, non una realtà in sé, infatti ci sembra interessato a proporci la quiete, o la tristezza dell’anima umana, di ciò che è inanimato, ma contiene per sempre questi sentimenti, anche se tra un’icona e l’emozione cè tuttora una distanza densa della faticosa la verità del vivere.
Trotta sviluppa i suoi lavori, che possono essere indifferentemente di bronzo, di marmo, di mosaico vetroso e d’altro, perché non è più interessato al pallore plastico della classicità, ma se mai a una proliferazione di segni conquistati ad un percorso di vissuto, che pur avendo il suo asse portante nella virtù della mano—che contiene storia, metafisica, e presente—e trova fonti sia nel lavoro psichico e talora nell’introspezione alchemica, ignorando modelli estetici egemonici. Ricordiamo con ammirazione la sala personale di Trotta alla XLIV Biennale di Venezia, e vediamo ora i lavori che sono presenti in questa personale—citiamo: “ Calzini” ( 2003 ), “Novia” (2001) “ Virgilio” – essi rivelano slittamenti di senso, e scelte tematiche legate ad oggetti fuori uso, abbandonati, tristi, inutili, ma che attivano una “sostanza simbolica” suggestiva, essi infatti si risemantizzano in un altro contesto, che genera consapevolezza in chi guarda. E’ evidente che in tutte le opere citate è chiara la simbologia del “nodo”, della “rete”, nella quale non si esprime una visione esclusivamente “magica” , o “religiosa” della vita, bensì esprime, nella sua complessità, la situazione stessa dell’uomo nel mondo, la condizione dell’esistente in sé. Il filo della vita, simboleggia il destino dell’uomo. Lo stesso Cosmo è concepito come un tessuto, come un’enorme trama, che equivale a una “legatura” cosmica che tiene insieme l’universo. Nella mitologia greca invece Efesto cattura con una rete dalle maglie di bronzo, Venere, la moglie infedele. Quindi la rete universalmente è simbolo della cattura, mentre lacci e nastri sono simbolo da porsi in relazione al gesto dello sciogliere e del legare. Ma Trotta non resta solo avviluppato nei sui fili, anzi vuole lavorare anche lavorare il marmo, sottile come un foglio di carta, in modo tanto virtuoso da simulare con esso la leggerezza di un “sospiro”, di un soffio di brezza. Poi chiude tutto in “gloria” con un fuoco artificiale di luci, che testimoniano come uno scultore come lui non intende privarsi del piacere erotico di un’esplosione di colore, quindi di energia.
Marisa vescovo.
13
giugno 2004
Antonio Trotta – l’effimero reale
Dal 13 giugno al primo agosto 2004
arte contemporanea
Location
VALENTE ARTE CONTEMPORANEA
Finale Ligure, Via Anton Giulio Barrili, 12, (Savona)
Finale Ligure, Via Anton Giulio Barrili, 12, (Savona)
Orario di apertura
tutti i giorni, 10:00-13:00; 16:00-19:00
Vernissage
13 Giugno 2004, ore 10.00
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