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Antonio Zimbone – Etna
Prima mostra del ciclo “Raccontiamoci la nostra … Sicilia”. Un’interessante raccolta di immagini dell’Etna vista in tutte le stagioni e da prospettive diverse. Un racconto del territorio realizzato da un fotografo che ha scelto la fotografia di paesaggio come modo di confrontarsi con il mondo e ha trovato nell’Etna il soggetto d’elezione..
Comunicato stampa
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“L'Etna non è né classico né romantico;
è contemporaneo al mondo.
Chiunque abbia il senso del mistero
sarà soggiogato dall'Etna”
Hélène Tuzet
La fotografia è una forma di rappresentazione visiva ibrida: da un lato per la sua referenzialità estrema partecipa a tal punto del reale da essere utilizzata come strumento d'indagine scientifica; dall'altro, per la sua forza visiva e per la sua capacità di innescare meccanismi stratificati di lettura, ha sempre proposto significati ulteriori di visione: intimi e personali.
Tra le migliaia di soggetti potenziali per la rappresentazione fotografica, la montagna è stato uno dei più indagati e, nonostante le difficoltà dei mezzi delle origini, uno dei primi ad essere affrontato con passione e grande perizia tecnica.
Già nel 1833, ancor prima della proclamazione dell'invenzione del mezzo fotografico, l'inglese Henry Fox Talbot studiava come riprendere il profilo delle Alpi dalla riva del Lago di Como. Il suo nome sarà presto legato all'invenzione della fotografia stessa, così come quello di Niepce e Daguerre, e il suo interesse per la montagna sarà presto ripreso da altri fotografi che, sulla scorta dell'interesse privato o al seguito di spedizioni scientifiche, amplieranno la ricerca visiva arricchendone in maniera significativa il patrimonio iconografico.
E' così che la montagna, con il suo mix di bellezza e pericolosità, non smette mai di sorprendere i viaggiatori e i fotografi che, da ogni latitudine del mondo, ad essa si avvicinano. Se poi non di semplice montagna si tratta, ma di vulcano, questo connubio raggiunge la sua massima carica espressiva ed emotiva, mettendo in risalto la varietà di paesaggi e scenari che sono in continuo divenire. Questi cambiamenti, chiara manifestazione dei fenomeni dell'inarrestabile dinamica del nostro pianeta, spesso vengono appena percepiti dalle popolazioni locali, ma sono ben conosciuti e studiati dagli scienziati e ben raccontati in immagine da esperti fotografi. Di questa vitalità della natura i vulcani sono la più altisonante espressione di magnificenza e potenza: sono la manifestazione più forte del “sublime” insito nella natura stessa. Questi luoghi “alimentano stupori rafforzati dal fascino del territorio sconosciuto”1 di cui la fotografia diventa un mezzo privilegiato d'indagine.
Molti fotografi nel corso degli ultimi due secoli hanno “raffigurato”, tra le tante montagne, l'Etna, contribuendo ad alimentare le leggende che sin dall'antichità hanno fatto del vulcano più alto d'Europa un luogo del mito ma anche dall'anima. Del resto, come dice uno dei suoi tanti nomi, Mongibello (dal latino mons e dall'arabo jebel che vuol dire anch'esso monte), l'Etna è una montagna al quadrato: la montagna per eccellenza.
Qualche anno fa, dall'archivio del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze, sono emerse storiche immagini di fotografi come Maglioni, Crupi e Brogi, che sono state mirabilmente raccolte in un prezioso volume2 che ci racconta le origini della fotografia sul “vulcano”. Tuttavia se la storia è importante, perché ci dà traccia della nostra e della “sua” evoluzione, non dobbiamo e non possiamo dimenticare la contemporaneità che è fatta di un numero elevatissimo di fotografi che alla “muntagna” (così l'Etna viene chiamata in Sicilia) hanno dedicato particolare attenzione. Certamente uno dei più significativi e capaci è il catanese Antonio Zimbone che da molti anni ormai ha scelto la fotografia di paesaggio come mezzo di espressione e l'Etna come soggetto d'elezione.
Le sue immagini coniugano al meglio le due funzioni che poc'anzi abbiamo attribuito alla fotografia: da un lato ci raccontano un territorio nella sua cruda realtà, dall'altro, grazie alla perizia del nostro fotografo, ce ne mostrano sempre l'aspetto visivamente più attraente. Zimbone conosce benissimo la grammatica fotografica e ogni elemento dello scenario che gli si presenta davanti diventa per lui una sfida per raccontarci il “vero della natura” e il suo “io estetico”.
Spesso in riferimento ad immagini di tal genere si abusa del termine “poesia”, ma le immagini di Zimbone non hanno nulla di “poetico”. La poiesis è creazione, invenzione. Le sue immagini invece sono frutto dell'aisthesis della “conoscenza sensibile”, cioè di quella conoscenza che acquisiamo attraverso i sensi e di cui la macchina fotografica non è altro che un amplificatore sensoriale ed emozionale.
La fotografia è per Zimbone “una sorta di sposalizio con la montagna, un modo per esserle vicinissimo”3. E questa sua vicinanza l'autore ce la comunica attraverso le sue incredibili immagini che con semplicità ci raccontano il ciclo delle stagioni, la mutevolezza dei colori e del paesaggio, l'alternarsi di luci e ombre così come di vegetazione e aree desertiche. Ma soprattutto le sue immagini ci parlano di pietra. Di quella pietra che in un vulcano è materia vivente, che esplode, scorre, si vaporizza, perché è legata da una sorta di cordone ombelicale al ventre di fuoco della Madre-Terra che l'ha generata, fino poi a depositarsi per diventare paesaggio.
Se un giovanissimo Ansel Adams vedendo le immagini di Vittorio Sella, progenitore di tutti i fotografi della montagna, arrivò a provare un “senso di sgomento religioso”4, noi, vedendo le immagini di Zimbone, possiamo “credere” che esista ancora un legame tra l'uomo e la “sua terra”.
3nzo Gabriele Leanza
1 G. Garimondi, Storia della fotografia di montagna, Priuli & Verlucca, Torino 2007, p. 5
2 Cfr. AA.VV., Terre di fuoco. Etna, Stromboli e Vulcano nelle Collezioni Alinari, Alinari, Firenze
3 Gaston Rebuffat, citato in G. Garimondi, op.cit., Torino 2007, p. 5
4 Lemma “Montagna”, in R. Lehman (a cura di), Dizionario della fotografia, Einaudi, Torino 2008, p. 737
è contemporaneo al mondo.
Chiunque abbia il senso del mistero
sarà soggiogato dall'Etna”
Hélène Tuzet
La fotografia è una forma di rappresentazione visiva ibrida: da un lato per la sua referenzialità estrema partecipa a tal punto del reale da essere utilizzata come strumento d'indagine scientifica; dall'altro, per la sua forza visiva e per la sua capacità di innescare meccanismi stratificati di lettura, ha sempre proposto significati ulteriori di visione: intimi e personali.
Tra le migliaia di soggetti potenziali per la rappresentazione fotografica, la montagna è stato uno dei più indagati e, nonostante le difficoltà dei mezzi delle origini, uno dei primi ad essere affrontato con passione e grande perizia tecnica.
Già nel 1833, ancor prima della proclamazione dell'invenzione del mezzo fotografico, l'inglese Henry Fox Talbot studiava come riprendere il profilo delle Alpi dalla riva del Lago di Como. Il suo nome sarà presto legato all'invenzione della fotografia stessa, così come quello di Niepce e Daguerre, e il suo interesse per la montagna sarà presto ripreso da altri fotografi che, sulla scorta dell'interesse privato o al seguito di spedizioni scientifiche, amplieranno la ricerca visiva arricchendone in maniera significativa il patrimonio iconografico.
E' così che la montagna, con il suo mix di bellezza e pericolosità, non smette mai di sorprendere i viaggiatori e i fotografi che, da ogni latitudine del mondo, ad essa si avvicinano. Se poi non di semplice montagna si tratta, ma di vulcano, questo connubio raggiunge la sua massima carica espressiva ed emotiva, mettendo in risalto la varietà di paesaggi e scenari che sono in continuo divenire. Questi cambiamenti, chiara manifestazione dei fenomeni dell'inarrestabile dinamica del nostro pianeta, spesso vengono appena percepiti dalle popolazioni locali, ma sono ben conosciuti e studiati dagli scienziati e ben raccontati in immagine da esperti fotografi. Di questa vitalità della natura i vulcani sono la più altisonante espressione di magnificenza e potenza: sono la manifestazione più forte del “sublime” insito nella natura stessa. Questi luoghi “alimentano stupori rafforzati dal fascino del territorio sconosciuto”1 di cui la fotografia diventa un mezzo privilegiato d'indagine.
Molti fotografi nel corso degli ultimi due secoli hanno “raffigurato”, tra le tante montagne, l'Etna, contribuendo ad alimentare le leggende che sin dall'antichità hanno fatto del vulcano più alto d'Europa un luogo del mito ma anche dall'anima. Del resto, come dice uno dei suoi tanti nomi, Mongibello (dal latino mons e dall'arabo jebel che vuol dire anch'esso monte), l'Etna è una montagna al quadrato: la montagna per eccellenza.
Qualche anno fa, dall'archivio del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze, sono emerse storiche immagini di fotografi come Maglioni, Crupi e Brogi, che sono state mirabilmente raccolte in un prezioso volume2 che ci racconta le origini della fotografia sul “vulcano”. Tuttavia se la storia è importante, perché ci dà traccia della nostra e della “sua” evoluzione, non dobbiamo e non possiamo dimenticare la contemporaneità che è fatta di un numero elevatissimo di fotografi che alla “muntagna” (così l'Etna viene chiamata in Sicilia) hanno dedicato particolare attenzione. Certamente uno dei più significativi e capaci è il catanese Antonio Zimbone che da molti anni ormai ha scelto la fotografia di paesaggio come mezzo di espressione e l'Etna come soggetto d'elezione.
Le sue immagini coniugano al meglio le due funzioni che poc'anzi abbiamo attribuito alla fotografia: da un lato ci raccontano un territorio nella sua cruda realtà, dall'altro, grazie alla perizia del nostro fotografo, ce ne mostrano sempre l'aspetto visivamente più attraente. Zimbone conosce benissimo la grammatica fotografica e ogni elemento dello scenario che gli si presenta davanti diventa per lui una sfida per raccontarci il “vero della natura” e il suo “io estetico”.
Spesso in riferimento ad immagini di tal genere si abusa del termine “poesia”, ma le immagini di Zimbone non hanno nulla di “poetico”. La poiesis è creazione, invenzione. Le sue immagini invece sono frutto dell'aisthesis della “conoscenza sensibile”, cioè di quella conoscenza che acquisiamo attraverso i sensi e di cui la macchina fotografica non è altro che un amplificatore sensoriale ed emozionale.
La fotografia è per Zimbone “una sorta di sposalizio con la montagna, un modo per esserle vicinissimo”3. E questa sua vicinanza l'autore ce la comunica attraverso le sue incredibili immagini che con semplicità ci raccontano il ciclo delle stagioni, la mutevolezza dei colori e del paesaggio, l'alternarsi di luci e ombre così come di vegetazione e aree desertiche. Ma soprattutto le sue immagini ci parlano di pietra. Di quella pietra che in un vulcano è materia vivente, che esplode, scorre, si vaporizza, perché è legata da una sorta di cordone ombelicale al ventre di fuoco della Madre-Terra che l'ha generata, fino poi a depositarsi per diventare paesaggio.
Se un giovanissimo Ansel Adams vedendo le immagini di Vittorio Sella, progenitore di tutti i fotografi della montagna, arrivò a provare un “senso di sgomento religioso”4, noi, vedendo le immagini di Zimbone, possiamo “credere” che esista ancora un legame tra l'uomo e la “sua terra”.
3nzo Gabriele Leanza
1 G. Garimondi, Storia della fotografia di montagna, Priuli & Verlucca, Torino 2007, p. 5
2 Cfr. AA.VV., Terre di fuoco. Etna, Stromboli e Vulcano nelle Collezioni Alinari, Alinari, Firenze
3 Gaston Rebuffat, citato in G. Garimondi, op.cit., Torino 2007, p. 5
4 Lemma “Montagna”, in R. Lehman (a cura di), Dizionario della fotografia, Einaudi, Torino 2008, p. 737
12
gennaio 2013
Antonio Zimbone – Etna
Dal 12 al 26 gennaio 2013
fotografia
Location
MUSEO DEL COSTUME
Scicli, Via Francesco Mormino Penna, 65, (Ragusa)
Scicli, Via Francesco Mormino Penna, 65, (Ragusa)
Orario di apertura
Dal lunedì alla domenica dalle ore 10.30 alle 13.00 e dal giovedì alla domenica anche dalle 16.00 alle 19.00.
Vernissage
12 Gennaio 2013, Ore 19.00
Autore
Curatore