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Ariela Bohm – I segni della parola
In mostra una selezione di sculture e installazioni risultato del connubio di diverse tecniche e materiali, principalmente legno e ceramica Raku, a rappresentare simbolicamente l’intrecciarsi delle attività di ricerca scientifica e artistica
Comunicato stampa
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Sabato 22 novembre, alle ore 18, sarà inaugurata, presso l’associazione culturale Esquilino Domani, la mostra personale I segni della parola, della scultrice Ariela Böhm. All’evento parteciperà il premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini.
“L’attività scientifica e quella artistica sono tra i più pregevoli prodotti che caratterizzano quel formidabile complesso di sistemi e circuiti neuronali neocorticali, tipici del cervello dell’Homo sapiens” ha scritto la Levi Montalcini nel catalogo di Ariela Böhm che fu sua allieva all’istituto di Biologia molecolare del CNR di Roma.
E il pensiero umano, espresso nella scrittura, è il campo di ricerca privilegiato nell’opera di Ariela Böhm. I segni della parola è un omaggio alla scrittura e ai segni che la compongono: dalle lingue più antiche a moderne poesie d’amore, nella scrittura Ariela Böhm fissa la nostra storia così come le nostre emozioni.
In mostra una selezione di sculture e installazioni risultato del connubio di diverse tecniche e materiali, principalmente legno e ceramica Raku, a rappresentare simbolicamente l’intrecciarsi delle attività di ricerca scientifica e artistica.
Rita Levi Montalcini
Premio Nobel per la Medicina
Ariela Böhm ha ereditato dai genitori straordinarie attitudini, scientifiche e artistiche.
L’attività scientifica e quella artistica sono tra i più pregevoli prodotti che caratterizzano quel formidabile complesso di sistemi e circuiti neuronali neocorticali, tipici del cervello dell’Homo sapiens.
L’espressione scientifica può manifestarsi sin dal suo primo apparire, perfetta come Minerva nell’atto di emergere dal cervello di Giove o svelare nella sua incompletezza il lungo travaglio dell’atto creativo.
Una differenza essenziale tra le creazioni scientifiche ed artistiche è che queste ultime sono la risultante dell’attività creativa di un singolo individuo. Al contrario l’attività scientifica pur avendo origine nel felice intuito di un singolo individuo diventa immediatamente un’opera collegiale che va incontro ad estensione mano a mano che gli
studi portano a nuove conoscenze.
L’attività artistica di Ariela Böhm è ispirata alla storia del pensiero umano. L’opera “All’alba della scrittura” richiama alla nostra mente le tavole bibliche. Attraverso i segni incisi l’artista parla un linguaggio cifrato che spetta all’osservatore di interpretare. Differente è il significato dell’opera
“Riflessioni sulla convivenza” che offre un’interpretazione delle origini dell’attività umana dal suo arcaico apparire, alla complessa interazione di quella attuale del terzo millennio.
Questa bellissima opera, realizzata con l’audace connubio di elementi diversi, legno e terracottta, in armonica contrapposizione, rappresenta simbolicamente l’intrecciarsi di attività mentali, quali la creatività scientifica ed artistica.
Luciana Stegagno Picchio
Linguista e filologa
Fra le opere di Ariela Böhm privilegio quelle in cui l’impiego di nuovi materiali e di tecniche innovative tende al ricupero e alla riproposta di forme espressive proprie di momenti iniziali, inventivi, della storia dell’uomo. L’autrice le ha metaforicamente definite le pagine di terra, di fuoco e di luce da lei dedicate ai primordi della scrittura. Il loro supporto materico è costituito da terracotte a tecnica Raku che, con la luminosità corusca di frammenti emersi da un passato remoto, si propongono quali elementi portanti, in fissazione seriale, di una singolare vicenda umana sub specie scripturae. E proprio l’”arcaicità”, artificialmente indotta in queste ceramiche, sembra costituire il necessario tramite fra scritte e supporti.
La tecnica ceramistica adottata da Ariela è un’antica arte d’importazione cinese o coreana, affermatasi in Giappone fra il 1570 e il 1590 ad opera della celebrata dinastia dei Raku. Il tredicesimo maestro dei Raku è morto nel 1945, ma l’arte della terracotta che porta il loro nome è giunta fino a noi. In questo momento è privilegiata da artisti i quali, come Ariela, si riconoscono nell’imperfezione di materiali sconvolti nel loro processo di cottura da temperature altissime capaci di conferire al risultato ultimo l’inatteso di un “troppo” che ha spaccato e contorto ogni superficie, come dopo una estrema siccità o un evento sconvolgente. Su queste superfici martoriate, che escono dalla cottura in forme inaspettate solcate da incisioni, toscanissimi cretti di terre aride, annerite ai bordi arricciati come dopo un’esplosione atomica, le scritte appaiono a rilievo. Non sono cioè incise, in negativo, a ricordo di mosaiche tavole della legge, ma in positivo, come appunto nei sigilli. Conservano perciò un loro aurorale nitore ad affermare l’eternità della scrittura rispetto ai suoi supporti deperibili e contingenti. Che gli esercizi di scrittura di Ariela Böhm non rispondano a semplici intenti di ornamentalità decorativa è dimostrato, anche dal fatto che, fra gli esempi da lei prescelti, oltre a varie proposte di Lineare B, appaiono esempi di scritture assirie cuneiformi, di scrittura siriaca, palmirena e aramaica, provenienti da aree proprie o contigue a quel mondo ebraico che è uno dei poli del fare umano e artistico di questa scultrice.
Elina Lo Voi
Regista
Le pagine di Ariela Böhm devono essere viste insieme, tutte insieme. Quella arricciata (sottoposta a quale incendio?) e quella panciuta (per l’umidità di quale sotterraneo in cui è rimasta celata?) quella bucata e quella quasi accartocciata da una mano incurante. Tracce della storia e dunque logore, scure, ma illuminate dai brandelli residui d’uno splendore perduto (lo smalto che resiste), tracce d’una venerazione antica perché incarnavano la fatica e la grandezza dell’uomo nella necessità di "creare" il passato rendendolo ripercorribile all’infinito con la scrittura.
Vedendole tutte insieme, però, affiora un certo senso di inquietudine, come se ci fosse un particolare che non torna, qualcosa di individuabile solo da uno sguardo puntuto, qualcosa che riguarda la loro fattura. Le lettere sono in rilievo. Ma quando s’incide una lastra, si incide, per l’appunto. Non ci si ritrova una lettera tornita, perfetta. Su una copia inchiostrata, le lettere non sono in rilievo. Lo scarto, la poesia sembra che in questo trovi la sua chiave. La scelta di una fattura all’incontrario, in rilievo, dà la sensazione forte di trovarsi davvero davanti all’archetipo originario. La parola incisa sulla pietra è incisa, come nelle tavole di Mosè, ed è dura, come gli strumenti impongono; la parola morbida è la parola a pennello, come nell’alfabeto arabo, o quello cinese, o quello giapponese.
Sulla pietra di Ariela la parola è miracolosamente morbida quasi fosse materiale vivente, biologico. Ed anche questo è inquietante. Come se l’artista avesse
ritrovato il significato organico delle cose nel momento in cui le trasforma in parola, le nomina, e quindi le ricrea, se ne fa artefice per la prima volta.
E’ un’autentica operazione magica quella che vediamo, ed è forse per questo che riesce così intensa e integrata con l’intelletto; perché gli albori della civiltà sono gli albori dell’Uomo e di ognuno di noi, e per ciascuno tanto più vicini quanto più si conserva la memoria e la volontà di sentirsi parte di una comunità umana.
Queste opere contengono insieme una grande speranza e una grande visione; riavvicinandoci alla fondazione di noi stessi, sembra che dicano che una fondazione ancora una volta è possibile, che la speranza non è perduta, e che nell’umanità c’è davvero il seme del divino.
Hanno scritto di lei in catalogo
P. Balmas, E. Bilardello, F. Di Castro, P. Ferri, R. Gavarro, R. Levi-Montalcini, E. La Cava, L. Lambertini, G. Latini, B. Martusciello, G. Marziani, N. Micieli, A. Romani Brizzi, L. Stegagno Picchio, M. L. Trevisan, G. Vannucci, T. Zambrotta , A. Zevi
“L’attività scientifica e quella artistica sono tra i più pregevoli prodotti che caratterizzano quel formidabile complesso di sistemi e circuiti neuronali neocorticali, tipici del cervello dell’Homo sapiens” ha scritto la Levi Montalcini nel catalogo di Ariela Böhm che fu sua allieva all’istituto di Biologia molecolare del CNR di Roma.
E il pensiero umano, espresso nella scrittura, è il campo di ricerca privilegiato nell’opera di Ariela Böhm. I segni della parola è un omaggio alla scrittura e ai segni che la compongono: dalle lingue più antiche a moderne poesie d’amore, nella scrittura Ariela Böhm fissa la nostra storia così come le nostre emozioni.
In mostra una selezione di sculture e installazioni risultato del connubio di diverse tecniche e materiali, principalmente legno e ceramica Raku, a rappresentare simbolicamente l’intrecciarsi delle attività di ricerca scientifica e artistica.
Rita Levi Montalcini
Premio Nobel per la Medicina
Ariela Böhm ha ereditato dai genitori straordinarie attitudini, scientifiche e artistiche.
L’attività scientifica e quella artistica sono tra i più pregevoli prodotti che caratterizzano quel formidabile complesso di sistemi e circuiti neuronali neocorticali, tipici del cervello dell’Homo sapiens.
L’espressione scientifica può manifestarsi sin dal suo primo apparire, perfetta come Minerva nell’atto di emergere dal cervello di Giove o svelare nella sua incompletezza il lungo travaglio dell’atto creativo.
Una differenza essenziale tra le creazioni scientifiche ed artistiche è che queste ultime sono la risultante dell’attività creativa di un singolo individuo. Al contrario l’attività scientifica pur avendo origine nel felice intuito di un singolo individuo diventa immediatamente un’opera collegiale che va incontro ad estensione mano a mano che gli
studi portano a nuove conoscenze.
L’attività artistica di Ariela Böhm è ispirata alla storia del pensiero umano. L’opera “All’alba della scrittura” richiama alla nostra mente le tavole bibliche. Attraverso i segni incisi l’artista parla un linguaggio cifrato che spetta all’osservatore di interpretare. Differente è il significato dell’opera
“Riflessioni sulla convivenza” che offre un’interpretazione delle origini dell’attività umana dal suo arcaico apparire, alla complessa interazione di quella attuale del terzo millennio.
Questa bellissima opera, realizzata con l’audace connubio di elementi diversi, legno e terracottta, in armonica contrapposizione, rappresenta simbolicamente l’intrecciarsi di attività mentali, quali la creatività scientifica ed artistica.
Luciana Stegagno Picchio
Linguista e filologa
Fra le opere di Ariela Böhm privilegio quelle in cui l’impiego di nuovi materiali e di tecniche innovative tende al ricupero e alla riproposta di forme espressive proprie di momenti iniziali, inventivi, della storia dell’uomo. L’autrice le ha metaforicamente definite le pagine di terra, di fuoco e di luce da lei dedicate ai primordi della scrittura. Il loro supporto materico è costituito da terracotte a tecnica Raku che, con la luminosità corusca di frammenti emersi da un passato remoto, si propongono quali elementi portanti, in fissazione seriale, di una singolare vicenda umana sub specie scripturae. E proprio l’”arcaicità”, artificialmente indotta in queste ceramiche, sembra costituire il necessario tramite fra scritte e supporti.
La tecnica ceramistica adottata da Ariela è un’antica arte d’importazione cinese o coreana, affermatasi in Giappone fra il 1570 e il 1590 ad opera della celebrata dinastia dei Raku. Il tredicesimo maestro dei Raku è morto nel 1945, ma l’arte della terracotta che porta il loro nome è giunta fino a noi. In questo momento è privilegiata da artisti i quali, come Ariela, si riconoscono nell’imperfezione di materiali sconvolti nel loro processo di cottura da temperature altissime capaci di conferire al risultato ultimo l’inatteso di un “troppo” che ha spaccato e contorto ogni superficie, come dopo una estrema siccità o un evento sconvolgente. Su queste superfici martoriate, che escono dalla cottura in forme inaspettate solcate da incisioni, toscanissimi cretti di terre aride, annerite ai bordi arricciati come dopo un’esplosione atomica, le scritte appaiono a rilievo. Non sono cioè incise, in negativo, a ricordo di mosaiche tavole della legge, ma in positivo, come appunto nei sigilli. Conservano perciò un loro aurorale nitore ad affermare l’eternità della scrittura rispetto ai suoi supporti deperibili e contingenti. Che gli esercizi di scrittura di Ariela Böhm non rispondano a semplici intenti di ornamentalità decorativa è dimostrato, anche dal fatto che, fra gli esempi da lei prescelti, oltre a varie proposte di Lineare B, appaiono esempi di scritture assirie cuneiformi, di scrittura siriaca, palmirena e aramaica, provenienti da aree proprie o contigue a quel mondo ebraico che è uno dei poli del fare umano e artistico di questa scultrice.
Elina Lo Voi
Regista
Le pagine di Ariela Böhm devono essere viste insieme, tutte insieme. Quella arricciata (sottoposta a quale incendio?) e quella panciuta (per l’umidità di quale sotterraneo in cui è rimasta celata?) quella bucata e quella quasi accartocciata da una mano incurante. Tracce della storia e dunque logore, scure, ma illuminate dai brandelli residui d’uno splendore perduto (lo smalto che resiste), tracce d’una venerazione antica perché incarnavano la fatica e la grandezza dell’uomo nella necessità di "creare" il passato rendendolo ripercorribile all’infinito con la scrittura.
Vedendole tutte insieme, però, affiora un certo senso di inquietudine, come se ci fosse un particolare che non torna, qualcosa di individuabile solo da uno sguardo puntuto, qualcosa che riguarda la loro fattura. Le lettere sono in rilievo. Ma quando s’incide una lastra, si incide, per l’appunto. Non ci si ritrova una lettera tornita, perfetta. Su una copia inchiostrata, le lettere non sono in rilievo. Lo scarto, la poesia sembra che in questo trovi la sua chiave. La scelta di una fattura all’incontrario, in rilievo, dà la sensazione forte di trovarsi davvero davanti all’archetipo originario. La parola incisa sulla pietra è incisa, come nelle tavole di Mosè, ed è dura, come gli strumenti impongono; la parola morbida è la parola a pennello, come nell’alfabeto arabo, o quello cinese, o quello giapponese.
Sulla pietra di Ariela la parola è miracolosamente morbida quasi fosse materiale vivente, biologico. Ed anche questo è inquietante. Come se l’artista avesse
ritrovato il significato organico delle cose nel momento in cui le trasforma in parola, le nomina, e quindi le ricrea, se ne fa artefice per la prima volta.
E’ un’autentica operazione magica quella che vediamo, ed è forse per questo che riesce così intensa e integrata con l’intelletto; perché gli albori della civiltà sono gli albori dell’Uomo e di ognuno di noi, e per ciascuno tanto più vicini quanto più si conserva la memoria e la volontà di sentirsi parte di una comunità umana.
Queste opere contengono insieme una grande speranza e una grande visione; riavvicinandoci alla fondazione di noi stessi, sembra che dicano che una fondazione ancora una volta è possibile, che la speranza non è perduta, e che nell’umanità c’è davvero il seme del divino.
Hanno scritto di lei in catalogo
P. Balmas, E. Bilardello, F. Di Castro, P. Ferri, R. Gavarro, R. Levi-Montalcini, E. La Cava, L. Lambertini, G. Latini, B. Martusciello, G. Marziani, N. Micieli, A. Romani Brizzi, L. Stegagno Picchio, M. L. Trevisan, G. Vannucci, T. Zambrotta , A. Zevi
22
novembre 2003
Ariela Bohm – I segni della parola
Dal 22 novembre al 13 dicembre 2003
arte contemporanea
Location
ESQUILINO DOMANI
Roma, Via Galilei, 53, (Roma)
Roma, Via Galilei, 53, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni 18-20
Vernissage
22 Novembre 2003, ore 18