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Arrington De Dionyso
personale di Arrington De Dionyso
Comunicato stampa
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Arrington De Dionyso, nato a Washington nel 1975, trasferitosi ad Olympia nel 1992 per studiare etnomusicologia, musicoterapia e danza Butoh all’Evergreen State College, è il fondatore e curatore dell’Olympia Festival of Experimental Musics. Nel 1995 ha fondato gli Old Time Relijun, e da allora è stato in tournée negli Stati Uniti e in Europa, registrando per l’etichetta K records. La sua continua ricerca spirituale e carnale di tessere una personale visione del mondo l’ha spinto all’arte visiva, generando una fusione totale tra vita musica e disegno.Tutto è essenza, è forza inequivocabile; in ogni gesto De Dionyso compie un’oscillazione del limite dell’atto performativo tra alienazione, misticismo e automatismo. Ogni tassello di vita è vivisezionato e, attraverso la pratica dell’improvvisazione libera, è prima esorcizzato o amplificato e poi rigettato al mondo.
Testi Critici
Arrington De Dionyso ci propone una carnevalata d’immagini in cui regna il soprannaturale, sono immagini che fuoriescono dallo sfondo bianco con prepotenza e leggerezza, brutalità ed eleganza, infondendoci di misticismo; il tratto sottile e il colore evanescente ci mostrano per contrasto scene sanguinarie, corpi deformi e rituali misteriosi emanando una bizzarra e inquietante atmosfera di grazia e armonia. Le anatomie stridenti bagnate da macchie fluttuanti d’acquerello definiscono uno stile che richiama le sonorità allo stesso tempo sporche e ossessive, melodiche e liriche che Arrington da sempre sperimenta nei suoi progetti musicali.Attraverso una violenta e dirompente vivisezione mistica, Arrington, compie una ricerca sull’esistente abbracciandone ogni aspetto semi-nascosto: l’eros, le relazioni, il desiderio di fuga, la solitudine, l’aggressività, la mostruosità del contemporaneo. Nulla è lasciato al caso, non dobbiamo farci fuorviare da queste apparizioni istantanee e improvvisate, tutto è ben orchestrato e ha un punto di partenza: l’essenza, e un punto d’arrivo: l’esistenza.
Arrington De Dionyso come Arianna tesse il suo filo per allargare il concetto di reale. Un filo che ha come capo la simbologia Azteca, poi s’intreccia con le danze matissiane, strizza l'occhio al diario di Frida Khalo e giunge alla contemporaneità.
È un filo autobiografico, con una forte matrice taumaturgica, ci viene coraggiosamente e generosamente offerto, spetta a noi seguirlo!
Francesca Pergreffi e Filippo Bergonzini, Aprile 2011
“Tyger ! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?”
William Blake
Come egli stesso si definisce in “Mani Malaikat”, uno dei brani del suo ultimo lavoro da solista, Arrington de Dionyso è una bestia onnivora e mutante che “s’imbatte in mondi mai visti” e ne traduce le visioni attraverso l’istintiva produzione artistica. La delicatezza e la leggerezza del’acquerello si arrampicano ad un multiforme “paradiso” terrestre popolato da creature bestiali, teste di corvo e feline, corpi attorcigliati in improbabili pose sfolgoranti di colori forti e decisi. Questo il mondo in cui Arrington, con fare quasi sciamanico, ci trascina, un bestiario simbolico, mistico e dionisiaco al tempo stesso in cui il primitivismo della forma, la semplificazione del tratto si carica di messaggi, simboli, racconta storie e relazioni attingendo alla potenza della narrazione che dal medioevo arriva al fumetto contemporaneo. A ben vedere, il vaso di Pandora dal qualche attinge il suo immaginario è quello che appartiene ad ogni singolo individuo facente parte della specie umana. L’approccio artistico di Arrington è infatti direttamente collegato a quell’intrinseca tensione, di proprietà esclusiva dell’uomo, alla catalogazione dell’universo con le sue molteplici forme, le sue strutture e i suoi meccanismi. Un fare arte, il suo, che richiama una sorta di primitivismo nel quale la bestialità si soggioga alla ragione, o meglio al bisogno di racchiudere lo scibile attraverso il nome, il segno. Alla stregua di una divinità fluttuante su terra e mare, l’artista americano plasma il suo inconscio investendo le sue creature di una sacralità disarmante, che assurge quasi a modello pedagogico, un po’ come se i suoi dipinti fossero dei graffiti paleolitici post-moderni, intrisi però di una mitologia e di una consapevolezza radicate più che mai nel nostro essere “urbano”. L’arte (pittura o musica che sia) non è che un mezzo con il quale sfondare il velo di Maya della percezione e giungere, attraverso un rituale di cui Arrington si fa sciamano e catalizzatore, alla verità. Un’opera profondamente spirituale quindi, quella dell’ex leader degli Old Time Relijun, nella quale la carne torna ad essere Verbo, o per meglio dire “ruggito” ancestrale che scuote la coscienza di ognuno di noi, e in un sussulto primordiale la induce maieuticamente a partorirne la propria realtà.
Roberta Fiorito
Nico Murri
di Fabrica Fluxus Art Gallery
Testi Critici
Arrington De Dionyso ci propone una carnevalata d’immagini in cui regna il soprannaturale, sono immagini che fuoriescono dallo sfondo bianco con prepotenza e leggerezza, brutalità ed eleganza, infondendoci di misticismo; il tratto sottile e il colore evanescente ci mostrano per contrasto scene sanguinarie, corpi deformi e rituali misteriosi emanando una bizzarra e inquietante atmosfera di grazia e armonia. Le anatomie stridenti bagnate da macchie fluttuanti d’acquerello definiscono uno stile che richiama le sonorità allo stesso tempo sporche e ossessive, melodiche e liriche che Arrington da sempre sperimenta nei suoi progetti musicali.Attraverso una violenta e dirompente vivisezione mistica, Arrington, compie una ricerca sull’esistente abbracciandone ogni aspetto semi-nascosto: l’eros, le relazioni, il desiderio di fuga, la solitudine, l’aggressività, la mostruosità del contemporaneo. Nulla è lasciato al caso, non dobbiamo farci fuorviare da queste apparizioni istantanee e improvvisate, tutto è ben orchestrato e ha un punto di partenza: l’essenza, e un punto d’arrivo: l’esistenza.
Arrington De Dionyso come Arianna tesse il suo filo per allargare il concetto di reale. Un filo che ha come capo la simbologia Azteca, poi s’intreccia con le danze matissiane, strizza l'occhio al diario di Frida Khalo e giunge alla contemporaneità.
È un filo autobiografico, con una forte matrice taumaturgica, ci viene coraggiosamente e generosamente offerto, spetta a noi seguirlo!
Francesca Pergreffi e Filippo Bergonzini, Aprile 2011
“Tyger ! Tyger! Burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?”
William Blake
Come egli stesso si definisce in “Mani Malaikat”, uno dei brani del suo ultimo lavoro da solista, Arrington de Dionyso è una bestia onnivora e mutante che “s’imbatte in mondi mai visti” e ne traduce le visioni attraverso l’istintiva produzione artistica. La delicatezza e la leggerezza del’acquerello si arrampicano ad un multiforme “paradiso” terrestre popolato da creature bestiali, teste di corvo e feline, corpi attorcigliati in improbabili pose sfolgoranti di colori forti e decisi. Questo il mondo in cui Arrington, con fare quasi sciamanico, ci trascina, un bestiario simbolico, mistico e dionisiaco al tempo stesso in cui il primitivismo della forma, la semplificazione del tratto si carica di messaggi, simboli, racconta storie e relazioni attingendo alla potenza della narrazione che dal medioevo arriva al fumetto contemporaneo. A ben vedere, il vaso di Pandora dal qualche attinge il suo immaginario è quello che appartiene ad ogni singolo individuo facente parte della specie umana. L’approccio artistico di Arrington è infatti direttamente collegato a quell’intrinseca tensione, di proprietà esclusiva dell’uomo, alla catalogazione dell’universo con le sue molteplici forme, le sue strutture e i suoi meccanismi. Un fare arte, il suo, che richiama una sorta di primitivismo nel quale la bestialità si soggioga alla ragione, o meglio al bisogno di racchiudere lo scibile attraverso il nome, il segno. Alla stregua di una divinità fluttuante su terra e mare, l’artista americano plasma il suo inconscio investendo le sue creature di una sacralità disarmante, che assurge quasi a modello pedagogico, un po’ come se i suoi dipinti fossero dei graffiti paleolitici post-moderni, intrisi però di una mitologia e di una consapevolezza radicate più che mai nel nostro essere “urbano”. L’arte (pittura o musica che sia) non è che un mezzo con il quale sfondare il velo di Maya della percezione e giungere, attraverso un rituale di cui Arrington si fa sciamano e catalizzatore, alla verità. Un’opera profondamente spirituale quindi, quella dell’ex leader degli Old Time Relijun, nella quale la carne torna ad essere Verbo, o per meglio dire “ruggito” ancestrale che scuote la coscienza di ognuno di noi, e in un sussulto primordiale la induce maieuticamente a partorirne la propria realtà.
Roberta Fiorito
Nico Murri
di Fabrica Fluxus Art Gallery
02
aprile 2011
Arrington De Dionyso
Dal 02 aprile all'otto maggio 2011
arte contemporanea
performance - happening
performance - happening
Location
SPAZIO MEME
Carpi, Via Giordano Bruno, 4, (Modena)
Carpi, Via Giordano Bruno, 4, (Modena)
Orario di apertura
lunedì-domenica dalle 17 alle 20
sabato anche la mattina dalle 9,30 alle 13
chiuso il martedì
Vernissage
2 Aprile 2011, ore 19
Autore
Curatore