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Arte Contemporanea Africana
La mostra inaugura a Como la prima esposizione di artisti africani già presenti ai grandi eventi dell’arte contemporanea africana
Comunicato stampa
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Le “Afriche” e l’arte contemporanea
Tutte le volte che ci si accosta ai sempre più frequenti interventi critici occidentali dedicati all'arte contemporanea africana, si assiste a una sorta di impasse terminologica, a una serie di tentativi di “ri-nominare” il fenomeno in esame. Le ragioni di tale difficoltà risiedono senza dubbio in quell'articolato intreccio di relazioni storiche, politiche e sociali che hanno contraddistinto nei secoli il rapporto, cruciale e tutt'altro che risolto, fra Occidente e continente africano.
Questo insieme di condizioni, ha a lungo impedito, almeno fino alla fine degli anni Ottanta, che si attuasse una oggettiva e corretta valutazione degli sviluppi e delle personalità artistiche africane, le cui produzioni sono state troppo spesso associate ai concetti, sommari, quando non palesemente eurocentrici, di “arcaismo” e di “primitivismo”.
Il problema di fondo, come André Magnin ha scritto in un articolo apparso nel 1989 sulla rivista “Africa e Mediterraneo”, è che “in materia d'arte, vi è distanza fra ciò che è noto e ciò che è”. Il dato da cui è necessario partire è quindi quello dell'Africa intesa come un “plurale”, una galassia eterogenea al cui interno si muovono forze umane e necessità sociali e culturali assai differenti, un insieme di tratti che riverbera in modo inequivocabile sulle realizzazioni artistiche contemporanee del grande continente. All'interno di questo ampio orizzonte di opere e artisti, convivono e si intersecano infatti dimensioni profondamente diverse che includono sia i rapporti con le tradizioni rituali e religiose, sia quelli legati alle realtà urbane, ormai fortemente “globalizzate” grazie alla disponibilità di informazioni e conoscenze sempre più praticabili e accessibili.
Questo carattere “inquieto e proteiforme”, come lo ha definito lo scrittore e poeta nigeriano Wole Soyinka, questo intersecarsi di indirizzi e soluzioni diverse, pongono certamente dei problemi di orientamento, di individuazione a cui non è sempre facile rispondere. E la cosa si complica ulteriormente se si considera che il percorso dell'arte africana del ventesimo secolo ha subito l'influenza delle estetiche occidentali, determinando una serie di implicazioni sia sul piano delle identità culturali sia su quello della legittima aspirazione di molti artisti africani a evadere dallo steccato del loro continente. Proprio su questo terreno si giocherà la sfida per molti di loro. Per mantenere viva e forte la loro arte, essi dovranno mantenere fede alle proprie tradizioni culturali accettando al contempo la logica “mercantile” del sistema dell'arte che per sua natura tende a
corrodere i legami dell'artista con il suo mondo d'appartenenza a favore di una sua affermazione individuale e solitaria.
La scoperta di un arte africana “nuova”, capace di rinvigorire la condizione un po' stanca e asfittica dell'arte contemporanea, è stata peraltro segnata a partire dal fine degli anni Novanta da una serie di mostre ed esposizioni: da “Magiciens de la Terre” (Centre Pompidou, Parigi, 1989) a “Africa Now” (Saatchi Gallery, Londra, 1993), da “Africa Remix” (Hayward Gallery, Londra, 2005) all’attuale esposizione dedicata all'arte africana (“100% African Art”) in corso al Museo Guggenheim di Bilbao. A ciò è corrisposto un crescente interesse da parte di importanti collezionisti privati (Matt Fisher, Bernd Kleine-Gunk, Bulgari, Saatchi) e musei pubblici come lo Stedelijk e il Pompidou. Fra gli artisti coinvolti nel corso di questi ultimi due decenni figurano nomi di grande rilievo come Cyprien Tokoudagba, Seni Awa Camara, Frédéric Bruly Bouabré, e molti altri ancora.
Tutte le volte che ci si accosta ai sempre più frequenti interventi critici occidentali dedicati all'arte contemporanea africana, si assiste a una sorta di impasse terminologica, a una serie di tentativi di “ri-nominare” il fenomeno in esame. Le ragioni di tale difficoltà risiedono senza dubbio in quell'articolato intreccio di relazioni storiche, politiche e sociali che hanno contraddistinto nei secoli il rapporto, cruciale e tutt'altro che risolto, fra Occidente e continente africano.
Questo insieme di condizioni, ha a lungo impedito, almeno fino alla fine degli anni Ottanta, che si attuasse una oggettiva e corretta valutazione degli sviluppi e delle personalità artistiche africane, le cui produzioni sono state troppo spesso associate ai concetti, sommari, quando non palesemente eurocentrici, di “arcaismo” e di “primitivismo”.
Il problema di fondo, come André Magnin ha scritto in un articolo apparso nel 1989 sulla rivista “Africa e Mediterraneo”, è che “in materia d'arte, vi è distanza fra ciò che è noto e ciò che è”. Il dato da cui è necessario partire è quindi quello dell'Africa intesa come un “plurale”, una galassia eterogenea al cui interno si muovono forze umane e necessità sociali e culturali assai differenti, un insieme di tratti che riverbera in modo inequivocabile sulle realizzazioni artistiche contemporanee del grande continente. All'interno di questo ampio orizzonte di opere e artisti, convivono e si intersecano infatti dimensioni profondamente diverse che includono sia i rapporti con le tradizioni rituali e religiose, sia quelli legati alle realtà urbane, ormai fortemente “globalizzate” grazie alla disponibilità di informazioni e conoscenze sempre più praticabili e accessibili.
Questo carattere “inquieto e proteiforme”, come lo ha definito lo scrittore e poeta nigeriano Wole Soyinka, questo intersecarsi di indirizzi e soluzioni diverse, pongono certamente dei problemi di orientamento, di individuazione a cui non è sempre facile rispondere. E la cosa si complica ulteriormente se si considera che il percorso dell'arte africana del ventesimo secolo ha subito l'influenza delle estetiche occidentali, determinando una serie di implicazioni sia sul piano delle identità culturali sia su quello della legittima aspirazione di molti artisti africani a evadere dallo steccato del loro continente. Proprio su questo terreno si giocherà la sfida per molti di loro. Per mantenere viva e forte la loro arte, essi dovranno mantenere fede alle proprie tradizioni culturali accettando al contempo la logica “mercantile” del sistema dell'arte che per sua natura tende a
corrodere i legami dell'artista con il suo mondo d'appartenenza a favore di una sua affermazione individuale e solitaria.
La scoperta di un arte africana “nuova”, capace di rinvigorire la condizione un po' stanca e asfittica dell'arte contemporanea, è stata peraltro segnata a partire dal fine degli anni Novanta da una serie di mostre ed esposizioni: da “Magiciens de la Terre” (Centre Pompidou, Parigi, 1989) a “Africa Now” (Saatchi Gallery, Londra, 1993), da “Africa Remix” (Hayward Gallery, Londra, 2005) all’attuale esposizione dedicata all'arte africana (“100% African Art”) in corso al Museo Guggenheim di Bilbao. A ciò è corrisposto un crescente interesse da parte di importanti collezionisti privati (Matt Fisher, Bernd Kleine-Gunk, Bulgari, Saatchi) e musei pubblici come lo Stedelijk e il Pompidou. Fra gli artisti coinvolti nel corso di questi ultimi due decenni figurano nomi di grande rilievo come Cyprien Tokoudagba, Seni Awa Camara, Frédéric Bruly Bouabré, e molti altri ancora.
15
novembre 2006
Arte Contemporanea Africana
Dal 15 al 30 novembre 2006
arte contemporanea
arte etnica
arte etnica
Location
SPAZIO ENZO PIFFERI EDITORE
Como, Via Indipendenza, 80, (Como)
Como, Via Indipendenza, 80, (Como)
Orario di apertura
martedì - domenica 15.00-19.00
Vernissage
15 Novembre 2006, ore 18
Autore
Curatore