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ARTE È. 25 anni di Merano Arte
L’associazione artistica Kunst Meran Merano Arte ha invitato otto curatori a lavorare sul ruolo dell’arte nella contemporaneità in occasione di un doppio anniversario: 25 anni dalla sua fondazione e 20 anni di attività nell’attuale sede sotto i portici, la Kunsthaus.
Comunicato stampa
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ARTE È.
25 Jahre Kunst Meran
Artiste e artisti: Claudia Barcheri, Christian Bazant-Hegemark, Hannes Egger, Barbara Gamper, Vanessa Hanni, Maria CM Hilber, Emilian Hinteregger, Erika Hock, Zora Kreuzer, Oliver Laric, Roberta Lima, Rosmarie Lukasser, Selene Magnolia, Eva Mair, Simone Salvatore Melis, Ludovic Nkoth, Bernd Oppl, Davide Quayola, Rita Slodička, Ludwig Thalheimer, Maria Walcher, Letizia Werth
Curatori: Valerio Dehò, Luigi Fassi, Sabine Gamper, Günther Oberhollenzer, Andreas Kofler, Schmidt Magdalene, Anne Schloen, Susanne Waiz
Una riflessione a più voci sull’affermazione di Vilém Flusser Le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future.
L’associazione artistica privata Kunst Meran Merano Arte ha invitato otto curatori a lavorare sul ruolo dell’arte nella contemporaneità in occasione di un doppio anniversario: 25 anni dalla sua fondazione e 20 anni di attività nell’attuale sede sotto i portici, la Kunsthaus. I curatori scelti avevano già collaborato con l’istituzione in questo arco di tempo e hanno accolto con entusiasmo l’idea di una mostra a più voci in occasione dell’anniversario.
Il 16 agosto del 1972 Vilém e Edith Flusser si sono trasferiti a Merano, nel quartiere di Maia Alta. Per tre anni il teorico dei media e filosofo della comunicazione ha abitato nell’appartamento in periferia, con vista sulla catena montuosa del Gruppo Tessa, usandolo come proprio studio quando non intraprendeva viaggi in diverse località europee. Per Edith e Vilém Flusser Merano ha rappresentato un momento di passaggio tra l’addio al Brasile e il ritorno in Europa; è stato un luogo di ritiro e al contempo di impegno.
In una lettera del 23 gennaio 1976 all’amica e artista Regina Klaber Thusek - che negli anni ’30 fuggì dal nazismo riparando a Londra, poiché di origini ebraiche, proprio come Flusser, e fu infine confinata a Merano dal regime fascista - Flusser scrisse che “le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future”. La frase era parte di un intenso dialogo tra i due sul rapporto tra bellezza e kitsch. Flusser intendeva il kitsch come qualcosa di piacevole e familiare, a differenza della bellezza, vista appunto come un suggerimento che deve essere appreso, anche con fatica.
A 45 anni dalla sua formulazione, questa citazione direttamente legata alla storia culturale recente di Merano costituisce il punto di partenza della mostra ARTE È.
Per Flusser, il soggiorno meranese ha ricoperto un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle successive teorie degli anni ’70 e ’80. Le contrapposizioni tra paese e città e tra montagna e pianura hanno assunto un’importanza crescente in relazione al binomio, centrale nel suo pensiero, dialogo / discorso; inoltre egli ha sempre preferito la diversità all’unità. Numerosi aspetti della sua impostazione teorica trovano un corrispettivo nelle questioni poste dalle mostre tematiche a Merano Arte: ad esempio, il dibattito sull’arte contemporanea o la concezione di sé e del proprio operato in qualità di associazione artistica. Il fatto che alcuni dei suoi scritti siano stati formulati proprio a Merano, può quindi rappresentare un punto di partenza per questa mostra legata all’anniversario.
Flusser ha trovato ispirazione nella realtà di Merano, città termale dal carattere internazionale, con il suo multilinguismo, la sua storia caratterizzata da alterne vicissitudini e la sua collocazione geografica, situata al centro di una regione che, proprio in questi anni – dopo gli sconvolgimenti portati da due guerre mondiali e due regimi totalitari – ha raggiunto un modello esemplare di autonomia. Anche per l’associazione artistica Merano Arte questa eredità è sempre stata parte del proprio mandato, volto alla realizzazione di un programma ambizioso e interdisciplinare.
In conclusione, ma non per questo meno importante, con questa mostra Merano Arte intende riflettere sul proprio passato, presente e futuro. Molti anni di intense collaborazioni hanno plasmato l’attività espositiva dell’istituzione. Questo aspetto ha determinato tanto la forma quanto il metodo alla base del progetto per l’anniversario, espresso in un risultato a più voci.
Dal 17 luglio al 24 ottobre, Valerio Dehò, Luigi Fassi, Sabine Gamper, Günther Oberhollenzer, Andreas Kofler, Anne Schloen, Magdalene Schmidt e Susanne Waiz presenteranno i loro “suggerimenti per esperienze future” attraverso l’arte e l’architettura.
Le misure restrittive di contenimento della pandemia applicate nell’ultimo anno e mezzo a mostre e musei hanno portato a una forma di marginalizzazione dell’arte. Alla società manca sempre di più la sua voce il suo potere visionario diventa di urgente necessità. L’affermazione di Flusser secondo cui le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future, riportata nel titolo della mostra, postula il loro valore sociale. Sette sezioni andranno a delineare un’unica grande mostra, un’unica voce. Questioni di pregnante attualità come il ruolo delle donne nella società, la migrazione, la digitalizzazione, la giustizia sociale o la pianificazione territoriale saranno tematizzate dai curatori e da 18 artisti. La mostra è come un obiettivo attraverso cui osservare il presente e il futuro in modo multiforme, attraverso le lenti di arte e architettura.
Nella sezione Who cares?!, a cura di Sabine Gamper, il focus è posto su tematiche legate alla cura e alla solidarietà, individuale come collettiva, verso i nostri simili e il nostro ambiente. La curatrice e le artiste affrontano, da una prospettiva femminista, i concetti di “caring” e “sharing” in qualità di categorie che necessitano di un urgente ripensamento in un futuro post-pandemico. In questo modo emerge chiaramente il contrasto tra la forza produttiva e indispensabile del “prendersi cura l’uno dell’atro”, da una parte, e la mancanza di un adeguato riconoscimento del “lavoro di cura” nella nostra società, dall’altra. Claudia Barcheri (1985) realizza oggetti lamellari in gesso dalla forma organica che richiamano animali corallini o funghi che, nonostante un’apparente fragilità, hanno una forza esplosiva. Barbara Gamper (1981) utilizza testi, oggetti e performance per affrontare il concetto di “appropriazione”, ponendo domande su condizioni, dinamiche di potere e privilegi nel mondo dell’arte e nella società. La scrittrice e artista Maria CM Hilber (1984) mostra, attraverso il ritratto filmico di una ballerina e attivista del movimento DisAbility, come il potenziale sviluppo della società potrebbe risiedere nella messa in discussione delle norme attraverso cui vengono trattate le persone ritenute più deboli. Maria Walcher si sofferma sul mestiere del lustrascarpe per mostrare la sottovalutazione sociale e l’invisibilità del lavoro di cura, mentre Letizia Werth (1974) parte dall’esempio del lavaggio dei vestiti per rendere visibili, nella sua pittura su parete, problemi globali della nostra società dei consumi. L’attivista e fotografa Selene Magnolia (1989) documenta con la macchina fotografica il salvataggio di un gruppo di donne nigeriane nel Mediterraneo e la forza della solidarietà nel percorso per una nuova vita.
A questa sezione si collega quella di Luigi Fassi, con una selezione di lavori del pittore Ludovic Nkoth (1994).
La pittura di Ludovic Nkoth (1994, Yaounde, Camerun) è uno strumento di scrittura del presente che si avvale di elementi eterogenei tra loro - geografia, cronaca, memorie personali - per registrare i rivolgimenti del mondo attuale a partire dalla biografia dell’artista e dal suo muoversi fra due mondi. Nato e cresciuto in Camerun, Nkoth si è trasferito negli Stati Uniti, prima in South Carolina e poi a New York. Da lì ha avviato un percorso di artista al cui centro pulsano la sua identità diasporica e una sensibilità modernista, fatta di attenzione al reale e volontà critica.
Il segno a olio di Nkoth è una traccia fluida, sinuosa, e dai colori accesi, i cui soggetti recenti sono allarmanti e rivelatori delle sue motivazioni artistiche. Le acque del Mediterraneo sono infatti protagoniste delle tele più recenti di Nkoth, dove corpi di giovani uomini e donne migranti appiano travolti da un elemento naturale, il mare, che pone una sfida alla loro sopravvivenza. Il contrasto tra colori brillanti e il tema sconcertante della lotta per la vita accentua un senso di disagio e dissonanza che domina tutta la tensione narrativa delle sue opere. Nkoth sembra alludere a un fallimento, quello del mondo contemporaneo, attanagliato da razzismi, conflitti e paure globali e dove intere categorie sociali sono stremate da ingiustizie sistematiche e persistenti.
Anche il contributo di Susanne Waiz e Ludwig Thalheimer (1961) si concentra sulla società guardando allo spazio che definisce, come ad esempio quello cittadino, costituito da quartieri operai e ville residenziali, zone migliori e peggiori. L’edilizia popolare e i progetti di riqualificazione urbana testimoniano la costante ricerca di un miglioramento della qualità della vita e dello spazio abitativo. Le circostanze sociali da cui scaturisce l’architettura sono oggi del tutto condizionate dal capitale e dalla politica; gli investimenti immobiliari influenzano il mercato e il ruolo delle pubbliche amministrazioni spesso si limita alla definizione delle condizioni generali; la cultura edilizia è così ridotta a una cosmesi di facciata. Parallelamente, in tutto il mondo continua ad aumentare rapidamente il numero dei senzatetto e, anche nelle città europee con la più alta qualità della vita, migliaia di persone sono costrette a vivere “sotto i ponti”. La speculazione nel settore immobiliare promuove la diseguaglianza tra persone e mina convenzioni sociali ottenute con fatica.
Ludwig Thalheimer registra aspetti che spesso sfuggono allo sguardo, come alloggi improvvisati e ben mimetizzati, abitati da persone che durante la fuga hanno perso il proprio posto nella società. Le immagini sono accompagnate da interviste che riflettono la relazione che sussiste tra la speculazione immobiliare e la realtà dei senzatetto a partire dall’esempio di Vienna, intesa come caso esemplificativo di una città europea da un punto di vista di pianificazione urbanistica, culturale e sociale.
Andreas Kofler e Magdalene Schmidt affrontano, in qualità di team curatoriale, l’architettura nella nostra regione e le modalità attraverso cui viene presentata. Con il loro contributo esaminano il ruolo ricoperto da Merano Arte, una delle principali istituzioni tra quelle che hanno raccontato l’architettura altoatesina contemporanea. Per 25 anni il dialogo e il discorso sull’architettura nella regione alpina sono stati, infatti, uno dei temi centrali per l’associazione e hanno indubbiamente contribuito a un vivace dibattito, anche in relazione al turismo. A partire da un confronto con la fondatrice e ex direttrice di Merano Arte, Herta Wolf Torggler, lo sguardo rivolto al passato dell’istituzione si concentra su alcuni elementi d’archivio esposti come in una Wunderkammer, che mostrerà le tematiche e i dibattiti legati all’incontro tra l’architettura e il grande pubblico. Un altro contributo è incentrato invece sulla ricerca delle posizioni di una generazione più giovane di architetti. Questo ampio spettro di possibilità è affrontato attraverso una selezione - svolta in collaborazione con “Turris Babel”, la rivista della Fondazione Architettura Alto Adige - di tesi di laurea degli ultimi dieci anni dedicate all’Alto Adige. Tra esse figurano anche alcuni “frammenti architettonici” realizzati da Simone Salvatore Melis (1996) nell’ambito della tesi di laurea in design e arte presso la Libera Università di Bolzano dal titolo Anche i monumenti muoiono.
Anne Schloen indaga il valore sensoriale dell’opera d’arte attraverso i contributi di Zora Kreuzer (1986) ed Erika Hock (1981). Dal loro punto di vista, le opere d’arte, oltre a essere “suggerimenti per esperienze future”, possono essere anche possibilità di esperienze uniche. I visitatori e le visitatrici potranno così essere toccati e sollecitati da queste esperienze in un modo finora a loro sconosciuto e la loro percezione estetica potrà esserne rafforzata. Nell’attuale era post-digitale e post-pandemica, le due artiste si concentrano sul desiderio di tornare ed essere in contatto fisico con il resto del mondo e di vivere esperienze reali. Attraverso approcci trasversali ai diversi generi, due aree espositive di Merano Arte si trasformano così in “spazi di esperienza e di pensiero”.
Zora Kreuzer ha sviluppato un lavoro luminoso a parete site-specific per l’ambiente centrale della Kunsthaus, permettendo così una nuova visione dell’architettura dell’edificio. Erika Hock propone, invece, un’installazione di oggetti sulle pareti e nello spazio che confonde i confini tra arte, architettura e design e crea un collegamento sensoriale tra l’esperienza dell’oggetto e quella dell’immagine.
La sezione della mostra curata da Günther Oberhollenzer ruota attorno alla questione di quali forme espressive nuove e orientate al futuro stiano emergendo nell’arte del XXI secolo. L’interesse è rivolto in particolare al dialogo tra mondo analogico e digitale, all’ampliamento dei media artistici offerto dalle nuove possibilità tecnologiche nonché alla questione della percezione e dell’autorialità.
Rosmarie Lukasser (1981) guarda agli effetti delle reti digitali sulla percezione che le persone hanno di sé e degli altri attraverso fragili entità umano-artificiali in terracotta, ripiegate nel proprio mondo. Christian Bazant-Hegemark (1978) coniuga disegni digitali e analogici che rappresentano persone in un indefinito stato di attesa. Oliver Laric (1981) riproduce una famosa scultura attraverso elaborati processi di stampa 3D, mettendo in discussione la distinzione tra copia e originale. Bernd Oppl (1980) crea modelli architettonici e opere video che sfidano e ingannano la nostra percezione. Roberta Lima (1974) si avvicina, con un’installazione performativa, al “Wood Wide Web”, il sistema di comunicazione presente in natura. Infine, Hannes Egger (1981) crea degli inviti all’azione rivolti al pubblico, che potrà così interagire con le opere.
Anche nella pratica artistica di Davide Quayola (1982), invitato da Valerio Dehò, il punto centrale è l’indagine sulle nuove tecnologie e sulle loro possibilità. Nella sezione “Futuro infinito”, l’uomo e la macchina hanno smesso di competere, l’arte si fa con quello che si vuole e con quello che anche l’industria propone. Quayola libera la sua arte da un presunto abbraccio mortale tra tecnologia e caducità. Ammira l’arte del passato, la rispetta al punto da farne una nuova però differente perché prodotta in un sempre diverso spazio-tempo. Quayola, che è un biologo, usa il digitale come un microscopio elettronico, entra nella struttura del paesaggio, lo confronta con la rappresentazione artistica rigenerandola come se fosse la prima volta che guardiamo le stesse cose di sempre. Piccoli frammenti sono la geometria segreta composta da strutture molecolari. Paradossalmente il futuro anticipa il presente. Il futuro rappresenta l’unico punto d’appoggio su cui costruire provvisoriamente il presente. Perché c’è un’idea dinamica nella tecnologia che non ammette ripensamenti.
L’approccio conciliatore di Quayola colma il divario con la citazione di Flusser. La mostra si chiude con la rassicurante certezza che l’arte riesca a essere passato, presente e futuro.
25 Jahre Kunst Meran
Artiste e artisti: Claudia Barcheri, Christian Bazant-Hegemark, Hannes Egger, Barbara Gamper, Vanessa Hanni, Maria CM Hilber, Emilian Hinteregger, Erika Hock, Zora Kreuzer, Oliver Laric, Roberta Lima, Rosmarie Lukasser, Selene Magnolia, Eva Mair, Simone Salvatore Melis, Ludovic Nkoth, Bernd Oppl, Davide Quayola, Rita Slodička, Ludwig Thalheimer, Maria Walcher, Letizia Werth
Curatori: Valerio Dehò, Luigi Fassi, Sabine Gamper, Günther Oberhollenzer, Andreas Kofler, Schmidt Magdalene, Anne Schloen, Susanne Waiz
Una riflessione a più voci sull’affermazione di Vilém Flusser Le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future.
L’associazione artistica privata Kunst Meran Merano Arte ha invitato otto curatori a lavorare sul ruolo dell’arte nella contemporaneità in occasione di un doppio anniversario: 25 anni dalla sua fondazione e 20 anni di attività nell’attuale sede sotto i portici, la Kunsthaus. I curatori scelti avevano già collaborato con l’istituzione in questo arco di tempo e hanno accolto con entusiasmo l’idea di una mostra a più voci in occasione dell’anniversario.
Il 16 agosto del 1972 Vilém e Edith Flusser si sono trasferiti a Merano, nel quartiere di Maia Alta. Per tre anni il teorico dei media e filosofo della comunicazione ha abitato nell’appartamento in periferia, con vista sulla catena montuosa del Gruppo Tessa, usandolo come proprio studio quando non intraprendeva viaggi in diverse località europee. Per Edith e Vilém Flusser Merano ha rappresentato un momento di passaggio tra l’addio al Brasile e il ritorno in Europa; è stato un luogo di ritiro e al contempo di impegno.
In una lettera del 23 gennaio 1976 all’amica e artista Regina Klaber Thusek - che negli anni ’30 fuggì dal nazismo riparando a Londra, poiché di origini ebraiche, proprio come Flusser, e fu infine confinata a Merano dal regime fascista - Flusser scrisse che “le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future”. La frase era parte di un intenso dialogo tra i due sul rapporto tra bellezza e kitsch. Flusser intendeva il kitsch come qualcosa di piacevole e familiare, a differenza della bellezza, vista appunto come un suggerimento che deve essere appreso, anche con fatica.
A 45 anni dalla sua formulazione, questa citazione direttamente legata alla storia culturale recente di Merano costituisce il punto di partenza della mostra ARTE È.
Per Flusser, il soggiorno meranese ha ricoperto un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle successive teorie degli anni ’70 e ’80. Le contrapposizioni tra paese e città e tra montagna e pianura hanno assunto un’importanza crescente in relazione al binomio, centrale nel suo pensiero, dialogo / discorso; inoltre egli ha sempre preferito la diversità all’unità. Numerosi aspetti della sua impostazione teorica trovano un corrispettivo nelle questioni poste dalle mostre tematiche a Merano Arte: ad esempio, il dibattito sull’arte contemporanea o la concezione di sé e del proprio operato in qualità di associazione artistica. Il fatto che alcuni dei suoi scritti siano stati formulati proprio a Merano, può quindi rappresentare un punto di partenza per questa mostra legata all’anniversario.
Flusser ha trovato ispirazione nella realtà di Merano, città termale dal carattere internazionale, con il suo multilinguismo, la sua storia caratterizzata da alterne vicissitudini e la sua collocazione geografica, situata al centro di una regione che, proprio in questi anni – dopo gli sconvolgimenti portati da due guerre mondiali e due regimi totalitari – ha raggiunto un modello esemplare di autonomia. Anche per l’associazione artistica Merano Arte questa eredità è sempre stata parte del proprio mandato, volto alla realizzazione di un programma ambizioso e interdisciplinare.
In conclusione, ma non per questo meno importante, con questa mostra Merano Arte intende riflettere sul proprio passato, presente e futuro. Molti anni di intense collaborazioni hanno plasmato l’attività espositiva dell’istituzione. Questo aspetto ha determinato tanto la forma quanto il metodo alla base del progetto per l’anniversario, espresso in un risultato a più voci.
Dal 17 luglio al 24 ottobre, Valerio Dehò, Luigi Fassi, Sabine Gamper, Günther Oberhollenzer, Andreas Kofler, Anne Schloen, Magdalene Schmidt e Susanne Waiz presenteranno i loro “suggerimenti per esperienze future” attraverso l’arte e l’architettura.
Le misure restrittive di contenimento della pandemia applicate nell’ultimo anno e mezzo a mostre e musei hanno portato a una forma di marginalizzazione dell’arte. Alla società manca sempre di più la sua voce il suo potere visionario diventa di urgente necessità. L’affermazione di Flusser secondo cui le opere d’arte sono suggerimenti per esperienze future, riportata nel titolo della mostra, postula il loro valore sociale. Sette sezioni andranno a delineare un’unica grande mostra, un’unica voce. Questioni di pregnante attualità come il ruolo delle donne nella società, la migrazione, la digitalizzazione, la giustizia sociale o la pianificazione territoriale saranno tematizzate dai curatori e da 18 artisti. La mostra è come un obiettivo attraverso cui osservare il presente e il futuro in modo multiforme, attraverso le lenti di arte e architettura.
Nella sezione Who cares?!, a cura di Sabine Gamper, il focus è posto su tematiche legate alla cura e alla solidarietà, individuale come collettiva, verso i nostri simili e il nostro ambiente. La curatrice e le artiste affrontano, da una prospettiva femminista, i concetti di “caring” e “sharing” in qualità di categorie che necessitano di un urgente ripensamento in un futuro post-pandemico. In questo modo emerge chiaramente il contrasto tra la forza produttiva e indispensabile del “prendersi cura l’uno dell’atro”, da una parte, e la mancanza di un adeguato riconoscimento del “lavoro di cura” nella nostra società, dall’altra. Claudia Barcheri (1985) realizza oggetti lamellari in gesso dalla forma organica che richiamano animali corallini o funghi che, nonostante un’apparente fragilità, hanno una forza esplosiva. Barbara Gamper (1981) utilizza testi, oggetti e performance per affrontare il concetto di “appropriazione”, ponendo domande su condizioni, dinamiche di potere e privilegi nel mondo dell’arte e nella società. La scrittrice e artista Maria CM Hilber (1984) mostra, attraverso il ritratto filmico di una ballerina e attivista del movimento DisAbility, come il potenziale sviluppo della società potrebbe risiedere nella messa in discussione delle norme attraverso cui vengono trattate le persone ritenute più deboli. Maria Walcher si sofferma sul mestiere del lustrascarpe per mostrare la sottovalutazione sociale e l’invisibilità del lavoro di cura, mentre Letizia Werth (1974) parte dall’esempio del lavaggio dei vestiti per rendere visibili, nella sua pittura su parete, problemi globali della nostra società dei consumi. L’attivista e fotografa Selene Magnolia (1989) documenta con la macchina fotografica il salvataggio di un gruppo di donne nigeriane nel Mediterraneo e la forza della solidarietà nel percorso per una nuova vita.
A questa sezione si collega quella di Luigi Fassi, con una selezione di lavori del pittore Ludovic Nkoth (1994).
La pittura di Ludovic Nkoth (1994, Yaounde, Camerun) è uno strumento di scrittura del presente che si avvale di elementi eterogenei tra loro - geografia, cronaca, memorie personali - per registrare i rivolgimenti del mondo attuale a partire dalla biografia dell’artista e dal suo muoversi fra due mondi. Nato e cresciuto in Camerun, Nkoth si è trasferito negli Stati Uniti, prima in South Carolina e poi a New York. Da lì ha avviato un percorso di artista al cui centro pulsano la sua identità diasporica e una sensibilità modernista, fatta di attenzione al reale e volontà critica.
Il segno a olio di Nkoth è una traccia fluida, sinuosa, e dai colori accesi, i cui soggetti recenti sono allarmanti e rivelatori delle sue motivazioni artistiche. Le acque del Mediterraneo sono infatti protagoniste delle tele più recenti di Nkoth, dove corpi di giovani uomini e donne migranti appiano travolti da un elemento naturale, il mare, che pone una sfida alla loro sopravvivenza. Il contrasto tra colori brillanti e il tema sconcertante della lotta per la vita accentua un senso di disagio e dissonanza che domina tutta la tensione narrativa delle sue opere. Nkoth sembra alludere a un fallimento, quello del mondo contemporaneo, attanagliato da razzismi, conflitti e paure globali e dove intere categorie sociali sono stremate da ingiustizie sistematiche e persistenti.
Anche il contributo di Susanne Waiz e Ludwig Thalheimer (1961) si concentra sulla società guardando allo spazio che definisce, come ad esempio quello cittadino, costituito da quartieri operai e ville residenziali, zone migliori e peggiori. L’edilizia popolare e i progetti di riqualificazione urbana testimoniano la costante ricerca di un miglioramento della qualità della vita e dello spazio abitativo. Le circostanze sociali da cui scaturisce l’architettura sono oggi del tutto condizionate dal capitale e dalla politica; gli investimenti immobiliari influenzano il mercato e il ruolo delle pubbliche amministrazioni spesso si limita alla definizione delle condizioni generali; la cultura edilizia è così ridotta a una cosmesi di facciata. Parallelamente, in tutto il mondo continua ad aumentare rapidamente il numero dei senzatetto e, anche nelle città europee con la più alta qualità della vita, migliaia di persone sono costrette a vivere “sotto i ponti”. La speculazione nel settore immobiliare promuove la diseguaglianza tra persone e mina convenzioni sociali ottenute con fatica.
Ludwig Thalheimer registra aspetti che spesso sfuggono allo sguardo, come alloggi improvvisati e ben mimetizzati, abitati da persone che durante la fuga hanno perso il proprio posto nella società. Le immagini sono accompagnate da interviste che riflettono la relazione che sussiste tra la speculazione immobiliare e la realtà dei senzatetto a partire dall’esempio di Vienna, intesa come caso esemplificativo di una città europea da un punto di vista di pianificazione urbanistica, culturale e sociale.
Andreas Kofler e Magdalene Schmidt affrontano, in qualità di team curatoriale, l’architettura nella nostra regione e le modalità attraverso cui viene presentata. Con il loro contributo esaminano il ruolo ricoperto da Merano Arte, una delle principali istituzioni tra quelle che hanno raccontato l’architettura altoatesina contemporanea. Per 25 anni il dialogo e il discorso sull’architettura nella regione alpina sono stati, infatti, uno dei temi centrali per l’associazione e hanno indubbiamente contribuito a un vivace dibattito, anche in relazione al turismo. A partire da un confronto con la fondatrice e ex direttrice di Merano Arte, Herta Wolf Torggler, lo sguardo rivolto al passato dell’istituzione si concentra su alcuni elementi d’archivio esposti come in una Wunderkammer, che mostrerà le tematiche e i dibattiti legati all’incontro tra l’architettura e il grande pubblico. Un altro contributo è incentrato invece sulla ricerca delle posizioni di una generazione più giovane di architetti. Questo ampio spettro di possibilità è affrontato attraverso una selezione - svolta in collaborazione con “Turris Babel”, la rivista della Fondazione Architettura Alto Adige - di tesi di laurea degli ultimi dieci anni dedicate all’Alto Adige. Tra esse figurano anche alcuni “frammenti architettonici” realizzati da Simone Salvatore Melis (1996) nell’ambito della tesi di laurea in design e arte presso la Libera Università di Bolzano dal titolo Anche i monumenti muoiono.
Anne Schloen indaga il valore sensoriale dell’opera d’arte attraverso i contributi di Zora Kreuzer (1986) ed Erika Hock (1981). Dal loro punto di vista, le opere d’arte, oltre a essere “suggerimenti per esperienze future”, possono essere anche possibilità di esperienze uniche. I visitatori e le visitatrici potranno così essere toccati e sollecitati da queste esperienze in un modo finora a loro sconosciuto e la loro percezione estetica potrà esserne rafforzata. Nell’attuale era post-digitale e post-pandemica, le due artiste si concentrano sul desiderio di tornare ed essere in contatto fisico con il resto del mondo e di vivere esperienze reali. Attraverso approcci trasversali ai diversi generi, due aree espositive di Merano Arte si trasformano così in “spazi di esperienza e di pensiero”.
Zora Kreuzer ha sviluppato un lavoro luminoso a parete site-specific per l’ambiente centrale della Kunsthaus, permettendo così una nuova visione dell’architettura dell’edificio. Erika Hock propone, invece, un’installazione di oggetti sulle pareti e nello spazio che confonde i confini tra arte, architettura e design e crea un collegamento sensoriale tra l’esperienza dell’oggetto e quella dell’immagine.
La sezione della mostra curata da Günther Oberhollenzer ruota attorno alla questione di quali forme espressive nuove e orientate al futuro stiano emergendo nell’arte del XXI secolo. L’interesse è rivolto in particolare al dialogo tra mondo analogico e digitale, all’ampliamento dei media artistici offerto dalle nuove possibilità tecnologiche nonché alla questione della percezione e dell’autorialità.
Rosmarie Lukasser (1981) guarda agli effetti delle reti digitali sulla percezione che le persone hanno di sé e degli altri attraverso fragili entità umano-artificiali in terracotta, ripiegate nel proprio mondo. Christian Bazant-Hegemark (1978) coniuga disegni digitali e analogici che rappresentano persone in un indefinito stato di attesa. Oliver Laric (1981) riproduce una famosa scultura attraverso elaborati processi di stampa 3D, mettendo in discussione la distinzione tra copia e originale. Bernd Oppl (1980) crea modelli architettonici e opere video che sfidano e ingannano la nostra percezione. Roberta Lima (1974) si avvicina, con un’installazione performativa, al “Wood Wide Web”, il sistema di comunicazione presente in natura. Infine, Hannes Egger (1981) crea degli inviti all’azione rivolti al pubblico, che potrà così interagire con le opere.
Anche nella pratica artistica di Davide Quayola (1982), invitato da Valerio Dehò, il punto centrale è l’indagine sulle nuove tecnologie e sulle loro possibilità. Nella sezione “Futuro infinito”, l’uomo e la macchina hanno smesso di competere, l’arte si fa con quello che si vuole e con quello che anche l’industria propone. Quayola libera la sua arte da un presunto abbraccio mortale tra tecnologia e caducità. Ammira l’arte del passato, la rispetta al punto da farne una nuova però differente perché prodotta in un sempre diverso spazio-tempo. Quayola, che è un biologo, usa il digitale come un microscopio elettronico, entra nella struttura del paesaggio, lo confronta con la rappresentazione artistica rigenerandola come se fosse la prima volta che guardiamo le stesse cose di sempre. Piccoli frammenti sono la geometria segreta composta da strutture molecolari. Paradossalmente il futuro anticipa il presente. Il futuro rappresenta l’unico punto d’appoggio su cui costruire provvisoriamente il presente. Perché c’è un’idea dinamica nella tecnologia che non ammette ripensamenti.
L’approccio conciliatore di Quayola colma il divario con la citazione di Flusser. La mostra si chiude con la rassicurante certezza che l’arte riesca a essere passato, presente e futuro.
16
luglio 2021
ARTE È. 25 anni di Merano Arte
Dal 16 luglio al 24 ottobre 2021
arte contemporanea
Location
KUNST MERAN/O ARTE
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Merano, Via Portici, 163, (Bolzano)
Biglietti
intero € 6,00; Ridotto (Over 65, guestcard..) € 5,00; Studenti fino a 26 anni € 2,00; Bambini fino a 14 anni: gratuito
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10-18 domenica e festivi 11-18
Vernissage
16 Luglio 2021, 10-18
Sito web
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Autore
Curatore