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Arte nell’Arte 2009. Curator’s room
L’appuntamento con la manifestazione “Arte nell’Arte” giunge al suo terzo appuntamento, e quest’anno si arricchisce di una mostra a latere, “Curator’s room”, a cura di Adelinda Allegretti. Dieci gli artisti selezionati.
Comunicato stampa
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L’appuntamento con la manifestazione “Arte nell’Arte” giunge al suo terzo appuntamento, e quest’anno si arricchisce di una mostra a latere, “Curator’s room”, a cura di Adelinda Allegretti. Dieci gli artisti selezionati: Paola Endellini (I), Alessandra Ferretti (I), Roberto Lalli (I), Rocío Pérez Vallejo (MEX), Angela Policastro (I), Verena Riefe (D), Norbert Schmitt (D), Maria Grazia Stoppa (I), Raffaele Tranquillo (I), Thorsten Trenkel (D).
Programma della manifestazione:
21 agosto ore 18: inaugurazione della manifestazione “Arte nell’Arte” e della mostra fotografica “Cuore Eritrea” a cura dell’Associazione “Un Cuore un Mondo”.
22 agosto ore 21: presentazione del libro “Il Lago sul Fiume” di Irene Iacopetti, presentata dalla Dott. Gabriella Fanfani, con interventi dell’Onorevole Elena Cordoni, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Massa Carmen Menchini, dell’Assessore alla Cultura della Provincia di Massa Lara Venè.
23 agosto ore 20,30: serata “Cuore Eritrea”, con proiezione del documentario della missione di Cooperazione Sanitaria Internazionale. Progetto presentato dalla Fondazione Gabriele Monasterio, Ospedale del Cuore-Massa, e dall’Associazione “Un Cuore un Mondo”, a favore dei bambini cardiopatici eritrei.
29 agosto ore 21: presentazione dei libri “Codex Pilati” di Mario Carbone Colli e Gianluca Rizzo e “Scritte” di Fabio Ricci, presentato da Valentina Guadagno, con lettura di alcuni brani da parte di un attore teatrale della Compagnia degli Evasi. Concerto rinascimentale del duo Fenzi-De Luigi, per chitarra classica.
Di seguito il testo tratto dal catalogo:
Un’antica sala da ballo per 10 artisti. Quando Ezio De Angeli mi ha offerto la possibilità di coadiuvarlo nell’organizzazione della terza edizione di “Arte nell’Arte” con una selezione a latere di quella ufficiale, mi sono recata sul posto per visionare gli spazi espositivi del Castello Malaspina. Sono rimasta folgorata dalla storia che trasuda da quelle spesse mura, dai delicati e preziosi affreschi che ne ornano le sale, ma soprattutto dal meraviglioso belvedere di cui si può godere praticamente da ogni angolo del Castello. Non ultima, l’idea di animare nuovamente l’antica sala da ballo con opere di artisti provenienti da diverse regioni d’Italia e da altri Paesi, mi ha a tal punto entusiasmato da accettare immediatamente la proposta offertami.
Per quanto concerne la scelta curatoriale si è preferito non intervenire con una specifica tematica, quanto piuttosto di mettere assieme opere non comunicanti tra loro; questo per non interferire con la mostra fotografica dal titolo “Cuore Eritrea”, e lasciando che l’unico fil rouge di Curator’s room fosse l’indiscussa qualità degli artisti selezionati. L’attenzione si è pertanto focalizzata principalmente su emergenti, sebbene non manchino artisti già affermati a livello nazionale ed internazionale.
La mostra si apre con le opere di Paola Endellini. Artista raffinata, dalle decise doti ritrattistiche, la Endellini pone l’accento sul complicato mondo femminile. Intensi i due nudi esposti, Sì (2007) ed Occhio all’adolescenza (2008), in cui viene indagata la sessualità: adulta nel primo, col corpo peraltro fissato in uno scorcio di non facile realizzazione, ma che proprio per questo denota una profonda conoscenza dell’anatomia, ed ancora acerba nel secondo, che in un ben riuscito taglio fotografico mostra parte del volto, sensuale quanto ingenuo, che rimanda allo spettatore l’idea di una non-completa dimestichezza con la prorompenza delle proprie “forme” di donna. Con Noia, l’opera più recente, affronta un tema diverso, legato anch’esso alla condizione femminile, ed al contempo getta uno sguardo al passato: quasi un omaggio a Vincent van Gogh ed a molta pittura olandese dell’Ottocento, la figura femminile compare completamente svincolata da quel mondo fatto di luci e lustrini di Prima di entrare in scena… (2007), che sembra invece riportarci ai giorni nostri con lo spettacolo teatrale, la ricchezza dei costumi e la perfezione del trucco. E qui più che altrove va sottolineata la delicatezza di volti, dai tratti assolutamente perfetti e veritieri.
Alessandra Ferretti, la più giovane tra i partecipanti, sposta l’attenzione sull’autoritratto. È quasi un assunto matematico. Da sempre gli artisti, e la storia dell’arte lo dimostra, trovano nella propria figura il primo soggetto da ritrarre. Potrei citare un elenco senza fine di grandi maestri che, davanti ad uno specchio, hanno indagato il proprio volto, il proprio sguardo, il taglio della propria bocca e così via, prima ancora di rivolgersi all’esterno, ad altri soggetti, ad altri tratti somatici. Verrebbe da citare Socrate: “Conosci te stesso”. È quanto fa la Ferretti nei tre lavori recenti, peraltro con risultati che mi hanno sorpreso: in Difetto quel modo di entrare quasi in punta di piedi da sinistra, lascia vuoti i due terzi della superficie pittorica. Inoltre solo lo sguardo è studiato con attenzione, mentre tutto il resto del volto è appena definito. Persino le ciocche dei capelli – quasi un moderno omaggio a molta ritrattistica rinascimentale – sono solo un vuoto ghirigoro. E lo sfondo prende il sopravvento, attraverso una decorazione, delicata ma al tempo stesso decisa e capillare, che dà un aspetto retrò alla composizione, a metà strada tra i Preraffaelliti e l’Art Nouveau. È evidente, quindi, che persino la scelta dell’utilizzo della matita, e quindi il ribadire del “saper disegnare”, non è affatto casuale. Anche Al di là di autoritrarre… ed Affinità divengono la scusante per indagare, ancora una volta, volti ben noti. Discorso a parte per Nient’altro che… (2008), l’opera che ha determinato l’inizio della carriera artistica della Ferretti, già esposto presso il Museo delle Auto della Polizia di Stato di Roma1 e da intendersi quale monito all’accidia ed alla mancanza di moto (“Chi si ferma è (…) perso, spacciato, stracciato, chi si ferma viene ramificato…”, riporta la scritta sulla chioma dell’uomo-albero).
Con Roberto Lalli si arriva ad una pittura di grande e profonda introspezione. Considerando Alberto Burri – come di fatto è – uno dei più grandi maestri del Novecento, Lalli parte dalla sua ricerca per scavare nel profondo, giù fino agli abissi della coscienza. Bruciata, abrasa, tagliata, letteralmente ferita e riportata a nuova vita, la tela subisce una sorta di purificazione. A volte bisogna distruggere e corrodere le apparenze per trovare la giusta via. In Grande cantiere (2008), opera esposta in occasione del progetto “Dialoghi”2, il titolo stesso suggerisce uno sporcarsi le mani per costruire qualcosa di nuovo, che eluda la superficie patinata della realtà per dirigersi verso l’essenza. È un processo che riguarda l’anima, prima ancora dell’esterno e della tela, o che meglio ancora si manifesta sulla tela solo quando ha raggiunto la totale maturazione nel subconscio, spesso in apparente disaccordo con qualsivoglia logicità. Anche Omaggio a Burri e Senza titolo, entrambi del 2009, sono la rappresentazione di quel continuo ed incessante strappo, un’ideale lacerazione di quanto di più sacro ci sia per un pittore, ovvero la tela, condizione indispensabile per il raggiungimento della Verità.
Dea (2008) di Rocío Pérez Vallejo non mancherà certo di catturare i sensi dello spettatore. Di grandezza oltre il naturale, l’opera è stata pensata come un moderno stendardo processionale, laddove la figura di Cristo crocifisso viene sostituita da quella di una giovane donna. Scomparsa la croce del martirio, ma come Gesù anch’ella nuda e nella stessa postura, la bella e sensuale figura muliebre sembra volteggiare nell’aria, tanto che la sua ombra si proietta sul fondo. Impossibile non pensare all’Estasi di Santa Teresa del Bernini, a quella transverberazione al limite della decenza, accettata dalla Chiesa solo in virtù della fama di quel geniale artista e dell’idea dimostrare ai fedeli che l’amore per Dio non ha nulla da invidiare all’amore terreno. Nell’opera dell’artista messicana l’utilizzo di oli essenziali di lavanda e rosmarino, oltre a preservare la tela dall’invecchiamento, coinvolge il fruitore in quel medesimo raptus di sensi che trasporta verso l’alto la donna. Il fiore dello sfondo, non a caso rosso, diviene sinonimo di passione, ma anche di peccato, laddove alla venerazione di Cristo la modernità sostituisce quella della donna, quale nuova icona.
Molteplici le chiavi di lettura (sacerdotessa o demone, positiva o negativa), che lascio al sentire di chi guarda.
L’edonismo e la bellezza del corpo sono gli assoluti protagonisti delle opere di Angela Policastro. Sensuali, provocanti, vere e proprie maliarde, le donne da lei ritratte catturano lo spettatore grazie anche a scelte cromatiche forti e decise, come in Pin-up (2009), rese ancora più accattivanti dall’utilizzo del caffè, che conferisce all’incarnato una tonalità particolarmente calda. L’attesa, anch’essa recente, propone un impegnativo scorcio prospettico, un ardito sottinsù che contribuisce a rendere ancora più lunghe le gambe in primo piano. E se per lungo tempo l’interesse della Policastro si è incentrato attorno alla figura femminile, in occasione di questa mostra è stato selezionato In the dark (2009), uno dei primi ritratti maschili che mostra una figura nuda che più che immersa nel buio sembra uscire dalle tenebre, contribuendo a creare attorno a sé un’aura di mistero, fascino e pericolo.
Quello presentato da Verena Riefe è una sorta di bestiario medievale rivisitato in chiave moderna. Un cane, una zebra, una tigre ed una capra, tutti reinventati con estrema fantasia utilizzando supporti in metallo o alluminio che ne consentono la lavorazione su ambo i lati. L’effetto che si ottiene è quello di un oggetto a metà strada tra una scultura ed una pittura, che permette di avere una visione tridimensionale del soggetto ritratto. Ma a sorprendere lo spettatore è anche lo strano accostamento dei colori, che lontani da una resa mimetica della realtà, reinventano di volta in volta la silhouette dell’animale in questione. Chi di noi ha mai visto una tigre bianca dal manto pezzato con improbabili macchie color blu, rosso, giallo e verde, peraltro degne di una decorazione optical? O una zebra dal corpo rigato, dal muso alla coda, con quei medesimi colori? O una capra, anatomicamente la più originale di tutti gli animali selezionati per questa mostra, raffigurata per metà immersa nell’acqua, con tanto di pesciolini che nuotano nella corrente? Una produzione originale, allegra e colorata quella dell’artista tedesca, destinata a richiamare l’attenzione del pubblico più diversificato.
Norbert Schmitt, poliedrico artista tedesco, è presente in mostra con dipinti e sculture. Entrambi i linguaggi visivi risultano caratterizzati dalla predilezione per l’informale, che nelle pitture si traduce in un groviglio di pennellate e di colori, molto spesso interrotto da scritte. In Carne Actio (2008), opera anch’essa esposta presso il Museo delle Auto della Polizia di Stato3, focalizza l’attenzione sulla positività dell’azione di contro alla staticità. Soltanto un movimento costante, inteso come evoluzione, può innalzare l’uomo verso più alti lidi. Di qui l’intricato avvilupparsi di linee. Gli stessi colori, così diversi e carichi di sfumature, si fanno sinonimo delle differenti personalità che, pur condividendo lo stesso spazio, necessariamente sono l’una diversa dall’altra. È la moltitudine che diviene la rappresentazione stessa della vita. Nel coevo Kosmos III, invece, la pennellata ed i colori si fanno più decisi e le sfumature più limitate, quasi un riferimento a quella massa magmatica, il Caos, considerata all’origine dell’Universo. Ed è in questa stessa ottica che vanno lette le masse informi delle tre sculture esposte, tutte non a caso Senza titolo.
Maria Grazia Stoppa è presente all’interno del Castello con un’installazione costituita da nove sculture in ceramica raku ed in ceramica smaltata dal titolo Verso i ghiacci (2008). Una famiglia di pinguini, il più grande dei quali guida i piccoli verso i pochi ghiacciai rimasti. L’intento dell’artista è quello di richiamare l’attenzione del pubblico non solo sul rischio di estinzione di tali animali, ma anche di farsi portavoce, come molteplici organizzazioni mondiali, di una denuncia nei confronti dell’uomo che non riesce a trovare – o forse non vuole – una soluzione definitiva al sempre più incalzante problema della riduzione dei ghiacciai, una delle principali cause dell’innalzamento del livello dei mari. La precarietà dell’equilibrio dell’ecosistema, unita al rischio di estinzione di tali animali, si traducono qui simbolicamente con l’impiego di un materiale particolarmente delicato come la ceramica. Una seconda ed inedita scultura della Stoppa, dal titolo Le sentinelle (2009), realizzata in acciaio corten, è stata collocata in città, presso la sede dell’APT di Massa.
Concettualmente i lavori di Raffaele Tranquillo ci riportano verso quel male di vivere che più di ogni altra certezza ha condizionato l’uomo moderno. L’estenuante ricerca sia fuori (verso lidi lontani, basti pensare agli avventurieri dell’Ottocento e del primo Novecento) che dentro di sé (talvolta attraverso l’uso di droghe, talaltra grazie alla preghiera ed alla meditazione, ma sono solo degli spunti che andrebbero approfonditi a parte), di quel tassello mancante, esprime l’eterna difficoltà di appagare l’anima. I lavori di Tranquillo, tutti inediti ed eseguiti con una tecnica a dir poco anomala, ovvero stendendo del silicone direttamente sul supporto, si fanno carichi di significato. Sul baratro (2009), imponente nelle dimensioni, mostra quattro figure a mezzo busto ripiegate in avanti, quasi fossero intente a cercare qualcosa in terra. Sin dalla prima volta che ho visto l’opera dal vero un’unica chiave di lettura si è fatta strada, ovvero l’idea che quel guardare in basso o in terra che dir si voglia, in realtà non sia altro che un cercare le proprie radici, il proprio Sé. Come non pensare a certa produzione magrittiana? Un unico corpo da cui si dipartono quattro entità, tutte all’incessante ricerca di qualcosa, che sembrano non aver focalizzato di appartenere ad un’unica radice e, di conseguenza, perdono tempo a cercare ognuna la propria derivazione. Eppure, se solo guardassero un po’ più in profondità, scoprirebbero di avere la medesima radice, di essere parte integrante di un Tutto. Anche il coevo Quattro sembra sottolineare lo stesso principio: una affiancata all’altra, le quattro silhouettes che si potrebbero ripetere all’infinito, costanti nelle proporzioni, fanno pensare ad un uomo tra due specchi. La sua immagine si perde nelle molteplici repliche di se stesso, facendogli perdere la vera percezione del suo essere, di unità di corpo e spirito.
Delicate e preziose le sculture di Thorsten Trenkel, artista tedesco che unisce la funzionalità del design all’originalità dell’opera unica. In Female operasinger (2007), realizzata in porcellana, la calotta di luce si trasforma nell’ampiezza del vestito, sottolineata da un bordo di piume, a ricordare il fasto e la preziosità degli abiti di scena. Flowing communication (2007) ed In the square (2008), entrambi retroilluminati, sono invece concepiti come veri e propri quadri, ovvero oggetti da parete, realizzati in porcellana, sabbia e vetro. Anche Ligth in oval (2008) si traduce in un oggetto con una sua ben definita applicazione, il far luce, ma senza rinunciare alla preziosità dell’unicum.
Una selezione diversificata negli stili e nella provenienza degli artisti, in grado, almeno questa è la mia speranza, di coinvolgere un pubblico di età ed estrazione culturale diverse, più o meno avvezzo all’arte contemporanea, che fin troppo spesso viene vissuta come una realtà estraniante, di incomprensibile lettura, e soprattutto completamente slegata con il passato. La scommessa, pertanto, è stata anche questa: dimostrare che l’arte dei giorni d’oggi non è affatto difficile da spiegare e, di conseguenza, da comprendere, e che se collocata in uno spazio intriso di storia come il Castello Malaspina, non entra affatto in competizione con esso, ma ne esalta il fascino.
Adelinda Allegretti
Programma della manifestazione:
21 agosto ore 18: inaugurazione della manifestazione “Arte nell’Arte” e della mostra fotografica “Cuore Eritrea” a cura dell’Associazione “Un Cuore un Mondo”.
22 agosto ore 21: presentazione del libro “Il Lago sul Fiume” di Irene Iacopetti, presentata dalla Dott. Gabriella Fanfani, con interventi dell’Onorevole Elena Cordoni, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Massa Carmen Menchini, dell’Assessore alla Cultura della Provincia di Massa Lara Venè.
23 agosto ore 20,30: serata “Cuore Eritrea”, con proiezione del documentario della missione di Cooperazione Sanitaria Internazionale. Progetto presentato dalla Fondazione Gabriele Monasterio, Ospedale del Cuore-Massa, e dall’Associazione “Un Cuore un Mondo”, a favore dei bambini cardiopatici eritrei.
29 agosto ore 21: presentazione dei libri “Codex Pilati” di Mario Carbone Colli e Gianluca Rizzo e “Scritte” di Fabio Ricci, presentato da Valentina Guadagno, con lettura di alcuni brani da parte di un attore teatrale della Compagnia degli Evasi. Concerto rinascimentale del duo Fenzi-De Luigi, per chitarra classica.
Di seguito il testo tratto dal catalogo:
Un’antica sala da ballo per 10 artisti. Quando Ezio De Angeli mi ha offerto la possibilità di coadiuvarlo nell’organizzazione della terza edizione di “Arte nell’Arte” con una selezione a latere di quella ufficiale, mi sono recata sul posto per visionare gli spazi espositivi del Castello Malaspina. Sono rimasta folgorata dalla storia che trasuda da quelle spesse mura, dai delicati e preziosi affreschi che ne ornano le sale, ma soprattutto dal meraviglioso belvedere di cui si può godere praticamente da ogni angolo del Castello. Non ultima, l’idea di animare nuovamente l’antica sala da ballo con opere di artisti provenienti da diverse regioni d’Italia e da altri Paesi, mi ha a tal punto entusiasmato da accettare immediatamente la proposta offertami.
Per quanto concerne la scelta curatoriale si è preferito non intervenire con una specifica tematica, quanto piuttosto di mettere assieme opere non comunicanti tra loro; questo per non interferire con la mostra fotografica dal titolo “Cuore Eritrea”, e lasciando che l’unico fil rouge di Curator’s room fosse l’indiscussa qualità degli artisti selezionati. L’attenzione si è pertanto focalizzata principalmente su emergenti, sebbene non manchino artisti già affermati a livello nazionale ed internazionale.
La mostra si apre con le opere di Paola Endellini. Artista raffinata, dalle decise doti ritrattistiche, la Endellini pone l’accento sul complicato mondo femminile. Intensi i due nudi esposti, Sì (2007) ed Occhio all’adolescenza (2008), in cui viene indagata la sessualità: adulta nel primo, col corpo peraltro fissato in uno scorcio di non facile realizzazione, ma che proprio per questo denota una profonda conoscenza dell’anatomia, ed ancora acerba nel secondo, che in un ben riuscito taglio fotografico mostra parte del volto, sensuale quanto ingenuo, che rimanda allo spettatore l’idea di una non-completa dimestichezza con la prorompenza delle proprie “forme” di donna. Con Noia, l’opera più recente, affronta un tema diverso, legato anch’esso alla condizione femminile, ed al contempo getta uno sguardo al passato: quasi un omaggio a Vincent van Gogh ed a molta pittura olandese dell’Ottocento, la figura femminile compare completamente svincolata da quel mondo fatto di luci e lustrini di Prima di entrare in scena… (2007), che sembra invece riportarci ai giorni nostri con lo spettacolo teatrale, la ricchezza dei costumi e la perfezione del trucco. E qui più che altrove va sottolineata la delicatezza di volti, dai tratti assolutamente perfetti e veritieri.
Alessandra Ferretti, la più giovane tra i partecipanti, sposta l’attenzione sull’autoritratto. È quasi un assunto matematico. Da sempre gli artisti, e la storia dell’arte lo dimostra, trovano nella propria figura il primo soggetto da ritrarre. Potrei citare un elenco senza fine di grandi maestri che, davanti ad uno specchio, hanno indagato il proprio volto, il proprio sguardo, il taglio della propria bocca e così via, prima ancora di rivolgersi all’esterno, ad altri soggetti, ad altri tratti somatici. Verrebbe da citare Socrate: “Conosci te stesso”. È quanto fa la Ferretti nei tre lavori recenti, peraltro con risultati che mi hanno sorpreso: in Difetto quel modo di entrare quasi in punta di piedi da sinistra, lascia vuoti i due terzi della superficie pittorica. Inoltre solo lo sguardo è studiato con attenzione, mentre tutto il resto del volto è appena definito. Persino le ciocche dei capelli – quasi un moderno omaggio a molta ritrattistica rinascimentale – sono solo un vuoto ghirigoro. E lo sfondo prende il sopravvento, attraverso una decorazione, delicata ma al tempo stesso decisa e capillare, che dà un aspetto retrò alla composizione, a metà strada tra i Preraffaelliti e l’Art Nouveau. È evidente, quindi, che persino la scelta dell’utilizzo della matita, e quindi il ribadire del “saper disegnare”, non è affatto casuale. Anche Al di là di autoritrarre… ed Affinità divengono la scusante per indagare, ancora una volta, volti ben noti. Discorso a parte per Nient’altro che… (2008), l’opera che ha determinato l’inizio della carriera artistica della Ferretti, già esposto presso il Museo delle Auto della Polizia di Stato di Roma1 e da intendersi quale monito all’accidia ed alla mancanza di moto (“Chi si ferma è (…) perso, spacciato, stracciato, chi si ferma viene ramificato…”, riporta la scritta sulla chioma dell’uomo-albero).
Con Roberto Lalli si arriva ad una pittura di grande e profonda introspezione. Considerando Alberto Burri – come di fatto è – uno dei più grandi maestri del Novecento, Lalli parte dalla sua ricerca per scavare nel profondo, giù fino agli abissi della coscienza. Bruciata, abrasa, tagliata, letteralmente ferita e riportata a nuova vita, la tela subisce una sorta di purificazione. A volte bisogna distruggere e corrodere le apparenze per trovare la giusta via. In Grande cantiere (2008), opera esposta in occasione del progetto “Dialoghi”2, il titolo stesso suggerisce uno sporcarsi le mani per costruire qualcosa di nuovo, che eluda la superficie patinata della realtà per dirigersi verso l’essenza. È un processo che riguarda l’anima, prima ancora dell’esterno e della tela, o che meglio ancora si manifesta sulla tela solo quando ha raggiunto la totale maturazione nel subconscio, spesso in apparente disaccordo con qualsivoglia logicità. Anche Omaggio a Burri e Senza titolo, entrambi del 2009, sono la rappresentazione di quel continuo ed incessante strappo, un’ideale lacerazione di quanto di più sacro ci sia per un pittore, ovvero la tela, condizione indispensabile per il raggiungimento della Verità.
Dea (2008) di Rocío Pérez Vallejo non mancherà certo di catturare i sensi dello spettatore. Di grandezza oltre il naturale, l’opera è stata pensata come un moderno stendardo processionale, laddove la figura di Cristo crocifisso viene sostituita da quella di una giovane donna. Scomparsa la croce del martirio, ma come Gesù anch’ella nuda e nella stessa postura, la bella e sensuale figura muliebre sembra volteggiare nell’aria, tanto che la sua ombra si proietta sul fondo. Impossibile non pensare all’Estasi di Santa Teresa del Bernini, a quella transverberazione al limite della decenza, accettata dalla Chiesa solo in virtù della fama di quel geniale artista e dell’idea dimostrare ai fedeli che l’amore per Dio non ha nulla da invidiare all’amore terreno. Nell’opera dell’artista messicana l’utilizzo di oli essenziali di lavanda e rosmarino, oltre a preservare la tela dall’invecchiamento, coinvolge il fruitore in quel medesimo raptus di sensi che trasporta verso l’alto la donna. Il fiore dello sfondo, non a caso rosso, diviene sinonimo di passione, ma anche di peccato, laddove alla venerazione di Cristo la modernità sostituisce quella della donna, quale nuova icona.
Molteplici le chiavi di lettura (sacerdotessa o demone, positiva o negativa), che lascio al sentire di chi guarda.
L’edonismo e la bellezza del corpo sono gli assoluti protagonisti delle opere di Angela Policastro. Sensuali, provocanti, vere e proprie maliarde, le donne da lei ritratte catturano lo spettatore grazie anche a scelte cromatiche forti e decise, come in Pin-up (2009), rese ancora più accattivanti dall’utilizzo del caffè, che conferisce all’incarnato una tonalità particolarmente calda. L’attesa, anch’essa recente, propone un impegnativo scorcio prospettico, un ardito sottinsù che contribuisce a rendere ancora più lunghe le gambe in primo piano. E se per lungo tempo l’interesse della Policastro si è incentrato attorno alla figura femminile, in occasione di questa mostra è stato selezionato In the dark (2009), uno dei primi ritratti maschili che mostra una figura nuda che più che immersa nel buio sembra uscire dalle tenebre, contribuendo a creare attorno a sé un’aura di mistero, fascino e pericolo.
Quello presentato da Verena Riefe è una sorta di bestiario medievale rivisitato in chiave moderna. Un cane, una zebra, una tigre ed una capra, tutti reinventati con estrema fantasia utilizzando supporti in metallo o alluminio che ne consentono la lavorazione su ambo i lati. L’effetto che si ottiene è quello di un oggetto a metà strada tra una scultura ed una pittura, che permette di avere una visione tridimensionale del soggetto ritratto. Ma a sorprendere lo spettatore è anche lo strano accostamento dei colori, che lontani da una resa mimetica della realtà, reinventano di volta in volta la silhouette dell’animale in questione. Chi di noi ha mai visto una tigre bianca dal manto pezzato con improbabili macchie color blu, rosso, giallo e verde, peraltro degne di una decorazione optical? O una zebra dal corpo rigato, dal muso alla coda, con quei medesimi colori? O una capra, anatomicamente la più originale di tutti gli animali selezionati per questa mostra, raffigurata per metà immersa nell’acqua, con tanto di pesciolini che nuotano nella corrente? Una produzione originale, allegra e colorata quella dell’artista tedesca, destinata a richiamare l’attenzione del pubblico più diversificato.
Norbert Schmitt, poliedrico artista tedesco, è presente in mostra con dipinti e sculture. Entrambi i linguaggi visivi risultano caratterizzati dalla predilezione per l’informale, che nelle pitture si traduce in un groviglio di pennellate e di colori, molto spesso interrotto da scritte. In Carne Actio (2008), opera anch’essa esposta presso il Museo delle Auto della Polizia di Stato3, focalizza l’attenzione sulla positività dell’azione di contro alla staticità. Soltanto un movimento costante, inteso come evoluzione, può innalzare l’uomo verso più alti lidi. Di qui l’intricato avvilupparsi di linee. Gli stessi colori, così diversi e carichi di sfumature, si fanno sinonimo delle differenti personalità che, pur condividendo lo stesso spazio, necessariamente sono l’una diversa dall’altra. È la moltitudine che diviene la rappresentazione stessa della vita. Nel coevo Kosmos III, invece, la pennellata ed i colori si fanno più decisi e le sfumature più limitate, quasi un riferimento a quella massa magmatica, il Caos, considerata all’origine dell’Universo. Ed è in questa stessa ottica che vanno lette le masse informi delle tre sculture esposte, tutte non a caso Senza titolo.
Maria Grazia Stoppa è presente all’interno del Castello con un’installazione costituita da nove sculture in ceramica raku ed in ceramica smaltata dal titolo Verso i ghiacci (2008). Una famiglia di pinguini, il più grande dei quali guida i piccoli verso i pochi ghiacciai rimasti. L’intento dell’artista è quello di richiamare l’attenzione del pubblico non solo sul rischio di estinzione di tali animali, ma anche di farsi portavoce, come molteplici organizzazioni mondiali, di una denuncia nei confronti dell’uomo che non riesce a trovare – o forse non vuole – una soluzione definitiva al sempre più incalzante problema della riduzione dei ghiacciai, una delle principali cause dell’innalzamento del livello dei mari. La precarietà dell’equilibrio dell’ecosistema, unita al rischio di estinzione di tali animali, si traducono qui simbolicamente con l’impiego di un materiale particolarmente delicato come la ceramica. Una seconda ed inedita scultura della Stoppa, dal titolo Le sentinelle (2009), realizzata in acciaio corten, è stata collocata in città, presso la sede dell’APT di Massa.
Concettualmente i lavori di Raffaele Tranquillo ci riportano verso quel male di vivere che più di ogni altra certezza ha condizionato l’uomo moderno. L’estenuante ricerca sia fuori (verso lidi lontani, basti pensare agli avventurieri dell’Ottocento e del primo Novecento) che dentro di sé (talvolta attraverso l’uso di droghe, talaltra grazie alla preghiera ed alla meditazione, ma sono solo degli spunti che andrebbero approfonditi a parte), di quel tassello mancante, esprime l’eterna difficoltà di appagare l’anima. I lavori di Tranquillo, tutti inediti ed eseguiti con una tecnica a dir poco anomala, ovvero stendendo del silicone direttamente sul supporto, si fanno carichi di significato. Sul baratro (2009), imponente nelle dimensioni, mostra quattro figure a mezzo busto ripiegate in avanti, quasi fossero intente a cercare qualcosa in terra. Sin dalla prima volta che ho visto l’opera dal vero un’unica chiave di lettura si è fatta strada, ovvero l’idea che quel guardare in basso o in terra che dir si voglia, in realtà non sia altro che un cercare le proprie radici, il proprio Sé. Come non pensare a certa produzione magrittiana? Un unico corpo da cui si dipartono quattro entità, tutte all’incessante ricerca di qualcosa, che sembrano non aver focalizzato di appartenere ad un’unica radice e, di conseguenza, perdono tempo a cercare ognuna la propria derivazione. Eppure, se solo guardassero un po’ più in profondità, scoprirebbero di avere la medesima radice, di essere parte integrante di un Tutto. Anche il coevo Quattro sembra sottolineare lo stesso principio: una affiancata all’altra, le quattro silhouettes che si potrebbero ripetere all’infinito, costanti nelle proporzioni, fanno pensare ad un uomo tra due specchi. La sua immagine si perde nelle molteplici repliche di se stesso, facendogli perdere la vera percezione del suo essere, di unità di corpo e spirito.
Delicate e preziose le sculture di Thorsten Trenkel, artista tedesco che unisce la funzionalità del design all’originalità dell’opera unica. In Female operasinger (2007), realizzata in porcellana, la calotta di luce si trasforma nell’ampiezza del vestito, sottolineata da un bordo di piume, a ricordare il fasto e la preziosità degli abiti di scena. Flowing communication (2007) ed In the square (2008), entrambi retroilluminati, sono invece concepiti come veri e propri quadri, ovvero oggetti da parete, realizzati in porcellana, sabbia e vetro. Anche Ligth in oval (2008) si traduce in un oggetto con una sua ben definita applicazione, il far luce, ma senza rinunciare alla preziosità dell’unicum.
Una selezione diversificata negli stili e nella provenienza degli artisti, in grado, almeno questa è la mia speranza, di coinvolgere un pubblico di età ed estrazione culturale diverse, più o meno avvezzo all’arte contemporanea, che fin troppo spesso viene vissuta come una realtà estraniante, di incomprensibile lettura, e soprattutto completamente slegata con il passato. La scommessa, pertanto, è stata anche questa: dimostrare che l’arte dei giorni d’oggi non è affatto difficile da spiegare e, di conseguenza, da comprendere, e che se collocata in uno spazio intriso di storia come il Castello Malaspina, non entra affatto in competizione con esso, ma ne esalta il fascino.
Adelinda Allegretti
21
agosto 2009
Arte nell’Arte 2009. Curator’s room
Dal 21 agosto al 04 settembre 2009
arte contemporanea
Location
CASTELLO MALASPINA
Massa, Via Rocca, 15, (Massa-carrara)
Massa, Via Rocca, 15, (Massa-carrara)
Orario di apertura
10-12,30; 16-19,30. Ven. fino alle ore 24. Chiuso lun.
Vernissage
21 Agosto 2009, ore 18
Sito web
www.allegrettiarte.com
Autore
Curatore