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Arte povera. Teatro povero: la rivoluzione etica degli anni ’60
Tavola rotonda “Arte povera – teatro povero: la rivoluzione etica degli anni ’60” partecipano: Germano Celant, Michelangelo Pistoletto, Ludwik Flaszen, Franco Ruffini, Ferdinando Taviani, modera: Alessandra Mammì
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nell’aprile del 1964, a Cracovia viene pubblicata in francese una raccolta di testi di Eugenio Barba e di Ludwik
Flaszen (Cracovia, 1930) co-fondatore del Teatro Laboratorio, nonché di critiche polacche e straniere, dal titolo:
Le Théâtre Laboratoire 13 Rzedów d’Opole ou le théâtre comme auto-pénétration collective. Sembra che
proprio nel testo di Flaszen sullo spettacolo Akropolis, per la prima volta sia stato usato il termine di “teatro
povero“, sviluppato in seguito e reso popolare da Grotowski.
Nel 1968 un critico d’arte italiano, Germano Celant (Genova, 1940), conia la
definizione di "arte povera" per designare un gruppo di artisti italiani – Alighiero
Boetti, Mario Merz, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone,
Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Pino Pascali - destinati a riscuotere un grande
successo internazionale negli anni successivi. Celant delinea la teoria e la fisionomia
del movimento attraverso mostre e scritti come Conceptual Art, Arte Povera, Land
Art del 1970. Per Celant, che ha dichiarato più volte d’aver preso il termine dal
“teatro povero” di Grotowski, la nuova arte consiste essenzialmente «nel ridurre ai
minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi».
Tra il 1965 e il 1966 Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artista all’epoca attivo già
da un decennio, produce un insieme di lavori intitolati Oggetti in meno, considerati
basilari per la nascita dell’Arte Povera, movimento artistico di cui Pistoletto è
animatore e protagonista. A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi
espositivi, azioni che rappresentano le prime manifestazioni di quella “collaborazione
creativa” che Pistoletto svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in
relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società.
Abbiamo messo a confronto tra loro, per la prima volta in assoluto, i due maggiori esponenti del movimento
artistico dell’Arte Povera con l’ideatore, insieme a Grotowski, del teatro povero. E abbiamo chiesto a due storici
del teatro, Ferdinando Taviani e Franco Ruffini, che negli ultimi anni hanno contribuito con saggi e libri alla
riflessione critica su Grotowski, di dialogare con loro. A far da guida in quello che promette di essere un incontro
storico, la giornalista e critica d’arte e di cinema dell’ “Espresso” Alessandra Mammì.
Cercheremo di capire con loro che cosa è stata la straordinaria stagione “rivoluzionaria” degli anni ’60, e perché
dopo l’impatto con la sua carica travolgente di idee nuove e dirompenti nulla è rimasto più lo stesso, né l’arte,
né il teatro, né tanto meno la nostra società.
Flaszen (Cracovia, 1930) co-fondatore del Teatro Laboratorio, nonché di critiche polacche e straniere, dal titolo:
Le Théâtre Laboratoire 13 Rzedów d’Opole ou le théâtre comme auto-pénétration collective. Sembra che
proprio nel testo di Flaszen sullo spettacolo Akropolis, per la prima volta sia stato usato il termine di “teatro
povero“, sviluppato in seguito e reso popolare da Grotowski.
Nel 1968 un critico d’arte italiano, Germano Celant (Genova, 1940), conia la
definizione di "arte povera" per designare un gruppo di artisti italiani – Alighiero
Boetti, Mario Merz, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, Giuseppe Penone,
Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Pino Pascali - destinati a riscuotere un grande
successo internazionale negli anni successivi. Celant delinea la teoria e la fisionomia
del movimento attraverso mostre e scritti come Conceptual Art, Arte Povera, Land
Art del 1970. Per Celant, che ha dichiarato più volte d’aver preso il termine dal
“teatro povero” di Grotowski, la nuova arte consiste essenzialmente «nel ridurre ai
minimi termini, nell'impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi».
Tra il 1965 e il 1966 Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artista all’epoca attivo già
da un decennio, produce un insieme di lavori intitolati Oggetti in meno, considerati
basilari per la nascita dell’Arte Povera, movimento artistico di cui Pistoletto è
animatore e protagonista. A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi
espositivi, azioni che rappresentano le prime manifestazioni di quella “collaborazione
creativa” che Pistoletto svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in
relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società.
Abbiamo messo a confronto tra loro, per la prima volta in assoluto, i due maggiori esponenti del movimento
artistico dell’Arte Povera con l’ideatore, insieme a Grotowski, del teatro povero. E abbiamo chiesto a due storici
del teatro, Ferdinando Taviani e Franco Ruffini, che negli ultimi anni hanno contribuito con saggi e libri alla
riflessione critica su Grotowski, di dialogare con loro. A far da guida in quello che promette di essere un incontro
storico, la giornalista e critica d’arte e di cinema dell’ “Espresso” Alessandra Mammì.
Cercheremo di capire con loro che cosa è stata la straordinaria stagione “rivoluzionaria” degli anni ’60, e perché
dopo l’impatto con la sua carica travolgente di idee nuove e dirompenti nulla è rimasto più lo stesso, né l’arte,
né il teatro, né tanto meno la nostra società.
17
novembre 2009
Arte povera. Teatro povero: la rivoluzione etica degli anni ’60
17 novembre 2009
incontro - conferenza
Location
VILLA MEDICI – ACCADEMIA DI FRANCIA
Roma, Viale Della Trinità Dei Monti, 1, (Roma)
Roma, Viale Della Trinità Dei Monti, 1, (Roma)
Biglietti
nei limiti dei posti disponibili
Vernissage
17 Novembre 2009, ore 17.30
Sito web
www.istitutopolacco.it
Autore
Curatore