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Artinomie
Quattro artisti romagnoli accomunati dal senso di appartenenza alla terra d’origine e dal rispetto per il proprio lavoro basato sulla conoscenza profonda e critica delle avanguardie del dopoguerra ma anche su quelli che sono i fondamenti imprescindibili della nostra cultura: Umanesimo e Rinascimento
Comunicato stampa
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ARTINOMIE
Francesco Bombardi, Giovanni Fabbri, Davide Frisoni, Mauro Moscatelli
Sede esposizione:
FABBRICA, viale Carducci 119, Gambettola (FC)
19 Febbraio – 12 Marzo 2011
Apertura tutti i giorni dalle 15 alle 19 (da lunedì a giovedì occorre presentarsi in ufficio)
INAUGURAZIONE SABATO 19 Febbraio ore 17,00
Quando il 6 Agosto del 1945 la città di Hiroshima venne cancellata in un soffio dalla bomba atomica, il mondo dell’arte conobbe il suo “ ground zero “ a livello mondiale e forse per la prima volta si ebbe una sorta di comunione del sentire che unì in un assordante silenzio artisti, filosofi, scienziati, musicisti, scrittori oltre a un infinito numero di persone che potevano soltanto semplicemente manifestare un orrore che si univa a quello non ancora metabolizzato della fine del secondo conflitto mondiale .
Nel mondo dell’arte cominciarono a prendere forma ricerche e sperimentalismi di ogni tipo non veicolati da movimenti veri e propri canonizzati in qualche “ ismo” come era stata consuetudine fino agli anni quaranta.
Quindi dopo l’espressionismo, il cubismo, il futurismo e il surrealismo, per citare i più conosciuti, cominciò l’era delle avanguardie sperimentali che non intendevano scientemente lasciare nulla ai posteri non volendo rappresentare in alcun modo la società del tempo anzi rifiutandone quasi l’appartenenza.
Se l’uomo aveva rischiato di distruggere con l’umanità anche Giotto, Michelangelo e Leonardo cosa potevano mai inventare gli artisti del dopoguerra?
Come novelli alchimisti e nel rifiuto totale dello “status quo” culturale antecedente, personaggi come Fautrier e Burri diedero vita alla pittura informale cosiddetta “materica” mentre Hartung e Vedova fondarono sul segno la loro espressività ieratica o viscerale che fosse.
Negli Stati Uniti invece si affermarono “l’ action painting”, tra automatismi che danzavano ipnoticamente sulla tela, come nei lavori di Jackson Pollock, e una nuova forma di espressionismo che venne definito perciò “astratto” di cui fu sicuramente il maggiore interprete Willem De Kooning.
Il punto focale di questi nuovi linguaggi espressivi era comunque il guardare oltre la razionalità e la conoscenza per manifestare l’incertezza e la sfiducia nei confronti del circostante attraverso linguaggi che privilegiassero l’istinto o il caso.
La nascita dell’arte informale, di questo stiamo parlando, mise al primo posto tutto ciò che veniva dall’inconscio e si fondava sull’immediatezza, sul gesto, sull’istinto anche violento purchè privo di ancore figurative anche a livello di retaggio culturale.
Ma in un luogo come il nostro paese, culla del Rinascimento, prima o poi la storia avrebbe presentato il conto.
L’arte della non-forma pose nuovi quesiti.
Poteva l’artista fare a meno di rappresentare, per un tempo indefinito, la natura e la bellezza nelle sue forme più classiche del paesaggio e della figura?
Io penso assolutamente e categoricamente di no.
Eccoci arrivati alla cifra poetica di questa manifestazione che vede coinvolti quattro artisti romagnoli accomunati dal senso di appartenenza alla terra d’origine e dal profondo rispetto per il proprio lavoro.
Lavoro basato su una conoscenza profonda e critica delle avanguardie del dopoguerra ma anche su quelli che sono i fondamenti imprescindibili della nostra cultura, cioè l’Umanesimo e il Rinascimento che possiamo respirare, toccare ed osservare nei loro lavori.
L’amicizia che mi lega a Bombardi, Fabbri, Frisoni e Moscatelli mi ha permesso di sognare un “dove” poterli esporre che si è materializzato in quel luogo denso di fascino e dal sapore di archeologia industriale che è rappresentato da “ Fabbrica” di Angelo Grassi.
I pittori hanno scelto personalmente il proprio spazio lasciandosi contaminare dalle sculture di Bombardi che, fungendo da sutura tra un linguaggio pittorico e l’altro, sfociano in una sala a loro interamente dedicata.
La mostra parte dal naturalismo rarefatto di Giovanni Fabbri, denso di concrezioni terrigne alternate a una visione poetica del segno, inteso come sottrazione del superfluo, il cui risultato finale è una sintesi che rimanda spesso ai toni e alle cromie della pittura primitiva del trecento.
Le sue sono architetture della natura sospese nel tempo e nello spazio, filtrate da uno sguardo sempre a metà strada tra il disincanto e la meraviglia.
Si prosegue con le opere di Davide Frisoni che, in continuo divenire, ha accentuato negli ultimi anni una deriva materica di natura informale, affinata nello sperimentale ciclo degli “asfalti”.
Il risultato è quello di percepire aspetti di espressionismo astratto-concreto all’interno di una figurazione della realtà dalla resa coloristica sempre avvincente.
Nella poetica di Davide il punto nodale non è più soltanto l’orizzonte, quindi lo spazio infinito, ma è diventato più intimo: gli occhi sul circostante assumono un’importanza fondamentale delimitando la visuale in uno spazio circoscritto di bellezza interiorizzata e perciò percepita come “momentum”.
In punta di pennello arriviamo agli “Instabili“ di Mauro Moscatelli, volti senza tempo caratterizzati da una raffinata introspezione psicologica.
Attratti da un’impercettibile smorfia oppure incalzati dagli sguardi complici delle persone raffigurate è possibile immaginare intimamente aspetti reconditi del carattere di queste.
Moti dell’anima quindi e non personaggi in quanto la rappresentazione non è fisiognomica ma piuttosto ancorata a un aspetto di silente svagamento oltremondano dell’immaginazione. Insomma non guardano noi ma noi oltre di noi. E se stesse insieme a noi. Presenti per la prima volta alcuni lavori del ciclo delle “sabbie”. I segni sulla sabbia testimoniano un passaggio che evoca un ricordo o semplicemente sono pensieri che invocano esistenza.
Intervallano e chiudono la rassegna le sculture di Francesco Bombardi che mi piace definire “mitologie”, in quanto rappresentano una sorta di omaggio alchemico a divinità sconosciute dedicato al mondo d’oggi ma contemporaneamente proiettato a quello di domani.
I materiali che usa sono duri a piegarsi ma il demiurgo non si lascia condizionare dalla fatica e sottopone il ferro alla legge del braccio che altro non è che lo strumento della mente.
Il passato e il futuro sono per lui pieghe di un unico presente, una grinza nell’infinito e verso l’infinito le sue opere sono poesie in cammino.
L.S.
Interverranno:
Gianfranco Lauretano, Angelo Grassi, Luca Schiavetti.
Francesco Bombardi, Giovanni Fabbri, Davide Frisoni, Mauro Moscatelli
Sede esposizione:
FABBRICA, viale Carducci 119, Gambettola (FC)
19 Febbraio – 12 Marzo 2011
Apertura tutti i giorni dalle 15 alle 19 (da lunedì a giovedì occorre presentarsi in ufficio)
INAUGURAZIONE SABATO 19 Febbraio ore 17,00
Quando il 6 Agosto del 1945 la città di Hiroshima venne cancellata in un soffio dalla bomba atomica, il mondo dell’arte conobbe il suo “ ground zero “ a livello mondiale e forse per la prima volta si ebbe una sorta di comunione del sentire che unì in un assordante silenzio artisti, filosofi, scienziati, musicisti, scrittori oltre a un infinito numero di persone che potevano soltanto semplicemente manifestare un orrore che si univa a quello non ancora metabolizzato della fine del secondo conflitto mondiale .
Nel mondo dell’arte cominciarono a prendere forma ricerche e sperimentalismi di ogni tipo non veicolati da movimenti veri e propri canonizzati in qualche “ ismo” come era stata consuetudine fino agli anni quaranta.
Quindi dopo l’espressionismo, il cubismo, il futurismo e il surrealismo, per citare i più conosciuti, cominciò l’era delle avanguardie sperimentali che non intendevano scientemente lasciare nulla ai posteri non volendo rappresentare in alcun modo la società del tempo anzi rifiutandone quasi l’appartenenza.
Se l’uomo aveva rischiato di distruggere con l’umanità anche Giotto, Michelangelo e Leonardo cosa potevano mai inventare gli artisti del dopoguerra?
Come novelli alchimisti e nel rifiuto totale dello “status quo” culturale antecedente, personaggi come Fautrier e Burri diedero vita alla pittura informale cosiddetta “materica” mentre Hartung e Vedova fondarono sul segno la loro espressività ieratica o viscerale che fosse.
Negli Stati Uniti invece si affermarono “l’ action painting”, tra automatismi che danzavano ipnoticamente sulla tela, come nei lavori di Jackson Pollock, e una nuova forma di espressionismo che venne definito perciò “astratto” di cui fu sicuramente il maggiore interprete Willem De Kooning.
Il punto focale di questi nuovi linguaggi espressivi era comunque il guardare oltre la razionalità e la conoscenza per manifestare l’incertezza e la sfiducia nei confronti del circostante attraverso linguaggi che privilegiassero l’istinto o il caso.
La nascita dell’arte informale, di questo stiamo parlando, mise al primo posto tutto ciò che veniva dall’inconscio e si fondava sull’immediatezza, sul gesto, sull’istinto anche violento purchè privo di ancore figurative anche a livello di retaggio culturale.
Ma in un luogo come il nostro paese, culla del Rinascimento, prima o poi la storia avrebbe presentato il conto.
L’arte della non-forma pose nuovi quesiti.
Poteva l’artista fare a meno di rappresentare, per un tempo indefinito, la natura e la bellezza nelle sue forme più classiche del paesaggio e della figura?
Io penso assolutamente e categoricamente di no.
Eccoci arrivati alla cifra poetica di questa manifestazione che vede coinvolti quattro artisti romagnoli accomunati dal senso di appartenenza alla terra d’origine e dal profondo rispetto per il proprio lavoro.
Lavoro basato su una conoscenza profonda e critica delle avanguardie del dopoguerra ma anche su quelli che sono i fondamenti imprescindibili della nostra cultura, cioè l’Umanesimo e il Rinascimento che possiamo respirare, toccare ed osservare nei loro lavori.
L’amicizia che mi lega a Bombardi, Fabbri, Frisoni e Moscatelli mi ha permesso di sognare un “dove” poterli esporre che si è materializzato in quel luogo denso di fascino e dal sapore di archeologia industriale che è rappresentato da “ Fabbrica” di Angelo Grassi.
I pittori hanno scelto personalmente il proprio spazio lasciandosi contaminare dalle sculture di Bombardi che, fungendo da sutura tra un linguaggio pittorico e l’altro, sfociano in una sala a loro interamente dedicata.
La mostra parte dal naturalismo rarefatto di Giovanni Fabbri, denso di concrezioni terrigne alternate a una visione poetica del segno, inteso come sottrazione del superfluo, il cui risultato finale è una sintesi che rimanda spesso ai toni e alle cromie della pittura primitiva del trecento.
Le sue sono architetture della natura sospese nel tempo e nello spazio, filtrate da uno sguardo sempre a metà strada tra il disincanto e la meraviglia.
Si prosegue con le opere di Davide Frisoni che, in continuo divenire, ha accentuato negli ultimi anni una deriva materica di natura informale, affinata nello sperimentale ciclo degli “asfalti”.
Il risultato è quello di percepire aspetti di espressionismo astratto-concreto all’interno di una figurazione della realtà dalla resa coloristica sempre avvincente.
Nella poetica di Davide il punto nodale non è più soltanto l’orizzonte, quindi lo spazio infinito, ma è diventato più intimo: gli occhi sul circostante assumono un’importanza fondamentale delimitando la visuale in uno spazio circoscritto di bellezza interiorizzata e perciò percepita come “momentum”.
In punta di pennello arriviamo agli “Instabili“ di Mauro Moscatelli, volti senza tempo caratterizzati da una raffinata introspezione psicologica.
Attratti da un’impercettibile smorfia oppure incalzati dagli sguardi complici delle persone raffigurate è possibile immaginare intimamente aspetti reconditi del carattere di queste.
Moti dell’anima quindi e non personaggi in quanto la rappresentazione non è fisiognomica ma piuttosto ancorata a un aspetto di silente svagamento oltremondano dell’immaginazione. Insomma non guardano noi ma noi oltre di noi. E se stesse insieme a noi. Presenti per la prima volta alcuni lavori del ciclo delle “sabbie”. I segni sulla sabbia testimoniano un passaggio che evoca un ricordo o semplicemente sono pensieri che invocano esistenza.
Intervallano e chiudono la rassegna le sculture di Francesco Bombardi che mi piace definire “mitologie”, in quanto rappresentano una sorta di omaggio alchemico a divinità sconosciute dedicato al mondo d’oggi ma contemporaneamente proiettato a quello di domani.
I materiali che usa sono duri a piegarsi ma il demiurgo non si lascia condizionare dalla fatica e sottopone il ferro alla legge del braccio che altro non è che lo strumento della mente.
Il passato e il futuro sono per lui pieghe di un unico presente, una grinza nell’infinito e verso l’infinito le sue opere sono poesie in cammino.
L.S.
Interverranno:
Gianfranco Lauretano, Angelo Grassi, Luca Schiavetti.
19
febbraio 2011
Artinomie
Dal 19 febbraio al 12 marzo 2011
arte contemporanea
Location
FABBRICA
Gambettola, Viale Giosuè Carducci, 119, (Forlì-cesena)
Gambettola, Viale Giosuè Carducci, 119, (Forlì-cesena)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 15,00 alle 19,00
Vernissage
19 Febbraio 2011, ore 17,00
Autore
Curatore