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Artisti cotti
Uno spazio inusuale e quotidiano, oltre i circuiti tradizionali, per l’arte contemporanea. Dentro i tempi della contemporaneità, con i suoi ritmi e le sue pause. Quattro artisti all’esplorazione del corpo che diviene segno e segnale.
Comunicato stampa
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“Il corpo è un carniere di segni,
il segno è un corpo disincarnato”
(J.Baudrillard)
The body, the sign.
Il corpo. Fatto a brani, alterato, macellato. Percorso segretamente, intimamente, in prossimità. Offerto, opulento, sensuale. Transitorio. Diviene icona carnale ed erotica, ostensione disvelante di certe interiorità oscure, oblique, perturbanti, maligne. Segno e segnale. Si declina di presenze, gesti, nudità, ombre oscure, fissità oltre il tempo, di affioramenti arcani, di consistenze ectoplasmatiche; di soma, carne, di sottrazioni e distanze, di mitologie antiche diaboliche e mostruose, deliranti, da sottosuolo. Ha una urgenza corrosiva la pittura di Marinela Asăvoaie. Nella macelleria contaminante e ibridante, deformante, post umana, con chirurgica impassibilità e la levigatezza, la profondità di certi neri, grigi e smalti, l’artista fa dissezione e rivolta le carni. Alla ricerca della doppiezza che ci infesta e altera. Pazientemente, inesorabilmente. Dentro la decadenza, dentro la corruzione della carne, dentro la metastasi dell’umanità. Il transfert simbolico si compie nella decomposizione, nel disfacimento, nella corruzione della forma, nell’innesto in corto circuito, nella metamorfosi animalesca. Creature soprannaturali, torbide, dentro ognuno. Come segni.
Si sta come voyeurs dietro una serratura, in licenziosa e satirica osservazione. Le donne disinibite, cadenti e giocose di Giorgio Pignotti hanno un moto sarcastico di invito, ammiccanti e quotidiane, prossime, reali, carnali. Offerte, scoperte. Non temono la decadenza e ne sanno ridere. Sfacciatamente ed eroticamente. La lascivia giocosa che cita le pin up americane anni Trenta è in una erotismo provocatorio, vivace. Queste femmine hanno una materialità generosa e generatrice, le carni voluttuose, debordanti, maliziose, gli sguardi di chi conosce la malizia dell’ imperfezione e del piacere. Di chi non dimentica il trascorrere del tempo addosso. Gli oggetti divengono segnali lussuriosi. La pittura in bianco e nero o il colore quasi pop, l’espressività accentuata fanno del corpo il luogo di un godimento disinibito, casalingo. Seni, cosce, glutei, bocche occupano lo spazio. Carnalmente.
Per frammenti, per parzialità si rappresenta il corpo nel lavoro pittorico di Florinda Recchi.
“Sul ritmo scuro di una danza, piena di sogni e di sapienza, la donna accoglie i suoi ricordi anche i più stupidi e balordi. C’è in lei una specie di cielo, un’acqua di naufragio, un volo dove giustifica e perdona tutta la vita mascalzona” dice Paolo Conte. E c’è sapienza e naufragio nel lavoro dell’artista. Per mettere in atto una seduzione sospesa, silenziosa, cerebrale. Come in un tango blu velluto. Di sottrazione, di oscurità, di enigmaticità, complicità di ombre, segnali arcani e gesti di un rituale di prossimità e di sottrazioni che vuole tutti i sensi poiché sottrae il contatto. In tralice. La pittura declina i blu fondi, abissali quasi neri e quelli liquidi come di livido, freddi. Poi ossa, ginocchia, chiusure e intimità. Come un frame fotografico, che rubi parzialità intime.
Oscura, perturbante, fosca, urgente la pittura di Nima Tayebian. La rapidità liquida della pennellata si esercita con la brutalità netta dei segni o con la consistenza ectoplasmatica di certi bianchi sporchi su cartoni trovati, su carte pubblicitarie. Certi bruni seppiati e sgranati da dagherrotipo nei ritratti dei malvagi della terra dislocano nella dimensione della memoria collettiva la riconoscibilità, in un memento ostensorio e frontale che pare un inquietante monito. Certi fondi lucidi, certe fissità folli, certe atmosfere da macabro e arcano surrealismo anni Venti sono il medium espressivo che fa corto circuito con una mitologia interiore proteiforme da danza macabra, da rito satanico contemporaneo, da malvagità kubrickiana, da ricordo di vanitas. La figura ha l’essenzialità scabra, secca, spigolosa dell’ espressionismo nordico o l’inconsistenza di un tempo remoto e del pensiero. L’effigie diventa segno, analisi. Seriale, meticoloso come un killer, l’artista officia un rito oscuro e ieratico della tenebra dentro ognuno. (Simonetta Angelini)
il segno è un corpo disincarnato”
(J.Baudrillard)
The body, the sign.
Il corpo. Fatto a brani, alterato, macellato. Percorso segretamente, intimamente, in prossimità. Offerto, opulento, sensuale. Transitorio. Diviene icona carnale ed erotica, ostensione disvelante di certe interiorità oscure, oblique, perturbanti, maligne. Segno e segnale. Si declina di presenze, gesti, nudità, ombre oscure, fissità oltre il tempo, di affioramenti arcani, di consistenze ectoplasmatiche; di soma, carne, di sottrazioni e distanze, di mitologie antiche diaboliche e mostruose, deliranti, da sottosuolo. Ha una urgenza corrosiva la pittura di Marinela Asăvoaie. Nella macelleria contaminante e ibridante, deformante, post umana, con chirurgica impassibilità e la levigatezza, la profondità di certi neri, grigi e smalti, l’artista fa dissezione e rivolta le carni. Alla ricerca della doppiezza che ci infesta e altera. Pazientemente, inesorabilmente. Dentro la decadenza, dentro la corruzione della carne, dentro la metastasi dell’umanità. Il transfert simbolico si compie nella decomposizione, nel disfacimento, nella corruzione della forma, nell’innesto in corto circuito, nella metamorfosi animalesca. Creature soprannaturali, torbide, dentro ognuno. Come segni.
Si sta come voyeurs dietro una serratura, in licenziosa e satirica osservazione. Le donne disinibite, cadenti e giocose di Giorgio Pignotti hanno un moto sarcastico di invito, ammiccanti e quotidiane, prossime, reali, carnali. Offerte, scoperte. Non temono la decadenza e ne sanno ridere. Sfacciatamente ed eroticamente. La lascivia giocosa che cita le pin up americane anni Trenta è in una erotismo provocatorio, vivace. Queste femmine hanno una materialità generosa e generatrice, le carni voluttuose, debordanti, maliziose, gli sguardi di chi conosce la malizia dell’ imperfezione e del piacere. Di chi non dimentica il trascorrere del tempo addosso. Gli oggetti divengono segnali lussuriosi. La pittura in bianco e nero o il colore quasi pop, l’espressività accentuata fanno del corpo il luogo di un godimento disinibito, casalingo. Seni, cosce, glutei, bocche occupano lo spazio. Carnalmente.
Per frammenti, per parzialità si rappresenta il corpo nel lavoro pittorico di Florinda Recchi.
“Sul ritmo scuro di una danza, piena di sogni e di sapienza, la donna accoglie i suoi ricordi anche i più stupidi e balordi. C’è in lei una specie di cielo, un’acqua di naufragio, un volo dove giustifica e perdona tutta la vita mascalzona” dice Paolo Conte. E c’è sapienza e naufragio nel lavoro dell’artista. Per mettere in atto una seduzione sospesa, silenziosa, cerebrale. Come in un tango blu velluto. Di sottrazione, di oscurità, di enigmaticità, complicità di ombre, segnali arcani e gesti di un rituale di prossimità e di sottrazioni che vuole tutti i sensi poiché sottrae il contatto. In tralice. La pittura declina i blu fondi, abissali quasi neri e quelli liquidi come di livido, freddi. Poi ossa, ginocchia, chiusure e intimità. Come un frame fotografico, che rubi parzialità intime.
Oscura, perturbante, fosca, urgente la pittura di Nima Tayebian. La rapidità liquida della pennellata si esercita con la brutalità netta dei segni o con la consistenza ectoplasmatica di certi bianchi sporchi su cartoni trovati, su carte pubblicitarie. Certi bruni seppiati e sgranati da dagherrotipo nei ritratti dei malvagi della terra dislocano nella dimensione della memoria collettiva la riconoscibilità, in un memento ostensorio e frontale che pare un inquietante monito. Certi fondi lucidi, certe fissità folli, certe atmosfere da macabro e arcano surrealismo anni Venti sono il medium espressivo che fa corto circuito con una mitologia interiore proteiforme da danza macabra, da rito satanico contemporaneo, da malvagità kubrickiana, da ricordo di vanitas. La figura ha l’essenzialità scabra, secca, spigolosa dell’ espressionismo nordico o l’inconsistenza di un tempo remoto e del pensiero. L’effigie diventa segno, analisi. Seriale, meticoloso come un killer, l’artista officia un rito oscuro e ieratico della tenebra dentro ognuno. (Simonetta Angelini)
05
aprile 2009
Artisti cotti
Dal 05 aprile al 03 maggio 2009
arte contemporanea
Location
180 GRADI – UNA COTTA PER IL PANE
Fermo, Via Girolamo Montani, 10/12, (Ascoli Piceno)
Fermo, Via Girolamo Montani, 10/12, (Ascoli Piceno)
Orario di apertura
dal martedì al venerdi 07.00-20.00- sabato, domenica 07.00- 24.00 (lunedi chiuso)
Vernissage
5 Aprile 2009, ore 18
Autore
Curatore