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Arturo Santillo – La metafisica della bellezza
mostra personale
Comunicato stampa
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Arturo Santillo: la metafisica della bellezza
di Silvia Campese
L’opera di Arturo Santillo capovolge e reinterpreta la concezione di
“Bello Ideale” winckelmanniano. Pur richiamando, nella perfezione e
bellezza dei corpi, un modello neoclassico, dove la proporzione delle
forme rispecchia l’equilibrio interiore, anche nei sentimenti più
drammatici, la sua opera è dominata da un senso di indefinito e
metafisico mistero. La tendenza alla monocromia, l’attenta stesura a
velature per la resa degli incarnati, gli sfondi scuri su cui si stagliano le
carnagioni chiare aprono la via a una ricerca che tende ad andare oltre:
oltre la perfezioni dei corpi, oltre il soggetto biblico, evangelico,
mitologico, oltre il drappeggio degli abiti che lascia intravvedere corpi
imponenti, di uomo e di donna.
La bellezza ideale, dunque, costituisce l’occasione per l’ingresso in una
dimensione estremamente complessa dove letteratura, religione e
sentimento assumono una valenza universale e arcaica quanto la
storia dell’uomo. La scrittura, spesso utilizzata quale ideogramma,
rappresenta il senso eterno del bisogno di comunicazione dell’uomo.
Allo stesso modo, la religiosità acquista una valenza laica e simbolica:
esperienza comune a ogni civiltà, la fede è anelito proprio dell’uomo in
una lettura prima ancora antropologica che di fede. E l’analisi dei
sentimenti, tratti da scene narrate nei testi sacri cristiani ma anche dalla
mitologia greca e latina, è universalizzata trasformando il particolare in
paradigma che ha come unico comun denominatore l’essere umano.
Come il protagonista del mito di Sisifo, ancor più nella rilettura di
Camus, dove il filosofo francese mette in evidenza l’assurdità
dell’esistenza tramite l’auto-reiterarsi della pena a cui il personaggio
greco è condannato - costretto a spingere un enorme masso dalla
base alla cima di una montagna da cui ricadrà perennemente – così
l’uomo, terreno o divino, raffigurato da Santillo, appare avvolto in un
interrogativo. Come in uno stato di perenne attesa, né il dolore né la
gioia determinano la catarsi: Salomè non è catturata dall’orrore del
corpo decollato del Battista, la Vergine soffre silenziosa davanti alla
crocifissione del Figlio, Lucifero sceglie il Male senza clamore, la
Resurrezione è un momento intimo prima ancora che di salvezza per
l’umanità.
Allo stesso modo è affrontato il tema della morte. La sapienza tecnica
si intreccia al contenuto in un attento studio in cui il corpo appare
dormiente, appena abbandonato dalla vita, in una tensione muscolare
ancora legata alla carne. Dopo la contrazione nel dolore, l’abbandono
in una dimensione che non è dato comprendere a chi sta intorno.
Mute, le figure nell’opera di Santillo attraversano un proprio travaglio
che supera il concetto di Kalokagathia verso una nuova ricerca, “non
conoscendo da parte degli dei né bene né male”.
di Silvia Campese
L’opera di Arturo Santillo capovolge e reinterpreta la concezione di
“Bello Ideale” winckelmanniano. Pur richiamando, nella perfezione e
bellezza dei corpi, un modello neoclassico, dove la proporzione delle
forme rispecchia l’equilibrio interiore, anche nei sentimenti più
drammatici, la sua opera è dominata da un senso di indefinito e
metafisico mistero. La tendenza alla monocromia, l’attenta stesura a
velature per la resa degli incarnati, gli sfondi scuri su cui si stagliano le
carnagioni chiare aprono la via a una ricerca che tende ad andare oltre:
oltre la perfezioni dei corpi, oltre il soggetto biblico, evangelico,
mitologico, oltre il drappeggio degli abiti che lascia intravvedere corpi
imponenti, di uomo e di donna.
La bellezza ideale, dunque, costituisce l’occasione per l’ingresso in una
dimensione estremamente complessa dove letteratura, religione e
sentimento assumono una valenza universale e arcaica quanto la
storia dell’uomo. La scrittura, spesso utilizzata quale ideogramma,
rappresenta il senso eterno del bisogno di comunicazione dell’uomo.
Allo stesso modo, la religiosità acquista una valenza laica e simbolica:
esperienza comune a ogni civiltà, la fede è anelito proprio dell’uomo in
una lettura prima ancora antropologica che di fede. E l’analisi dei
sentimenti, tratti da scene narrate nei testi sacri cristiani ma anche dalla
mitologia greca e latina, è universalizzata trasformando il particolare in
paradigma che ha come unico comun denominatore l’essere umano.
Come il protagonista del mito di Sisifo, ancor più nella rilettura di
Camus, dove il filosofo francese mette in evidenza l’assurdità
dell’esistenza tramite l’auto-reiterarsi della pena a cui il personaggio
greco è condannato - costretto a spingere un enorme masso dalla
base alla cima di una montagna da cui ricadrà perennemente – così
l’uomo, terreno o divino, raffigurato da Santillo, appare avvolto in un
interrogativo. Come in uno stato di perenne attesa, né il dolore né la
gioia determinano la catarsi: Salomè non è catturata dall’orrore del
corpo decollato del Battista, la Vergine soffre silenziosa davanti alla
crocifissione del Figlio, Lucifero sceglie il Male senza clamore, la
Resurrezione è un momento intimo prima ancora che di salvezza per
l’umanità.
Allo stesso modo è affrontato il tema della morte. La sapienza tecnica
si intreccia al contenuto in un attento studio in cui il corpo appare
dormiente, appena abbandonato dalla vita, in una tensione muscolare
ancora legata alla carne. Dopo la contrazione nel dolore, l’abbandono
in una dimensione che non è dato comprendere a chi sta intorno.
Mute, le figure nell’opera di Santillo attraversano un proprio travaglio
che supera il concetto di Kalokagathia verso una nuova ricerca, “non
conoscendo da parte degli dei né bene né male”.
29
aprile 2011
Arturo Santillo – La metafisica della bellezza
Dal 29 aprile al 15 maggio 2011
arte contemporanea
Location
PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 9, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 9, (Genova)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 9,00 alle 19,00
Vernissage
29 Aprile 2011, ore 17
Autore
Curatore