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Astraendo e figurando – Gaspare Gisone
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione
Comunicato stampa
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Gaspare Gisone, nasce nel giugno del 1975 a Castelvetrano (TP)
Attualmente vive e lavora a Milano.
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza, per portarla ad assumere le fattezze di un linguaggio di attraversamento che ne modifica in maniera irreversibile la condizione originaria portando da una verginità ad una maculazione, con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazioni del tessuto, come effetto del trauma. I riferimenti a Fontana e Burri, maestri nella fornicazione con il nulla e il degrado della materia, s’impastano con quelli di Castellano e Colombo, maestri nel trattamento delle traversie della luce e si configurano come vere fonti storiche di macchinazione nei confronti di superfici levigate, che vengono trattate con la vigorosa azione dello scultore, del modificatore di effetti plastici. Gisone ottiene così effetti di moltiplicazione sensuale dell’immagine oltrepassando i limiti della bellezza, come concreta affermazione del qui e ora, per transitare nell’effetto del sublime come astratta posizione cinetica.
Le composizioni sono delle singolarità celibi che non possono aggiungere posizione a posizione, ma si ergono come icone inaccessibili e si prestano solo ad una sospensione del giudizio estetico, che viene comunque chiamato in causa dagli effetti di levigazione che le immagini proiettano, come fossero specchi che possono diventare ora, quieti assertori dell’immagine,ora momenti ustori di una bellicità tra l’assenza e la presenza. Il ciclo di rimandi e’ sempre il medesimo , ma sempre in divenire nella dialettica di opera e spettatore .
Francesco Gallo
Un viaggio nel mistero dell’oltre
Quando le parole non bastano più—magari perché tutto è stato detto, o perché si è capito che non servono, o perché ormai è prevalso il disgusto per il cinismo e l’ipocrisia oggi imperanti—bisogna tacere o parlare d’altro, oppure dire con altri linguaggi. Si potrebbe interpretare anche in tal modo la famosa ultima frase del Tractatus di Wittgenstein ( “di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”).
Quindi possiamo, con determinazione, decidere di occuparci di cose minori o più personali, anche perché non sappiamo se, dopo questi ultimi anni di guerre fratricide o imperialiste, di attentati e mattanze, altre cose cambieranno, e potremo soffrirne non poco anche nel nostro complesso e ansioso quotidiano. Viviamo nel cuore di una società che non ha abbastanza tempo per soppesare verità e menzogna, argomenti concreti e fandonie, e fa un doveroso melange tra bianco e nero, tra dimostrato e indimostrabile, tra realtà e fantasia, più o meno travestita da moda e, talora, da arte visiva. L’approdo è di un grigiore desolante, ma nel suo grembo prolifico, qualsiasi cosa, anche la più assurda e infondata, trova una giustificazione.
Un’artista come Gaspare Gisone sa che quando nella cassetta degli attrezzi non si riesce a trovare strumenti adatti per affrontare la realtà che ci circonda, quando le idee sono imbrigliate da mezzi troppo coercitivi e sferzanti, allora è necessario muoversi verso l’a-reale, creando nuovi scenari e nuove storie. Nascono così gli “Alfabeti” ( 2002), un inventario di forme da elaborare, una sorta di sommario del “segno” ( che forse involontariamente diventa una citazione del lavoro segnico di Emilio Scanavino ). Comunque si tratta di un puro momento di ricerca in quanto la strutturazione ritmica e seriale dei segni non dà luogo a una figurazione complessa. Esiste il particolare , ma non l’universale. Assistiamo insomma al continuo alternarsi di pieno vuoto, di concreto e astratto, di ombra e di luce. Ma a una lettura ravvicinata, e alla successiva messa a fuoco percettiva sulla tela, tutto si appare come un agglomerato di segni insistenti e minuziosi, che frantumano lo spazio con un incomprensibile alfabeto-morse, che emette anche onde sonore.
Se passiamo alle successive “Introspezioni”, ovvero le alte e sottili tele bianche aperte da una ferita prodotta col fuoco ( Burri docet?), che ci lasciano intravedere un “oltre” fatto di tratti che si aggrovigliano, si intrecciano come una trama di tessuto, allora sentiamo che non si tratta di una visione che si appaga del semplice reale, ma che oltrepassandolo, vede al di là, dove ogni forma è tesa e scrivibile, e conduce ogni finito nell’infinito, ogni realtà stabile nell’interrotto flusso del divenire, ogni definitezza nell’assoluto del bianco o del nero, che la materia cromatica evidenzia come vuoto e tensione in via di ritrovarsi in una dimensione nuova, che non dimentica gli spazi cosmici e i grovigli della coscienza. Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro”animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”. Nella violenza bruciante del gesto (ottenuta col fuoco), nella sua tonalità decisa o incerta, c’è un ‘autobiografia, c’è la qualità dell’artista col mondo, il modo di offrirsi della mano all’azione, e quindi ai sentimenti che la animano. In ogni gesto di Gisone c’è un desiderio soggiacente che lo imbeve e lo rende espressivo di un mutamento, che subisce la materia stessa sulla tela. La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che possiede di irrappresentabile e di enigmatico.
Siano il “Muro del pianto” (2004) o le ultime “Introspezioni” ( 2004), si tratta comunque di opere che si presentano con segni che costruiscono un vibrante continuum, cosicchè il loro movimento diventa infinito. La ”scrittura minuta”, guidata da impulsi precisi, prende il posto che nella pittura tradizionale avevano: masse, volumi, materia. Sembra che l’artista voglia, mostrare che le possibilità espressive del suo “ductus” grafico, sono illimitate, e ogni gesto può diventare un pretesto pittorico, ed è proprio in questo gesto che l’uomo- artista si descrive e si smaschera. Viene detta con leggerezza l’antica vicenda del caos che cerca nervosamente la forma, e ci rimanda al mistero dell’universo, in cui poi stanno le vere invisibili radici della coscienza. Gisone si è dunque calato nei territori della “metamorfosi” per intraprendere un “viaggio”, un’avventura, che rivela il mistero che sta alla fine della strada intrapresa, il vertiginoso rimescolio delle apparenze, l’apertura del possibile da recepire. Se guardiamo con attenzione queste opere abbiamo la sensazione che il vuoto, che si è formato oltre la soglia del taglio slabbrato e come offerto voluttuosamente al nostro sguardo, sia eccitato da forze che mettono in moto cellule, ammassi di filamenti che alludono a cose nascoste e occultate da nodi, che poi si trasformano in nuovi stati virtuali di energia, che ora sono osservabili e tangibili. Il vuoto viene così ad assumere l’aspetto di uno scenario misterioso , in cui si muovono anche fantasmi psichici. Non c’è dubbio che il mondo microscopico dei lavori di Gisone è importante al fine di comprendere i fenomeni del mondo macroscopico.
Questi segni, che ci appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie, ci ricordano forse che la natura è sul punto di corrompersi definitivamente, o di inabissarsi per sempre, come avveniva nei quadri di Monet, ma pure in certi quadri di Scanavino, che cercava, con dolore, di cogliere qualcosa di questo terribile mutamento, dipingendo terribili tele di ragno esplose, legamenti che si corrompono e si disfano, forme compatte che diventano viluppi di linee in via di serrarsi in un groppo stretto, come per difendersi da prossime catastrofi, e invasioni da alieni..
Un’opera pittorica come “Fine del mondo”,ci mostra un anello circolare, perfetto, magico, in cui sono avvenute fermentazioni interne misteriose, viventi, la forma si rompe, dentro il suo perimetro, in mille frammenti che si intrecciano, debordano, e poi si riallacciano secondo leggi organiche, così da simulare invasioni, contaminazioni, contagi, che si formano sia dentro lo spazio , che nelle cose, quasi che, tessuti umani, e no, siano colpiti da radiazioni atomiche, da virus infettivi, che si spandono e si moltiplicano, dando luogo a metamorfosi, ibridazioni perverse, come quelle che nel presente avvengono nei templi dell’ingegneria biogenetica, e infine, magari, esplodono , come un pianeta giunto al momento della sua fine nel sistema stellare.
Si tratta di opere che si possono leggere continuamente, giorno dopo giorno, secondo una continuità che non risponde semplicemente a un consumo, ma risponde piuttosto ad un bisogno di scoperta che insito in tutti noi, e che risulta insoddisfatto dalla meccanicità industriale, o ora tecnologica.
Ciò che salta agli occhi , per quanto riguarda molti di questi quadri di Gisone, è che ritorna in essi l’idea, magari solo simbolica, di “cornice” come perimetro e limite, ma pure elemento di raccordo tra lo spazio figurato e quello ambientale. La cornice, in fondo, da sempre ha aggiunto potere alla lotta dell’arte, che consisteva poi nel mettere in scena le proprie imprese, delimitando un “recinto sacro” in cui l’artista immancabilmente compie i suoi riti e i suoi sortilegi. Nel caso di Gisone si tratta semplicemente del bisogno di chiudere il campo per l’azione. L’ artefice la indica scolorendo i bordi del telaio, per rinchiudervi un universo, non fossa ’altro che di vuoto, o di spazio in mutazione, per dare vita ad un mondo soggetto soltanto a norme proprie. Il termine inglese frame ci da subito l’idea di qualcosa di rigido: qualcosa che limita e separa, definisce e contiene, qualcosa che chiude in un modo netto.
Anche quando guardiamo un dipinto quale “Il muro del pianto” ( e il riferimento va sempre a Scanavino) troviamo che Gisone porta comunque i suo colpi di pennello , o di spatola, a conquistare una dimensione gestuale di intrisa di amore, con la sua ineliminabile ambivalenza, che sconfina anche nell’erotismo. In ogni situazione creativa c’è un momento di godimento che comporta il senso del prodigio che si vuole compiere, di un evento incommensurabile rispetto alle sue premesse , come avviene nell’estasi mistica. Il lavoro del nostro artista vive di questi ascolti, di queste “nuove storie”, di questa volontà di abitare la frontiera come prossimità all’origine. Ciò che preme a Gisone è la possibilità di disegnare una dimensione mentale, di riconoscere i limiti dello spazio e del tempo , nei quali si avvera il suo vissuto, di ritessere quindi la trama della vita partendo da quel punto imprescindibile che è l’io, con la volontà di fare e di formare.
Marisa Vescovo
Biografia
Gaspare Gisone , nasce nel giugno del 1975 a Castelvetrano ( TP )
Attualmente vive e lavora a Milano .
Tra le principali mostre personali:
2004
MiART 2004 , Valente Arte Contemporanea , a cura di Marisa Vescovo .
Gaspare Gisone, Energia Contemporanea ,Forli’, a cura di Francesco Gallo .
Banca Popolare di Ravenna, Sala della Borsa , a cura di Francesco Gallo.
2005
Energia Contemporanea , Forli’, Roberto Rotta Farinelli .
MiART 2005 , Cavenaghi Arte, Milano.
Cavenaghi Arte, Milano, a cura di Riccardo Zelatore .
Tra le principali mostre collettive :
2004
Il Marchesato Ritrovato, Teatro Aycardi , Finale Ligure .
Mostra di Arte Sacra Contemporanea , a cura di Annotazioni d’Arte, Milano .
2005
56° Premio Michetti ,Francavilla al Mare , a cura di Luciano Caramel.
3° Premio Internazionale d’Arte “Pavia – Giovane Arte Europea” , Castello Visconteo, Pavia .
Tabula Picta , 9° Edizione Contemporanea ,Forli’.
5° Premio Internazionale di Scultura della Regione Piemonte 2006
Symbolica , Museo del Castello Estense , Ferrara
10° Premio Saturarte 2005, Genova
Magic colors of Venice , Centro d’Arte San Vidal, Venezia .
Prossime partecipazioni :
MIART 2006 , Valente Arte Contemporanea.
Attualmente vive e lavora a Milano.
Gaspare Gisone lavora sulla spazialità, interpretata come concretezza materica su cui agire con disperata forza d’espressione, quasi a forzarne l’intima consistenza, per portarla ad assumere le fattezze di un linguaggio di attraversamento che ne modifica in maniera irreversibile la condizione originaria portando da una verginità ad una maculazione, con un’impronta d’apertura che lascia tracce profonde, lacerazioni del tessuto, come effetto del trauma. I riferimenti a Fontana e Burri, maestri nella fornicazione con il nulla e il degrado della materia, s’impastano con quelli di Castellano e Colombo, maestri nel trattamento delle traversie della luce e si configurano come vere fonti storiche di macchinazione nei confronti di superfici levigate, che vengono trattate con la vigorosa azione dello scultore, del modificatore di effetti plastici. Gisone ottiene così effetti di moltiplicazione sensuale dell’immagine oltrepassando i limiti della bellezza, come concreta affermazione del qui e ora, per transitare nell’effetto del sublime come astratta posizione cinetica.
Le composizioni sono delle singolarità celibi che non possono aggiungere posizione a posizione, ma si ergono come icone inaccessibili e si prestano solo ad una sospensione del giudizio estetico, che viene comunque chiamato in causa dagli effetti di levigazione che le immagini proiettano, come fossero specchi che possono diventare ora, quieti assertori dell’immagine,ora momenti ustori di una bellicità tra l’assenza e la presenza. Il ciclo di rimandi e’ sempre il medesimo , ma sempre in divenire nella dialettica di opera e spettatore .
Francesco Gallo
Un viaggio nel mistero dell’oltre
Quando le parole non bastano più—magari perché tutto è stato detto, o perché si è capito che non servono, o perché ormai è prevalso il disgusto per il cinismo e l’ipocrisia oggi imperanti—bisogna tacere o parlare d’altro, oppure dire con altri linguaggi. Si potrebbe interpretare anche in tal modo la famosa ultima frase del Tractatus di Wittgenstein ( “di ciò di cui non si può parlare bisogna tacere”).
Quindi possiamo, con determinazione, decidere di occuparci di cose minori o più personali, anche perché non sappiamo se, dopo questi ultimi anni di guerre fratricide o imperialiste, di attentati e mattanze, altre cose cambieranno, e potremo soffrirne non poco anche nel nostro complesso e ansioso quotidiano. Viviamo nel cuore di una società che non ha abbastanza tempo per soppesare verità e menzogna, argomenti concreti e fandonie, e fa un doveroso melange tra bianco e nero, tra dimostrato e indimostrabile, tra realtà e fantasia, più o meno travestita da moda e, talora, da arte visiva. L’approdo è di un grigiore desolante, ma nel suo grembo prolifico, qualsiasi cosa, anche la più assurda e infondata, trova una giustificazione.
Un’artista come Gaspare Gisone sa che quando nella cassetta degli attrezzi non si riesce a trovare strumenti adatti per affrontare la realtà che ci circonda, quando le idee sono imbrigliate da mezzi troppo coercitivi e sferzanti, allora è necessario muoversi verso l’a-reale, creando nuovi scenari e nuove storie. Nascono così gli “Alfabeti” ( 2002), un inventario di forme da elaborare, una sorta di sommario del “segno” ( che forse involontariamente diventa una citazione del lavoro segnico di Emilio Scanavino ). Comunque si tratta di un puro momento di ricerca in quanto la strutturazione ritmica e seriale dei segni non dà luogo a una figurazione complessa. Esiste il particolare , ma non l’universale. Assistiamo insomma al continuo alternarsi di pieno vuoto, di concreto e astratto, di ombra e di luce. Ma a una lettura ravvicinata, e alla successiva messa a fuoco percettiva sulla tela, tutto si appare come un agglomerato di segni insistenti e minuziosi, che frantumano lo spazio con un incomprensibile alfabeto-morse, che emette anche onde sonore.
Se passiamo alle successive “Introspezioni”, ovvero le alte e sottili tele bianche aperte da una ferita prodotta col fuoco ( Burri docet?), che ci lasciano intravedere un “oltre” fatto di tratti che si aggrovigliano, si intrecciano come una trama di tessuto, allora sentiamo che non si tratta di una visione che si appaga del semplice reale, ma che oltrepassandolo, vede al di là, dove ogni forma è tesa e scrivibile, e conduce ogni finito nell’infinito, ogni realtà stabile nell’interrotto flusso del divenire, ogni definitezza nell’assoluto del bianco o del nero, che la materia cromatica evidenzia come vuoto e tensione in via di ritrovarsi in una dimensione nuova, che non dimentica gli spazi cosmici e i grovigli della coscienza. Il taglio slabbrato con forza e volontà plastica, rivela che per Gisone, esso è il risultato di un gesto che trapassa la tela per creare un vuoto “dietro”, ma al contrario di Fontana, che col taglio ambiva a un vuoto spaziale, senza interferenze di possibili forme, Gisone vuole trovare un “dietro”animato da un intreccio di immagini, e documenta con il segno l’ambigua fine di uno spazio che va “oltre”. Nella violenza bruciante del gesto (ottenuta col fuoco), nella sua tonalità decisa o incerta, c’è un ‘autobiografia, c’è la qualità dell’artista col mondo, il modo di offrirsi della mano all’azione, e quindi ai sentimenti che la animano. In ogni gesto di Gisone c’è un desiderio soggiacente che lo imbeve e lo rende espressivo di un mutamento, che subisce la materia stessa sulla tela. La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che possiede di irrappresentabile e di enigmatico.
Siano il “Muro del pianto” (2004) o le ultime “Introspezioni” ( 2004), si tratta comunque di opere che si presentano con segni che costruiscono un vibrante continuum, cosicchè il loro movimento diventa infinito. La ”scrittura minuta”, guidata da impulsi precisi, prende il posto che nella pittura tradizionale avevano: masse, volumi, materia. Sembra che l’artista voglia, mostrare che le possibilità espressive del suo “ductus” grafico, sono illimitate, e ogni gesto può diventare un pretesto pittorico, ed è proprio in questo gesto che l’uomo- artista si descrive e si smaschera. Viene detta con leggerezza l’antica vicenda del caos che cerca nervosamente la forma, e ci rimanda al mistero dell’universo, in cui poi stanno le vere invisibili radici della coscienza. Gisone si è dunque calato nei territori della “metamorfosi” per intraprendere un “viaggio”, un’avventura, che rivela il mistero che sta alla fine della strada intrapresa, il vertiginoso rimescolio delle apparenze, l’apertura del possibile da recepire. Se guardiamo con attenzione queste opere abbiamo la sensazione che il vuoto, che si è formato oltre la soglia del taglio slabbrato e come offerto voluttuosamente al nostro sguardo, sia eccitato da forze che mettono in moto cellule, ammassi di filamenti che alludono a cose nascoste e occultate da nodi, che poi si trasformano in nuovi stati virtuali di energia, che ora sono osservabili e tangibili. Il vuoto viene così ad assumere l’aspetto di uno scenario misterioso , in cui si muovono anche fantasmi psichici. Non c’è dubbio che il mondo microscopico dei lavori di Gisone è importante al fine di comprendere i fenomeni del mondo macroscopico.
Questi segni, che ci appaiono provenienti dalla penombra di uno spazio che sta al di là della superficie, ci ricordano forse che la natura è sul punto di corrompersi definitivamente, o di inabissarsi per sempre, come avveniva nei quadri di Monet, ma pure in certi quadri di Scanavino, che cercava, con dolore, di cogliere qualcosa di questo terribile mutamento, dipingendo terribili tele di ragno esplose, legamenti che si corrompono e si disfano, forme compatte che diventano viluppi di linee in via di serrarsi in un groppo stretto, come per difendersi da prossime catastrofi, e invasioni da alieni..
Un’opera pittorica come “Fine del mondo”,ci mostra un anello circolare, perfetto, magico, in cui sono avvenute fermentazioni interne misteriose, viventi, la forma si rompe, dentro il suo perimetro, in mille frammenti che si intrecciano, debordano, e poi si riallacciano secondo leggi organiche, così da simulare invasioni, contaminazioni, contagi, che si formano sia dentro lo spazio , che nelle cose, quasi che, tessuti umani, e no, siano colpiti da radiazioni atomiche, da virus infettivi, che si spandono e si moltiplicano, dando luogo a metamorfosi, ibridazioni perverse, come quelle che nel presente avvengono nei templi dell’ingegneria biogenetica, e infine, magari, esplodono , come un pianeta giunto al momento della sua fine nel sistema stellare.
Si tratta di opere che si possono leggere continuamente, giorno dopo giorno, secondo una continuità che non risponde semplicemente a un consumo, ma risponde piuttosto ad un bisogno di scoperta che insito in tutti noi, e che risulta insoddisfatto dalla meccanicità industriale, o ora tecnologica.
Ciò che salta agli occhi , per quanto riguarda molti di questi quadri di Gisone, è che ritorna in essi l’idea, magari solo simbolica, di “cornice” come perimetro e limite, ma pure elemento di raccordo tra lo spazio figurato e quello ambientale. La cornice, in fondo, da sempre ha aggiunto potere alla lotta dell’arte, che consisteva poi nel mettere in scena le proprie imprese, delimitando un “recinto sacro” in cui l’artista immancabilmente compie i suoi riti e i suoi sortilegi. Nel caso di Gisone si tratta semplicemente del bisogno di chiudere il campo per l’azione. L’ artefice la indica scolorendo i bordi del telaio, per rinchiudervi un universo, non fossa ’altro che di vuoto, o di spazio in mutazione, per dare vita ad un mondo soggetto soltanto a norme proprie. Il termine inglese frame ci da subito l’idea di qualcosa di rigido: qualcosa che limita e separa, definisce e contiene, qualcosa che chiude in un modo netto.
Anche quando guardiamo un dipinto quale “Il muro del pianto” ( e il riferimento va sempre a Scanavino) troviamo che Gisone porta comunque i suo colpi di pennello , o di spatola, a conquistare una dimensione gestuale di intrisa di amore, con la sua ineliminabile ambivalenza, che sconfina anche nell’erotismo. In ogni situazione creativa c’è un momento di godimento che comporta il senso del prodigio che si vuole compiere, di un evento incommensurabile rispetto alle sue premesse , come avviene nell’estasi mistica. Il lavoro del nostro artista vive di questi ascolti, di queste “nuove storie”, di questa volontà di abitare la frontiera come prossimità all’origine. Ciò che preme a Gisone è la possibilità di disegnare una dimensione mentale, di riconoscere i limiti dello spazio e del tempo , nei quali si avvera il suo vissuto, di ritessere quindi la trama della vita partendo da quel punto imprescindibile che è l’io, con la volontà di fare e di formare.
Marisa Vescovo
Biografia
Gaspare Gisone , nasce nel giugno del 1975 a Castelvetrano ( TP )
Attualmente vive e lavora a Milano .
Tra le principali mostre personali:
2004
MiART 2004 , Valente Arte Contemporanea , a cura di Marisa Vescovo .
Gaspare Gisone, Energia Contemporanea ,Forli’, a cura di Francesco Gallo .
Banca Popolare di Ravenna, Sala della Borsa , a cura di Francesco Gallo.
2005
Energia Contemporanea , Forli’, Roberto Rotta Farinelli .
MiART 2005 , Cavenaghi Arte, Milano.
Cavenaghi Arte, Milano, a cura di Riccardo Zelatore .
Tra le principali mostre collettive :
2004
Il Marchesato Ritrovato, Teatro Aycardi , Finale Ligure .
Mostra di Arte Sacra Contemporanea , a cura di Annotazioni d’Arte, Milano .
2005
56° Premio Michetti ,Francavilla al Mare , a cura di Luciano Caramel.
3° Premio Internazionale d’Arte “Pavia – Giovane Arte Europea” , Castello Visconteo, Pavia .
Tabula Picta , 9° Edizione Contemporanea ,Forli’.
5° Premio Internazionale di Scultura della Regione Piemonte 2006
Symbolica , Museo del Castello Estense , Ferrara
10° Premio Saturarte 2005, Genova
Magic colors of Venice , Centro d’Arte San Vidal, Venezia .
Prossime partecipazioni :
MIART 2006 , Valente Arte Contemporanea.
21
gennaio 2006
Astraendo e figurando – Gaspare Gisone
Dal 21 gennaio al 24 febbraio 2006
arte contemporanea
Location
BAR TESTA
Albissola Marina, Piazza Del Popolo, 2, (Savona)
Albissola Marina, Piazza Del Popolo, 2, (Savona)
Orario di apertura
tutto il giorno – chiuso il mercoledì
Vernissage
21 Gennaio 2006, ore 18
Autore
Curatore