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Attalo
L’opera di Attalo è l’analisi assai lucida delle debolezze umane, grazie al contatto quotidiano con le contraddizioni e le carenze offerte da un tipo di società borghese, in cui l’uomo cessa di essere tale per regredire allo stato di caricatura o di macchietta
Comunicato stampa
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Attalo il cronista grafico delle nostre miserie morali
nel 1920 fu invitato a collaborare al periodico satirico “Serenissimo”, per evitare il licenziamento, adottò lo pseudonimo di Attalo “è l’unico personaggio storico che mi ricordavo di aver studiato” diceva Colizzi – Attalo Re di Pergamo - così dovendo trovare un nome diverso per nascondere la mia attività presso il Ministero dei Trasporti, adottai il nome di questo re”. Dopo la chiusura del periodico decretata dalle autorità fasciste, Attalo si dedicò all’illustrazione di manifesti; finchè nel 1931 prese a collaborare al celebre “Marc’Aurelio”, per il quale la sua matita inventò una delle più popolari e divertenti macchiette dell’umorismo italiano: “il Gagà che aveva detto agli amici…” prendendo come modello il suo amico giornalista Attilio Battistini, elegantone, scucchione e nasone. Ma dietro l’esplosività e il fuoco d’artificio delle sue trovate, dietro la comicità burlesca delle situazioni in cui si trovano i suoi personaggi si cela una profonda amarezza: la consapevolezza di una realtà meno divertente, che nasconde dietro stupefacenti fanfaronate le miserie morali e le umilianti sconfitte della quotidianità di tante vite. Con “Genoveffa la racchia”, Attalo graffia a fondo, con impetuosa forza, nei meandri della psiche dell’umanità dei suoi personaggi. In “Genoveffa la racchia” brutta, pelosa, sedere basso c’è la satira atroce di certi personaggi femminili che nonostante la loro non più tenera età, si atteggiano ancora a donne fatali, assumendo pose e comportamenti da belle e affascinanti.
L’opera di Attalo è l’analisi assai lucida delle debolezze umane, grazie al contatto quotidiano con le contraddizioni e le carenze offerte da un tipo di società borghese, in cui l’uomo cessa di essere tale per regredire allo stato di caricatura o di macchietta.
Seguirono durante la guerra le collaborazioni a “Marforio” e “Pasquino” nel 1944 e, più tardi, nel 1947 al “Travaso delle idee” diretto da Guasta e all’anticlericale “Il mercante” e a “Belzebù!”.
Le “Guerre pacioccone” sono l’ultima creazione della penna di Attalo, forse le sue uniche vignette prive di crudeltà, pubblicate negli anni ’60 dal giornale romano “Paese Sera”, in cui viene mostrata una satira meno graffiante, anzi quasi un umorismo un po’ ingenuo, come traspare anche dall’aggettivo da lui usato “pacioccone” per titolare queste sue creazioni. Vanno ricordati anche il “Cavalier Precisetti” che “quando fa una cosa la fa bene o per niente” e “Gastone” il fidanzato di “Genoveffa”.
La sua non è una comune satira perché traspare nelle sue vignette un certo “calore umano”; poiché attraverso la ricerca incessante di colloquio e di contatto con i nostri vizi e debolezze, in Attalo c’è la volontà di salvare l’individuo proprio attraverso la satira; egli cerca, attraverso la sottolineatura delle debolezze umane la ricostruzione della persona dell’uomo, forse, per restituirgli la consapevolezza di una sua propria dignità.
Le illustrazioni originali esposte al Centro d’Arte “La Bitta” sono state ordinate dal sottoscritto ad Attalo per conto di Adriano Dal Pont e Umberto Terracini, rispettivamente Segretario e Presidente dell’Associazione Perseguitati Politici per il volume “Anno X del regime – Starace dixit”. Era il 1968 – e per questo modo di illustrare le debolezze umane che Attalo si differenzia da tutti gli umoristi italiani e stranieri, diventando, come diceva Federico Fellini (collega di Attalo nel giornale “il Marc’Aurelio”), il primo, forse l’unico disegnatore neorealista italiano.
Italo Marucci
nel 1920 fu invitato a collaborare al periodico satirico “Serenissimo”, per evitare il licenziamento, adottò lo pseudonimo di Attalo “è l’unico personaggio storico che mi ricordavo di aver studiato” diceva Colizzi – Attalo Re di Pergamo - così dovendo trovare un nome diverso per nascondere la mia attività presso il Ministero dei Trasporti, adottai il nome di questo re”. Dopo la chiusura del periodico decretata dalle autorità fasciste, Attalo si dedicò all’illustrazione di manifesti; finchè nel 1931 prese a collaborare al celebre “Marc’Aurelio”, per il quale la sua matita inventò una delle più popolari e divertenti macchiette dell’umorismo italiano: “il Gagà che aveva detto agli amici…” prendendo come modello il suo amico giornalista Attilio Battistini, elegantone, scucchione e nasone. Ma dietro l’esplosività e il fuoco d’artificio delle sue trovate, dietro la comicità burlesca delle situazioni in cui si trovano i suoi personaggi si cela una profonda amarezza: la consapevolezza di una realtà meno divertente, che nasconde dietro stupefacenti fanfaronate le miserie morali e le umilianti sconfitte della quotidianità di tante vite. Con “Genoveffa la racchia”, Attalo graffia a fondo, con impetuosa forza, nei meandri della psiche dell’umanità dei suoi personaggi. In “Genoveffa la racchia” brutta, pelosa, sedere basso c’è la satira atroce di certi personaggi femminili che nonostante la loro non più tenera età, si atteggiano ancora a donne fatali, assumendo pose e comportamenti da belle e affascinanti.
L’opera di Attalo è l’analisi assai lucida delle debolezze umane, grazie al contatto quotidiano con le contraddizioni e le carenze offerte da un tipo di società borghese, in cui l’uomo cessa di essere tale per regredire allo stato di caricatura o di macchietta.
Seguirono durante la guerra le collaborazioni a “Marforio” e “Pasquino” nel 1944 e, più tardi, nel 1947 al “Travaso delle idee” diretto da Guasta e all’anticlericale “Il mercante” e a “Belzebù!”.
Le “Guerre pacioccone” sono l’ultima creazione della penna di Attalo, forse le sue uniche vignette prive di crudeltà, pubblicate negli anni ’60 dal giornale romano “Paese Sera”, in cui viene mostrata una satira meno graffiante, anzi quasi un umorismo un po’ ingenuo, come traspare anche dall’aggettivo da lui usato “pacioccone” per titolare queste sue creazioni. Vanno ricordati anche il “Cavalier Precisetti” che “quando fa una cosa la fa bene o per niente” e “Gastone” il fidanzato di “Genoveffa”.
La sua non è una comune satira perché traspare nelle sue vignette un certo “calore umano”; poiché attraverso la ricerca incessante di colloquio e di contatto con i nostri vizi e debolezze, in Attalo c’è la volontà di salvare l’individuo proprio attraverso la satira; egli cerca, attraverso la sottolineatura delle debolezze umane la ricostruzione della persona dell’uomo, forse, per restituirgli la consapevolezza di una sua propria dignità.
Le illustrazioni originali esposte al Centro d’Arte “La Bitta” sono state ordinate dal sottoscritto ad Attalo per conto di Adriano Dal Pont e Umberto Terracini, rispettivamente Segretario e Presidente dell’Associazione Perseguitati Politici per il volume “Anno X del regime – Starace dixit”. Era il 1968 – e per questo modo di illustrare le debolezze umane che Attalo si differenzia da tutti gli umoristi italiani e stranieri, diventando, come diceva Federico Fellini (collega di Attalo nel giornale “il Marc’Aurelio”), il primo, forse l’unico disegnatore neorealista italiano.
Italo Marucci
18
giugno 2007
Attalo
Dal 18 al 30 giugno 2007
arte contemporanea
Location
CENTRO D’ARTE LA BITTA
Roma, Via Como, 7, (Roma)
Roma, Via Como, 7, (Roma)
Orario di apertura
17–20,20 giorni feriali
Autore