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Audience/Pubblico
Nuove identità che narrano di donne contemporanee popolano gli spazzi dell’Orfeo Hotel
Comunicato stampa
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Audience/Pubblico
Nuove identità che narrano di donne contemporanee popolano gli spazzi dell’ Orfeo Hotel che in collaborazione con il Magazine d’arte contemporanea Crudelia presenta il lavoro di Vettor Pisani e di Rita Vitali Rosati a cura di Marta Massaioli ed il lavoro di Karin Andersen, come artista e come teorica, di Dacia Manto, Silvio Giordano, Domitilla Damiani, ORÀSH, Lucia Geraci e Marcello Tedesco a cura di Elisa Laraia
CRUDELIA’S PROJECT
A CURA DI MARTA MASSAIOLI
VETTOR PISANI E Rita Vitali Rosati
Vettor Pisani
Mimma e Vettor Pisani
L'Angelo dell'Occidente
Ne abbiamo di strada da percorrere nelle tenebre fino all'anello che
circonda il mondo, fino alla nona sfera celeste. Il fine dell'arte è
concepire la meta, il paesaggio della perfezione racchiuso nel colore
azzurro-smeraldo, nel lampo edenico che illumina pietre ed abissi. L'artista
prova, riprova la costruzione del luogo aureolato degli angeli. Il suo
mundus immaginalis è nutrito dall' angelo melanconico di Durer, dall'angelo
di Rilke che serve luoghi incomparabili, al centro dell'universo,
dall'angelo della fluenza trascendente di Meyrink, dall'angelo di vento di
Klee, dal suo stesso angelo androgino. L'opera si sottrae così
all'arroganza dello sguardo, rinasce nella dimensione invisibile della
metamorfosi, garantisce il rovesciamento di senso, tocca e sorvola I punti
del disfacimento, unifica i linguaggi visivo e poetico, beffa il vuoto della
vicenda umana con la sua compiutezza. "Le scintille di Dio" dell'intuizione
e dell'ideazione comunque, svaniscono nelle pupille vuote di Oriente ed
Occidente. Sull'orrore della storia cadono la luce di fanes, il decreto
enigmatco, mortale della Sfinge. E' difficle stendere sul nulla del
quotidiano lo smalto della creazione. Il lavoro di Vettor Pisani procede per
vie traverse, clandestine,riflesso di molteplici memorie. Labirintico
ritagliato, frammentato, esplora le strutture stesse del mistero della psiche.
Marionette, manichini, bambole rotte rendono la tensione tra negazione e
forma, le sue macchine alchemiche replicano ironicamente, clonano realtà
originarie. Il corpo artificiale, virtuale dell'opera è dichiarato "VERO
FALSO D'AUTORE". Sovrastando macerie e catastrofi l'opera è presente e
resiste come struggimento visionario come indizio di un'epoca, come sussurro
poetico.
Mimma Pisani
Rita Vitali Rosati
SOTTO MENTITE SPOGLIE…?
di Marcello Carriero
L’espressione “sotto mentite spoglie” non si attaglia al lavoro di Rita Vitali Rosati. L’artista gioca sull’ambiguità identitaria del travestimento, sulla normalità bloccata nella fotografia: congelamento di una struttura esistenziale esemplare. Il quotidiano, non è più visto dall’artista come ciclo continuo, ripetizione, insomma, come routine, bensì è una scena misteriosa in cui l’attrice Rita, palesemente riconoscibile dai tratti somatici, s’incastra in un ruolo sarebbe meglio dire, “abita” un personaggio, scelto dal repertorio di un immaginario basso, volutamente banale, evidentemente sciatto.Lontana dalla personificazione della diva dello schermo, della santità mediale, dall’icona assoluta e ieratica del consumismo, la Vitali Rosati configge con la Pop Art anzi, ne travalica il senso di democrazia alienante e propone la vecchia favola, quasi fosse una dolce mammina, travestendosi non per fronteggiare con grottesca aggressione la regola morale ma per rassicurare il pubblico con un confortante “falso” di se stessa. Vengono in mente le patologie citate dal Gervis di “La conquista dell’identità”, quelle in cui s’imbatté la Deutsch nel 1934, che affliggono persone non in grado d’essere spontanee, che sebbene apparentemente normali e brillanti si mascherano con ciò che il modo desidera o crede desideri da loro. Il caso di Rita è inverso, lo dimostra in Superrita (fotografia in “Crudelia?”, a. III, aprile – maggio 2003) in cui la super eroina Rita vola in un improbabile firmamento in pijama, la super – donna, in tal caso non è una la divina figura ipertrofica dai poteri sconvolgenti, piuttosto, e la navigatrice del sogno di una persona qualunque, l’astronauta Rem. L’immagine di una donna verde fluorescente, con lo sguardo assonnato, in abiti da notte spedita da un rudimentale fotomontaggio nello spazio interlunare, è, in ogni modo, quella inequivocabile di Rita, una donna matura sonnambula in una nottata come tante, lei sfugge qualsivoglia inganno, ogni menzogna della recitazione indirizzata verso una bellezza ideale.
La V. Rosati cerca la super – umanità beffeggiando il culto della personalità inteso come imposizione di valori etici ed estetici e si propone nella frazione dell’ordinario proprio per battere la strada ad un sogno piccolo borghese. In Ritratto di donna perfetta (fotografia 1996 – 1998) il volto sfugge alla tipica centralità del ritratto, si pone a margine, nel confine in eludibile dell’inquadratura, perciò si carica di una malinconia estrema. Dichiaratamente distorto il Ritratto fai da te, ripeto, non è grottesco, nel senso è una caricatura ma “troppo vera” condizione umana, fino a fugare ogni speranza romantica di pratica solipsistica, d’esaltazione prometeica dell’artista. Così, l’Artista di Stato, per intenderci, ci appare un lavoro problematico, che va dal 1998 al 2000, sicuramente il momento più esplicitamente politico di Rita Vitali Rosati. Evocando la chimera dell’arte di Stato e pertanto del regime totalitario, Rita polemizza con l’arte sindacalizzata, quella dei concorsi pubblici, della legge del 2% e ironizza sulla deriva della didattica, e quant’altro riguardi il rapporto tra arte e stato. L’accademia è il luogo della celebrazione, della liturgia dei programmi, dell’avanguardia normalizzata, qui l’Artista di Stato, con la sua gonna appena sopra il ginocchio è la funzionaria austera e zelante, una burocrate dell’immaginario, una consulente tecnica dell’artistico. La sua ostentata organicità al sistema, la porta ad essere l’inquietante madrina di un insegnamento massificante, di un indottrinamento comportamentale di cui è immagine fulgida al tempo stesso l’ambigua paladina del rigore etico, segnala, a suo modo, l’abbattimento degli ostacoli posti tra arte e vita. L’Artista di Stato, per sintetizzare, non è altro che la denuncia a quell’atteggiamento falsamente liberale, forzatamente eccentrico, culturalmente superficiale, sicuramente sciovinista di molti “artisti” insegnanti, che antepongono se stessi, alla serietà della didattica, inventandosi linee teoriche bizzarre o ridicoli teatrini solamente per occupare il centro della scena. L’anonimato, la bigia atmosfera dell’aula vuota di un generico istituto scolastico, diventa paradossalmente un messaggio rivoluzionario, per la sua ovvietà, per la coerente genericità, per la cauta e necessaria alterigia, per il suo non colore. L’artista incarna il rovesciamento del rapporto arte – vita delle avanguardie poiché cerca di normalizzare l’arte attraverso la rappresentazione della vita ordinata e ordinaria, l’arte, infatti, dominando la dimensione pubblica, permeando tutte le attività umane diventa lo sfondo su cui si muovono i fatti, “Oggi” diceva anni fa Baudrillard “è il simulacro a garantire la continuità del reale, è esso che nasconde ormai non la verità ma il fatto che non ce ne sia, ossia la continuità del niente”. La verità di Rita, Artista di Stato, Superrita o semplicemente se stessa, è questo nulla. Rita, con un atteggiamento tipicamente moderno, sovrappone vita e metafisica del se, tale sovrapposizione è una proposta tipica nell’avanguardia, cosa che fa di Rita Vitali Rosati in un’artista che nutre una contraddittoria reverenza nei confronti delle operazioni Fluxus e, nello stesso tempo, occhieggia, con strategie d’auto promozione, all’artista di fine millennio.
Karin Andersen
Silvio Giordano
Dacia Manto
Domitilla Damiani
ORÀSH
Lucia Geraci
“A trip of Astra Raslovo” è il titolo del video di Karin Andersen in mostra nella dark room dell’orfeo hotel.
Astra Raslovo è un anagramma di Salvator Rosa la stazione metropolitana di Napoli, location scelta da Karin Andersen per scattare le foto che nel video riprendono movimento ed ospitano un viaggio leggero e delicatissimo di se stessa, ibrido tra donna ed insetto, e della copia di sé. Viaggio sereno che non tralascia nella sua evoluzione i drammi del viaggiatore “solo, inquieto”
l’aspetto narrativo del lavoro di Karin Andersen legato ad un mondo che da quotidiano diventa cosmo è in “A trip of Astra Raslovo” viaggio nel non luogo.
Dacia Manto il cui mondo è come sospeso, la cui delicatezza nei gesti è come un soffio, un vento sottile in una camera chiusa, è capace di insinuarsi nelle fessure più profonde della mente e di trasformare in cavi luminosi la treccia di donna capace di sostenere il peso dell’amore, “Argema Mittrei” è oggi sulla facciata del building dell’Orfeo hotel sino a penetrare il terreno per arrivare all’interno di un nuovo luogo romantico. Un lavoro ironico che solo oggi diventa più esplicito, più velato era il lavoro dal titolo “Re-cordari”che nel 2002 scendeva da una delle finestre della Rocca di Montefiore Conca per la mostra “Beyond the edge” a cura di Silvia Evangelisti. Silvio Giordano presenterà “Other storyes I”, primo di una serie di 6 lavori nei quali la fusione tra essere umano ed architettura antica da vita a mutazioni nelle quali il luogo donna è severo, è spazio nel quale esseri acquatici volano e creano forme che vogliono dire sguardo, specchio…introspezione, sazietà. Lucia Geraci Che sempre sperimentare nuove forme espressive attraverso la sensibilità e l'alchimia dei più intriganti materiali naturali ed artificiali (dal gesso al sapone, dalla fotografia alla resina trasparente, dalla pietra alla lana), sceglie per l’hotel il lavoro fotografico “looking for identity" prima di una serie di lavori sull’autoritratto che la Geraci porta avanti da 1998 sino al 2004 manifestandosi in continua evoluzione. “PRIMI TIPI DI DOM” - È il titolo dell'opera in mostra da Orfeo Hotel dell'artista Domitilla Damiani. Con questo lavoro la giovanissima artista presenta I suoi PRIMI TIPI, UNA SERIE DI 32 modelli di una collezione di abiti. La moda da tempo guarda con interesse all'Arte. Le sfilate di Moda presentano spesso degli abiti, che sono nella realtà oggetti di culto. Domitilla Damiani, che da questa mostra in poi ha deciso di usare lo pseudonimo D.O.M., che sarà anche il marchio della sua collezione, presenta prototipi di abiti da indossare, intesi come lavori unici, Opere d'arte. Costante in questi prototipi è un'idea nuova nell'uso del tessuto. Gli abiti da sera saranno realizzati in velluto di seta che si sposa improvvisamente con interventi in pitone, in piume colorate, mentre la collezione di abiti da giorno usa la lana tartan, che si abbina al paille, al neoprene. Una maglietta è in broccato, un tessuto in genere usato per le giacche, un broccato tessuto in forma geometrica, con inserti di pelliccia colorata. Spazio alla fantasia.
ORÀSH IN "Leaving Planet Earth" ci fa entrare in un’atmosfera satura, all’interno di una azione che pur essendo chiusa nella staticità di uno scatto fotografico ci fa presagire il suo seguito crea una narrazione tutta da esplorare, le donne che Oràsh ritrae sono portatrici si segreti contenute in spazzi privi di connotazioni quotidiane ci spingono verso di loro.
Nuove identità che narrano di donne contemporanee popolano gli spazzi dell’ Orfeo Hotel che in collaborazione con il Magazine d’arte contemporanea Crudelia presenta il lavoro di Vettor Pisani e di Rita Vitali Rosati a cura di Marta Massaioli ed il lavoro di Karin Andersen, come artista e come teorica, di Dacia Manto, Silvio Giordano, Domitilla Damiani, ORÀSH, Lucia Geraci e Marcello Tedesco a cura di Elisa Laraia
CRUDELIA’S PROJECT
A CURA DI MARTA MASSAIOLI
VETTOR PISANI E Rita Vitali Rosati
Vettor Pisani
Mimma e Vettor Pisani
L'Angelo dell'Occidente
Ne abbiamo di strada da percorrere nelle tenebre fino all'anello che
circonda il mondo, fino alla nona sfera celeste. Il fine dell'arte è
concepire la meta, il paesaggio della perfezione racchiuso nel colore
azzurro-smeraldo, nel lampo edenico che illumina pietre ed abissi. L'artista
prova, riprova la costruzione del luogo aureolato degli angeli. Il suo
mundus immaginalis è nutrito dall' angelo melanconico di Durer, dall'angelo
di Rilke che serve luoghi incomparabili, al centro dell'universo,
dall'angelo della fluenza trascendente di Meyrink, dall'angelo di vento di
Klee, dal suo stesso angelo androgino. L'opera si sottrae così
all'arroganza dello sguardo, rinasce nella dimensione invisibile della
metamorfosi, garantisce il rovesciamento di senso, tocca e sorvola I punti
del disfacimento, unifica i linguaggi visivo e poetico, beffa il vuoto della
vicenda umana con la sua compiutezza. "Le scintille di Dio" dell'intuizione
e dell'ideazione comunque, svaniscono nelle pupille vuote di Oriente ed
Occidente. Sull'orrore della storia cadono la luce di fanes, il decreto
enigmatco, mortale della Sfinge. E' difficle stendere sul nulla del
quotidiano lo smalto della creazione. Il lavoro di Vettor Pisani procede per
vie traverse, clandestine,riflesso di molteplici memorie. Labirintico
ritagliato, frammentato, esplora le strutture stesse del mistero della psiche.
Marionette, manichini, bambole rotte rendono la tensione tra negazione e
forma, le sue macchine alchemiche replicano ironicamente, clonano realtà
originarie. Il corpo artificiale, virtuale dell'opera è dichiarato "VERO
FALSO D'AUTORE". Sovrastando macerie e catastrofi l'opera è presente e
resiste come struggimento visionario come indizio di un'epoca, come sussurro
poetico.
Mimma Pisani
Rita Vitali Rosati
SOTTO MENTITE SPOGLIE…?
di Marcello Carriero
L’espressione “sotto mentite spoglie” non si attaglia al lavoro di Rita Vitali Rosati. L’artista gioca sull’ambiguità identitaria del travestimento, sulla normalità bloccata nella fotografia: congelamento di una struttura esistenziale esemplare. Il quotidiano, non è più visto dall’artista come ciclo continuo, ripetizione, insomma, come routine, bensì è una scena misteriosa in cui l’attrice Rita, palesemente riconoscibile dai tratti somatici, s’incastra in un ruolo sarebbe meglio dire, “abita” un personaggio, scelto dal repertorio di un immaginario basso, volutamente banale, evidentemente sciatto.Lontana dalla personificazione della diva dello schermo, della santità mediale, dall’icona assoluta e ieratica del consumismo, la Vitali Rosati configge con la Pop Art anzi, ne travalica il senso di democrazia alienante e propone la vecchia favola, quasi fosse una dolce mammina, travestendosi non per fronteggiare con grottesca aggressione la regola morale ma per rassicurare il pubblico con un confortante “falso” di se stessa. Vengono in mente le patologie citate dal Gervis di “La conquista dell’identità”, quelle in cui s’imbatté la Deutsch nel 1934, che affliggono persone non in grado d’essere spontanee, che sebbene apparentemente normali e brillanti si mascherano con ciò che il modo desidera o crede desideri da loro. Il caso di Rita è inverso, lo dimostra in Superrita (fotografia in “Crudelia?”, a. III, aprile – maggio 2003) in cui la super eroina Rita vola in un improbabile firmamento in pijama, la super – donna, in tal caso non è una la divina figura ipertrofica dai poteri sconvolgenti, piuttosto, e la navigatrice del sogno di una persona qualunque, l’astronauta Rem. L’immagine di una donna verde fluorescente, con lo sguardo assonnato, in abiti da notte spedita da un rudimentale fotomontaggio nello spazio interlunare, è, in ogni modo, quella inequivocabile di Rita, una donna matura sonnambula in una nottata come tante, lei sfugge qualsivoglia inganno, ogni menzogna della recitazione indirizzata verso una bellezza ideale.
La V. Rosati cerca la super – umanità beffeggiando il culto della personalità inteso come imposizione di valori etici ed estetici e si propone nella frazione dell’ordinario proprio per battere la strada ad un sogno piccolo borghese. In Ritratto di donna perfetta (fotografia 1996 – 1998) il volto sfugge alla tipica centralità del ritratto, si pone a margine, nel confine in eludibile dell’inquadratura, perciò si carica di una malinconia estrema. Dichiaratamente distorto il Ritratto fai da te, ripeto, non è grottesco, nel senso è una caricatura ma “troppo vera” condizione umana, fino a fugare ogni speranza romantica di pratica solipsistica, d’esaltazione prometeica dell’artista. Così, l’Artista di Stato, per intenderci, ci appare un lavoro problematico, che va dal 1998 al 2000, sicuramente il momento più esplicitamente politico di Rita Vitali Rosati. Evocando la chimera dell’arte di Stato e pertanto del regime totalitario, Rita polemizza con l’arte sindacalizzata, quella dei concorsi pubblici, della legge del 2% e ironizza sulla deriva della didattica, e quant’altro riguardi il rapporto tra arte e stato. L’accademia è il luogo della celebrazione, della liturgia dei programmi, dell’avanguardia normalizzata, qui l’Artista di Stato, con la sua gonna appena sopra il ginocchio è la funzionaria austera e zelante, una burocrate dell’immaginario, una consulente tecnica dell’artistico. La sua ostentata organicità al sistema, la porta ad essere l’inquietante madrina di un insegnamento massificante, di un indottrinamento comportamentale di cui è immagine fulgida al tempo stesso l’ambigua paladina del rigore etico, segnala, a suo modo, l’abbattimento degli ostacoli posti tra arte e vita. L’Artista di Stato, per sintetizzare, non è altro che la denuncia a quell’atteggiamento falsamente liberale, forzatamente eccentrico, culturalmente superficiale, sicuramente sciovinista di molti “artisti” insegnanti, che antepongono se stessi, alla serietà della didattica, inventandosi linee teoriche bizzarre o ridicoli teatrini solamente per occupare il centro della scena. L’anonimato, la bigia atmosfera dell’aula vuota di un generico istituto scolastico, diventa paradossalmente un messaggio rivoluzionario, per la sua ovvietà, per la coerente genericità, per la cauta e necessaria alterigia, per il suo non colore. L’artista incarna il rovesciamento del rapporto arte – vita delle avanguardie poiché cerca di normalizzare l’arte attraverso la rappresentazione della vita ordinata e ordinaria, l’arte, infatti, dominando la dimensione pubblica, permeando tutte le attività umane diventa lo sfondo su cui si muovono i fatti, “Oggi” diceva anni fa Baudrillard “è il simulacro a garantire la continuità del reale, è esso che nasconde ormai non la verità ma il fatto che non ce ne sia, ossia la continuità del niente”. La verità di Rita, Artista di Stato, Superrita o semplicemente se stessa, è questo nulla. Rita, con un atteggiamento tipicamente moderno, sovrappone vita e metafisica del se, tale sovrapposizione è una proposta tipica nell’avanguardia, cosa che fa di Rita Vitali Rosati in un’artista che nutre una contraddittoria reverenza nei confronti delle operazioni Fluxus e, nello stesso tempo, occhieggia, con strategie d’auto promozione, all’artista di fine millennio.
Karin Andersen
Silvio Giordano
Dacia Manto
Domitilla Damiani
ORÀSH
Lucia Geraci
“A trip of Astra Raslovo” è il titolo del video di Karin Andersen in mostra nella dark room dell’orfeo hotel.
Astra Raslovo è un anagramma di Salvator Rosa la stazione metropolitana di Napoli, location scelta da Karin Andersen per scattare le foto che nel video riprendono movimento ed ospitano un viaggio leggero e delicatissimo di se stessa, ibrido tra donna ed insetto, e della copia di sé. Viaggio sereno che non tralascia nella sua evoluzione i drammi del viaggiatore “solo, inquieto”
l’aspetto narrativo del lavoro di Karin Andersen legato ad un mondo che da quotidiano diventa cosmo è in “A trip of Astra Raslovo” viaggio nel non luogo.
Dacia Manto il cui mondo è come sospeso, la cui delicatezza nei gesti è come un soffio, un vento sottile in una camera chiusa, è capace di insinuarsi nelle fessure più profonde della mente e di trasformare in cavi luminosi la treccia di donna capace di sostenere il peso dell’amore, “Argema Mittrei” è oggi sulla facciata del building dell’Orfeo hotel sino a penetrare il terreno per arrivare all’interno di un nuovo luogo romantico. Un lavoro ironico che solo oggi diventa più esplicito, più velato era il lavoro dal titolo “Re-cordari”che nel 2002 scendeva da una delle finestre della Rocca di Montefiore Conca per la mostra “Beyond the edge” a cura di Silvia Evangelisti. Silvio Giordano presenterà “Other storyes I”, primo di una serie di 6 lavori nei quali la fusione tra essere umano ed architettura antica da vita a mutazioni nelle quali il luogo donna è severo, è spazio nel quale esseri acquatici volano e creano forme che vogliono dire sguardo, specchio…introspezione, sazietà. Lucia Geraci Che sempre sperimentare nuove forme espressive attraverso la sensibilità e l'alchimia dei più intriganti materiali naturali ed artificiali (dal gesso al sapone, dalla fotografia alla resina trasparente, dalla pietra alla lana), sceglie per l’hotel il lavoro fotografico “looking for identity" prima di una serie di lavori sull’autoritratto che la Geraci porta avanti da 1998 sino al 2004 manifestandosi in continua evoluzione. “PRIMI TIPI DI DOM” - È il titolo dell'opera in mostra da Orfeo Hotel dell'artista Domitilla Damiani. Con questo lavoro la giovanissima artista presenta I suoi PRIMI TIPI, UNA SERIE DI 32 modelli di una collezione di abiti. La moda da tempo guarda con interesse all'Arte. Le sfilate di Moda presentano spesso degli abiti, che sono nella realtà oggetti di culto. Domitilla Damiani, che da questa mostra in poi ha deciso di usare lo pseudonimo D.O.M., che sarà anche il marchio della sua collezione, presenta prototipi di abiti da indossare, intesi come lavori unici, Opere d'arte. Costante in questi prototipi è un'idea nuova nell'uso del tessuto. Gli abiti da sera saranno realizzati in velluto di seta che si sposa improvvisamente con interventi in pitone, in piume colorate, mentre la collezione di abiti da giorno usa la lana tartan, che si abbina al paille, al neoprene. Una maglietta è in broccato, un tessuto in genere usato per le giacche, un broccato tessuto in forma geometrica, con inserti di pelliccia colorata. Spazio alla fantasia.
ORÀSH IN "Leaving Planet Earth" ci fa entrare in un’atmosfera satura, all’interno di una azione che pur essendo chiusa nella staticità di uno scatto fotografico ci fa presagire il suo seguito crea una narrazione tutta da esplorare, le donne che Oràsh ritrae sono portatrici si segreti contenute in spazzi privi di connotazioni quotidiane ci spingono verso di loro.
27
gennaio 2005
Audience/Pubblico
Dal 27 al 29 gennaio 2005
arte contemporanea
Location
ORFEO HOTEL
Bologna, Via Orfeo, 4A, (Bologna)
Bologna, Via Orfeo, 4A, (Bologna)
Vernissage
27 Gennaio 2005, ore 20
Autore
Curatore