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Augusto Sciacca – Innocenza e pietas
un’ampia riflessione sul tema della violenza, che viene affrontata nei suoi vari aspetti, mitologico, storico e sociale
Comunicato stampa
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“Innocenza e Pietas” è il titolo della mostra delle opere di Augusto Sciacca, curata da Marco Rosci, che si tiene presso il Museo della Permanente, promossa dalla Provincia di Milano con il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali.
Frutto della collaborazione fra l’Assessore ai Diritti dei cittadini Francesca Corso e l’Assessore alla Cultura, culture e integrazione Daniela Benelli, l’esposizione vuole essere un’ampia riflessione sul tema della violenza, che viene affrontata nei suoi vari aspetti, mitologico, storico e sociale, ed è concepita in quattro sezioni, attraverso le quali vengono evidenziate, per punti nodali, le varie forme di violenza, da quella fisica a quella psicologica, in immagini fortemente intense ed emotivamente coinvolgenti, ma senza compiacimenti di alcun genere, né estetici, né linguistici.
“Un filo rosso e un filo d’oro” attraversano e legano tutto il percorso della mostra e le pagine dei più recenti “libri” che l’artista ha realizzato, come lo sconvolgente, «l’eccezionale, singolarissimo Promemoria» (Rosci), ad evidenziare che nella storia non agisce solo la violenza, ma anche la luce della speranza e di persone che la incarnano.
«…l’artista, come altri nel passato, come Callot, Goya o Picasso, - scrive Vincenzo Consolo in catalogo - offeso nella sua coscienza etica, commosso, rappresenta e denunzia. Sciacca sceglie le icone più emblematiche nel mare tenebroso delle immagini di questo nostro tempo, di questo antinferno di ombre evanescenti, di questa oscena civiltà dello spettacolo, delle immagini che si annullano tra loro, che subito precipitano nel nero dell’oblio…»
Proprio al fine di sottolineare la drammaticità del tema, in alcune opere l’artista, con rigore culturale, ha scelto di far prevalere un “non colore” che non permette alcuna evasione estetica né la seduzione del cromatismo. Come sottolinea Marco Rosci, «…Sciacca, uomo di ricco pensiero e pittore e artigiano polimaterico e polisemantico è uno e uno solo con lunga e laboriosa coerenza, e ha ben chiara la coscienza di appartenere ad una generazione che ha già lontano alle spalle il dibattito fra astrazione e realtà…», e non ha voluto avere alcuna preclusione formale, né di linguaggio, né di tecniche, poiché il suo lavoro mira non all’effetto di superficie, ma al coinvolgimento dei sentimenti profondi, alla interiorizzazione e persistenza della riflessione, al di là, quindi, di ogni facile suggestione emotiva.
Come precisa l’artista, «la scelta delle immagini in non colore, o a volte in seppia come nei fotogrammi dei primi film, vuole evocare non tanto la somiglianza al reale, quanto quella profonda dello stato d’animo che attinge alla memoria, che non può e non deve essere perduta, ma nella sua risignificazione deve parlarci ancora, affinché il dolore, quel dolore, non sia stato invano».
«Bisogna insistere sulla memoria. In contrapposizione alla cultura attuale della dimenticanza e della negazione, bisogna insistere sulla memoria.» Così ribadisce Ettore Ongis in catalogo. E aggiunge: «E’ un grido, la mostra di Sciacca. (…) Con questo lavoro, Sciacca non offre consolazione. L’arte, per lui, non salva. L’arte fa memoria e desta la coscienza, chiedendo, questo sì, che qualcuno ci liberi, ci salvi. Non alla fine del mondo, ma qui ed ora, adesso, ogni giorno. In questo senso, “Innocenza e pietas” è un’opera religiosa. Una mostra che non si compiace di se stessa e non
si pone come risposta agli inquietanti interrogativi che la storia pone… E’ un pianto sommesso sulla condizione umana, un’immedesimazione con il dolore delle vittime, ma, insieme, la riaffermazione della grandezza dell’uomo, delle esigenze di ogni cuore, indomito nel perseguire, anche in mezzo a mille tragedie, la bellezza, la verità e la pace.»
Questa indagine sulla violenza è un tema su cui Sciacca «…riflette sin dagli anni Settanta (in mostra lo provano alcune opere aurorali di quel decennio), ma è negli ultimi anni che ha preso il sopravvento su tutto, costringendolo ad accantonare i suoi vagabondaggi prediletti sui sentieri delle grandi categorie dello spazio e del tempo, sotto l’urgenza di questa nuova, tormentosa “necessità”. Così queste opere sono cresciute, germogliando dall’asse centrale della violenza e diramandosi in tante direzioni, diverse ma tutte strettamente interrelate, tanto che più che in una mostra di una quarantina di opere parrebbe di essere piombati all’interno di un’unica, grande installazione» (Ada Masoero).
La mostra si conclude con due opere altamente significative: il “libro d’oro - Del sublime”, dove vengono messe in luce emblematicamente alcune immagini di concetti che evocano i più alti ideali dell’uomo o di persone realmente esistite - e, in qualche caso, anche viventi - che quegli ideali hanno vissuto in maniera “sublime”; e il bozzetto “Per un mondo di pace”, con il quale l’artista vuole richiamare il bisogno di una pace universale, non come ideale astratto, ma come obiettivo concreto da perseguire da parte di tutte le nazioni.
Come notano in catalogo Mauro Ceruti e Giuseppe Fornari, «Il fare pittorico di Sciacca procede con libertà estrema e abilità consumata, facendo tesoro dei risultati più avvincenti della ricerca artistica degli ultimi decenni. Ma quello che guida la sua attività non è uno sperimentalismo fine a se stesso, è al contrario qualcosa che si potrebbe definire come l’amore per una realtà che non è mai scontata, perché è sempre il risultato di un’esplorazione, di una scoperta.»
Una ricerca che indaga, mette a fuoco, problematizza, “sommuove inquietudini”, senza dogmi, né ideologici né estetici.
«Amava dire Karl Popper, “la vita è scettica” – e il termine greco skepsis vuol dire originariamente ricerca. Potrebbe essere anche il motto di Augusto Sciacca…» sottolinea Giulio Giorello in catalogo, precisando: «Questo tipo di skepsis non si accontenta della “seduzione della bellezza”. Non si lascia incantare dal fascino fin troppo a buon mercato dell’icona, ma cerca attraverso l’immagine e contro l’immagine un significato profondo sotto le verità di superficie. Questa tensione animava già il suo ciclo delle Cosmogonie… La skepsis consiste qui nel “fare emergere un mondo che non ha ancora immagine”… Sciacca non dimentica i roghi dei libri, una delle forme più ottuse e nello stesso tempo più sottili di violenza, ma ai libri affida anche l’angoscia del tempo che ci è dato vivere e la responsabilità per le generazioni a venire. Nel suo Libro d’oro c’è tutta la sua aspirazione al sublime, intesa non come rifugio nell’arte per l’arte, ma come pietas che è, nel senso più pieno della parola, comprensione.»
Articolazione della mostra: Sezione 1, Opere dal 1978 al 2000 - Sezione 2, Opere dal 2004 al 2005 - Sezione 3, Libri d’Artista eseguiti dal 1981 al 2005 - Sezione 4, Opere dal 2004 al 2005 – Seguono bozzetti e appunti.
L’esposizione comprende una quarantina di opere di media e grande dimensione e tre grandi teleri (3m x 5m), oltre a disegni, libri d’Artista, bozzetti, appunti e studi preparatori.
Il catalogo, edito da Lito Stampa, formato cm. 30 x 24, pagine 160, contiene le presentazioni di Marco Rosci, curatore della mostra, e di Vincenzo Consolo, Mauro Ceruti e Giuseppe Fornari, oltre a una prefazione di Salvatore Italia, i contributi di Giulio Giorello, Ada Masoero ed Ettore Ongis,. un’intervista di Marco Dell’Oro ad Augusto Sciacca e alcuni brani dall’antologia critica.
Augusto Sciacca (1945), messinese d’origine, si è formato nel clima concettuale degli anni Settanta, per giungere ben presto a una sua personale concezione espressiva, connotata da una forte e intensa sperimentazione ad ampio raggio.
Degli anni Settanta sono i progetti estetici (alcuni con l’impiego del laser) e le mappe e i graffiti su juta di sacco stampigliato; seguono i flani, i sestupli e le mappe su politene, che riscuotono l’interesse della critica più attenta e prestigiosa. Negli anni Ottanta G.C. Argan lo segnala più volte e in seguito lo inserirà nella sua nota Storia dell’Arte Moderna. Quindi la stagione dei progetti siderali, delle isole e mappe degli universi, per approdare alla fine degli anni Novanta a una pittura dai “ritmi larghi e dalle composizioni di respiro vasto e solenne”, come nelle Cosmogonie, dove affronta e approfondisce ancora una volta le sue tematiche predilette, quelle del Tempo e dello Spazio, tema evidenziato anche nei “libri d’artista”, quali il ciclo Cronogenesi (1990-1995), Il Sole di Ulisse (1995), Il tempo o il vento (1996) e, fra quelli recenti, nell’opera La piega – Omaggio a Deleuze (2005). In questi ultimi anni Sciacca ha concentrato la sua attenzione sul tema della violenza, già peraltro indagato sin dagli anni Settanta, per affrontarlo in maniera ampia e organica in una serie di opere ricche di rimandi e di correlazioni.
Frutto della collaborazione fra l’Assessore ai Diritti dei cittadini Francesca Corso e l’Assessore alla Cultura, culture e integrazione Daniela Benelli, l’esposizione vuole essere un’ampia riflessione sul tema della violenza, che viene affrontata nei suoi vari aspetti, mitologico, storico e sociale, ed è concepita in quattro sezioni, attraverso le quali vengono evidenziate, per punti nodali, le varie forme di violenza, da quella fisica a quella psicologica, in immagini fortemente intense ed emotivamente coinvolgenti, ma senza compiacimenti di alcun genere, né estetici, né linguistici.
“Un filo rosso e un filo d’oro” attraversano e legano tutto il percorso della mostra e le pagine dei più recenti “libri” che l’artista ha realizzato, come lo sconvolgente, «l’eccezionale, singolarissimo Promemoria» (Rosci), ad evidenziare che nella storia non agisce solo la violenza, ma anche la luce della speranza e di persone che la incarnano.
«…l’artista, come altri nel passato, come Callot, Goya o Picasso, - scrive Vincenzo Consolo in catalogo - offeso nella sua coscienza etica, commosso, rappresenta e denunzia. Sciacca sceglie le icone più emblematiche nel mare tenebroso delle immagini di questo nostro tempo, di questo antinferno di ombre evanescenti, di questa oscena civiltà dello spettacolo, delle immagini che si annullano tra loro, che subito precipitano nel nero dell’oblio…»
Proprio al fine di sottolineare la drammaticità del tema, in alcune opere l’artista, con rigore culturale, ha scelto di far prevalere un “non colore” che non permette alcuna evasione estetica né la seduzione del cromatismo. Come sottolinea Marco Rosci, «…Sciacca, uomo di ricco pensiero e pittore e artigiano polimaterico e polisemantico è uno e uno solo con lunga e laboriosa coerenza, e ha ben chiara la coscienza di appartenere ad una generazione che ha già lontano alle spalle il dibattito fra astrazione e realtà…», e non ha voluto avere alcuna preclusione formale, né di linguaggio, né di tecniche, poiché il suo lavoro mira non all’effetto di superficie, ma al coinvolgimento dei sentimenti profondi, alla interiorizzazione e persistenza della riflessione, al di là, quindi, di ogni facile suggestione emotiva.
Come precisa l’artista, «la scelta delle immagini in non colore, o a volte in seppia come nei fotogrammi dei primi film, vuole evocare non tanto la somiglianza al reale, quanto quella profonda dello stato d’animo che attinge alla memoria, che non può e non deve essere perduta, ma nella sua risignificazione deve parlarci ancora, affinché il dolore, quel dolore, non sia stato invano».
«Bisogna insistere sulla memoria. In contrapposizione alla cultura attuale della dimenticanza e della negazione, bisogna insistere sulla memoria.» Così ribadisce Ettore Ongis in catalogo. E aggiunge: «E’ un grido, la mostra di Sciacca. (…) Con questo lavoro, Sciacca non offre consolazione. L’arte, per lui, non salva. L’arte fa memoria e desta la coscienza, chiedendo, questo sì, che qualcuno ci liberi, ci salvi. Non alla fine del mondo, ma qui ed ora, adesso, ogni giorno. In questo senso, “Innocenza e pietas” è un’opera religiosa. Una mostra che non si compiace di se stessa e non
si pone come risposta agli inquietanti interrogativi che la storia pone… E’ un pianto sommesso sulla condizione umana, un’immedesimazione con il dolore delle vittime, ma, insieme, la riaffermazione della grandezza dell’uomo, delle esigenze di ogni cuore, indomito nel perseguire, anche in mezzo a mille tragedie, la bellezza, la verità e la pace.»
Questa indagine sulla violenza è un tema su cui Sciacca «…riflette sin dagli anni Settanta (in mostra lo provano alcune opere aurorali di quel decennio), ma è negli ultimi anni che ha preso il sopravvento su tutto, costringendolo ad accantonare i suoi vagabondaggi prediletti sui sentieri delle grandi categorie dello spazio e del tempo, sotto l’urgenza di questa nuova, tormentosa “necessità”. Così queste opere sono cresciute, germogliando dall’asse centrale della violenza e diramandosi in tante direzioni, diverse ma tutte strettamente interrelate, tanto che più che in una mostra di una quarantina di opere parrebbe di essere piombati all’interno di un’unica, grande installazione» (Ada Masoero).
La mostra si conclude con due opere altamente significative: il “libro d’oro - Del sublime”, dove vengono messe in luce emblematicamente alcune immagini di concetti che evocano i più alti ideali dell’uomo o di persone realmente esistite - e, in qualche caso, anche viventi - che quegli ideali hanno vissuto in maniera “sublime”; e il bozzetto “Per un mondo di pace”, con il quale l’artista vuole richiamare il bisogno di una pace universale, non come ideale astratto, ma come obiettivo concreto da perseguire da parte di tutte le nazioni.
Come notano in catalogo Mauro Ceruti e Giuseppe Fornari, «Il fare pittorico di Sciacca procede con libertà estrema e abilità consumata, facendo tesoro dei risultati più avvincenti della ricerca artistica degli ultimi decenni. Ma quello che guida la sua attività non è uno sperimentalismo fine a se stesso, è al contrario qualcosa che si potrebbe definire come l’amore per una realtà che non è mai scontata, perché è sempre il risultato di un’esplorazione, di una scoperta.»
Una ricerca che indaga, mette a fuoco, problematizza, “sommuove inquietudini”, senza dogmi, né ideologici né estetici.
«Amava dire Karl Popper, “la vita è scettica” – e il termine greco skepsis vuol dire originariamente ricerca. Potrebbe essere anche il motto di Augusto Sciacca…» sottolinea Giulio Giorello in catalogo, precisando: «Questo tipo di skepsis non si accontenta della “seduzione della bellezza”. Non si lascia incantare dal fascino fin troppo a buon mercato dell’icona, ma cerca attraverso l’immagine e contro l’immagine un significato profondo sotto le verità di superficie. Questa tensione animava già il suo ciclo delle Cosmogonie… La skepsis consiste qui nel “fare emergere un mondo che non ha ancora immagine”… Sciacca non dimentica i roghi dei libri, una delle forme più ottuse e nello stesso tempo più sottili di violenza, ma ai libri affida anche l’angoscia del tempo che ci è dato vivere e la responsabilità per le generazioni a venire. Nel suo Libro d’oro c’è tutta la sua aspirazione al sublime, intesa non come rifugio nell’arte per l’arte, ma come pietas che è, nel senso più pieno della parola, comprensione.»
Articolazione della mostra: Sezione 1, Opere dal 1978 al 2000 - Sezione 2, Opere dal 2004 al 2005 - Sezione 3, Libri d’Artista eseguiti dal 1981 al 2005 - Sezione 4, Opere dal 2004 al 2005 – Seguono bozzetti e appunti.
L’esposizione comprende una quarantina di opere di media e grande dimensione e tre grandi teleri (3m x 5m), oltre a disegni, libri d’Artista, bozzetti, appunti e studi preparatori.
Il catalogo, edito da Lito Stampa, formato cm. 30 x 24, pagine 160, contiene le presentazioni di Marco Rosci, curatore della mostra, e di Vincenzo Consolo, Mauro Ceruti e Giuseppe Fornari, oltre a una prefazione di Salvatore Italia, i contributi di Giulio Giorello, Ada Masoero ed Ettore Ongis,. un’intervista di Marco Dell’Oro ad Augusto Sciacca e alcuni brani dall’antologia critica.
Augusto Sciacca (1945), messinese d’origine, si è formato nel clima concettuale degli anni Settanta, per giungere ben presto a una sua personale concezione espressiva, connotata da una forte e intensa sperimentazione ad ampio raggio.
Degli anni Settanta sono i progetti estetici (alcuni con l’impiego del laser) e le mappe e i graffiti su juta di sacco stampigliato; seguono i flani, i sestupli e le mappe su politene, che riscuotono l’interesse della critica più attenta e prestigiosa. Negli anni Ottanta G.C. Argan lo segnala più volte e in seguito lo inserirà nella sua nota Storia dell’Arte Moderna. Quindi la stagione dei progetti siderali, delle isole e mappe degli universi, per approdare alla fine degli anni Novanta a una pittura dai “ritmi larghi e dalle composizioni di respiro vasto e solenne”, come nelle Cosmogonie, dove affronta e approfondisce ancora una volta le sue tematiche predilette, quelle del Tempo e dello Spazio, tema evidenziato anche nei “libri d’artista”, quali il ciclo Cronogenesi (1990-1995), Il Sole di Ulisse (1995), Il tempo o il vento (1996) e, fra quelli recenti, nell’opera La piega – Omaggio a Deleuze (2005). In questi ultimi anni Sciacca ha concentrato la sua attenzione sul tema della violenza, già peraltro indagato sin dagli anni Settanta, per affrontarlo in maniera ampia e organica in una serie di opere ricche di rimandi e di correlazioni.
02
maggio 2006
Augusto Sciacca – Innocenza e pietas
Dal 02 maggio al 02 giugno 2006
arte contemporanea
Location
MUSEO DELLA PERMANENTE
Milano, Via Filippo Turati, 34, (Milano)
Milano, Via Filippo Turati, 34, (Milano)
Orario di apertura
dal martedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle 14.30 alle 18.30
Sabato e Domenica dalle 10.00 alle 18.30 orario continuato; giorno di chiusura il lunedì
Vernissage
2 Maggio 2006, ore 18.30
Autore
Curatore