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Aural Sculpture(s)
La mostra è una raccolta di copertine di Cd realizzate da artisti (oltre 70) operanti in diversi settori dell’arte visiva contemporanea e provenienti da tutta Italia e dall’estero.
Comunicato stampa
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La mostra è una raccolta di copertine di Cd realizzate da artisti (oltre 70) operanti in diversi settori dell’arte visiva contemporanea e provenienti da tutta Italia e dall’estero. Le copertine sono “finte” e descrivono identità musicali, più o meno nascoste, dei singoli artisti: un microcosmo di idee e filosofie contemporanee appartenenti alla musica, o perlomeno riscontrabili all’interno di questa. Così i partecipanti alla mostra inventano i loro alter ego, rockstar, folksinger, dee-jay……oppure fondano gruppi virtuali di musica pop, rock, elettronica, jazz,……in ultimo visualizzano, sulle copertine, le proprie ipotetiche uscite discografiche.
La “compilation”, così organizzata, di copertine virtuali attraverserà l’Italia seguendo un itinerario destinato a far tappa in alcune delle maggiori città della penisola.
COVER e non COVER
Di Edoardo Bridda
Quante ore avete passato in un negozio di dischi? Potete calcolare quante copertine avete visto e osservato?
Col definitivo affermarsi del download, fra non molto tutto ciò sembrerà strano, ma è proprio dalle copertine - dei vinili prima e del compact poi - che noi tutti (consciamente o meno) abbiamo scelto la musica che volevamo, prediligendo un modo di essere su un altro, una simbologia piuttosto che un’altra. E se ci pensiamo, la scelta stessa di acquistare questa o quella copertina era, ancor prima della musica che la sottende, un atto non molto distante dall’identificazione che porta diretti a quel “chi” volevamo essere o quel chi desideravamo che ci rappresentasse in un preciso momento storico, sociale e emotivo.
Le cover hanno segnato la fortuna e la sfortuna del successo di migliaia di gruppi, specie indipendenti, locali, sconosciuti. Quanti gruppi "metal" sono diventati famosi per la truculenza, la "truzzaggine" delle copertine? Qual è stato il valore aggiunto, in termini di immaginario, di significati e di appartenenza, per quel musicista che si è fatto fotografare di spalle vestito di bianco con quel missile conficcato nella sabbia? E quei jeans con la zip apribile? I chili di carne ammassata? Il collage di frigorifero, abatjour e aspirapolvere? Il ciccione nudo in mezzo alle pecore?
La storia della musica popolare è piena zeppa di esempi di cover belle e soprattutto brutte, figlie di quei geni che le hanno sapute sfruttare e di quegli ingenui che ne hanno fatto un pessimo uso. Eppure, tanto per gli uni quanto per gli altri, la copertina, più che mero appendice della musica che conteneva fisicamente, è sempre stata parte fondante del prodotto musicale.
Prima ancora di farsi arte, organizzazione sonora bella o brutta, la musica è quel qualcosa di tangibile che sta sugli scaffali di un negozio: è in questa veste che per tanti anni si è presentata la produzione musicale ed è quell’involucro che vogliamo esaltare prima che internet e il download sleghino per sempre questo matrimonio.
Ecco a voi un ritorno alla copertina come scatola, come contesto, come forma, come oggetto parlante, come segno del suono in essa contenuto. Poco importa se questi gruppi non sono mai esistiti, quel che conta è la materia di cui sono fatti.
“SOLO” COPERTINE…
Di Christian Rainer
Se è vero che chiunque può suonare la chitarra, è altrettanto vero che questo non basta per diventare un musicista; e diventare musicista è, o è stato, un po’ il sogno di tanti più o meno giovani che per numerosi motivi alla fine hanno ripiegato su altro. Da qui la prima constatazione: in vero l’infatuazione per la musica, più che nascere da una reale esigenza creativa o da un’innata attitudine, spesso si risolve nella semplice attrazione per l’immagine, per ciò che la musica comporta aldilà dell’aspetto puramente musicale e auditivo. Dunque la tentazione, adolescenziale prima e amaramente nostalgica poi, di voler diventare come o persino voler essere tale cantante o tale musicista, è da riferirsi più a come questo cantante ci si presenta, all’immaginario che evoca, alla sua estetica che alla sua musica.
Tutto sommato questo è un aspetto non poco rilevante della musica e ancor più del business musicale; è in definitiva ciò che per prima cosa crea un legame tra un artista ed il grande pubblico. Ci sono nella storia della musica, soprattutto dagli anni ‘50 in poi, numerosissimi esempi di tale approccio con il pubblico (quello che fa numero, per intenderci). Negli esempi più alti ci troviamo di fronte ad una perfetta simbiosi tra un’estetica allettante ed un prodotto musicale valido e soprattutto rispondente alla visione evocata. In altri casi si rivela decisamente più interessante l’immagine di un gruppo, piuttosto che il suo lavoro.
Il pubblico in maniera più o meno inconscia ha bisogno di occupare con ogni artista un “ruolo” preposto della musica. Si tratta in partenza di stereotipi consolidati nel tempo da forme espressive ripetute sino a definirsi come genere, per poi diventare per il pubblico più che altro un’aspettativa non soddisfatta. Questo significa che nell’immaginario degli ascoltatori una tale coincidenza di forma ed immagine si è talmente sedimentata da aver dato luogo a dei modelli che il più delle volte superano la realtà. Tutti hanno chiaramente idea di come deve essere fatto un perfetto rocker o un raffinato cantante francese o un eccentrico DJ. Tutti lo hanno talmente ben focalizzato, da restare necessariamente delusi di fronte ad un’enorme presenza di artisti che promettono una serie cose nelle loro copertine, per poi rompere l’incanto con l’ascolto della loro produzione.
Questo è ciò a cui ha condotto la cultura dell’immagine, quella in cui da decenni viviamo.
Senza dare giudizi di merito, possiamo limitarci a costatare intanto una involontaria priorità dell’immagine sul contenuto, frutto probabilmente di un’abitudine sempre più consolidata alla virtualità, ovvero: la facilità dell’immaginazione contrapposta alla difficoltà del fare pratico.
Allo stesso modo, possiamo contrapporre la facilità della fascinazione di una copertina al più impegnativo ascolto del disco che la copertina contiene; o, ancora, contrapporre alla difficoltà di sostenere attivamente un progetto musicale ― considerati i mille sforzi che comporta ― la facilità di immaginarlo. Tale facilità assume connotazioni tutt’altro che negative, se vista dal punto di vista del pensiero senza limite, dell’immediatezza con la quale improvvisamente possiamo diventare una storica band che suona davanti ad un milione di persone; da un istante all’altro tutti i giornali parlano di noi o ancora siamo l’autore di culto più discusso negli ambienti più in della musica colta.
In definitiva stiamo parlando di realizzare la copertina di un disco, piuttosto che registrarlo.
In definitiva stiamo parlando di immaginare, con la realizzazione della copertina, della musica,piuttosto che registrarla.
La “compilation”, così organizzata, di copertine virtuali attraverserà l’Italia seguendo un itinerario destinato a far tappa in alcune delle maggiori città della penisola.
COVER e non COVER
Di Edoardo Bridda
Quante ore avete passato in un negozio di dischi? Potete calcolare quante copertine avete visto e osservato?
Col definitivo affermarsi del download, fra non molto tutto ciò sembrerà strano, ma è proprio dalle copertine - dei vinili prima e del compact poi - che noi tutti (consciamente o meno) abbiamo scelto la musica che volevamo, prediligendo un modo di essere su un altro, una simbologia piuttosto che un’altra. E se ci pensiamo, la scelta stessa di acquistare questa o quella copertina era, ancor prima della musica che la sottende, un atto non molto distante dall’identificazione che porta diretti a quel “chi” volevamo essere o quel chi desideravamo che ci rappresentasse in un preciso momento storico, sociale e emotivo.
Le cover hanno segnato la fortuna e la sfortuna del successo di migliaia di gruppi, specie indipendenti, locali, sconosciuti. Quanti gruppi "metal" sono diventati famosi per la truculenza, la "truzzaggine" delle copertine? Qual è stato il valore aggiunto, in termini di immaginario, di significati e di appartenenza, per quel musicista che si è fatto fotografare di spalle vestito di bianco con quel missile conficcato nella sabbia? E quei jeans con la zip apribile? I chili di carne ammassata? Il collage di frigorifero, abatjour e aspirapolvere? Il ciccione nudo in mezzo alle pecore?
La storia della musica popolare è piena zeppa di esempi di cover belle e soprattutto brutte, figlie di quei geni che le hanno sapute sfruttare e di quegli ingenui che ne hanno fatto un pessimo uso. Eppure, tanto per gli uni quanto per gli altri, la copertina, più che mero appendice della musica che conteneva fisicamente, è sempre stata parte fondante del prodotto musicale.
Prima ancora di farsi arte, organizzazione sonora bella o brutta, la musica è quel qualcosa di tangibile che sta sugli scaffali di un negozio: è in questa veste che per tanti anni si è presentata la produzione musicale ed è quell’involucro che vogliamo esaltare prima che internet e il download sleghino per sempre questo matrimonio.
Ecco a voi un ritorno alla copertina come scatola, come contesto, come forma, come oggetto parlante, come segno del suono in essa contenuto. Poco importa se questi gruppi non sono mai esistiti, quel che conta è la materia di cui sono fatti.
“SOLO” COPERTINE…
Di Christian Rainer
Se è vero che chiunque può suonare la chitarra, è altrettanto vero che questo non basta per diventare un musicista; e diventare musicista è, o è stato, un po’ il sogno di tanti più o meno giovani che per numerosi motivi alla fine hanno ripiegato su altro. Da qui la prima constatazione: in vero l’infatuazione per la musica, più che nascere da una reale esigenza creativa o da un’innata attitudine, spesso si risolve nella semplice attrazione per l’immagine, per ciò che la musica comporta aldilà dell’aspetto puramente musicale e auditivo. Dunque la tentazione, adolescenziale prima e amaramente nostalgica poi, di voler diventare come o persino voler essere tale cantante o tale musicista, è da riferirsi più a come questo cantante ci si presenta, all’immaginario che evoca, alla sua estetica che alla sua musica.
Tutto sommato questo è un aspetto non poco rilevante della musica e ancor più del business musicale; è in definitiva ciò che per prima cosa crea un legame tra un artista ed il grande pubblico. Ci sono nella storia della musica, soprattutto dagli anni ‘50 in poi, numerosissimi esempi di tale approccio con il pubblico (quello che fa numero, per intenderci). Negli esempi più alti ci troviamo di fronte ad una perfetta simbiosi tra un’estetica allettante ed un prodotto musicale valido e soprattutto rispondente alla visione evocata. In altri casi si rivela decisamente più interessante l’immagine di un gruppo, piuttosto che il suo lavoro.
Il pubblico in maniera più o meno inconscia ha bisogno di occupare con ogni artista un “ruolo” preposto della musica. Si tratta in partenza di stereotipi consolidati nel tempo da forme espressive ripetute sino a definirsi come genere, per poi diventare per il pubblico più che altro un’aspettativa non soddisfatta. Questo significa che nell’immaginario degli ascoltatori una tale coincidenza di forma ed immagine si è talmente sedimentata da aver dato luogo a dei modelli che il più delle volte superano la realtà. Tutti hanno chiaramente idea di come deve essere fatto un perfetto rocker o un raffinato cantante francese o un eccentrico DJ. Tutti lo hanno talmente ben focalizzato, da restare necessariamente delusi di fronte ad un’enorme presenza di artisti che promettono una serie cose nelle loro copertine, per poi rompere l’incanto con l’ascolto della loro produzione.
Questo è ciò a cui ha condotto la cultura dell’immagine, quella in cui da decenni viviamo.
Senza dare giudizi di merito, possiamo limitarci a costatare intanto una involontaria priorità dell’immagine sul contenuto, frutto probabilmente di un’abitudine sempre più consolidata alla virtualità, ovvero: la facilità dell’immaginazione contrapposta alla difficoltà del fare pratico.
Allo stesso modo, possiamo contrapporre la facilità della fascinazione di una copertina al più impegnativo ascolto del disco che la copertina contiene; o, ancora, contrapporre alla difficoltà di sostenere attivamente un progetto musicale ― considerati i mille sforzi che comporta ― la facilità di immaginarlo. Tale facilità assume connotazioni tutt’altro che negative, se vista dal punto di vista del pensiero senza limite, dell’immediatezza con la quale improvvisamente possiamo diventare una storica band che suona davanti ad un milione di persone; da un istante all’altro tutti i giornali parlano di noi o ancora siamo l’autore di culto più discusso negli ambienti più in della musica colta.
In definitiva stiamo parlando di realizzare la copertina di un disco, piuttosto che registrarlo.
In definitiva stiamo parlando di immaginare, con la realizzazione della copertina, della musica,piuttosto che registrarla.
02
marzo 2005
Aural Sculpture(s)
Dal 02 al 06 marzo 2005
arte contemporanea
Location
KOMA’ GALLERY
San Remo, Via Privata Canessa Sghirla, 35, (Imperia)
San Remo, Via Privata Canessa Sghirla, 35, (Imperia)
Vernissage
2 Marzo 2005, ore 18
Autore
Curatore