Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Aurelio Fort – Homo Vagus
Negli ultimi tempi si evidenzia un marcato interesse per la vita nomade, per le forme di vita in cui emerge il senso della singolarità ed insieme della comunità, che sembrano echeggiare i luoghi cari alla filosofia di Jean Luc Nancy
Comunicato stampa
Segnala l'evento
“Come è ovvio, i quadri sono davanti a noi principalmente per essere visti e le proposizioni filosofiche per essere capite. Ma, pur restando ben consapevoli della differenza, possiamo ciononostante cercare implicazioni filosofiche in un dipinto e implicazioni artistiche in una proposizione filosofica”
Edgar Wind
E’ Wind che tra tanti altri ha trovato le parole più efficaci e sintetiche per esprimere quel legame immemoriale che ha sempre unito l’arte e la filosofia: in ogni tempo la filosofia ha cercato di indagare la natura e la funzione delle immagini quanto l’arte si è prodigata nel rappresentare ciò che la filosofia formalizzava in proposizioni ed argomentazioni.
Più recentemente il pensiero contemporaneo,almeno da Nietzsche, fino ad Heidegger e Derrida, solo per fare i nomi fondamentali, si è posto come il tentativo di demolire la parabola filosofica dell’Occidente, destrutturarne le categorie basilari, di recuperare al di là dei fantasmi dell’unità, della totalità e dell’oggettività i valori della materia, della differenza, della singolarità e del caso.
Parallelamente l’arte contemporanea si è sviluppata in rottura con la tradizione classica che, platonicamente, la voleva subordinata, relegata ad una mera funzione mimetica. Iconoclastia e crisi della rappresentazione sono le chiavi che la portarono ad elaborare nuovi linguaggi e a rompere i limiti, per confrontarsi sul piano della vita e del pensiero. Se la filosofia rifugge sempre più dall’essere una “coscienza razionale per concetti”, l’arte in quanto tale diventa filosofica, attività “metafisica”.
E’ questo il modello ermeneutico che sembra più adeguato per la lettura del lavoro di Aurelio Fort, anche se è possibile comunque connotarlo dal punto di vista iconografico o storico-stilistico. In particolare l’artista veneto – friulano si fa carico della ricca eredità delle avanguardie storiche, riscoprendone e nello stesso tempo rinnovandone le strategie in quella “ripetizione differente” che caratterizza le più avvertite punte di tanta riflessione attuale.
Fort di volta in volta si riferisce:
a quella che si può definire una vera e propria “estetica del rifiuto”, del recupero e dell’annessione di ogni sorta di oggetti anartistici, banali, dimenticati e consunti, che ha caratterizzato di volta in volta il Cubismo, il Dadaismo fino alla neoavanguardie;
all’”estetica del montaggio”, che si manifesta nelle varie forme del collage, dell’assemblage, del ready made e dell’happening che contesta la categoria stessa di opera per cui, come dice Adorno, “le sole opere che oggi contano sono quelle che non sono più opere;
a quell’’”estetica della scrittura” che costituisce un altro dei meanstream della’arte contemporanea, quello che va dai Calligrammes di Apollinaire al Lettrismo, dalla Poesia concreta alla Poesia visiva, una pratica tesa a destrutturare la scrittura, l’idea stessa di segno, che lo porta anche a sfiorare altri orizzonti culturali, altri universi artistici quali l’oriente cinese e giapponese, dove la scrittura è un’esercizio, un’ascetica, dove la scrittura è immediatamente “bella scrittura”, kalligraphia.
Queste strategie , questi percorsi, in tutto l’arco dell’opera di Fort si ordinano in serie ma anche si incrociano, si contaminano dando luogo ad insoliti accoppiamenti, ad imprevisti cortocircuiti.
Negli ultimi tempi si evidenzia un marcato interesse per la vita nomade, per le forme di vita in cui emerge il senso della singolarità ed insieme della comunità, che sembrano echeggiare i luoghi cari alla filosofia di Jean Luc Nancy. Ed ecco emergere l’iconografia della tenda, del villaggio di tende, che, pur essendo diverse, si assomigliano tutte. Nessuna spicca in particolare per foggia o dimensione, nessuna sembra rappresentare il luogo privilegiato del sacro o dell’istituzione. Tutte stanno insieme, “anarchicamente”, in attesa di dislocarsi nuovamente.
La mostra di Palazzo Crepadona si propone di documentare, come in una sorta di antologia, alcuni gangli significativi, alcuni snodi fondamentali del lavoro di Fort, mentre un’ulteriore sezione è costituta di alcune installazioni inedite, elaborate proprio per questa occasione, che si centrano sulla tematica dello spostamente, del nomadismo.
Tiziano Santi
Edgar Wind
E’ Wind che tra tanti altri ha trovato le parole più efficaci e sintetiche per esprimere quel legame immemoriale che ha sempre unito l’arte e la filosofia: in ogni tempo la filosofia ha cercato di indagare la natura e la funzione delle immagini quanto l’arte si è prodigata nel rappresentare ciò che la filosofia formalizzava in proposizioni ed argomentazioni.
Più recentemente il pensiero contemporaneo,almeno da Nietzsche, fino ad Heidegger e Derrida, solo per fare i nomi fondamentali, si è posto come il tentativo di demolire la parabola filosofica dell’Occidente, destrutturarne le categorie basilari, di recuperare al di là dei fantasmi dell’unità, della totalità e dell’oggettività i valori della materia, della differenza, della singolarità e del caso.
Parallelamente l’arte contemporanea si è sviluppata in rottura con la tradizione classica che, platonicamente, la voleva subordinata, relegata ad una mera funzione mimetica. Iconoclastia e crisi della rappresentazione sono le chiavi che la portarono ad elaborare nuovi linguaggi e a rompere i limiti, per confrontarsi sul piano della vita e del pensiero. Se la filosofia rifugge sempre più dall’essere una “coscienza razionale per concetti”, l’arte in quanto tale diventa filosofica, attività “metafisica”.
E’ questo il modello ermeneutico che sembra più adeguato per la lettura del lavoro di Aurelio Fort, anche se è possibile comunque connotarlo dal punto di vista iconografico o storico-stilistico. In particolare l’artista veneto – friulano si fa carico della ricca eredità delle avanguardie storiche, riscoprendone e nello stesso tempo rinnovandone le strategie in quella “ripetizione differente” che caratterizza le più avvertite punte di tanta riflessione attuale.
Fort di volta in volta si riferisce:
a quella che si può definire una vera e propria “estetica del rifiuto”, del recupero e dell’annessione di ogni sorta di oggetti anartistici, banali, dimenticati e consunti, che ha caratterizzato di volta in volta il Cubismo, il Dadaismo fino alla neoavanguardie;
all’”estetica del montaggio”, che si manifesta nelle varie forme del collage, dell’assemblage, del ready made e dell’happening che contesta la categoria stessa di opera per cui, come dice Adorno, “le sole opere che oggi contano sono quelle che non sono più opere;
a quell’’”estetica della scrittura” che costituisce un altro dei meanstream della’arte contemporanea, quello che va dai Calligrammes di Apollinaire al Lettrismo, dalla Poesia concreta alla Poesia visiva, una pratica tesa a destrutturare la scrittura, l’idea stessa di segno, che lo porta anche a sfiorare altri orizzonti culturali, altri universi artistici quali l’oriente cinese e giapponese, dove la scrittura è un’esercizio, un’ascetica, dove la scrittura è immediatamente “bella scrittura”, kalligraphia.
Queste strategie , questi percorsi, in tutto l’arco dell’opera di Fort si ordinano in serie ma anche si incrociano, si contaminano dando luogo ad insoliti accoppiamenti, ad imprevisti cortocircuiti.
Negli ultimi tempi si evidenzia un marcato interesse per la vita nomade, per le forme di vita in cui emerge il senso della singolarità ed insieme della comunità, che sembrano echeggiare i luoghi cari alla filosofia di Jean Luc Nancy. Ed ecco emergere l’iconografia della tenda, del villaggio di tende, che, pur essendo diverse, si assomigliano tutte. Nessuna spicca in particolare per foggia o dimensione, nessuna sembra rappresentare il luogo privilegiato del sacro o dell’istituzione. Tutte stanno insieme, “anarchicamente”, in attesa di dislocarsi nuovamente.
La mostra di Palazzo Crepadona si propone di documentare, come in una sorta di antologia, alcuni gangli significativi, alcuni snodi fondamentali del lavoro di Fort, mentre un’ulteriore sezione è costituta di alcune installazioni inedite, elaborate proprio per questa occasione, che si centrano sulla tematica dello spostamente, del nomadismo.
Tiziano Santi
09
aprile 2005
Aurelio Fort – Homo Vagus
Dal 09 al 25 aprile 2005
arte contemporanea
Location
PALAZZO CREPADONA
Belluno, Via Ripa, 3, (Belluno)
Belluno, Via Ripa, 3, (Belluno)
Orario di apertura
10,30-12 e 16-19
Vernissage
9 Aprile 2005, ore 18
Autore
Curatore