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Aviva Silverman – A House Can’t Flood That Never Gets Built
A House Can’t Flood That Never Gets Built, è la mostra personale di Aviva Silverman che inaugurerà a VEDA. Silverman propone in mostra una riflessione sui processi di creazione e mercificazione delle icone, interessandosi in particolare alle relazioni tra figure spirituali e terrene.
Comunicato stampa
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VEDA è felice di annunciare l’opening della nuova mostra personale di Aviva Silverman in galleria: A House Can’t Flood That Never Gets Built.
L’inaugurazione avrà luogo il 5 maggio dalle 18.30 alle 21.00. La mostra sarà poi visitabile fino al 30 luglio, 2022 e aperta al pubblico dal martedì al sabato, dalle 12.00 alle 19.00.
***
Vi sono religioni fondate sul dogma del verbo, nelle quali si ritiene che il mondo sia nato da un atto di parola divina e che il creato sconti la pena di essere stato denominato.
Quelle che oggigiorno definiamo “calamità naturali” erano un tempo considerate “atti divini”. Probabilmente ciò si deve al fatto che la natura, come il linguaggio, è una forma di trascendenza sulla quale ci sembra di poter intervenire. Similmente, la navigazione rappresenta un problema di scala: una mappa, come una divinità, guarda il nostro panorama dall’alto. Prima dell’avvento colonialista delle linee ferroviarie e dell’aereo, montagne e cieli erano considerati dimora delle divinità. Innalzandoci al di sopra di essi per delimitare i confini del mondo che ci circonda, ci siamo resi conto del fatto che l’uomo non ha che le qualità proprie dell’insetto. Non solo e non tanto in termini di irrilevanza cosmica, quanto più per via del fatto che gli insetti sono essenziali tanto quanto gli umani, se non di più.
Joyelle McSweeny scrisse che Qualsiasi cosa viva, tende a chinarsi.
Forse A House Can’t Flood that Never Gets Built risponde a questa massima: mentre ci chiniamo a osservare queste infrastrutture microscopiche siamo giganti. Osserviamo le formiche, certo, ma le formiche siamo noi. O addirittura le formiche hanno (misericordiosamente) preso il sopravvento. In merito alle formiche, il rabbino Shimon ben Chalafta disse: “Si potrebbe dedurre dalle loro azioni che non abbiano un re. Se lo avessero, non necessiterebbero di un regio editto per giustiziare le loro pari?”. Tra le altre cose, questa riflessione sembra suggerire che l’origine di ogni violenza risieda nella gerarchia e che laddove non sia possibile emanare un editto, non possa aver luogo alcuna esecuzione. Anche quando non siamo tenuti a soggiacere alla legge, forse amiamo comunque chinarci al nostro stesso cospetto – per ricordarci della nostra forma, per chiederci dove verremo trasportati. Certo, concentrarsi esclusivamente sul proprio ombelico può essere un sintomo di miopia, eppure la pratica della meditazione e la ricerca del divino in esso restano comunque valide. Come la stazione ferroviaria o le sfere dell’Albero della Vita cabalistico, l’ombelico è un portale tra un mondo e quello successivo. Altrove, in questa stanza, incontriamo due oggetti funerari, dei cani il cui obiettivo è quello di accompagnare le anime nell’aldilà. Lo scopo di un oggetto rituale è quello di fissare questi portali nello spazio e nel tempo, un cardine da poter aprire all’occorrenza. Vale la pena sottolineare che questa figura del presente, che si apre come una porta, è anche al centro delle nostre speranze per una redenzione rivoluzionaria. Non è un caso che la nostra relazione con il sublime vada deteriorandosi man mano che l’infrastruttura del capitale distrugge la terra intorno a noi – Poichè in esso [il futuro, n.d.r.] ogni secondo rappresentava lo stretto portale attraverso il quale il Messia sarebbe potuto entrare (Benjamin).
Naturalmente, quella del cardine è anche la forma assunta dai nostri corpi quando si chinano per osservare gli insetti o se stessi.
Per ora, lasciamo scorrere le mani lungo le pareti del presente, alla ricerca di un’uscita nascosta.
Un indizio: è già socchiusa e serve solo tirarla verso di sé. La fretta di tutti coloro con i quali condividiamo questo luogo la manterrà così.
=========
Aviva Silverman (1986, New York) lavora con scultura e performance per dissezionare la disordinata radiosità tra il simbolico e l’attuale. Forme votive, come diorami, treni in miniatura, vetro soffiato e tableaux ornati, sono visti attraverso una lente queer contemporanea, risultando in uno studio dinamico di storie conflittuali di comunione. Le mostre personali e le performance includono: We Have Decided Not To Die, VEDA, Firenze (2019), The Living Watch Over The Living ii, LVX Pavilion of the Volksbühne, Rosa-Luxemburg- Platz, Berlino (2019), Protect Me from What I Am, Swiss Institute, New York (2019) e Twister al MoMA P.S.1 (2016). Le mostre collettive includono Thunder and Light, La Casa Encendida, Madrid (2022), Pen pressure, Haus Wien, Wien (2020), Witch Hunt, Kunsthal Charlottenborg, Copenaghen, DK (2020), Greater New York, MoMA P.S.1, New York (2015); It Can Howl, Atlanta Contemporary, Atlanta, Georgia (2016); e I Surrender Dear, Salzburger Kunstverein, Salzburg, Austria (2016).
L’inaugurazione avrà luogo il 5 maggio dalle 18.30 alle 21.00. La mostra sarà poi visitabile fino al 30 luglio, 2022 e aperta al pubblico dal martedì al sabato, dalle 12.00 alle 19.00.
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Vi sono religioni fondate sul dogma del verbo, nelle quali si ritiene che il mondo sia nato da un atto di parola divina e che il creato sconti la pena di essere stato denominato.
Quelle che oggigiorno definiamo “calamità naturali” erano un tempo considerate “atti divini”. Probabilmente ciò si deve al fatto che la natura, come il linguaggio, è una forma di trascendenza sulla quale ci sembra di poter intervenire. Similmente, la navigazione rappresenta un problema di scala: una mappa, come una divinità, guarda il nostro panorama dall’alto. Prima dell’avvento colonialista delle linee ferroviarie e dell’aereo, montagne e cieli erano considerati dimora delle divinità. Innalzandoci al di sopra di essi per delimitare i confini del mondo che ci circonda, ci siamo resi conto del fatto che l’uomo non ha che le qualità proprie dell’insetto. Non solo e non tanto in termini di irrilevanza cosmica, quanto più per via del fatto che gli insetti sono essenziali tanto quanto gli umani, se non di più.
Joyelle McSweeny scrisse che Qualsiasi cosa viva, tende a chinarsi.
Forse A House Can’t Flood that Never Gets Built risponde a questa massima: mentre ci chiniamo a osservare queste infrastrutture microscopiche siamo giganti. Osserviamo le formiche, certo, ma le formiche siamo noi. O addirittura le formiche hanno (misericordiosamente) preso il sopravvento. In merito alle formiche, il rabbino Shimon ben Chalafta disse: “Si potrebbe dedurre dalle loro azioni che non abbiano un re. Se lo avessero, non necessiterebbero di un regio editto per giustiziare le loro pari?”. Tra le altre cose, questa riflessione sembra suggerire che l’origine di ogni violenza risieda nella gerarchia e che laddove non sia possibile emanare un editto, non possa aver luogo alcuna esecuzione. Anche quando non siamo tenuti a soggiacere alla legge, forse amiamo comunque chinarci al nostro stesso cospetto – per ricordarci della nostra forma, per chiederci dove verremo trasportati. Certo, concentrarsi esclusivamente sul proprio ombelico può essere un sintomo di miopia, eppure la pratica della meditazione e la ricerca del divino in esso restano comunque valide. Come la stazione ferroviaria o le sfere dell’Albero della Vita cabalistico, l’ombelico è un portale tra un mondo e quello successivo. Altrove, in questa stanza, incontriamo due oggetti funerari, dei cani il cui obiettivo è quello di accompagnare le anime nell’aldilà. Lo scopo di un oggetto rituale è quello di fissare questi portali nello spazio e nel tempo, un cardine da poter aprire all’occorrenza. Vale la pena sottolineare che questa figura del presente, che si apre come una porta, è anche al centro delle nostre speranze per una redenzione rivoluzionaria. Non è un caso che la nostra relazione con il sublime vada deteriorandosi man mano che l’infrastruttura del capitale distrugge la terra intorno a noi – Poichè in esso [il futuro, n.d.r.] ogni secondo rappresentava lo stretto portale attraverso il quale il Messia sarebbe potuto entrare (Benjamin).
Naturalmente, quella del cardine è anche la forma assunta dai nostri corpi quando si chinano per osservare gli insetti o se stessi.
Per ora, lasciamo scorrere le mani lungo le pareti del presente, alla ricerca di un’uscita nascosta.
Un indizio: è già socchiusa e serve solo tirarla verso di sé. La fretta di tutti coloro con i quali condividiamo questo luogo la manterrà così.
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Aviva Silverman (1986, New York) lavora con scultura e performance per dissezionare la disordinata radiosità tra il simbolico e l’attuale. Forme votive, come diorami, treni in miniatura, vetro soffiato e tableaux ornati, sono visti attraverso una lente queer contemporanea, risultando in uno studio dinamico di storie conflittuali di comunione. Le mostre personali e le performance includono: We Have Decided Not To Die, VEDA, Firenze (2019), The Living Watch Over The Living ii, LVX Pavilion of the Volksbühne, Rosa-Luxemburg- Platz, Berlino (2019), Protect Me from What I Am, Swiss Institute, New York (2019) e Twister al MoMA P.S.1 (2016). Le mostre collettive includono Thunder and Light, La Casa Encendida, Madrid (2022), Pen pressure, Haus Wien, Wien (2020), Witch Hunt, Kunsthal Charlottenborg, Copenaghen, DK (2020), Greater New York, MoMA P.S.1, New York (2015); It Can Howl, Atlanta Contemporary, Atlanta, Georgia (2016); e I Surrender Dear, Salzburger Kunstverein, Salzburg, Austria (2016).
05
maggio 2022
Aviva Silverman – A House Can’t Flood That Never Gets Built
Dal 05 maggio al 30 luglio 2022
arte contemporanea
personale
personale
Location
VEDA
Firenze, Via delle Cascine, 35, (Firenze)
Firenze, Via delle Cascine, 35, (Firenze)
Orario di apertura
da martedì a sabato, dalle 12 alle 19
Vernissage
5 Maggio 2022, dalle 18.30 alle 21.00
Sito web
Autore