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BAM Piemonte Project 7: MODO. La moda nell’arte, l’arte nella moda
Settima edizione della Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La BAM ha una precisa finalità, in decisa controtendenza rispetto alla “biennalite”
caratterizzante la scena artistica contemporanea nell’era della globalizzazione, che è
quello di valorizzare l’arte e la creatività piemontese dal secondo dopoguerra ad oggi
secondo un percorso che, ad ogni scadenza, si indirizza verso aree diverse di analisi
storica e contenutistica.
Dopo “Proposte artistiche in Piemonte 1996/2004” della sperimentale edizione del
2004, e “Arte in Piemonte 1975/1995” tema del 2006 e prima fase di reale
consolidamento dell’iniziativa, ed il significativo intermezzo della “BAM on Tour 2007”,
nel 2008 abbiamo approntato una manifestazione intitolata “Art Design”, che ha
conosciuto un significativo corollario nell’estate 2009 con uno spettacolare allestimento
presso il Castello di Racconigi che, unitamente alla presenza ad Artissima, ha sancito
il lancio definitivo di una manifestazione nata per pura scommessa intellettuale e
tramutatasi in un appuntamento importante nel folto panorama di iniziative artistiche che
caratterizza Torino ed il Piemonte. Nel 2010 con “BAM Piemonte Project Grafik” ,
bissata con “BAM on Tour 2011” per la prima volta a Torino, abbiamo, con successo,
privilegiato il rapporto tra l’arte e la grafica pubblicitaria ed industriale, ma anche il fumetto
ed il neo pop. La quinta edizione della BAM si è svolta, dopo Verbania per le prime tre
edizioni e Carmagnola per la quarta, a Chieri, in sedi prestigiose quali la Biblioteca e
l’Imbiancheria del Vajro, ed anche nelle vetrine del centro cittadino, con il titolo
“Contemporary Photobox 2012”, con l' obiettivo di cogliere l’evoluzione di una linea
stilistica legata all’uso delle tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. La
“BAM on Tour 2013”, dedicata alla giovane fotografia piemontese, si è svolta presso
l'NH Lingotto Tech. Con la sesta edizione, anticipata rispetto al consueto nel febbraio
2014 sempre presso l'Imbiancheria del Vajro, “BAM Piamonte Project 6 80”, dedicata a
quel stimolante e controverso decennio, ed un allestimento coronato da un autentico e
pieno successo, riteniamo che la BAM sia entrata definitivamente nell'eccellenza delle
rassegne artistiche della nostra regione. Fatto certamente confermato dalla “BAM on
Tour 2015”, che, in sintonia con le celebrazioni religiose svoltesi nel 2015 nella nostra
regione, ha allestito una mostra in tema presso il Giardino delle Rose del Castello di
Moncalieri, dal titolo “Il cuore sacro dell'arte. La dimensione spirituale nell'arte
piemontese contemporanea”.
Per la settima edizione abbiamo scelto ancora la Città di Moncalieri.
L'allestimento sarà organizzato presso il Foyer delle Fonderie Teatrali Limone.
Il tema affrontato è quello, unico inedito per noi relativamente alle arti applicate, della
moda, con il titolo di “MODO. La moda nell'arte, l'arte nella moda”.
Nel corso del Novecento, a partire dalla avanguardie storiche, Futurismo in primo luogo,
molteplici sono state le contaminazioni, gli spunti, le reciproche influenze, dirette o
tangenti, tra le due discipline. Si pensi, nel secondo dopoguerra, tra i molti esempi, alle
sfilate di Pinot Gallizio con le modelle cinte da abiti realizzati con rotoli di “pittura
industriale”, alle varie declinazioni della Pop Art, ai luccicanti anni Ottanta, con la
creatività di stilisti come Elio Fiorucci, che fu il primo a portare in Italia Keith Haring.
Certo, si tratta di un tema affascinante, variegato e complesso, che avrebbe meritato un
paio di anni di lavoro, una rete di collaboratori, un budget da grande evento.
Tutte cose di cui purtroppo la BAM non dispone.
Io e Riccardo Ghirardini dal 2002, anno della preview del progetto presso il Fabrik di
Moncalieri, portiamo avanti con tenacia ed entusiasmo questa iniziativa, forse l'unica che,
a cadenza ormai annuale, stante l'avvento dal 2007 dell'edizione On Tour, si pone
l'obiettivo di analizzare in modo non conformista la creatività del territorio, in una
accezione di valorizzazione e confronto internazionale, compito a cui i Musei pubblici e
privati della Regione, nella quasi totalità, GAM e Rivoli in primo luogo, hanno da tempo
abdicato, soprattutto per quanto concerne lo scenario dalla seconda metà degli anni
Ottanta ad oggi, ma con ampie omissioni anche riguardo situazioni già storicizzate.
Abbiamo in questi anni fatto miracoli con i pochi mezzi a disposizione, rendendo la BAM
una manifestazione stimata e credibile, grazie al sostegno della Regione Piemonte , dei
centri piemontesi in cui si è allestita la rassegna, di alcuni sponsor, tra cui la Fondazione
CRT, e ad un patrocinio prestigioso come quello del MIBAC.
Siamo cresciuti soprattutto grazie al consenso ed alla collaborazione degli artisti e del
pubblico.
Riguardo al tema di questa settima edizione, dopo aver posto in relazione il linguaggio
dell'arte con quello del design, dell'illustrazione e del fumetto ci pareva giusto, anche a
seguito di alcuni suggerimenti , farlo anche con la moda, pur consci della vastità
dell'argomento.
Abbiamo optato per una soluzione che punta su di un ristretto e qualificato nucleo di
artisti sintonici al tema, affiancati da uno stilista importante come Walter Dang, che ha
fatto di Torino la base per un successo divenuto internazionale, da due artisti e docenti
emeriti dell'Accademia come Carlo Giuliano e Paola De Cavero, dalla scuola di Fashion
Design dell'Albertina di Sara Chiarugi, per concludere la carrellata con la performance di
Claudio Bellino.
La moda come simbolo di creatività e di potere e come "divisa sociale" è un fenomeno
che affonda le sue radici fin da tempi remoti, legata anche alla dimensione della ritualità,
dimensione che, come sostiene Walter Benjamin nel profetico saggio "L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". si dissolve a partire dalla seconda metà
dell'Ottocento, per effetto dell'avvento degli strumenti di riproduzione, che allargano il
valore di esponibilità, e del progresso tecnologico. La sfera della ritualità cede, a quel
punto, il testimone a quella politica.
Di un rapporto tra arte e moda, anche a seguito di riflessioni di natura sociologica e
filosofica, si può concretamente iniziare a parlare a partire da quella fase storica, quando
la società europea muta il suo assetto per effetto degli eventi del 1789 e della Rivoluzione
Industriale, e la moda diventa non più appannaggio esclusivo del ceto aristocratico al
potere, o, nel caso delle classi subalterne, pretesto per analisi antropologiche, ma si
tramuta in fatto di costume divenendo un termometro della società, nei termini
dell'inclusione/esclusione sociale.
Come sottolineato da uno dei più significativi intellettuali tra fine Ottocento e primo
Novecento, Georg Simmel, che con il suo saggio "La moda", pubblicato nel 1895, affronta
un tema alla fine di quel secolo diventato ormai di stringente attualità. Simmel pone
l'attenzione non già sulla "sostanza", quanto sulla "funzione" della moda, cercando di
comprendere il suo scopo nell'organizzazione della società, ed in rapporto ai bisogni
dell'individuo. Per Simmel la moda è in primo luogo un fenomeno sociale, un meccanismo
che coopera alla creazione di raggruppamenti , e risponde ai nuovi bisogni di una società
divisa in classi, cerchie, ceti e professioni quale è quella capitalista. Il suo essere
fenomeno effimero e perennemente cangiante è figlio della velocità moderna e del ritmo
delle metropoli, mutamenti intuiti e divulgati, tra gli altri, da Baudelaire, e poi dalle
avanguardie storiche e da Walter Benjamin. La moda è, prima di tutto, un fenomeno di
classe, con tendenze ad un abbigliamento che sia simbolo di omologazione e di
riconoscimento sociale, ma è anche esaltazione dell'individualismo, esibizione di un
modo di vestire eccentrico e stravagante, ma anche ricercato, come nel caso del dandy,
che attira l'attenzione su di se come veicolo di alterità rispetto ai miti e ai riti della
nascente società di massa. Scrive Simmel : "La moda è imitazione di un modello dato
e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti
percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero
esempio. Non di meno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla
differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è
possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la
moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione
fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le
mode della classe più elevata si distinguono da quelle della classe inferiore e
vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie.
Così la moda non è altra che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza
all'eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si
congiungono in un fare unitario. Se si esamina la storia della moda, che finora è
stata trattata soltanto in rapporto allo sviluppo dei suoi contenuti, secondo la sua
importanza per la forma del processo sociale, essa si rivela come la storia dei
tentativi di adeguare sempre più l'appagamento di queste due opposte tendenze al
contemporaneo livello della cultura individuale e sociale. I singoli tratti psicologici
che osservavamo nella moda si ordinano in questo suo carattere fondamentale"
Gli elementi di dinamismo e velocità del corpo sociale in rapida mutazione denunciati da
Simmel vengono ripresi ed ampliati dalle avanguardie storiche, in particolare dal
Futurismo, con l'aggiunta della carica generata da una veemente volontà di rinnovamento
e di contestazione al decadentismo estetizzante della società di fine Ottocento, ed alla
pedanteria e conformismo culturale imperanti. La moda si tramuta da funzionale esercizio
di stile ad elemento di arte applicata. La carica antiborghese del Futurismo, la sua
rivendicazione di uno sconfinamento dell'arte dai suoi angusti recinti istituzionali verso il
mondo, in una dimensione etica ed estetica, tocca il modo di vestire alla ricerca di un
nuovo linguaggio artistico accessibile alla massa. Ciò, in coerenza con lo spirito
anticipatore dei tempi del Futurismo, ha introdotto la rivendicazione della
democratizzazione della moda, aprendo le porte a quello che, molti decenni dopo,
sarebbe diventato il pret a porter. La concezione del vestito per i futuristi diventa simbolo
di un nuovo modo di concepire l'esistenza. Quindi deve essere caratterizzato dalla
presenza di colori sgargianti e tra loro armonici, dotato di un taglio nuovo, infatti il collo a
V sarà una acquisizione di quell'epoca, dall' utilizzo degli accessori, definiti "modificanti",
come elemento fondamentale di personalizzazione dell'indumento, tale da non
permettere lo sprofondamento nell'anonimato di massa. I postulati dell'abbigliamento
debbono essere quelli dell'arte futurista, luce, colore e dinamismo, rigetto della tradizione
ed esaltazione della creatività personale. Giacomo Balla ebbe ad affermare "si pensa e si
agisce come si veste". Alcuni di questi argomenti ritornano negli scritti che un importante
intellettuale francese del secondo dopoguerra, Roland Barthes, dedica, tra il 1955 ed il
1967, alla semiotica della moda. Le riflessioni di Barthes traggono ispirazione dal saggio
redatto nel 1916 da Ferdinand de Saussure con il titolo "Corso di linguistica generale". In
questo saggio si afferma come il linguaggio umano possa essere studiato sotto due
profili, quello della "langue" (aspetto formale e sociale), e quello della "parole" (aspetto
concreto e individuale). La stessa impostazione, secondo Barthes, può essere applicata
anche al vestito, perche i fenomeni legati all'abbigliamento sono costituiti dal modo in cui
gli individui indossano il costume che viene loro proposto dal gruppo sociale di
appartenenza. Ma mentre Barthes studia l'abito come linguaggio, cerca di comprendere
quello che può dire, i Futuristi gli assegnano un compito, quello di testimoniare l'avvento
di un nuovo stile di vita. Nell'ambito della stesura dei manifesti, forma di comunicazione
più importante del Futurismo, dopo il "Manifesto del Vestito Antineutrale", redatto nel
1914 in chiara logica interventista, atteggiamento peraltro comune alla grande
maggioranza dell'avanguardia europea, una attenzione sempre maggiore alla moda, e ad
altre arti applicate o modelli di comunicazione, come arredamento, cucina e pubblicità,
sarà appannaggio del cosiddetto "Secondo Futurismo", dal 1920 fino alla morte di
Marinetti nel 1944, quando, delusi nella loro volontà di condizionare e guidare la politica
dopo la svolta reazionaria del Fascismo, i Futuristi si concentrano verso la creazione di
una società estetica. Avremo quindi, proprio nel 1920, il "Manifesto della moda femminile
futurista" e, nel 1933, il "Manifesto Futurista della Cravatta Italiana".
Il secondo dopoguerra, con la ricostruzione ed il boom economico, che conosce il suo
apice negli anni Cinquanta, ristabilisce un clima di fiducia, dopo lo scoramento
successivo alla conclusione del tragico secondo conflitto mondiale. Sono anni in cui
ritornano a circolare le idee delle avanguardie primo novecentesche, relativamente al
ruolo che l'arte può detenere nel nuovo contesto sociale caratterizzato da un'evidente
progresso tecnologico e dalla diffusione su larga scala di merci e beni di consumo. Si
tratta di una fase di grande spolvero per la creatività italiana, soprattutto nell'ambito
dell'arte applicata ed in particolare nel design, che assurge a vertici di eccellenza
internazionale. Il dibattito dell'avanguardia si concentra soprattutto nei primi anni del
Situazionismo (1957-1961), movimento che raccoglie alcune delle migliori menti europee
quali Guy Debord, Asjer Jorn, Costant, proprio in Piemonte, ad Alba e nel territorio della
Langa, grazie alla carismatica figura di Pinot Gallizio. Il Situazionismo sostiene la
necessità dell'abbattimento degli steccati tra arte e vita, un ruolo sociale per l'artista pari a
quello di altre categorie professionali, la creazione di una società estetica dove la
bellezza possa essere patrimonio di tutti, il deprezzamento delle opere o, nei casi più
radicali, la completa sparizione del sistema dell'arte. Gallizio pone in essere delle geniali
performance, prima tra tutte quella della "pittura industriale", dove lunghi rotoli di tela
dipinta vengono posti in vendita a metro, a prezzi accessibili. Altra derivazione da questa
idea fu la creazione di abiti femminili colorati fatti indossare a delle modelle, con la
tradizionale sfilata tramutata in azione artistica, modelle usate anche da Yves Klein per
creare calchi antropomorfi intrisi di colore blu, alle origini di quella che diventerà, a breve,
la Body Art.
Negli anni Sessanta ci troviamo all'interno di una fase storica cruciale. Da un lato l'arte
diventa a pieno titolo "contemporanea" concretizzando con le correnti Pop e le varie
declinazioni del Concettuale, la fuoriuscita dall'alveo bidimensionale, dall'altro la società
dei consumi vive, tra l'inizio e la fine del decennio, un passaggio emblematico tra il suo
momento di apice, e l'inizio del declino, dopo il 1968. La Pop Art americana abdica alla
dimensione narrativa per dedicarsi all'esaltazione degli stereotipi consumistici e delle
icone glamour del cinema, della musica, della cronaca e del potere politico. Andy Warhol
crea a New York la Factory e la rivista Interwiew, realtà che vivono del dialogo simultaneo
tra arte, cinema. musica e moda. Anche la figura della modella acquista nuovo carisma,
basti pensare a Twiggy, cui Mary Quant affidò il lancio della minigonna, e che fu una delle
muse predilette da Warhol, Verushka o Donyal Luna, prima modella di colore, che
collaborò con vari creativi e registi, come il nostro Carmelo Bene, con un ruolo importante
nel film "Salomè" del 1972. La moda, a partire dai Sessanta, esce fuori dai confini della
sartoria d'alto rango, o della produzione qualitativa di serie, per focalizzarsi sulla
debordante creatività di alcuni grandi nomi che diventano gradualmente delle star a livello
mondiale, fenomeno che prosegue nel decennio successivo per conoscere l'apice negli
anni Ottanta, nomi talmente celebri che non vale la pena di citarli a mo' di elenco. Da
segnalare una serie di abiti divenuti celebri, ispirati allo stilista francese Yves Saint
Laurent dalle opere di Piet Mondrian.
Il decennio successivo, quello dei Settanta, è, al tempo stesso, pieno di stimoli e di
contraddizioni. Termina l'ondata benefica della ricostruzione post bellica e, per effetto
della crisi petrolifera, l'industria e la produzione entrano in una fase di pesante
recessione. Sono anni di impegno civile, con importanti conquiste di cui ancora oggi si
avvertono i benefici in termini di diritti acquisiti, di tensione politica e sociale con la
strategia della tensione ed il terrorismo, ma anche di creatività soprattutto giovanile. La
moda degli anni '70, fatta di camicioni a colori sgargianti, pantaloni a zampa di elefante,
sandali e gonne indiane e, più in generale, l'infatuazione per l'India e per l'Oriente, trova
forti riscontri nella musica ma pressoche nessuno nell'arte, che in quel decennio vive
l'algido rigore e l'impegno politico del Concettuale.
Discorso tutto diverso per gli anni Ottanta. La conclusione di un periodo storico
precedente, caratterizzato da una massiccia presenza dell'ideologia, e dal predominio del
collettivo rispetto al singolo, determina l'avvento di una fase multidisciplinare di
estroversione creativa e di individualismo sfrenato, caratterizzata da molti aspetti positivi,
nei termini di una liberazione della vocazione artistica e comunicativa e da vari tabù e
dogmi, in realtà eredità concretizzata delle battaglie dei movimenti degli anni Sessanta e
Settanta, e da alcuni controversi, come un certo culto eccessivo dell'immagine, del
denaro e del successo. Sono anni di euforia economica, determinata dall'avvento di
politiche liberiste e dall'inizio di una fase, che perdura ad oggi, dominata dalla finanza. In
Italia è l'epoca del "Made in Italy" e del trionfo dei nostri stilisti, che diventano delle
celebrità mondiali, come Giorgio Armani, Valentino, Krizia, Trussardi, Ferrè, Gianni
Versace e successivamente Moschino e Dolce & Gabbana, per citarne alcuni, senza
dimenticare le shoccanti campagne fotografiche di Oliviero Toscani per Benetton, per
molti direttamente ispirate dal creatore di moda veneto. Ma se si vuole indicare uno
stilista realmente simbolico del rapporto tra arte e moda, questi è certamente Elio
Fiorucci, scomparso circa un anno fa. Fiorucci rappresenta la parte migliore del decennio,
in termini di creatività applicata alla produzione di capi d'abbigliamento innovativi ed al
tempo stesso, alla portata di tutti in termini di possibilità d'acquisto. Lo stilista milanese si
è, fin dagli anni Sessanta, nutrito di ispirazioni provenienti dal mondo dell'avanguardia
artistica, dove avverte la presenza di una tensione creativa e di una capacità di
comunicare che appaiono congeniali alla sua filosofia di vita. Memorabili diverse sue
iniziative nei primi anni Ottanta, come la decorazione affidata a Keith Haring del suo show
room milanese, ed il primo concerto italiano di una ancora sconosciuta Madonna, di cui
Fiorucci, da accorto talent scout, aveva intuito il talento.
La fase successiva, dagli anni Novanta ai giorni nostri, si è giocata prevalentemente
nell'ambito di un eclettismo stilistico affine allo spirito relativistico e citazionista della post
modernità, peraltro già iniziato negli anno Ottanta da un punto di vista formale, anche se,
in quel decennio, si viveva ancora in una dimensione parzialmente proiettata verso il
futuro, dimensione oggi del tutto assente e sostituita, specie dopo il crollo delle Torri
Gemelle del 2001, con conseguente avvento del terrorismo globale, e la crisi economica
del 2008, da una visione d'insieme che non riesce ad andare oltre un raggio breve. La
categoria che potrebbe riassumere questo periodo storico penso possa essere quella del
"Camp". L'estetica Camp, che pare affine ma è in realtà differente rispetto a quella del
kitsch, dove spesso chi produce è convinto della bontà del suo operare, e quindi ricade
nella vasta categoria del "dilettantismo" artistico, parte non da oggi ma dalla fine
dell'Ottocento, da quel Dandysmo di cui Oscar Wilde si può considerare nume tutelare. Il
Camp si consolida, ma non solo, nel mondo omosessuale, peraltro assai vicino alla
sensibilità della moda, e vede la dimensione estetica concepita in primo luogo come
messa in scena ed artificio. Secondo la definizione di Susan Sontag del 1964 : "Camp è
una forma particolare di estetismo. E' un modo di vedere il mondo come fenomeno
estetico. Questo modo, il modo di Camp, non si misura sulla bellezza ma sul grado
di artificio e stilizzazione". A partire dall'Art Nouveau, il Camp si sviluppa in una
dimensione duplice che privilegia sia i soggetti che gli oggetti, in una accezione estetica
che vede la prevalenza dello stile rispetto al contenuto. Metafora che ben si addice alla
scena attuale, sia dell'arte che della moda. L'estetologo Mario Perniola, uno dei più lucidi
osservatori del contemporaneo, nel suo saggio "L'Arte e la sua ombra", pubblicato nel
2000 ma del tutto attuale, si esprime così parlando del realismo estremo : " Nel realismo
estremo due linee di tendenza sono emerse con particolare chiarezza : la prima
orientata verso la moda, la seconda verso la comunicazione. Il realismo estremo ha
prodotto una quantità assai rilevante di immagini dotate di fortissimo impatto
emozionale : esse interagiscono con quelle della moda, del cinema, della
televisione, di internet, della grafica, della pubblicità, del design, dando luogo ad
un immaginario sociale caratterizzato dalla provocazione. La ricerca della novità e
dell'effetto, perseguita per se stessa, implica anche una rapida usura o
obsolescenza delle immagini, che debbono essere continuamente sostituite da
altre di maggior forza d'impatto, oppure di caratteristiche capaci di risvegliare
l'attenzione. L'arte tende così a dissolversi nella moda, la quale ottunde e spegne la
forza del reale, dissolve la sua radicalità, normalizza e omogeneizza ogni cosa in
uno spettacolo generalizzato...Ora l'arte è certamente affine alla moda, perchè
condivide con essa non solo il brivido della novità e della sfida, ma anche
l'ebbrezza che deriva dal sentirsi in presa diretta con lo spirito del tempo; tuttavia
essa non è mai attuale nel senso in cui è la moda, cioè sociologicamente
dominante."
Edoardo Di Mauro
caratterizzante la scena artistica contemporanea nell’era della globalizzazione, che è
quello di valorizzare l’arte e la creatività piemontese dal secondo dopoguerra ad oggi
secondo un percorso che, ad ogni scadenza, si indirizza verso aree diverse di analisi
storica e contenutistica.
Dopo “Proposte artistiche in Piemonte 1996/2004” della sperimentale edizione del
2004, e “Arte in Piemonte 1975/1995” tema del 2006 e prima fase di reale
consolidamento dell’iniziativa, ed il significativo intermezzo della “BAM on Tour 2007”,
nel 2008 abbiamo approntato una manifestazione intitolata “Art Design”, che ha
conosciuto un significativo corollario nell’estate 2009 con uno spettacolare allestimento
presso il Castello di Racconigi che, unitamente alla presenza ad Artissima, ha sancito
il lancio definitivo di una manifestazione nata per pura scommessa intellettuale e
tramutatasi in un appuntamento importante nel folto panorama di iniziative artistiche che
caratterizza Torino ed il Piemonte. Nel 2010 con “BAM Piemonte Project Grafik” ,
bissata con “BAM on Tour 2011” per la prima volta a Torino, abbiamo, con successo,
privilegiato il rapporto tra l’arte e la grafica pubblicitaria ed industriale, ma anche il fumetto
ed il neo pop. La quinta edizione della BAM si è svolta, dopo Verbania per le prime tre
edizioni e Carmagnola per la quarta, a Chieri, in sedi prestigiose quali la Biblioteca e
l’Imbiancheria del Vajro, ed anche nelle vetrine del centro cittadino, con il titolo
“Contemporary Photobox 2012”, con l' obiettivo di cogliere l’evoluzione di una linea
stilistica legata all’uso delle tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. La
“BAM on Tour 2013”, dedicata alla giovane fotografia piemontese, si è svolta presso
l'NH Lingotto Tech. Con la sesta edizione, anticipata rispetto al consueto nel febbraio
2014 sempre presso l'Imbiancheria del Vajro, “BAM Piamonte Project 6 80”, dedicata a
quel stimolante e controverso decennio, ed un allestimento coronato da un autentico e
pieno successo, riteniamo che la BAM sia entrata definitivamente nell'eccellenza delle
rassegne artistiche della nostra regione. Fatto certamente confermato dalla “BAM on
Tour 2015”, che, in sintonia con le celebrazioni religiose svoltesi nel 2015 nella nostra
regione, ha allestito una mostra in tema presso il Giardino delle Rose del Castello di
Moncalieri, dal titolo “Il cuore sacro dell'arte. La dimensione spirituale nell'arte
piemontese contemporanea”.
Per la settima edizione abbiamo scelto ancora la Città di Moncalieri.
L'allestimento sarà organizzato presso il Foyer delle Fonderie Teatrali Limone.
Il tema affrontato è quello, unico inedito per noi relativamente alle arti applicate, della
moda, con il titolo di “MODO. La moda nell'arte, l'arte nella moda”.
Nel corso del Novecento, a partire dalla avanguardie storiche, Futurismo in primo luogo,
molteplici sono state le contaminazioni, gli spunti, le reciproche influenze, dirette o
tangenti, tra le due discipline. Si pensi, nel secondo dopoguerra, tra i molti esempi, alle
sfilate di Pinot Gallizio con le modelle cinte da abiti realizzati con rotoli di “pittura
industriale”, alle varie declinazioni della Pop Art, ai luccicanti anni Ottanta, con la
creatività di stilisti come Elio Fiorucci, che fu il primo a portare in Italia Keith Haring.
Certo, si tratta di un tema affascinante, variegato e complesso, che avrebbe meritato un
paio di anni di lavoro, una rete di collaboratori, un budget da grande evento.
Tutte cose di cui purtroppo la BAM non dispone.
Io e Riccardo Ghirardini dal 2002, anno della preview del progetto presso il Fabrik di
Moncalieri, portiamo avanti con tenacia ed entusiasmo questa iniziativa, forse l'unica che,
a cadenza ormai annuale, stante l'avvento dal 2007 dell'edizione On Tour, si pone
l'obiettivo di analizzare in modo non conformista la creatività del territorio, in una
accezione di valorizzazione e confronto internazionale, compito a cui i Musei pubblici e
privati della Regione, nella quasi totalità, GAM e Rivoli in primo luogo, hanno da tempo
abdicato, soprattutto per quanto concerne lo scenario dalla seconda metà degli anni
Ottanta ad oggi, ma con ampie omissioni anche riguardo situazioni già storicizzate.
Abbiamo in questi anni fatto miracoli con i pochi mezzi a disposizione, rendendo la BAM
una manifestazione stimata e credibile, grazie al sostegno della Regione Piemonte , dei
centri piemontesi in cui si è allestita la rassegna, di alcuni sponsor, tra cui la Fondazione
CRT, e ad un patrocinio prestigioso come quello del MIBAC.
Siamo cresciuti soprattutto grazie al consenso ed alla collaborazione degli artisti e del
pubblico.
Riguardo al tema di questa settima edizione, dopo aver posto in relazione il linguaggio
dell'arte con quello del design, dell'illustrazione e del fumetto ci pareva giusto, anche a
seguito di alcuni suggerimenti , farlo anche con la moda, pur consci della vastità
dell'argomento.
Abbiamo optato per una soluzione che punta su di un ristretto e qualificato nucleo di
artisti sintonici al tema, affiancati da uno stilista importante come Walter Dang, che ha
fatto di Torino la base per un successo divenuto internazionale, da due artisti e docenti
emeriti dell'Accademia come Carlo Giuliano e Paola De Cavero, dalla scuola di Fashion
Design dell'Albertina di Sara Chiarugi, per concludere la carrellata con la performance di
Claudio Bellino.
La moda come simbolo di creatività e di potere e come "divisa sociale" è un fenomeno
che affonda le sue radici fin da tempi remoti, legata anche alla dimensione della ritualità,
dimensione che, come sostiene Walter Benjamin nel profetico saggio "L'opera d'arte
nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". si dissolve a partire dalla seconda metà
dell'Ottocento, per effetto dell'avvento degli strumenti di riproduzione, che allargano il
valore di esponibilità, e del progresso tecnologico. La sfera della ritualità cede, a quel
punto, il testimone a quella politica.
Di un rapporto tra arte e moda, anche a seguito di riflessioni di natura sociologica e
filosofica, si può concretamente iniziare a parlare a partire da quella fase storica, quando
la società europea muta il suo assetto per effetto degli eventi del 1789 e della Rivoluzione
Industriale, e la moda diventa non più appannaggio esclusivo del ceto aristocratico al
potere, o, nel caso delle classi subalterne, pretesto per analisi antropologiche, ma si
tramuta in fatto di costume divenendo un termometro della società, nei termini
dell'inclusione/esclusione sociale.
Come sottolineato da uno dei più significativi intellettuali tra fine Ottocento e primo
Novecento, Georg Simmel, che con il suo saggio "La moda", pubblicato nel 1895, affronta
un tema alla fine di quel secolo diventato ormai di stringente attualità. Simmel pone
l'attenzione non già sulla "sostanza", quanto sulla "funzione" della moda, cercando di
comprendere il suo scopo nell'organizzazione della società, ed in rapporto ai bisogni
dell'individuo. Per Simmel la moda è in primo luogo un fenomeno sociale, un meccanismo
che coopera alla creazione di raggruppamenti , e risponde ai nuovi bisogni di una società
divisa in classi, cerchie, ceti e professioni quale è quella capitalista. Il suo essere
fenomeno effimero e perennemente cangiante è figlio della velocità moderna e del ritmo
delle metropoli, mutamenti intuiti e divulgati, tra gli altri, da Baudelaire, e poi dalle
avanguardie storiche e da Walter Benjamin. La moda è, prima di tutto, un fenomeno di
classe, con tendenze ad un abbigliamento che sia simbolo di omologazione e di
riconoscimento sociale, ma è anche esaltazione dell'individualismo, esibizione di un
modo di vestire eccentrico e stravagante, ma anche ricercato, come nel caso del dandy,
che attira l'attenzione su di se come veicolo di alterità rispetto ai miti e ai riti della
nascente società di massa. Scrive Simmel : "La moda è imitazione di un modello dato
e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti
percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero
esempio. Non di meno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla
differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è
possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la
moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione
fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le
mode della classe più elevata si distinguono da quelle della classe inferiore e
vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie.
Così la moda non è altra che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza
all'eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si
congiungono in un fare unitario. Se si esamina la storia della moda, che finora è
stata trattata soltanto in rapporto allo sviluppo dei suoi contenuti, secondo la sua
importanza per la forma del processo sociale, essa si rivela come la storia dei
tentativi di adeguare sempre più l'appagamento di queste due opposte tendenze al
contemporaneo livello della cultura individuale e sociale. I singoli tratti psicologici
che osservavamo nella moda si ordinano in questo suo carattere fondamentale"
Gli elementi di dinamismo e velocità del corpo sociale in rapida mutazione denunciati da
Simmel vengono ripresi ed ampliati dalle avanguardie storiche, in particolare dal
Futurismo, con l'aggiunta della carica generata da una veemente volontà di rinnovamento
e di contestazione al decadentismo estetizzante della società di fine Ottocento, ed alla
pedanteria e conformismo culturale imperanti. La moda si tramuta da funzionale esercizio
di stile ad elemento di arte applicata. La carica antiborghese del Futurismo, la sua
rivendicazione di uno sconfinamento dell'arte dai suoi angusti recinti istituzionali verso il
mondo, in una dimensione etica ed estetica, tocca il modo di vestire alla ricerca di un
nuovo linguaggio artistico accessibile alla massa. Ciò, in coerenza con lo spirito
anticipatore dei tempi del Futurismo, ha introdotto la rivendicazione della
democratizzazione della moda, aprendo le porte a quello che, molti decenni dopo,
sarebbe diventato il pret a porter. La concezione del vestito per i futuristi diventa simbolo
di un nuovo modo di concepire l'esistenza. Quindi deve essere caratterizzato dalla
presenza di colori sgargianti e tra loro armonici, dotato di un taglio nuovo, infatti il collo a
V sarà una acquisizione di quell'epoca, dall' utilizzo degli accessori, definiti "modificanti",
come elemento fondamentale di personalizzazione dell'indumento, tale da non
permettere lo sprofondamento nell'anonimato di massa. I postulati dell'abbigliamento
debbono essere quelli dell'arte futurista, luce, colore e dinamismo, rigetto della tradizione
ed esaltazione della creatività personale. Giacomo Balla ebbe ad affermare "si pensa e si
agisce come si veste". Alcuni di questi argomenti ritornano negli scritti che un importante
intellettuale francese del secondo dopoguerra, Roland Barthes, dedica, tra il 1955 ed il
1967, alla semiotica della moda. Le riflessioni di Barthes traggono ispirazione dal saggio
redatto nel 1916 da Ferdinand de Saussure con il titolo "Corso di linguistica generale". In
questo saggio si afferma come il linguaggio umano possa essere studiato sotto due
profili, quello della "langue" (aspetto formale e sociale), e quello della "parole" (aspetto
concreto e individuale). La stessa impostazione, secondo Barthes, può essere applicata
anche al vestito, perche i fenomeni legati all'abbigliamento sono costituiti dal modo in cui
gli individui indossano il costume che viene loro proposto dal gruppo sociale di
appartenenza. Ma mentre Barthes studia l'abito come linguaggio, cerca di comprendere
quello che può dire, i Futuristi gli assegnano un compito, quello di testimoniare l'avvento
di un nuovo stile di vita. Nell'ambito della stesura dei manifesti, forma di comunicazione
più importante del Futurismo, dopo il "Manifesto del Vestito Antineutrale", redatto nel
1914 in chiara logica interventista, atteggiamento peraltro comune alla grande
maggioranza dell'avanguardia europea, una attenzione sempre maggiore alla moda, e ad
altre arti applicate o modelli di comunicazione, come arredamento, cucina e pubblicità,
sarà appannaggio del cosiddetto "Secondo Futurismo", dal 1920 fino alla morte di
Marinetti nel 1944, quando, delusi nella loro volontà di condizionare e guidare la politica
dopo la svolta reazionaria del Fascismo, i Futuristi si concentrano verso la creazione di
una società estetica. Avremo quindi, proprio nel 1920, il "Manifesto della moda femminile
futurista" e, nel 1933, il "Manifesto Futurista della Cravatta Italiana".
Il secondo dopoguerra, con la ricostruzione ed il boom economico, che conosce il suo
apice negli anni Cinquanta, ristabilisce un clima di fiducia, dopo lo scoramento
successivo alla conclusione del tragico secondo conflitto mondiale. Sono anni in cui
ritornano a circolare le idee delle avanguardie primo novecentesche, relativamente al
ruolo che l'arte può detenere nel nuovo contesto sociale caratterizzato da un'evidente
progresso tecnologico e dalla diffusione su larga scala di merci e beni di consumo. Si
tratta di una fase di grande spolvero per la creatività italiana, soprattutto nell'ambito
dell'arte applicata ed in particolare nel design, che assurge a vertici di eccellenza
internazionale. Il dibattito dell'avanguardia si concentra soprattutto nei primi anni del
Situazionismo (1957-1961), movimento che raccoglie alcune delle migliori menti europee
quali Guy Debord, Asjer Jorn, Costant, proprio in Piemonte, ad Alba e nel territorio della
Langa, grazie alla carismatica figura di Pinot Gallizio. Il Situazionismo sostiene la
necessità dell'abbattimento degli steccati tra arte e vita, un ruolo sociale per l'artista pari a
quello di altre categorie professionali, la creazione di una società estetica dove la
bellezza possa essere patrimonio di tutti, il deprezzamento delle opere o, nei casi più
radicali, la completa sparizione del sistema dell'arte. Gallizio pone in essere delle geniali
performance, prima tra tutte quella della "pittura industriale", dove lunghi rotoli di tela
dipinta vengono posti in vendita a metro, a prezzi accessibili. Altra derivazione da questa
idea fu la creazione di abiti femminili colorati fatti indossare a delle modelle, con la
tradizionale sfilata tramutata in azione artistica, modelle usate anche da Yves Klein per
creare calchi antropomorfi intrisi di colore blu, alle origini di quella che diventerà, a breve,
la Body Art.
Negli anni Sessanta ci troviamo all'interno di una fase storica cruciale. Da un lato l'arte
diventa a pieno titolo "contemporanea" concretizzando con le correnti Pop e le varie
declinazioni del Concettuale, la fuoriuscita dall'alveo bidimensionale, dall'altro la società
dei consumi vive, tra l'inizio e la fine del decennio, un passaggio emblematico tra il suo
momento di apice, e l'inizio del declino, dopo il 1968. La Pop Art americana abdica alla
dimensione narrativa per dedicarsi all'esaltazione degli stereotipi consumistici e delle
icone glamour del cinema, della musica, della cronaca e del potere politico. Andy Warhol
crea a New York la Factory e la rivista Interwiew, realtà che vivono del dialogo simultaneo
tra arte, cinema. musica e moda. Anche la figura della modella acquista nuovo carisma,
basti pensare a Twiggy, cui Mary Quant affidò il lancio della minigonna, e che fu una delle
muse predilette da Warhol, Verushka o Donyal Luna, prima modella di colore, che
collaborò con vari creativi e registi, come il nostro Carmelo Bene, con un ruolo importante
nel film "Salomè" del 1972. La moda, a partire dai Sessanta, esce fuori dai confini della
sartoria d'alto rango, o della produzione qualitativa di serie, per focalizzarsi sulla
debordante creatività di alcuni grandi nomi che diventano gradualmente delle star a livello
mondiale, fenomeno che prosegue nel decennio successivo per conoscere l'apice negli
anni Ottanta, nomi talmente celebri che non vale la pena di citarli a mo' di elenco. Da
segnalare una serie di abiti divenuti celebri, ispirati allo stilista francese Yves Saint
Laurent dalle opere di Piet Mondrian.
Il decennio successivo, quello dei Settanta, è, al tempo stesso, pieno di stimoli e di
contraddizioni. Termina l'ondata benefica della ricostruzione post bellica e, per effetto
della crisi petrolifera, l'industria e la produzione entrano in una fase di pesante
recessione. Sono anni di impegno civile, con importanti conquiste di cui ancora oggi si
avvertono i benefici in termini di diritti acquisiti, di tensione politica e sociale con la
strategia della tensione ed il terrorismo, ma anche di creatività soprattutto giovanile. La
moda degli anni '70, fatta di camicioni a colori sgargianti, pantaloni a zampa di elefante,
sandali e gonne indiane e, più in generale, l'infatuazione per l'India e per l'Oriente, trova
forti riscontri nella musica ma pressoche nessuno nell'arte, che in quel decennio vive
l'algido rigore e l'impegno politico del Concettuale.
Discorso tutto diverso per gli anni Ottanta. La conclusione di un periodo storico
precedente, caratterizzato da una massiccia presenza dell'ideologia, e dal predominio del
collettivo rispetto al singolo, determina l'avvento di una fase multidisciplinare di
estroversione creativa e di individualismo sfrenato, caratterizzata da molti aspetti positivi,
nei termini di una liberazione della vocazione artistica e comunicativa e da vari tabù e
dogmi, in realtà eredità concretizzata delle battaglie dei movimenti degli anni Sessanta e
Settanta, e da alcuni controversi, come un certo culto eccessivo dell'immagine, del
denaro e del successo. Sono anni di euforia economica, determinata dall'avvento di
politiche liberiste e dall'inizio di una fase, che perdura ad oggi, dominata dalla finanza. In
Italia è l'epoca del "Made in Italy" e del trionfo dei nostri stilisti, che diventano delle
celebrità mondiali, come Giorgio Armani, Valentino, Krizia, Trussardi, Ferrè, Gianni
Versace e successivamente Moschino e Dolce & Gabbana, per citarne alcuni, senza
dimenticare le shoccanti campagne fotografiche di Oliviero Toscani per Benetton, per
molti direttamente ispirate dal creatore di moda veneto. Ma se si vuole indicare uno
stilista realmente simbolico del rapporto tra arte e moda, questi è certamente Elio
Fiorucci, scomparso circa un anno fa. Fiorucci rappresenta la parte migliore del decennio,
in termini di creatività applicata alla produzione di capi d'abbigliamento innovativi ed al
tempo stesso, alla portata di tutti in termini di possibilità d'acquisto. Lo stilista milanese si
è, fin dagli anni Sessanta, nutrito di ispirazioni provenienti dal mondo dell'avanguardia
artistica, dove avverte la presenza di una tensione creativa e di una capacità di
comunicare che appaiono congeniali alla sua filosofia di vita. Memorabili diverse sue
iniziative nei primi anni Ottanta, come la decorazione affidata a Keith Haring del suo show
room milanese, ed il primo concerto italiano di una ancora sconosciuta Madonna, di cui
Fiorucci, da accorto talent scout, aveva intuito il talento.
La fase successiva, dagli anni Novanta ai giorni nostri, si è giocata prevalentemente
nell'ambito di un eclettismo stilistico affine allo spirito relativistico e citazionista della post
modernità, peraltro già iniziato negli anno Ottanta da un punto di vista formale, anche se,
in quel decennio, si viveva ancora in una dimensione parzialmente proiettata verso il
futuro, dimensione oggi del tutto assente e sostituita, specie dopo il crollo delle Torri
Gemelle del 2001, con conseguente avvento del terrorismo globale, e la crisi economica
del 2008, da una visione d'insieme che non riesce ad andare oltre un raggio breve. La
categoria che potrebbe riassumere questo periodo storico penso possa essere quella del
"Camp". L'estetica Camp, che pare affine ma è in realtà differente rispetto a quella del
kitsch, dove spesso chi produce è convinto della bontà del suo operare, e quindi ricade
nella vasta categoria del "dilettantismo" artistico, parte non da oggi ma dalla fine
dell'Ottocento, da quel Dandysmo di cui Oscar Wilde si può considerare nume tutelare. Il
Camp si consolida, ma non solo, nel mondo omosessuale, peraltro assai vicino alla
sensibilità della moda, e vede la dimensione estetica concepita in primo luogo come
messa in scena ed artificio. Secondo la definizione di Susan Sontag del 1964 : "Camp è
una forma particolare di estetismo. E' un modo di vedere il mondo come fenomeno
estetico. Questo modo, il modo di Camp, non si misura sulla bellezza ma sul grado
di artificio e stilizzazione". A partire dall'Art Nouveau, il Camp si sviluppa in una
dimensione duplice che privilegia sia i soggetti che gli oggetti, in una accezione estetica
che vede la prevalenza dello stile rispetto al contenuto. Metafora che ben si addice alla
scena attuale, sia dell'arte che della moda. L'estetologo Mario Perniola, uno dei più lucidi
osservatori del contemporaneo, nel suo saggio "L'Arte e la sua ombra", pubblicato nel
2000 ma del tutto attuale, si esprime così parlando del realismo estremo : " Nel realismo
estremo due linee di tendenza sono emerse con particolare chiarezza : la prima
orientata verso la moda, la seconda verso la comunicazione. Il realismo estremo ha
prodotto una quantità assai rilevante di immagini dotate di fortissimo impatto
emozionale : esse interagiscono con quelle della moda, del cinema, della
televisione, di internet, della grafica, della pubblicità, del design, dando luogo ad
un immaginario sociale caratterizzato dalla provocazione. La ricerca della novità e
dell'effetto, perseguita per se stessa, implica anche una rapida usura o
obsolescenza delle immagini, che debbono essere continuamente sostituite da
altre di maggior forza d'impatto, oppure di caratteristiche capaci di risvegliare
l'attenzione. L'arte tende così a dissolversi nella moda, la quale ottunde e spegne la
forza del reale, dissolve la sua radicalità, normalizza e omogeneizza ogni cosa in
uno spettacolo generalizzato...Ora l'arte è certamente affine alla moda, perchè
condivide con essa non solo il brivido della novità e della sfida, ma anche
l'ebbrezza che deriva dal sentirsi in presa diretta con lo spirito del tempo; tuttavia
essa non è mai attuale nel senso in cui è la moda, cioè sociologicamente
dominante."
Edoardo Di Mauro
19
ottobre 2016
BAM Piemonte Project 7: MODO. La moda nell’arte, l’arte nella moda
Dal 19 ottobre al 05 dicembre 2016
design
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
FONDERIE TEATRALI LIMONE
Moncalieri, Via Pastrengo, 88, (Torino)
Moncalieri, Via Pastrengo, 88, (Torino)
Vernissage
19 Ottobre 2016, h 17.30
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