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Bartolomeo Gatto – Il Cappello a Tre Punte
Le sale della struttura salernitana conducono lo spettatore in un viaggio pluridimensionale dove i suoni ed i colori si fondono, dove l’arte diventa informazione e denuncia, dove lo scopo dichiarato è quello di scuotere le coscienze su di un tema fondamentale come quello della pace
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Il Complesso monumentale di Santa Sofia a Salerno ospita la rassegna “il Cappello a Tre Punte” di Bartolomeo Gatto.
Le sale della struttura salernitana conducono lo spettatore in un viaggio pluridimensionale dove i suoni ed i colori si fondono, dove l’arte diventa informazione e denuncia, dove lo scopo dichiarato è quello di scuotere le coscienze su di un tema fondamentale come quello della pace.
Personaggi della politica, dell’informazione, i “grandi” della Terra, danzano sulle note de “Il Cappello a Tre Punte” di Manuel De Falla con indosso gli abiti che Pablo Picasso aveva disegnato per la prima della compagnia Ballet Russes a Londra nel 1919.
Londra, in quel periodo, era l’unico posto d’Europa dove era consentito agli artisti di fare arte: la Rivoluzione d’Ottobre ad Est e la Grande Guerra ad Ovest avevano reso i teatri da Mosca a Lisbona impraticabili per la compagnia di ballo di San Pietroburgo.
Ed è proprio la guerra il tema della mostra. La guerra, le sue vicende, i suoi tragici risvolti.
Abu Grahib è uno degli agghiaccianti simboli della guerra, con gli orrori delle torture ai prigionieri, ma anche testimonianza dei nostri tempi. Abu Grahib è il simbolo della sconfitta dell’umanità solo perché improvvisamente ne vengono diffuse le immagini attraverso i circuiti formali ed informali della comunicazione globale. Nasce così la critica all’informazione, a tutto ciò che diventa verità nel momento in cui ci viene presentato dai media. Sarà poi tutto vero o tutto falso?
La storia ha un inizio certo, l’11 settembre. Tutti i personaggi del balletto di Bartolomeo Gatto si contendono il cappello a tre punte che rappresenta il simbolo del potere.
Per Gatto la guerra è un continuo citarsi e non esiste una guerra nuova del tutto, siamo sempre stati in guerra che sia stata Grande Guerra, guerra fredda o guerra di “esportazione della democrazia”. Cambiano solo gli interpreti.
Ed eccoli, i potenti della terra, che Bartolomeo Gatto raffigura in chiave ironica e dissacrante alla ricerca del “cappello a tre punte”: George W. Bush, Colin Powell, Condoleezza Rice, Tony Blair, Vladimir Putin, Papa Giovanni Paolo II, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Attorno a questi interpreti principali Gatto fa danzare anche alcuni comprimari come Bruno Vespa, Alessandra Mussolini, Piero Fassino Fausto Bertinotti.
Una seconda sezione della rassegna ospita le opere che riguardano le immagini violente e feroci che Bartolomeo Gatto propone per farci riflettere e commuovere.
Il catalogo, con la prefazione del presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, del sindaco di Salerno Mario De Biase e dell’Assessore alle Politiche Culturali Ermanno Guerra, racchiude le opere esposte e contiene un racconto “onirico” di Bartolomeo Gatto che si rivolge al Presidente degli Stati Uniti quale unico artefice delle sorti del mondo.
L’energia e la passione che di Bartolomeo Gatto ha profuso nel realizzare la mostra si sono tradotte in un impegno concreto per un progetto di pace: l’intero ricavato della vendita del catalogo “Il cappello a tre punte” è devoluto ad Emergency.
www.ilcappelloatrepunte.com (0039) 089 796850 – 089 225464
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Le ballet. Oh, le ballet!!!
E’ un girotondo terrestre, un saggio di danza improvvisato o un balletto globale già messo a punto nei minimi passi? Non si capisce se i personaggi recitino un ruolo prestabilito, fingendo l’improvvisazione, o mettono davvero qualcosa della loro inventiva e creatività.
Da ragazzo mi capitò tre le mani un libricino con i costumi che Picasso aveva disegnato nel 1919 per la prima del balletto di De Falla, The three-cornered hat. Quei disegni negli anni della mia formazione esercitavano su di me un effetto intrigante. Spesso mi divertivo ad animarli.
Diverse volte ho dato a questi costumi le facce dei più grandi e buffi compaesani e dei miei amici. Quante volte li ho immaginati inseguire Le tricorne, simbolo del potere. Ora mi eccita l’idea di dare a questi costumi una nuova vitalità: è il momento storico che me lo chiede. Penso non vi siano costumi più idonei per una così nobile performance.
Il sipario è ancora chiuso e tutto inizia con uno squillo di tromba. Si avverte nell’arena la presenza del torero. Un ripetersi ossessivo di olé e un battere di mani ritmato fanno presagire l’evento: due aerei di linea si schiantano sulle torri del potere. E’ un atto di una crudeltà barbara, di una malvagità inaudita. Il mondo è attonito, incredulo: può succedere di tutto.
Quello che realmente accade?
Seguiamo la trama del cappello a tre punte. Il Potere che prevarica, il Potere che risponde alla violenza con la violenza e si avviluppa su se stesso senza via di uscita. Il sipario si apre sulla casa di Miller: Miller tenta di insegnare ad un uccellino il suono dell’orologio di casa. Arriva sua moglie, ballano e tornano al lavoro. I due sono una coppia felice, ma la bellezza della moglie di Miller desta l’interesse del Corregidor, un vecchio magistrato. E’ sera di festa. I due si divertono a casa ballando con i vicini un ritmo sfrenato di seguidilla. Al termine della festa bussa alla porta un manipolo di uomini inviati dal Corregidor per arrestare Miller con accuse non specificate. Il piano del Corregidor è chiaro. Adesso che Miller non c’è più (il Dittatore è perito) potrà insidiare sua moglie.
Il Corregidor danza di piacere fuori dalla casa dei giovani. La moglie di Miller sente gli schiamazzi ed esce su strada per investigare e si trova incidentalmente tra le braccia del Corregidor.
Ed ecco la commedia degli equivoci: il Corregidor vestito da Miller finisce in prigione e Miller evade dalla prigione vestito da Corregidor. Come in tutte le favole un finale felice.
E la nostra storia?
Gli interpreti sono i “grandi” che gestiscono l’informazione, il Potere. Tutti danzano intorno al cappello a tre punte e ciascuno di loro potrebbe lottare per un mondo migliore.
Chi è il Corregidor e chi è il Miller?
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Il cappello a tre punte, the three-cornered hat, le tricorne, el sombrero de tre picos
Note storiche di un balletto girovago
Serge Diaghilev, impresario del Ballet Russes di San Pietroburgo mise in scena The three-cornered hat il 22 luglio del 1919 all’Alhambra Teatre di Londra.
L’opera è tratta da un vecchio racconto popolare spagnolo. I suoi personaggi principali sono Miller, sua moglie e il Corregidor, un magistrato provinciale il cui cappello a tre punte rappresenta il potere oscuro della borghesia.
La rappresentazione all’Alhambra fu un momento esaltante, ma gli spettatori e gli attori in quella sera d’estate forse non capirono che Le tricorne sarebbe stata una pietra miliare del balletto.
La storia ebbe inizio nel 1917 quando la devastazione della Grande Guerra rese poco sicuri gli spostamenti e incerti gli ingaggi in gran parte d’Europa. Serge Diaghilev, con la sua compagnia, si rifugiò in Spagna dove iniziò una tourné fra le maggiori città.
Si fermò a Siviglia e poi a Granata dove, quando il tempo lo permetteva, andava a guardare il Flamenco che si ballava nei quartieri gitani di Albacin. Lì incontrò Felix Fernandex Garcia il più elegante e dotato di tutti i ballerini del luogo: ingaggiò Garcia che insegnò a Massine l’arte del flamenco.
Diaghilev e Massine conoscono il musicista Manuel De Falla che aveva scritto un accompagnamento musicale per un atto unico di Gregorio Martinez Sierra “El correyador j la molinera” ispirata alla storia classica de El sombrero de tre picos di Pedro Antonio de Alarcon. Diaghilev fu entusiasta e chiese a De Falla di farne un balletto completo.
Il gruppo composto da Diaghilev, De Falla, Massine e Felix si incamminò in una nuova tourné spagnola durante la quale toccarono Toledo, Salamanca, Bruges, Saragozza, Cordova, Siviglia e Granata.
Felix, entusiasta di incontrare amici ballerini, organizzò incontri dove i suoi compagni di viaggio potessero osservare e studiare la jota, la verruca, il fandango, il flamenco e la sevilliana che poi sarebbero state incluse nel Tricorne.
Al gruppo fu vietato di lavorare in Spagna ed in seguito nel Portogallo dove la situazione economica era drammatica. Oltre alla Grande Guerra c’era il problema della Rivoluzione d’Ottobre per tutta la Compagnia che non poteva tornare a casa. Si trasferirono a Londra dove ebbero un ingaggio in un piccolo teatro il Coliseum e dopo poco un contratto per otto settimane all’Alhambra. Questi venti di guerra fecero ritrovare tutti i protagonisti del Tricorne a Londra dove iniziarono i preparativi per il Balletto.
Pablo Picasso con la nuova moglie Olga Koklolova alloggiava all’hotel Savoy. De Falla arrivò con le partiture complete e Diaghilev si aspettava che dirigesse la prima.
La ballerina Karsavina, scappata dalla Russia, studiava il ruolo della protagonista.
Felix fu l’unico che non resse al ritmo del lavoro, gli fu tolto il ruolo di primo ballerino; errabondo una notte ruppe le vetrate di una chiesa e fu trovato a danzare in prossimità dell’altare seminudo. Fu arrestato e messo in prigione per infermità mentale.
Secondo lo storico dell’arte Douglas Cooper Picasso fu freneticamente impegnato quasi come fosse il protagonista. Provò almeno venti modi diversi di preparare il palco.
Picasso disegnò i costumi con gravità e gaiezza, caratteristiche del vestire andaluso, usando tinte brillanti in contrasto con i neri e poi grandi bande colorate ed arabesche.
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Caro Presidente George W. Bush,
mi chiamo Bartolomeo Gatto, sono pittore e scultore italiano, gli amici mi chiamano Romeo. Non sono stato unto dal Signore, ma qualcuno, per prendersi gioco di me, mi chiama San Francesco. Ascolto il vento, gli animali, amo la natura e a volte riesco a mettermi in sintonia con le pietre: le rocce sono la mia passione. Sono l’ultimo di quattro fratelli. Nella mia infanzia giocavo molto, giocavo con i miei fratelli e i miei amici. Ricordo le case del paese sempre aperte. Ero povero: nella mente ho impresse tutte le pietre che pavimentavano i vicoli perché li percorrevo scalzo, ma posso dire che ero felice.
Nei primi anni della mia esistenza soffrivo del ricordo della guerra: spesso i miei giochi venivano interrotti da immagini di persone scomparse nel nulla, incontravo uomini feriti e sofferenti, matti divenuti tali a causa degli effetti collaterali del conflitto che coinvolse il nostro Paese nel 1945.
E quando, a fatica si conquistò la pace in Italia, sognavo un mondo di uomini grandi, intelligenti, colti che avrebbero agito nell’interesse di tutta l’umanità.
Avevo fiducia: la scienza e la cultura erano tali da poter pensare che non vi sarebbero state altre guerre. Gli uomini di tutti i popoli sapevano parlare, studiare, comunicare. Credevo non sarebbe stato necessario usare la forza per conquistare un popolo, un territorio, per impadronirsi di pozzi petroliferi. Francamente ancora oggi penso che questo sia possibile, ma ho il triste presentimento che quando avverrà saremo prossimi alla fine.
…
Sono le ore 9 e 15, il sole si alza nel cielo e incomincia a scaldare l’aria. Osservo da lontano la signora Cindy che lentamente cammina sul prato. E’ imbronciata, determinata, ma consapevole, dignitosa.
Mentre mi avvicino verso di lei per salutarla due marines in tenuta scura mi affiancano e mi trascinano di peso su una mostruosa Jeep. “Cosa volete da me? State commettendo un errore, un pazzo errore!” Dico preoccupato e sconvolto, ma capisco che non ho i mezzi e la mole per oppormi. Entriamo nel ranch di Bush e percorriamo un viale alberato, bellissimo, interminabile. In fondo c’è una grande villa e un capannello di persone che prima ci ignorano e poi, quando siamo più vicini, si girano verso di noi. Un tipo muscoloso alto un paio di metri si avvicina, mi fissa negli occhi con aria minacciosa: “Lei è un sabotatore, un istigatore”.
Riesco a riordinare qualche pensiero, ma non mi vengono parole.
…
Sono tramortito, cerco di raccogliere le mie ossa e i miei pensieri quando, a meno di un metro di distanza da me, seduto su un sasso, vedo il Presidente. Non sono sorpreso né preoccupato. Siamo solo io e lui: George è stanco e sconsolato per via dei risultati di un sondaggio assai deludente.
…
Il miracolo americano
La stessa mattina chiama a raccolta i suoi fedelissimi e dichiara in modo netto e sicuro: “Da oggi non vi saranno più guerre sul pianeta. Accendiamo un nuovo livello di cooperazione tra i popoli. Non vi saranno più prevaricazioni. Si elimini la pena di morte”.
George ha capito che la metà degli esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno e fa qualcosa per loro. Sa che il riscaldamento globale del pianeta è eccessivo. I suoi amici armatori produrranno alte tecnologie pulite.
Vede gli argini dei fiumi e spesso quelli dei mari che cedono. Interviene prima che avvengano tristi conseguenze.
…
Ed infine dice: “La ricerca e la cultura sono le mie priorità”. George tocca e fa fiorire le arti, il cinema, l’architettura, la musica. Mille violini suonano da lontano una melodia estasiante…
I campi degli sport gli vengono incontro e mostrano tutte le virtù che egli non conosceva. Incomincia a correre e fa salti di gioia. Corre e gioca con i ragazzi; li guarda negli occhi come non aveva mai fatto.
BIOGRAFIA
Bartolomeo Gatto nasce il 25 Agosto 1938 a Moio della Civitella (Salerno), Si diploma. all’Istituto d’Arte Superiore di Roma. Segue corsi di scenografia interessandosi al cinema e al teatro. Nel 1957 partecipa al film "La sete" con la regia di Adriano Cavallo e presenta un spettacolo per il quale firma la scenografia e la regia.
Completa la sua formazione a Londra, a Francoforte, a Venezia poi a Milano dove frequenta l’accademia.
Nel 1968 da’ vita alla galleria "Il Cigno" in via Manzoni a Milano che sarà punto di riferimento e incontri fino al 1978. Le sue personali fanno il giro di tutta Europa, a Bruxelles vince il premio "Les Artes en Europe”.
Nel 1978 compie un viaggio in Sardegna e subisce il fascino di quella terra. Scoprirà gli orizzonti, i colori, ma soprattutto cerca di penetrare nel mistero delle rocce dando vita alla ricerca sulle "Pietre Amanti". Mostre personali si susseguono in spazi pubblici e privati, vengono pubblicati due volumi monografici con testi di Everardo Dalla Noce e di Pierre Restany.
Nel 1992 realizza uno studio laboratorio a Giovi Altimari, sulle colline Salernitane, dove plasma grandi sculture in pietra e in radici di ulivo mentre la ricerca pittorica si spinge alla creazione di grandi tele monocrome.
Dal 1994 collabora costantemente con mercanti americani e realizza le opere in pietra installate negli spazi pubblici.
Le sale della struttura salernitana conducono lo spettatore in un viaggio pluridimensionale dove i suoni ed i colori si fondono, dove l’arte diventa informazione e denuncia, dove lo scopo dichiarato è quello di scuotere le coscienze su di un tema fondamentale come quello della pace.
Personaggi della politica, dell’informazione, i “grandi” della Terra, danzano sulle note de “Il Cappello a Tre Punte” di Manuel De Falla con indosso gli abiti che Pablo Picasso aveva disegnato per la prima della compagnia Ballet Russes a Londra nel 1919.
Londra, in quel periodo, era l’unico posto d’Europa dove era consentito agli artisti di fare arte: la Rivoluzione d’Ottobre ad Est e la Grande Guerra ad Ovest avevano reso i teatri da Mosca a Lisbona impraticabili per la compagnia di ballo di San Pietroburgo.
Ed è proprio la guerra il tema della mostra. La guerra, le sue vicende, i suoi tragici risvolti.
Abu Grahib è uno degli agghiaccianti simboli della guerra, con gli orrori delle torture ai prigionieri, ma anche testimonianza dei nostri tempi. Abu Grahib è il simbolo della sconfitta dell’umanità solo perché improvvisamente ne vengono diffuse le immagini attraverso i circuiti formali ed informali della comunicazione globale. Nasce così la critica all’informazione, a tutto ciò che diventa verità nel momento in cui ci viene presentato dai media. Sarà poi tutto vero o tutto falso?
La storia ha un inizio certo, l’11 settembre. Tutti i personaggi del balletto di Bartolomeo Gatto si contendono il cappello a tre punte che rappresenta il simbolo del potere.
Per Gatto la guerra è un continuo citarsi e non esiste una guerra nuova del tutto, siamo sempre stati in guerra che sia stata Grande Guerra, guerra fredda o guerra di “esportazione della democrazia”. Cambiano solo gli interpreti.
Ed eccoli, i potenti della terra, che Bartolomeo Gatto raffigura in chiave ironica e dissacrante alla ricerca del “cappello a tre punte”: George W. Bush, Colin Powell, Condoleezza Rice, Tony Blair, Vladimir Putin, Papa Giovanni Paolo II, Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Attorno a questi interpreti principali Gatto fa danzare anche alcuni comprimari come Bruno Vespa, Alessandra Mussolini, Piero Fassino Fausto Bertinotti.
Una seconda sezione della rassegna ospita le opere che riguardano le immagini violente e feroci che Bartolomeo Gatto propone per farci riflettere e commuovere.
Il catalogo, con la prefazione del presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, del sindaco di Salerno Mario De Biase e dell’Assessore alle Politiche Culturali Ermanno Guerra, racchiude le opere esposte e contiene un racconto “onirico” di Bartolomeo Gatto che si rivolge al Presidente degli Stati Uniti quale unico artefice delle sorti del mondo.
L’energia e la passione che di Bartolomeo Gatto ha profuso nel realizzare la mostra si sono tradotte in un impegno concreto per un progetto di pace: l’intero ricavato della vendita del catalogo “Il cappello a tre punte” è devoluto ad Emergency.
www.ilcappelloatrepunte.com (0039) 089 796850 – 089 225464
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Le ballet. Oh, le ballet!!!
E’ un girotondo terrestre, un saggio di danza improvvisato o un balletto globale già messo a punto nei minimi passi? Non si capisce se i personaggi recitino un ruolo prestabilito, fingendo l’improvvisazione, o mettono davvero qualcosa della loro inventiva e creatività.
Da ragazzo mi capitò tre le mani un libricino con i costumi che Picasso aveva disegnato nel 1919 per la prima del balletto di De Falla, The three-cornered hat. Quei disegni negli anni della mia formazione esercitavano su di me un effetto intrigante. Spesso mi divertivo ad animarli.
Diverse volte ho dato a questi costumi le facce dei più grandi e buffi compaesani e dei miei amici. Quante volte li ho immaginati inseguire Le tricorne, simbolo del potere. Ora mi eccita l’idea di dare a questi costumi una nuova vitalità: è il momento storico che me lo chiede. Penso non vi siano costumi più idonei per una così nobile performance.
Il sipario è ancora chiuso e tutto inizia con uno squillo di tromba. Si avverte nell’arena la presenza del torero. Un ripetersi ossessivo di olé e un battere di mani ritmato fanno presagire l’evento: due aerei di linea si schiantano sulle torri del potere. E’ un atto di una crudeltà barbara, di una malvagità inaudita. Il mondo è attonito, incredulo: può succedere di tutto.
Quello che realmente accade?
Seguiamo la trama del cappello a tre punte. Il Potere che prevarica, il Potere che risponde alla violenza con la violenza e si avviluppa su se stesso senza via di uscita. Il sipario si apre sulla casa di Miller: Miller tenta di insegnare ad un uccellino il suono dell’orologio di casa. Arriva sua moglie, ballano e tornano al lavoro. I due sono una coppia felice, ma la bellezza della moglie di Miller desta l’interesse del Corregidor, un vecchio magistrato. E’ sera di festa. I due si divertono a casa ballando con i vicini un ritmo sfrenato di seguidilla. Al termine della festa bussa alla porta un manipolo di uomini inviati dal Corregidor per arrestare Miller con accuse non specificate. Il piano del Corregidor è chiaro. Adesso che Miller non c’è più (il Dittatore è perito) potrà insidiare sua moglie.
Il Corregidor danza di piacere fuori dalla casa dei giovani. La moglie di Miller sente gli schiamazzi ed esce su strada per investigare e si trova incidentalmente tra le braccia del Corregidor.
Ed ecco la commedia degli equivoci: il Corregidor vestito da Miller finisce in prigione e Miller evade dalla prigione vestito da Corregidor. Come in tutte le favole un finale felice.
E la nostra storia?
Gli interpreti sono i “grandi” che gestiscono l’informazione, il Potere. Tutti danzano intorno al cappello a tre punte e ciascuno di loro potrebbe lottare per un mondo migliore.
Chi è il Corregidor e chi è il Miller?
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Il cappello a tre punte, the three-cornered hat, le tricorne, el sombrero de tre picos
Note storiche di un balletto girovago
Serge Diaghilev, impresario del Ballet Russes di San Pietroburgo mise in scena The three-cornered hat il 22 luglio del 1919 all’Alhambra Teatre di Londra.
L’opera è tratta da un vecchio racconto popolare spagnolo. I suoi personaggi principali sono Miller, sua moglie e il Corregidor, un magistrato provinciale il cui cappello a tre punte rappresenta il potere oscuro della borghesia.
La rappresentazione all’Alhambra fu un momento esaltante, ma gli spettatori e gli attori in quella sera d’estate forse non capirono che Le tricorne sarebbe stata una pietra miliare del balletto.
La storia ebbe inizio nel 1917 quando la devastazione della Grande Guerra rese poco sicuri gli spostamenti e incerti gli ingaggi in gran parte d’Europa. Serge Diaghilev, con la sua compagnia, si rifugiò in Spagna dove iniziò una tourné fra le maggiori città.
Si fermò a Siviglia e poi a Granata dove, quando il tempo lo permetteva, andava a guardare il Flamenco che si ballava nei quartieri gitani di Albacin. Lì incontrò Felix Fernandex Garcia il più elegante e dotato di tutti i ballerini del luogo: ingaggiò Garcia che insegnò a Massine l’arte del flamenco.
Diaghilev e Massine conoscono il musicista Manuel De Falla che aveva scritto un accompagnamento musicale per un atto unico di Gregorio Martinez Sierra “El correyador j la molinera” ispirata alla storia classica de El sombrero de tre picos di Pedro Antonio de Alarcon. Diaghilev fu entusiasta e chiese a De Falla di farne un balletto completo.
Il gruppo composto da Diaghilev, De Falla, Massine e Felix si incamminò in una nuova tourné spagnola durante la quale toccarono Toledo, Salamanca, Bruges, Saragozza, Cordova, Siviglia e Granata.
Felix, entusiasta di incontrare amici ballerini, organizzò incontri dove i suoi compagni di viaggio potessero osservare e studiare la jota, la verruca, il fandango, il flamenco e la sevilliana che poi sarebbero state incluse nel Tricorne.
Al gruppo fu vietato di lavorare in Spagna ed in seguito nel Portogallo dove la situazione economica era drammatica. Oltre alla Grande Guerra c’era il problema della Rivoluzione d’Ottobre per tutta la Compagnia che non poteva tornare a casa. Si trasferirono a Londra dove ebbero un ingaggio in un piccolo teatro il Coliseum e dopo poco un contratto per otto settimane all’Alhambra. Questi venti di guerra fecero ritrovare tutti i protagonisti del Tricorne a Londra dove iniziarono i preparativi per il Balletto.
Pablo Picasso con la nuova moglie Olga Koklolova alloggiava all’hotel Savoy. De Falla arrivò con le partiture complete e Diaghilev si aspettava che dirigesse la prima.
La ballerina Karsavina, scappata dalla Russia, studiava il ruolo della protagonista.
Felix fu l’unico che non resse al ritmo del lavoro, gli fu tolto il ruolo di primo ballerino; errabondo una notte ruppe le vetrate di una chiesa e fu trovato a danzare in prossimità dell’altare seminudo. Fu arrestato e messo in prigione per infermità mentale.
Secondo lo storico dell’arte Douglas Cooper Picasso fu freneticamente impegnato quasi come fosse il protagonista. Provò almeno venti modi diversi di preparare il palco.
Picasso disegnò i costumi con gravità e gaiezza, caratteristiche del vestire andaluso, usando tinte brillanti in contrasto con i neri e poi grandi bande colorate ed arabesche.
Tratto dal libro «Il cappello a tre punte» di Bartolomeo Gatto
Caro Presidente George W. Bush,
mi chiamo Bartolomeo Gatto, sono pittore e scultore italiano, gli amici mi chiamano Romeo. Non sono stato unto dal Signore, ma qualcuno, per prendersi gioco di me, mi chiama San Francesco. Ascolto il vento, gli animali, amo la natura e a volte riesco a mettermi in sintonia con le pietre: le rocce sono la mia passione. Sono l’ultimo di quattro fratelli. Nella mia infanzia giocavo molto, giocavo con i miei fratelli e i miei amici. Ricordo le case del paese sempre aperte. Ero povero: nella mente ho impresse tutte le pietre che pavimentavano i vicoli perché li percorrevo scalzo, ma posso dire che ero felice.
Nei primi anni della mia esistenza soffrivo del ricordo della guerra: spesso i miei giochi venivano interrotti da immagini di persone scomparse nel nulla, incontravo uomini feriti e sofferenti, matti divenuti tali a causa degli effetti collaterali del conflitto che coinvolse il nostro Paese nel 1945.
E quando, a fatica si conquistò la pace in Italia, sognavo un mondo di uomini grandi, intelligenti, colti che avrebbero agito nell’interesse di tutta l’umanità.
Avevo fiducia: la scienza e la cultura erano tali da poter pensare che non vi sarebbero state altre guerre. Gli uomini di tutti i popoli sapevano parlare, studiare, comunicare. Credevo non sarebbe stato necessario usare la forza per conquistare un popolo, un territorio, per impadronirsi di pozzi petroliferi. Francamente ancora oggi penso che questo sia possibile, ma ho il triste presentimento che quando avverrà saremo prossimi alla fine.
…
Sono le ore 9 e 15, il sole si alza nel cielo e incomincia a scaldare l’aria. Osservo da lontano la signora Cindy che lentamente cammina sul prato. E’ imbronciata, determinata, ma consapevole, dignitosa.
Mentre mi avvicino verso di lei per salutarla due marines in tenuta scura mi affiancano e mi trascinano di peso su una mostruosa Jeep. “Cosa volete da me? State commettendo un errore, un pazzo errore!” Dico preoccupato e sconvolto, ma capisco che non ho i mezzi e la mole per oppormi. Entriamo nel ranch di Bush e percorriamo un viale alberato, bellissimo, interminabile. In fondo c’è una grande villa e un capannello di persone che prima ci ignorano e poi, quando siamo più vicini, si girano verso di noi. Un tipo muscoloso alto un paio di metri si avvicina, mi fissa negli occhi con aria minacciosa: “Lei è un sabotatore, un istigatore”.
Riesco a riordinare qualche pensiero, ma non mi vengono parole.
…
Sono tramortito, cerco di raccogliere le mie ossa e i miei pensieri quando, a meno di un metro di distanza da me, seduto su un sasso, vedo il Presidente. Non sono sorpreso né preoccupato. Siamo solo io e lui: George è stanco e sconsolato per via dei risultati di un sondaggio assai deludente.
…
Il miracolo americano
La stessa mattina chiama a raccolta i suoi fedelissimi e dichiara in modo netto e sicuro: “Da oggi non vi saranno più guerre sul pianeta. Accendiamo un nuovo livello di cooperazione tra i popoli. Non vi saranno più prevaricazioni. Si elimini la pena di morte”.
George ha capito che la metà degli esseri umani vivono con meno di due dollari al giorno e fa qualcosa per loro. Sa che il riscaldamento globale del pianeta è eccessivo. I suoi amici armatori produrranno alte tecnologie pulite.
Vede gli argini dei fiumi e spesso quelli dei mari che cedono. Interviene prima che avvengano tristi conseguenze.
…
Ed infine dice: “La ricerca e la cultura sono le mie priorità”. George tocca e fa fiorire le arti, il cinema, l’architettura, la musica. Mille violini suonano da lontano una melodia estasiante…
I campi degli sport gli vengono incontro e mostrano tutte le virtù che egli non conosceva. Incomincia a correre e fa salti di gioia. Corre e gioca con i ragazzi; li guarda negli occhi come non aveva mai fatto.
BIOGRAFIA
Bartolomeo Gatto nasce il 25 Agosto 1938 a Moio della Civitella (Salerno), Si diploma. all’Istituto d’Arte Superiore di Roma. Segue corsi di scenografia interessandosi al cinema e al teatro. Nel 1957 partecipa al film "La sete" con la regia di Adriano Cavallo e presenta un spettacolo per il quale firma la scenografia e la regia.
Completa la sua formazione a Londra, a Francoforte, a Venezia poi a Milano dove frequenta l’accademia.
Nel 1968 da’ vita alla galleria "Il Cigno" in via Manzoni a Milano che sarà punto di riferimento e incontri fino al 1978. Le sue personali fanno il giro di tutta Europa, a Bruxelles vince il premio "Les Artes en Europe”.
Nel 1978 compie un viaggio in Sardegna e subisce il fascino di quella terra. Scoprirà gli orizzonti, i colori, ma soprattutto cerca di penetrare nel mistero delle rocce dando vita alla ricerca sulle "Pietre Amanti". Mostre personali si susseguono in spazi pubblici e privati, vengono pubblicati due volumi monografici con testi di Everardo Dalla Noce e di Pierre Restany.
Nel 1992 realizza uno studio laboratorio a Giovi Altimari, sulle colline Salernitane, dove plasma grandi sculture in pietra e in radici di ulivo mentre la ricerca pittorica si spinge alla creazione di grandi tele monocrome.
Dal 1994 collabora costantemente con mercanti americani e realizza le opere in pietra installate negli spazi pubblici.
08
maggio 2006
Bartolomeo Gatto – Il Cappello a Tre Punte
Dall'otto maggio all'undici giugno 2006
arte contemporanea
Location
COMPLESSO DI SANTA SOFIA
Salerno, Largo Abate Conforti, (Salerno)
Salerno, Largo Abate Conforti, (Salerno)
Orario di apertura
lun,mar,mer,gio,ven 10,30-13,00 16,30-20,00
Sabato e domenica e festivi 10,30-13,00 16,30-22,00
Vernissage
8 Maggio 2006, ore 18,30
Sito web
www.ilcappelloatrepunte.com
Autore