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Battaglia | Metinides | Odermatt – Background Story
Intitolata Background Story e curata da Sarah Cosulich Canarutto, la mostra riflette sul tema della tragedia attraverso tre visioni e tre diversi modi di costruirla, svelarla o estetizzarla.
L’esposizione propone una selezione di circa 40 opere.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Cardi Black Box, giunta alla sua quarta esposizione dall’apertura avvenuta lo scorso febbraio, prosegue il proprio programma di attività e presenta una mostra collettiva dedicata al lavoro di tre grandi fotografi: Letizia Battaglia, Enrique Metinides e Arnold Odermatt.
Intitolata Background Story e curata da Sarah Cosulich Canarutto, la mostra riflette sul tema della tragedia attraverso tre visioni e tre diversi modi di costruirla, svelarla o estetizzarla.
L’esposizione propone una selezione di circa 40 opere e sarà aperta al pubblico da venerdì 11 settembre a sabato 17 ottobre 2009.
I tre artisti in mostra appartengono alla generazione dei fotografi "storici", per una mostra che racconta il quotidiano attraverso una molteplicità di piccoli e grandi drammi; storie spesso tragiche che, per quanto vicine alla nostra quotidianità o parte dell’immaginario che la caratterizza, finiscono a rimanere rumore di sottofondo della nostra esistenza.
Enrique Metinides (1934), artista messicano, ha lavorato per anni come fotoreporter, catturando immagini molto forti di crimini, delitti e incidenti a Città del Messico. Letizia Battaglia (1935), giornalista e fotoreporter di Palermo, ha raccontato i delitti di mafia nella sua città con scatti tragici, coinvolgenti e carichi di umanità. Arnold Odermatt (1925), fotografo elvetico, ex luogotenente della polizia, nella sua carriera ha saputo interpretare da un punto di vista che coniuga insieme lirismo, senso per la cronaca e per l’immagine, gli incidenti stradali che capovolgevano improvvisamente l'ordine della periferia svizzera.
Dalla trasformazione della tragedia in icona negli scatti di Metinides o dall'estetizzazione dell'incidente di Odermatt, alla carica emotiva e personale nelle immagini di Letizia Battaglia, questa collettiva racconta lo sfondo inteso come inevitabilità del percorso umano: è una mostra che parla dell'ordine del caos, del disordine del destino, ma anche della bellezza della tragedia e delle implicazioni che la sua rappresentazione ha sul nostro modo di interpretarla. È una mostra che seduce lo spettatore attraverso il dramma, provocandogli molti interrogativi. Il disastro ma, in modo implicito, anche gli attimi precedenti ad esso, stimolano una riflessione sul rapporto tra storia e individuo, tra inevitabilità, fato e intervento umano.
Morte, tragedia, sangue non sono mai fine a se stessi. Non si tratta di una mostra sensazionalista ma del tentativo di capire perché queste fotografie ci toccano particolarmente e, nel caso di Odermatt, ci stimolano quasi un senso di nostalgia positiva per un passato che vive la sventura con una calma e un ordine assoluti. Il tempo, la distanza tra spettatore ed evento, il modo in cui la composizione trasforma la lettura dell’accaduto divengono caratteristiche fondamentali di questa esposizione, molto più della durezza e della violenza delle immagini che, alla fine, non è poi tanto diversa da alcuni lavori di Tiepolo, Rembrandt, Caravaggio, Goya, solo per nominarne alcuni.
Quando la discussione sul rapporto tra arte e bellezza sembra essere più che mai attuale, questa mostra risponde estetizzando la morte, la tragedia e il caos: capovolge lo stereotipo per dimostrare ancora una volta che in presenza dell’arte ogni equazione non ha più senso.
Per Cardi Black Box si tratta del primo progetto espositivo tout court: a differenza delle mostre precedenti, con cui la Galleria ha presentato per la prima volta al pubblico italiano ed europeo lavori di giovani artisti emergenti, con Background Story Cardi Black Box propone attraverso un progetto curatoriale inedito lavori storici di grandi maestri dell’obiettivo, attivi già dagli anni Sessanta.
Questa mostra sottolinea l’impegno museale e di ricerca di Cardi Black Box, galleria impegnata nella valorizzazione e divulgazione di percorsi artistici eterogenei attraverso un programma scientifico sensibile sia agli sviluppi della storia dell’arte che ai temi che caratterizzano il nostro presente.
Gli artisti
Letizia Battaglia
1935, Palermo. Vive e lavora a Palermo.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Fotoreporter coraggiosa e impegnata, giornalista appassionata, editrice e scrittrice ambientalista, consigliere e assessore comunale: Letizia Battaglia, fin dagli anni Settanta, ha rappresentato una figura di artista e intellettuale versatile e complessa. Le origini palermitane, nelle ferite più profonde del Sud Italia, hanno irrimediabilmente segnato la sua attività fotografica, portandola a documentare con sensibilità e passione il dolore quotidiano della vita pubblica della sua Sicilia. Nel corso degli anni, l'obiettivo di Letizia Battaglia si è spinto a immortalare la violenza degli omicidi mafiosi e la ferocia della miseria urbana, riscattate al contempo dalla dignità dei cittadini onesti. Dai suoi scatti in bianco e nero traspare uno straordinario impegno civile e documentario, un desiderio di giustizia e di libertà sociale che si traducono in una coraggiosa e continua sfida al potere violento della mafia.
Palermo, 5 settembre 1979. Il Giudice Cesare Terranova, comunista del Pci, membro del Parlamento nazionale, membro della Commissione antimafia, è appena stato ucciso insieme col suo autista Lenin Mancuso. Il suo nemico mortale era il mafioso Luciano Liggio di Corleone. Courtesy l’artista.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Letizia Battaglia, per raggiungere la straordinaria immediatezza dei suoi scatti, rischia infatti la propria incolumità nell’avvicinarsi ai soggetti e nel ritrarre ambienti domestici sconvolti dalla crudezza delle esecuzioni mafiose. Un approccio artistico che va oltre la mera documentazione di un evento, ma diventa impegno civile reale e consolidato; le sue fotografie sono momenti etici entrati a far parte della memoria storica del nostro Paese, facendosi addirittura prezioso documento processuale (sono suoi gli scatti acquisiti agli atti del processo Andreotti, che ritraggono il senatore a vita all'Hotel Zagarella in compagnia dei cugini Salvo, esattori mafiosi). Violenza, ferocia e desiderio di documentazione lasciano sempre trasparire la dignità di una popolazione ferita e inerme, mescolandosi in scatti di straordinaria potenza comunicativa.
Paradossalmente meno conosciuta nel nostro Paese, Letizia Battaglia ha ottenuto negli ultimi anni un eccezionale riconoscimento all'estero, consacrato dall'assegnazione di numerosi premi. Tra questi, l'Eugene Smith nel 1985 (è la prima donna europea a riceverlo), il Mother Johnson Achievement for Life nel 1999, e recentemente il prestigioso Cornell Capa, assegnatole lo scorso maggio a New York. In programma per lei anche mostre ad Amsterdam e a Norimberga. Attualmente dirige la rivista Mezzocielo, fondata assieme ad altre donne, luogo di elaborazione e discussione di temi e argomenti cari al mondo femminile. Ulteriore conferma della sua sensibilità e del suo impegno nella difesa dei diritti umani di quelli delle donne e della giustizia.
Palermo, 1976. Vincenzo Battaglia soto il lenzuolo conserva ancora i cannoli che era andato a comprare per festeggiare un anniversario in famiglia. La moglie tentò, invano, di soccorrerlo. Courtesy l’artista.
Enrique Metinides
1934, Città del Messico (Messico). Vive e lavora a Città del Messico.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Lucido testimone delle scene di crimini e disastri nelle strade di Città del Messico, Enrique Metinides con i propri scatti si è fatto portavoce di una cronaca di ordinario orrore durata cinque decadi. Fatalmente attratto dalla cruda forza estetica di un incidente appena avvenuto, il suo obbiettivo si è spinto direttamente sul luogo di omicidi, stragi stradali e aeree, incendi, suicidi, deragliamenti e qualsiasi forma di disastro irrompa a violentare l’andamento quotidiano di vite comuni. Della scena presente ai suoi occhi, il fotografo non coglie il dettaglio (i corpi senza vita, il sangue, i resti delle auto in fiamme) ma l’angolazione che trasforma la tragedia in “icona pubblicitaria”. I suoi scatti raccontano la storia lasciandone implicite le conseguenze e l’aspetto umano del disastro sulla realtà circostante.
Untitled (Primer plano de mujer rubia arrollada e impactada contra un poste, en avenida Chapultec, Ciudad de Mexico), 1979. Courtesy Blum&Poe, New York.
Simili a still di film d’azione contemporanei, le fotografie di Metinides si collocano nel giusto punto di equilibrio tra formalizzazione del dramma ed empatia estetica: per quanto testimonianze mute di orrori urbani, le immagini divengono stereotipi di un voyeurismo che estetizza il dramma. Il fotoreporter messicano si ferma con il suo lucido realismo molto al di qua della soglia del patetismo, catturando tuttavia lo spettatore nel gioco perverso dell’attrazione verso l’orrore, cui è impossibile sottrarsi. A lui va il merito di aver raccontato dolore e raccapriccio con lo sguardo asciutto della cronaca esterna, in concomitanza con un efficace approccio formale.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Figlio di immigrati greci di Città del Messico, Enrique Metinides scatta la prima fotografia di un cadavere all’età di 12 anni. Da allora, e per quasi cinquant’anni, l’obbiettivo di “El Nino” diventa una presenza costante sulle scene di delitti e violenza quotidiana della propria città, lucidamente documentate per i milioni di lettori dei tabloid locali. Una lunga carriera che lo colloca tra i più celebri e interessanti fotoreporter americani, vissuta per il quotidiano messicano La Prensa fino al 1993. Dopo il suo ritiro, Metinides (oggi settantacinquenne) smette completamente di scattare fotografie, ma le sue immagini iniziano a essere esposte in importanti gallerie di livello internazionale. Tra queste, ricordiamo le personali nelle gallerie Anton Kern (New York) e Blum&Poe (Los Angeles).
Enrique Metinides, Untitled (Jesus Bazaldua Barber, a telecommunications engineer, fatally electrocuted by more than 60.000 volts while installing a new phone line. Toluca, Mexico, 29 january 1971).
Arnold Odermatt
1925, Oberdorf (Svizzera). Vive e lavora a Stans.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.
Scontri automobilistici, veicoli capovolti, parzialmente o completamente distrutti. Intorno, un gruppo di passanti curiosi ma composti, le strade immacolate di una cittadina svizzera, paesaggi montani mozzafiato. Le foto di Odermatt sembrano composizioni fittizie, troppo perfette per sembrare vere eppure sono il risultato di momenti reali, situazioni che l’artista ha vissuto, documentato e raccontato durante più di quarant’anni di carriera come luogotenente della polizia svizzera. Con il suo obiettivo Odermatt ha saputo trasformare la scena dell’incidente in un edulcorato complesso scultoreo, in cui nessun dettaglio è casuale. Tutto si gioca in equilibrio tra la situazione drammatica e lo spettacolo da ammirare. Le immagini descrivono storie in
Arnold Odermatt, Stansstad, 1967.
cui il disordine dello scontro è estetizzato da composizioni formali e dove i comportamenti e le emozioni appaiono rigidamente fissate.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Odermatt predilige una visione dall’alto, inquadrando la scena nella cornice naturale circostante. L’uomo è escluso dal ruolo di protagonista, confinato semmai nella posizione di uno stupito spettatore o del poliziotto a cui tocca “raccogliere i cocci”, impotente di fronte al fatto ormai avvenuto. L’incidente rappresenta il caos che scompone l’ordine rigido della società, un evento improvviso e inspiegabile che gli uomini si adoperano subito a rimuovere. La forza dello sguardo di Odermatt è quella di ricostituire nuovamente il disordine in evento composto e strutturato, addirittura, per certi versi, necessario. Svuotate dell’elemento documentativo o informativo, le foto di Odermatt sono pervase da una forte soggettività e da un sentimento di razionale compostezza. Ci presentano un tempo congelato che non può andare né avanti né indietro, la traccia di un fantasma che, passato per la nostra memoria, è già andato oltre.
Arnold Odermatt trascorre 40 anni della sua vita come ufficiale della polizia stradale nel cantone svizzero di Nidwalden, sempre accompagnato dalla sua Rolleiflex che gli ha permesso di immortalare centinaia di scontri automobilistici. Entra in pensione nel 1990, con il grado di tenente. Il curatore Harald Szeemann, dopo avere visto le sue fotografie, tutte in bianco e nero, lo invita a esporre alla 49esima Biennale di Venezia del 2001. Neanche un anno dopo, il curatore James Rondeau gli propone una personale presso l’Istituto d’Arte di Chicago. Da allora i suoi lavori hanno riscontrato risonanza internazionale, partecipando così a numerose esposizioni nel mondo.
Arnold Odermatt, Dallenwil, 1977.
Intitolata Background Story e curata da Sarah Cosulich Canarutto, la mostra riflette sul tema della tragedia attraverso tre visioni e tre diversi modi di costruirla, svelarla o estetizzarla.
L’esposizione propone una selezione di circa 40 opere e sarà aperta al pubblico da venerdì 11 settembre a sabato 17 ottobre 2009.
I tre artisti in mostra appartengono alla generazione dei fotografi "storici", per una mostra che racconta il quotidiano attraverso una molteplicità di piccoli e grandi drammi; storie spesso tragiche che, per quanto vicine alla nostra quotidianità o parte dell’immaginario che la caratterizza, finiscono a rimanere rumore di sottofondo della nostra esistenza.
Enrique Metinides (1934), artista messicano, ha lavorato per anni come fotoreporter, catturando immagini molto forti di crimini, delitti e incidenti a Città del Messico. Letizia Battaglia (1935), giornalista e fotoreporter di Palermo, ha raccontato i delitti di mafia nella sua città con scatti tragici, coinvolgenti e carichi di umanità. Arnold Odermatt (1925), fotografo elvetico, ex luogotenente della polizia, nella sua carriera ha saputo interpretare da un punto di vista che coniuga insieme lirismo, senso per la cronaca e per l’immagine, gli incidenti stradali che capovolgevano improvvisamente l'ordine della periferia svizzera.
Dalla trasformazione della tragedia in icona negli scatti di Metinides o dall'estetizzazione dell'incidente di Odermatt, alla carica emotiva e personale nelle immagini di Letizia Battaglia, questa collettiva racconta lo sfondo inteso come inevitabilità del percorso umano: è una mostra che parla dell'ordine del caos, del disordine del destino, ma anche della bellezza della tragedia e delle implicazioni che la sua rappresentazione ha sul nostro modo di interpretarla. È una mostra che seduce lo spettatore attraverso il dramma, provocandogli molti interrogativi. Il disastro ma, in modo implicito, anche gli attimi precedenti ad esso, stimolano una riflessione sul rapporto tra storia e individuo, tra inevitabilità, fato e intervento umano.
Morte, tragedia, sangue non sono mai fine a se stessi. Non si tratta di una mostra sensazionalista ma del tentativo di capire perché queste fotografie ci toccano particolarmente e, nel caso di Odermatt, ci stimolano quasi un senso di nostalgia positiva per un passato che vive la sventura con una calma e un ordine assoluti. Il tempo, la distanza tra spettatore ed evento, il modo in cui la composizione trasforma la lettura dell’accaduto divengono caratteristiche fondamentali di questa esposizione, molto più della durezza e della violenza delle immagini che, alla fine, non è poi tanto diversa da alcuni lavori di Tiepolo, Rembrandt, Caravaggio, Goya, solo per nominarne alcuni.
Quando la discussione sul rapporto tra arte e bellezza sembra essere più che mai attuale, questa mostra risponde estetizzando la morte, la tragedia e il caos: capovolge lo stereotipo per dimostrare ancora una volta che in presenza dell’arte ogni equazione non ha più senso.
Per Cardi Black Box si tratta del primo progetto espositivo tout court: a differenza delle mostre precedenti, con cui la Galleria ha presentato per la prima volta al pubblico italiano ed europeo lavori di giovani artisti emergenti, con Background Story Cardi Black Box propone attraverso un progetto curatoriale inedito lavori storici di grandi maestri dell’obiettivo, attivi già dagli anni Sessanta.
Questa mostra sottolinea l’impegno museale e di ricerca di Cardi Black Box, galleria impegnata nella valorizzazione e divulgazione di percorsi artistici eterogenei attraverso un programma scientifico sensibile sia agli sviluppi della storia dell’arte che ai temi che caratterizzano il nostro presente.
Gli artisti
Letizia Battaglia
1935, Palermo. Vive e lavora a Palermo.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Fotoreporter coraggiosa e impegnata, giornalista appassionata, editrice e scrittrice ambientalista, consigliere e assessore comunale: Letizia Battaglia, fin dagli anni Settanta, ha rappresentato una figura di artista e intellettuale versatile e complessa. Le origini palermitane, nelle ferite più profonde del Sud Italia, hanno irrimediabilmente segnato la sua attività fotografica, portandola a documentare con sensibilità e passione il dolore quotidiano della vita pubblica della sua Sicilia. Nel corso degli anni, l'obiettivo di Letizia Battaglia si è spinto a immortalare la violenza degli omicidi mafiosi e la ferocia della miseria urbana, riscattate al contempo dalla dignità dei cittadini onesti. Dai suoi scatti in bianco e nero traspare uno straordinario impegno civile e documentario, un desiderio di giustizia e di libertà sociale che si traducono in una coraggiosa e continua sfida al potere violento della mafia.
Palermo, 5 settembre 1979. Il Giudice Cesare Terranova, comunista del Pci, membro del Parlamento nazionale, membro della Commissione antimafia, è appena stato ucciso insieme col suo autista Lenin Mancuso. Il suo nemico mortale era il mafioso Luciano Liggio di Corleone. Courtesy l’artista.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Letizia Battaglia, per raggiungere la straordinaria immediatezza dei suoi scatti, rischia infatti la propria incolumità nell’avvicinarsi ai soggetti e nel ritrarre ambienti domestici sconvolti dalla crudezza delle esecuzioni mafiose. Un approccio artistico che va oltre la mera documentazione di un evento, ma diventa impegno civile reale e consolidato; le sue fotografie sono momenti etici entrati a far parte della memoria storica del nostro Paese, facendosi addirittura prezioso documento processuale (sono suoi gli scatti acquisiti agli atti del processo Andreotti, che ritraggono il senatore a vita all'Hotel Zagarella in compagnia dei cugini Salvo, esattori mafiosi). Violenza, ferocia e desiderio di documentazione lasciano sempre trasparire la dignità di una popolazione ferita e inerme, mescolandosi in scatti di straordinaria potenza comunicativa.
Paradossalmente meno conosciuta nel nostro Paese, Letizia Battaglia ha ottenuto negli ultimi anni un eccezionale riconoscimento all'estero, consacrato dall'assegnazione di numerosi premi. Tra questi, l'Eugene Smith nel 1985 (è la prima donna europea a riceverlo), il Mother Johnson Achievement for Life nel 1999, e recentemente il prestigioso Cornell Capa, assegnatole lo scorso maggio a New York. In programma per lei anche mostre ad Amsterdam e a Norimberga. Attualmente dirige la rivista Mezzocielo, fondata assieme ad altre donne, luogo di elaborazione e discussione di temi e argomenti cari al mondo femminile. Ulteriore conferma della sua sensibilità e del suo impegno nella difesa dei diritti umani di quelli delle donne e della giustizia.
Palermo, 1976. Vincenzo Battaglia soto il lenzuolo conserva ancora i cannoli che era andato a comprare per festeggiare un anniversario in famiglia. La moglie tentò, invano, di soccorrerlo. Courtesy l’artista.
Enrique Metinides
1934, Città del Messico (Messico). Vive e lavora a Città del Messico.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Lucido testimone delle scene di crimini e disastri nelle strade di Città del Messico, Enrique Metinides con i propri scatti si è fatto portavoce di una cronaca di ordinario orrore durata cinque decadi. Fatalmente attratto dalla cruda forza estetica di un incidente appena avvenuto, il suo obbiettivo si è spinto direttamente sul luogo di omicidi, stragi stradali e aeree, incendi, suicidi, deragliamenti e qualsiasi forma di disastro irrompa a violentare l’andamento quotidiano di vite comuni. Della scena presente ai suoi occhi, il fotografo non coglie il dettaglio (i corpi senza vita, il sangue, i resti delle auto in fiamme) ma l’angolazione che trasforma la tragedia in “icona pubblicitaria”. I suoi scatti raccontano la storia lasciandone implicite le conseguenze e l’aspetto umano del disastro sulla realtà circostante.
Untitled (Primer plano de mujer rubia arrollada e impactada contra un poste, en avenida Chapultec, Ciudad de Mexico), 1979. Courtesy Blum&Poe, New York.
Simili a still di film d’azione contemporanei, le fotografie di Metinides si collocano nel giusto punto di equilibrio tra formalizzazione del dramma ed empatia estetica: per quanto testimonianze mute di orrori urbani, le immagini divengono stereotipi di un voyeurismo che estetizza il dramma. Il fotoreporter messicano si ferma con il suo lucido realismo molto al di qua della soglia del patetismo, catturando tuttavia lo spettatore nel gioco perverso dell’attrazione verso l’orrore, cui è impossibile sottrarsi. A lui va il merito di aver raccontato dolore e raccapriccio con lo sguardo asciutto della cronaca esterna, in concomitanza con un efficace approccio formale.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Figlio di immigrati greci di Città del Messico, Enrique Metinides scatta la prima fotografia di un cadavere all’età di 12 anni. Da allora, e per quasi cinquant’anni, l’obbiettivo di “El Nino” diventa una presenza costante sulle scene di delitti e violenza quotidiana della propria città, lucidamente documentate per i milioni di lettori dei tabloid locali. Una lunga carriera che lo colloca tra i più celebri e interessanti fotoreporter americani, vissuta per il quotidiano messicano La Prensa fino al 1993. Dopo il suo ritiro, Metinides (oggi settantacinquenne) smette completamente di scattare fotografie, ma le sue immagini iniziano a essere esposte in importanti gallerie di livello internazionale. Tra queste, ricordiamo le personali nelle gallerie Anton Kern (New York) e Blum&Poe (Los Angeles).
Enrique Metinides, Untitled (Jesus Bazaldua Barber, a telecommunications engineer, fatally electrocuted by more than 60.000 volts while installing a new phone line. Toluca, Mexico, 29 january 1971).
Arnold Odermatt
1925, Oberdorf (Svizzera). Vive e lavora a Stans.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.
Scontri automobilistici, veicoli capovolti, parzialmente o completamente distrutti. Intorno, un gruppo di passanti curiosi ma composti, le strade immacolate di una cittadina svizzera, paesaggi montani mozzafiato. Le foto di Odermatt sembrano composizioni fittizie, troppo perfette per sembrare vere eppure sono il risultato di momenti reali, situazioni che l’artista ha vissuto, documentato e raccontato durante più di quarant’anni di carriera come luogotenente della polizia svizzera. Con il suo obiettivo Odermatt ha saputo trasformare la scena dell’incidente in un edulcorato complesso scultoreo, in cui nessun dettaglio è casuale. Tutto si gioca in equilibrio tra la situazione drammatica e lo spettacolo da ammirare. Le immagini descrivono storie in
Arnold Odermatt, Stansstad, 1967.
cui il disordine dello scontro è estetizzato da composizioni formali e dove i comportamenti e le emozioni appaiono rigidamente fissate.
Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. Odermatt predilige una visione dall’alto, inquadrando la scena nella cornice naturale circostante. L’uomo è escluso dal ruolo di protagonista, confinato semmai nella posizione di uno stupito spettatore o del poliziotto a cui tocca “raccogliere i cocci”, impotente di fronte al fatto ormai avvenuto. L’incidente rappresenta il caos che scompone l’ordine rigido della società, un evento improvviso e inspiegabile che gli uomini si adoperano subito a rimuovere. La forza dello sguardo di Odermatt è quella di ricostituire nuovamente il disordine in evento composto e strutturato, addirittura, per certi versi, necessario. Svuotate dell’elemento documentativo o informativo, le foto di Odermatt sono pervase da una forte soggettività e da un sentimento di razionale compostezza. Ci presentano un tempo congelato che non può andare né avanti né indietro, la traccia di un fantasma che, passato per la nostra memoria, è già andato oltre.
Arnold Odermatt trascorre 40 anni della sua vita come ufficiale della polizia stradale nel cantone svizzero di Nidwalden, sempre accompagnato dalla sua Rolleiflex che gli ha permesso di immortalare centinaia di scontri automobilistici. Entra in pensione nel 1990, con il grado di tenente. Il curatore Harald Szeemann, dopo avere visto le sue fotografie, tutte in bianco e nero, lo invita a esporre alla 49esima Biennale di Venezia del 2001. Neanche un anno dopo, il curatore James Rondeau gli propone una personale presso l’Istituto d’Arte di Chicago. Da allora i suoi lavori hanno riscontrato risonanza internazionale, partecipando così a numerose esposizioni nel mondo.
Arnold Odermatt, Dallenwil, 1977.
10
settembre 2009
Battaglia | Metinides | Odermatt – Background Story
Dal 10 settembre al 17 ottobre 2009
fotografia
Location
CARDI GALLERY
Milano, Corso Di Porta Nuova, 38, (Milano)
Milano, Corso Di Porta Nuova, 38, (Milano)
Orario di apertura
Da martedì a sabato 10-19. Lunedì chiuso
Vernissage
10 Settembre 2009, ore 19-21
Ufficio stampa
PAOLA MANFREDI
Autore
Curatore