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Be Water, My Friend
La Galleria Alberta Pane è lieta di presentare l’esposizione collettiva Be Water, My Friend nel suo spazio veneziano. A cura di Chiara Vecchiarelli, la mostra innesta connessioni tra video, installazioni site-specific e opere a parete di sei artisti internazionali.
Comunicato stampa
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La Galleria Alberta Pane è lieta di presentare l’esposizione collettiva Be Water, My Friend nel suo spazio veneziano.
A cura di Chiara Vecchiarelli, la mostra innesta connessioni tra video, installazioni site-specific e opere a parete di sei artisti internazionali: Luciana Lamothe, Jojo Gronostay, Eva L’Hoest, David Horvitz, Nicola Pecoraro ed Enrique Ramírez, la relazione tra i quali è retta dalla tensione operativa che ne abita le opere scelte.
Nell’opera Plan di Luciana Lamothe è la dinamica delle fibre di legno di un’impalcatura inusualmente appesa a parete, flesse sotto l’azione della forza di gravità, a farsi sensibile nel momento in cui ci pieghiamo a nostra volta nel tentativo di decifrare un progetto (plan) già sempre indeterminato, che non cela altro che un potenziale.
Sospese attraverso lo spazio come gocce d’acqua, ampolle di vetro di duchampiana memoria, realizzate da David Horvitz, hanno sorvolato l’oceano per arrivare sino a Venezia e portarvi l’aria di Los Angeles (Air de L.A.), in cui particelle nere stanno in sospensione come un inframince, un “infrasottile” tra il legno e il fuoco dell’incendio che le ha immesse nell’aria.
Nel film Pareidolia di Eva L’Hoest, lo sguardo della macchina da presa si espande e contrae su una soglia mobile, tesa tra l’acqua e il paesaggio roccioso, minerale e inorganico di un’isola deserta composta di materiale vulcanico e granito rosa. Figure appaiono come immagini senza esserlo, e un senso si crea contingentemente, senza nulla che lo preceda.
Un’ambiguità della materia e del peso caratterizza le sculture di Nicola Pecoraro, la cui sostanza pare un metallo sconosciuto venuto da uno spazio lontano, un pianeta o il suo rovescio, in cui ogni materia è più densa, senza nome.
È un’ambivalenza visiva e semantica a caratterizzare la cosmicità poetica e politica de La Gravedad di Enrique Ramírez, in cui entità fluttuano come corpi gettati e idee vaganti, che avanzano e recedono non diversamente dalle immagini delle litografie di Blanchiment, nel gioco tra l’immagine, la pietra, l’acqua e la sabbia.
Le sculture di Jojo Gronostay (Kreaturen. V Forest), create a partire da bottiglie di profumo, abitano un tale cosmo come shifters o creature di mezzo — come una fluttuazione di senso tra la rappresentazione dell’alterità e una forma appena inventata.
Tensioni relazionali, le opere esposte sono come l’acqua, che è senza forma sino a che non comprende, e diventa, la relazione verso cui tende.
A cura di Chiara Vecchiarelli, la mostra innesta connessioni tra video, installazioni site-specific e opere a parete di sei artisti internazionali: Luciana Lamothe, Jojo Gronostay, Eva L’Hoest, David Horvitz, Nicola Pecoraro ed Enrique Ramírez, la relazione tra i quali è retta dalla tensione operativa che ne abita le opere scelte.
Nell’opera Plan di Luciana Lamothe è la dinamica delle fibre di legno di un’impalcatura inusualmente appesa a parete, flesse sotto l’azione della forza di gravità, a farsi sensibile nel momento in cui ci pieghiamo a nostra volta nel tentativo di decifrare un progetto (plan) già sempre indeterminato, che non cela altro che un potenziale.
Sospese attraverso lo spazio come gocce d’acqua, ampolle di vetro di duchampiana memoria, realizzate da David Horvitz, hanno sorvolato l’oceano per arrivare sino a Venezia e portarvi l’aria di Los Angeles (Air de L.A.), in cui particelle nere stanno in sospensione come un inframince, un “infrasottile” tra il legno e il fuoco dell’incendio che le ha immesse nell’aria.
Nel film Pareidolia di Eva L’Hoest, lo sguardo della macchina da presa si espande e contrae su una soglia mobile, tesa tra l’acqua e il paesaggio roccioso, minerale e inorganico di un’isola deserta composta di materiale vulcanico e granito rosa. Figure appaiono come immagini senza esserlo, e un senso si crea contingentemente, senza nulla che lo preceda.
Un’ambiguità della materia e del peso caratterizza le sculture di Nicola Pecoraro, la cui sostanza pare un metallo sconosciuto venuto da uno spazio lontano, un pianeta o il suo rovescio, in cui ogni materia è più densa, senza nome.
È un’ambivalenza visiva e semantica a caratterizzare la cosmicità poetica e politica de La Gravedad di Enrique Ramírez, in cui entità fluttuano come corpi gettati e idee vaganti, che avanzano e recedono non diversamente dalle immagini delle litografie di Blanchiment, nel gioco tra l’immagine, la pietra, l’acqua e la sabbia.
Le sculture di Jojo Gronostay (Kreaturen. V Forest), create a partire da bottiglie di profumo, abitano un tale cosmo come shifters o creature di mezzo — come una fluttuazione di senso tra la rappresentazione dell’alterità e una forma appena inventata.
Tensioni relazionali, le opere esposte sono come l’acqua, che è senza forma sino a che non comprende, e diventa, la relazione verso cui tende.
08
ottobre 2022
Be Water, My Friend
Dall'otto ottobre al 23 dicembre 2022
arte contemporanea
collettiva
collettiva
Location
GALLERIA ALBERTA PANE
Venezia, Calle Dei Guardiani, 2403, (Venezia)
Venezia, Calle Dei Guardiani, 2403, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10.30-18.30
Vernissage
8 Ottobre 2022, ore 15-20
Sito web
Autore
Curatore