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Beatrice Caracciolo – Cercare nella Terra
L’atteso ritorno in Italia di Beatrice Caracciolo, dopo la mostra antologica del 2004 e l’esposizione:”Zona d’Avvicinamento” a Napoli, riempirà gli spazi della galleria con la produzione più recente.
Comunicato stampa
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Chaosmos
Sottili movimenti di superficie ed una fitta complessità nell’equilibrio delle linee. La figurazione dissimulata di Beatrice Caracciolo dispiega effetti d’ordine prodotti dal caos insieme ad un’astratta e spontanea germinazione di segni: una sorta di compromesso tra l’incontenibile ed il discreto. Le compagini grafiche si organizzano in strutture ritmiche e geroglifiche, mosse internamente dalla dialettica tra un’apparente energia centrifuga ed un moto centripeto ed attrattivo: le curvature variabili, le pieghe e le inflessioni del tratto descrivono una forma attiva, deambulante, che si svaga nel suo continuo sviluppo e che stempera la sua natura temporale srotolandosi. I tracciati grafici non chiudono forme compiute e non segnano contorni: la composizione rimane disorganica, in preda ad una perenne mobilità, dichiarando il significato energetico della linea, che genera da un punto e prolifera, definendo uno spazio primordiale. Mai un istante di stasi, nemmeno temporanea. Tra le linee di forza delle cose, tracciati intenzionali, decorsi, l’astrazione di Caracciolo non smaterializza, ma porta in luce lo scheletro del visibile, cercando di afferrare gli oggetti alla radice, in un’estrema purezza espressiva.
Le visioni paesaggistiche, dalla fisionomia mistificata, si dilatano oltre il loro fenomeno fino a scoprire le loro forze formanti, quel serpeggiamento leonardesco che definisce il principio generatore delle cose. Moderno è anche il sapore di incompiutezza delle incisioni, un non finito che svela il sotterraneo articolarsi di visioni occulte: la natura naturans, ancora aggrovigliata nei suoi atti potenziali, che cerca di articolarsi nella ramificazione di segni-oggetto.
L’inafferrabilità logica delle linee e dei tratti è amplificata dalla polifonia compositiva delle figure, ritratte insieme al loro trasformarsi e ad una Gestaltung labirintica. L’operazione artistica di Caracciolo sembra corrispondere ad una produzione rammemorante - che attinge a dei primordi a-storici e che compone ricordando - dove le figure sono come un’insorgenza, una pastosa emersione. Le gravures, come gli acquerelli, creano delle irregolarità riferendosi al regolare, secondo un metodo dell’anomalia che accentua alcuni elementi e ne omette altri: proiezioni “fuori norma” e misure incongruenti gettano il paesaggio in uno stato intermedio di libertà dinamica. Mentre noi guardiamo come da punto di vista vagante, che raccoglie e condensa oggetti in una profondità non prospettica, cinetica e temporale.
La totalità paesaggistica non è svelata istantaneamente, ma continua ad essere differita e deviata su un vuoto diffuso, magnetico. Superato quell’iniziale loop di leggibilità, ad uno sguardo insistito, gli scorci di Caracciolo sembrano aggrovigliarsi attorno a dei punti di forza e perdere silenziosamente, con discrezione, il loro referente concreto, trasformandosi in segni puri. Le incisioni riescono a “scrivere” il paesaggio, giocando sull’identità calligrafica di scrittura ed immagine: le forme sono alluse, evocate, con pochi temi grafici ripetuti, che si confondono con le nervature strutturanti della carta. Il sistema di tracce depositato sulle superfici si scopre come un alfabeto segnico, un irraggiamento che regola le energie. E la tradizionale “natura morta” ritorna ad apparire con tutta l’evidenza vibrante di un evento.
L’opera di Caracciolo è teoria che riflette sul suo linguaggio, attraverso un pensiero per immagini, concreto ed operativo. La linea nomade evade la geometricità alla ricerca di una fluida disciplina per il divenire: per mettere ordine al movimento e non contemplare la quiete. Un fluire costante, come l’elemento marino, è la vera quantità della linea, la sua dimensione di respiro, mentre l’immagine che essa descrive è transiente ed insieme ancorata ad una bellezza austera, tracciata da pochi segni sequestrati in un telaio informale. La creazione in forma di fenditura, di cicatrice disseccata, e l’incisività del gesto grafico, carico di virtus scultorea, che graffia rabbiosamente la matière savante, rivelano un approccio clinico e febbrile al lavoro. I fasci di linee improvvisative si raggrumano in accidentali rassomiglianze che la disciplinata riduzione del tutto a pochi tratti aveva previsto in un miracolo di voyance. Lo spazio primordiale dell’informe si rivela ritmato da una demarcazione scattosa e nervosa, alternata ad un incedere incerto e fluttuante. Con uno sguardo alla pittura aniconica orientale, la grafia delle gravures di Caracciolo sembra rispondere, rapsodicamente, alla necessità di uno svuotamento lirico ed introdurre alla rêverie di un mondo disabitato ma ossessivamente fibrillante.
Simone Frangi
Sottili movimenti di superficie ed una fitta complessità nell’equilibrio delle linee. La figurazione dissimulata di Beatrice Caracciolo dispiega effetti d’ordine prodotti dal caos insieme ad un’astratta e spontanea germinazione di segni: una sorta di compromesso tra l’incontenibile ed il discreto. Le compagini grafiche si organizzano in strutture ritmiche e geroglifiche, mosse internamente dalla dialettica tra un’apparente energia centrifuga ed un moto centripeto ed attrattivo: le curvature variabili, le pieghe e le inflessioni del tratto descrivono una forma attiva, deambulante, che si svaga nel suo continuo sviluppo e che stempera la sua natura temporale srotolandosi. I tracciati grafici non chiudono forme compiute e non segnano contorni: la composizione rimane disorganica, in preda ad una perenne mobilità, dichiarando il significato energetico della linea, che genera da un punto e prolifera, definendo uno spazio primordiale. Mai un istante di stasi, nemmeno temporanea. Tra le linee di forza delle cose, tracciati intenzionali, decorsi, l’astrazione di Caracciolo non smaterializza, ma porta in luce lo scheletro del visibile, cercando di afferrare gli oggetti alla radice, in un’estrema purezza espressiva.
Le visioni paesaggistiche, dalla fisionomia mistificata, si dilatano oltre il loro fenomeno fino a scoprire le loro forze formanti, quel serpeggiamento leonardesco che definisce il principio generatore delle cose. Moderno è anche il sapore di incompiutezza delle incisioni, un non finito che svela il sotterraneo articolarsi di visioni occulte: la natura naturans, ancora aggrovigliata nei suoi atti potenziali, che cerca di articolarsi nella ramificazione di segni-oggetto.
L’inafferrabilità logica delle linee e dei tratti è amplificata dalla polifonia compositiva delle figure, ritratte insieme al loro trasformarsi e ad una Gestaltung labirintica. L’operazione artistica di Caracciolo sembra corrispondere ad una produzione rammemorante - che attinge a dei primordi a-storici e che compone ricordando - dove le figure sono come un’insorgenza, una pastosa emersione. Le gravures, come gli acquerelli, creano delle irregolarità riferendosi al regolare, secondo un metodo dell’anomalia che accentua alcuni elementi e ne omette altri: proiezioni “fuori norma” e misure incongruenti gettano il paesaggio in uno stato intermedio di libertà dinamica. Mentre noi guardiamo come da punto di vista vagante, che raccoglie e condensa oggetti in una profondità non prospettica, cinetica e temporale.
La totalità paesaggistica non è svelata istantaneamente, ma continua ad essere differita e deviata su un vuoto diffuso, magnetico. Superato quell’iniziale loop di leggibilità, ad uno sguardo insistito, gli scorci di Caracciolo sembrano aggrovigliarsi attorno a dei punti di forza e perdere silenziosamente, con discrezione, il loro referente concreto, trasformandosi in segni puri. Le incisioni riescono a “scrivere” il paesaggio, giocando sull’identità calligrafica di scrittura ed immagine: le forme sono alluse, evocate, con pochi temi grafici ripetuti, che si confondono con le nervature strutturanti della carta. Il sistema di tracce depositato sulle superfici si scopre come un alfabeto segnico, un irraggiamento che regola le energie. E la tradizionale “natura morta” ritorna ad apparire con tutta l’evidenza vibrante di un evento.
L’opera di Caracciolo è teoria che riflette sul suo linguaggio, attraverso un pensiero per immagini, concreto ed operativo. La linea nomade evade la geometricità alla ricerca di una fluida disciplina per il divenire: per mettere ordine al movimento e non contemplare la quiete. Un fluire costante, come l’elemento marino, è la vera quantità della linea, la sua dimensione di respiro, mentre l’immagine che essa descrive è transiente ed insieme ancorata ad una bellezza austera, tracciata da pochi segni sequestrati in un telaio informale. La creazione in forma di fenditura, di cicatrice disseccata, e l’incisività del gesto grafico, carico di virtus scultorea, che graffia rabbiosamente la matière savante, rivelano un approccio clinico e febbrile al lavoro. I fasci di linee improvvisative si raggrumano in accidentali rassomiglianze che la disciplinata riduzione del tutto a pochi tratti aveva previsto in un miracolo di voyance. Lo spazio primordiale dell’informe si rivela ritmato da una demarcazione scattosa e nervosa, alternata ad un incedere incerto e fluttuante. Con uno sguardo alla pittura aniconica orientale, la grafia delle gravures di Caracciolo sembra rispondere, rapsodicamente, alla necessità di uno svuotamento lirico ed introdurre alla rêverie di un mondo disabitato ma ossessivamente fibrillante.
Simone Frangi
20
novembre 2008
Beatrice Caracciolo – Cercare nella Terra
Dal 20 novembre 2008 al 24 gennaio 2009
arte contemporanea
Location
NOWHERE GALLERY
Milano, Via Del Caravaggio, 14, (Milano)
Milano, Via Del Caravaggio, 14, (Milano)
Orario di apertura
Martedì-Sabato 10.30-13.30 15.30-19.30
Vernissage
20 Novembre 2008, h 18.00
Autore
Curatore