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Ben Vautier et la langue française / Sophie Calle – Livres d’artiste
Comunicato stampa
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Testo scritto per l’occasione dal critico d’arte contemporanea Mario Bertoni
“Ben Vautier appartiene a quella generazione di artisti “che hanno fatto e fanno mondo”, cioè che creano un universo autonomo e parallelo a quello reale, anche se ad esso strettamente connesso e legato. Il suo universo, l’universo di Ben, è un emporio, il cui proprietario è, di volta in volta, imbonitore, ambulante, commesso viaggiatore, prestigiatore, girovago: è un porto di mare nel quale vi si trova di tutto e tutto respira aria di prodigio, secondo un ordine di motivi che rinvia al fascino e all’attrazione fatale che il mercato delle pulci nel corso del novecento ha esercitato sul movimento surrealista. Queste “epifanie o illuminazioni profane” (come le avrebbe chiamate Walter Benjamin) sono “luoghi” intellettuali per eccellenza, anche se nell’emporio di Ben non promettono e non prevedono redenzioni o benedizioni, ma interrogano e insinuano tarli di dubbi come lombrichi. E’ un via vai, un incrocio di pensieri, opinioni, slogan, frammenti di discorsi, brusio di voci, come in tutti i crocevia del mondo, internazionali e multietnici. Per questo, un qualsiasi intervento di Ben avviene “nel bel mezzo della riunione”, e alla fine non perviene a conclusioni, entra nella mischia all’improvviso, sapendo che la partita è già iniziata e non vuole concluderla, perché la sua sola presenza è in grado di dirottare gli eventi, di imprimere loro un decorso differente e differenziato, così che nulla sarà più come prima. Ora, un tale universo, un simile coacervo di cose, di fatti, oggetti, gesti, parole, segni, suoni, rumori, che pervade e sommerge ogni attimo e ogni accadimento della vita di Ben (il suo abbigliamento, la sua casa, il suo giardino….), è costituito da una sorta di “alingua” globale, intendendo con ciò un significante spurio, non semplicemente strumentale, che è alla base di ogni comunicazione, anche se non si identifica con essa, e che è strettamente legato al senso e ai significati. Mutuo il termine da Lacan, il quale, però, ha coniato il termine “lalingua”, significante universale puro, essenziale, primario, dunque “ben diverso dal caso di Ben”. E’ soltanto a partire dall’ipostasi di un simile significante che si può comprendere appieno il senso profondo dell’opera di Ben e i suoi infiniti passaggi, è soltanto a partire da esso che si riesce a sostenere gli sguardi ripetuti e ossessivi della sua scrittura paradossale, a chiasmo, spirale e tautologica. L’alingua di Ben è un già dato che comprende tutte le lingue (e non per sommatoria), è il senso dell’universo che parla contemporaneamente, e che costantemente tende a sovrapporsi. Ed ha pure rapporto con la biografia dei primi dodici anni della sua vita vissuta tra l’Italia, la Turchia, l’Egitto, la Svizzera, la Francia e che gli ha trasmesso il senso di una Babele viva e pulsante che supera all’inverosimile lo spaesamento dell’incomprensione.
Anche nella mostra che apre il 2008 dell’Alliance francaise di Bologna c’è tanta materia che rientra in simili considerazioni. Quando egli scrive “una lingua che muore è un mondo che scompare”, oppure “chi perde la propria lingua perde il suo paese”, o ancora “ogni lingua è una visione differente del mondo”, sta parlando di una lingua non come mero strumento di comunicazione, somma di regole grammaticali e sintattiche, ci parla di un deposito storico di idee, visioni del mondo, tradizioni, sentire, in cui una comunità tende a riconoscersi e a ritrovarsi a distanza. Uno dei brani più toccanti del suo libro “Més démangeaisons” (Edizioni Le mot et le reste, 2007, p.155) recita: “Le giornate del ‘patrimonio’ (sono) un’ipocrisia, che dimentica che patrimonio in Francia sono anche le lingue e le culture, quella Basca, quella Bretone, Corsa, Occitana, Fiamminga, e come per magia nell’insieme delle attività del patrimonio, queste lingue, queste culture, questi popoli spariscono. Si difendono molto più facilmente le vecchie pietre che non le lingue”. La dichiarazione di fede per il multiculturalismo e il multietnismo e la difesa di simili posizioni si comprendono, credo, soltanto a partire da una visione globale del mondo colto nelle sue differenze: la contemporanea sovrapposizione di tutte le parlate sono un’esperienza che pertiene soltanto a dio e all’artista. Ora, nel caso di Ben, occorre darla costantemente per implicita. Egli ha accettato fino in fondo la sfida della globalizzazione, cioè contrapporre alla ricerca spasmodica di un codice astratto, unico e universale, l’insieme di tutte le parlate locali e vive.
Tutto è nell’alingua (e niente è nell’alingua, usando una sua formula).”
Sophie Calle, parigina (classe 1953), da più di vent'anni sceglie la propria e altrui vita come soggetto della sua arte, genericamente definita concettuale. Tuttavia la sua investigazione non riguarda l'idea stessa di arte o le strutture del linguaggio, bensì la dimensione esistenziale: un campo d'indagine che accomuna la sua opera a quel neointimismo ricco di componenti diaristiche, letterarie ed emozionali che molti artisti hanno abbracciato negli ultimi decenni. E investigazione è la parola più appropriata in questo caso. Sophie Calle è quindi simultaneamente scrittrice, cineasta e investigatrice. La sua eclettica personalità artistica è senz’altro composta da un connubio di tutti questi elementi, a seconda del personaggio che interpreta, dei rituali che immagina, degli squarci di vita che racconta e dei sentimenti che ci invita a condividere. Spesso ricorre al metodo dell’inchiesta, e la sua opera è quasi sempre un’associazione di fotografia e scrittura. Sophie Calle stabilisce di volta in volta le proprie regole del gioco, con l’obiettivo di « migliorare le propria vita », dando ad essa una struttura.
Per il suo primo progetto, nel 1979, decide di pedinare uno sconosciuto, del tutto ignaro delle sue intenzioni, che la porta fino a Venezia. Nasce così « Suite vénitienne ». Le storie di Sophie Calle sono esperimenti sull'emotività e l'identità, condotti con estremo rigore e sospinti da un voyeurismo che è desiderio di raccogliere prove, segni, indizi, testimonianze.
È il bisogno di avere l'evidenza dell'esistenza che spinge a varcare i limiti della privacy e della "correttezza" morale. Rielaborare l'esperienza e condividerne l'intimità con gli altri sembra essere il solo modo per « vendicarsi della vita » e per rendere un senso al suo mistero. La maggior parte dei suoi lavori rientrano nella sfera dell’arte solo in un secondo momento. Le sue installazioni nascono dal naturale sviluppo di situazioni messe in scena e vissute in modo autobiografico. I suoi primi lavori riflettono una relazione tra l’arte e la vita decisamente distinta dal registro neutro, distanziato e meramente informativo dell’arte concettuale.
Sophie Calle ha rappresentato la Francia nel corso della cinquantaduesima edizione della Biennale di Venezia, dal 10 giugno al 21 novembre 2007.
Concepita dal Centre Culturel Français de Turin, in collaborazione con
Imec, Archives du livre d’artiste et des ephemera
Item éditions, Paris
Editions Actes Sud
“Ben Vautier appartiene a quella generazione di artisti “che hanno fatto e fanno mondo”, cioè che creano un universo autonomo e parallelo a quello reale, anche se ad esso strettamente connesso e legato. Il suo universo, l’universo di Ben, è un emporio, il cui proprietario è, di volta in volta, imbonitore, ambulante, commesso viaggiatore, prestigiatore, girovago: è un porto di mare nel quale vi si trova di tutto e tutto respira aria di prodigio, secondo un ordine di motivi che rinvia al fascino e all’attrazione fatale che il mercato delle pulci nel corso del novecento ha esercitato sul movimento surrealista. Queste “epifanie o illuminazioni profane” (come le avrebbe chiamate Walter Benjamin) sono “luoghi” intellettuali per eccellenza, anche se nell’emporio di Ben non promettono e non prevedono redenzioni o benedizioni, ma interrogano e insinuano tarli di dubbi come lombrichi. E’ un via vai, un incrocio di pensieri, opinioni, slogan, frammenti di discorsi, brusio di voci, come in tutti i crocevia del mondo, internazionali e multietnici. Per questo, un qualsiasi intervento di Ben avviene “nel bel mezzo della riunione”, e alla fine non perviene a conclusioni, entra nella mischia all’improvviso, sapendo che la partita è già iniziata e non vuole concluderla, perché la sua sola presenza è in grado di dirottare gli eventi, di imprimere loro un decorso differente e differenziato, così che nulla sarà più come prima. Ora, un tale universo, un simile coacervo di cose, di fatti, oggetti, gesti, parole, segni, suoni, rumori, che pervade e sommerge ogni attimo e ogni accadimento della vita di Ben (il suo abbigliamento, la sua casa, il suo giardino….), è costituito da una sorta di “alingua” globale, intendendo con ciò un significante spurio, non semplicemente strumentale, che è alla base di ogni comunicazione, anche se non si identifica con essa, e che è strettamente legato al senso e ai significati. Mutuo il termine da Lacan, il quale, però, ha coniato il termine “lalingua”, significante universale puro, essenziale, primario, dunque “ben diverso dal caso di Ben”. E’ soltanto a partire dall’ipostasi di un simile significante che si può comprendere appieno il senso profondo dell’opera di Ben e i suoi infiniti passaggi, è soltanto a partire da esso che si riesce a sostenere gli sguardi ripetuti e ossessivi della sua scrittura paradossale, a chiasmo, spirale e tautologica. L’alingua di Ben è un già dato che comprende tutte le lingue (e non per sommatoria), è il senso dell’universo che parla contemporaneamente, e che costantemente tende a sovrapporsi. Ed ha pure rapporto con la biografia dei primi dodici anni della sua vita vissuta tra l’Italia, la Turchia, l’Egitto, la Svizzera, la Francia e che gli ha trasmesso il senso di una Babele viva e pulsante che supera all’inverosimile lo spaesamento dell’incomprensione.
Anche nella mostra che apre il 2008 dell’Alliance francaise di Bologna c’è tanta materia che rientra in simili considerazioni. Quando egli scrive “una lingua che muore è un mondo che scompare”, oppure “chi perde la propria lingua perde il suo paese”, o ancora “ogni lingua è una visione differente del mondo”, sta parlando di una lingua non come mero strumento di comunicazione, somma di regole grammaticali e sintattiche, ci parla di un deposito storico di idee, visioni del mondo, tradizioni, sentire, in cui una comunità tende a riconoscersi e a ritrovarsi a distanza. Uno dei brani più toccanti del suo libro “Més démangeaisons” (Edizioni Le mot et le reste, 2007, p.155) recita: “Le giornate del ‘patrimonio’ (sono) un’ipocrisia, che dimentica che patrimonio in Francia sono anche le lingue e le culture, quella Basca, quella Bretone, Corsa, Occitana, Fiamminga, e come per magia nell’insieme delle attività del patrimonio, queste lingue, queste culture, questi popoli spariscono. Si difendono molto più facilmente le vecchie pietre che non le lingue”. La dichiarazione di fede per il multiculturalismo e il multietnismo e la difesa di simili posizioni si comprendono, credo, soltanto a partire da una visione globale del mondo colto nelle sue differenze: la contemporanea sovrapposizione di tutte le parlate sono un’esperienza che pertiene soltanto a dio e all’artista. Ora, nel caso di Ben, occorre darla costantemente per implicita. Egli ha accettato fino in fondo la sfida della globalizzazione, cioè contrapporre alla ricerca spasmodica di un codice astratto, unico e universale, l’insieme di tutte le parlate locali e vive.
Tutto è nell’alingua (e niente è nell’alingua, usando una sua formula).”
Sophie Calle, parigina (classe 1953), da più di vent'anni sceglie la propria e altrui vita come soggetto della sua arte, genericamente definita concettuale. Tuttavia la sua investigazione non riguarda l'idea stessa di arte o le strutture del linguaggio, bensì la dimensione esistenziale: un campo d'indagine che accomuna la sua opera a quel neointimismo ricco di componenti diaristiche, letterarie ed emozionali che molti artisti hanno abbracciato negli ultimi decenni. E investigazione è la parola più appropriata in questo caso. Sophie Calle è quindi simultaneamente scrittrice, cineasta e investigatrice. La sua eclettica personalità artistica è senz’altro composta da un connubio di tutti questi elementi, a seconda del personaggio che interpreta, dei rituali che immagina, degli squarci di vita che racconta e dei sentimenti che ci invita a condividere. Spesso ricorre al metodo dell’inchiesta, e la sua opera è quasi sempre un’associazione di fotografia e scrittura. Sophie Calle stabilisce di volta in volta le proprie regole del gioco, con l’obiettivo di « migliorare le propria vita », dando ad essa una struttura.
Per il suo primo progetto, nel 1979, decide di pedinare uno sconosciuto, del tutto ignaro delle sue intenzioni, che la porta fino a Venezia. Nasce così « Suite vénitienne ». Le storie di Sophie Calle sono esperimenti sull'emotività e l'identità, condotti con estremo rigore e sospinti da un voyeurismo che è desiderio di raccogliere prove, segni, indizi, testimonianze.
È il bisogno di avere l'evidenza dell'esistenza che spinge a varcare i limiti della privacy e della "correttezza" morale. Rielaborare l'esperienza e condividerne l'intimità con gli altri sembra essere il solo modo per « vendicarsi della vita » e per rendere un senso al suo mistero. La maggior parte dei suoi lavori rientrano nella sfera dell’arte solo in un secondo momento. Le sue installazioni nascono dal naturale sviluppo di situazioni messe in scena e vissute in modo autobiografico. I suoi primi lavori riflettono una relazione tra l’arte e la vita decisamente distinta dal registro neutro, distanziato e meramente informativo dell’arte concettuale.
Sophie Calle ha rappresentato la Francia nel corso della cinquantaduesima edizione della Biennale di Venezia, dal 10 giugno al 21 novembre 2007.
Concepita dal Centre Culturel Français de Turin, in collaborazione con
Imec, Archives du livre d’artiste et des ephemera
Item éditions, Paris
Editions Actes Sud
17
gennaio 2008
Ben Vautier et la langue française / Sophie Calle – Livres d’artiste
Dal 17 gennaio al 16 febbraio 2008
arte contemporanea
Location
ALLIANCE FRANCAISE
Bologna, Via De' Marchi, 4, (Bologna)
Bologna, Via De' Marchi, 4, (Bologna)
Vernissage
17 Gennaio 2008, ore 18.30
Sito web
www.france-bologna.it
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