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Benedetto Camerana – Progetti recenti (2000-2010)
Una Mostra alla Casa dell’Architettura e una serata all’Istituto Nazionale di Architettura presentano una selezione di progetti recenti e il percorso di idee di Benedetto Camerana, architetto e paesaggista.
Comunicato stampa
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Una Mostra alla Casa dell’Architettura e una serata all’Istituto Nazionale di Architettura presentano una selezione di progetti recenti e il percorso di idee di Benedetto Camerana, architetto e paesaggista. Da Torino, città di produzione e di pensiero, un po’ isolata sotto l’arco alpino ma dall’identità in trasformazione, Camerana opera in Italia e in Europa su progetti di particolare valore pubblico o simbolico. I diversi progetti, liberi dai vincoli della specializzazione, sono tra loro legati dalla ricerca di un rapporto non utopico tra città e natura, in costante confronto con l’innovazione tecnica e compositiva.
Benedetto Camerana (Torino, 1963), architetto, paesaggista, PhD in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, dopo gli studi ha proseguito la ricerca teorica lavorando sull’integrazione tra architettura e paesaggio, nella direzione di una “green architecture” di chiara matrice ambientale. Di questi temi ha pubblicamente discusso su Il Giornale dell’Architettura, La Stampa, l’Arca, Ottagono, Il Giornale dell’Arte, come Direttore della riviste “Eden. L’architettura nel paesaggio” dal 1993 al 1997 e “Architettura del Paesaggio” dal 2001 al 2005, e in molti interventi in workshop, conferenze, fino all’invito come relatore al XXIII UIA World Congress of Architecture 2008. Nel 1996 entra nel Consiglio di amministrazione di Palazzo Grassi a Venezia e dal 1999 è membro del Comitato Scientifico dello IED - Istituto Europeo di Design, con sedi a Torino e Milano, dove dal 2000 è coordinatore del Master in Exhibit Design.
Dal 2010 è professore a contratto del laboratorio di progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino.
Nel 1997 apre a Torino Camerana&Partners, organizzazione professionale alla quale collaborano giovani architetti italiani ed europei. Il lavoro di Camerana&Partners si è sviluppato in dodici anni di crescente affermazione attraverso i concorsi nel disegno urbano, nel paesaggio e nelle grandi opere di architettura pubblica e privata, in particolare nei settori residenziale, uffici, commerciale, dello spettacolo e delle infrastrutture. La ricerca progettuale è diretta all’innovazione tecnica e formale attraverso la costante attuazione di un concreto impegno ambientale, con l’utilizzo anche sperimentale di tecnologie innovative e sistemi naturali di risparmio di energia, e l’integrazione di essi e dell’elemento naturale nel progetto.
Tra le opere principali già realizzate il Villaggio Olimpico per i XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006, premiato alla Medaglia d’Oro dell’architettura Italiana 2006 e pubblicato in tutta Europa, la nuova sede AMIAT a Torino (2007), la ristrutturazione della sala dell’Auditorium RAI, opera di Mollino del 1952 (Torino, 2006), il centro commerciale e multisala Bicocca (Milano 2005), il centro commerciale Auchan (Cuneo 2004), la Tecnocity Environment Park (Torino 1999).
Tra le opere appena completate il ridisegno del centro urbano di Trino Vercellese, l’Incubatore di Imprese Parco Torricelli a Faenza, l’Urban Center di Rivarolo Canavese, il restauro critico del residence Du Parc a Torino (opera di Corrado Levi e Laura Petrazzini del 1970). Tra le opere in cantiere le nuove Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche e Biblioteca dell’Università di Torino sull’area Italgas (cantiere avviato nel 2009) e l’Unità Residenziale 14 nel Piano Integrato di Milano Santa Giulia (cantiere previsto dal 2011). Tra i nuovi progetti, l’aggiudicazione del concorsi per il piano urbanistico dell’area Novello a Cesena (2008, con GAP) e per la Città della Salute di Novara (nuovo Policlinico e Università di Medicina, 2009 con Studio Altieri), la Chiesa di Maria Madre dei Giovani per il Sermig a Torino (lavori previsti per il 2011) e il complesso di torri Porta Europa a Torino (con Jan Störmer, lavori previsti dal 2011).
Benedetto Camerana risponde a Luigi Prestinenza Puglisi
(pubblicato su presS/Tletter n.3-2006)
1. Una auto-presentazione in quattro righe...
Mi racconto un po’... classe ’63, architetto e paesaggista (per formazione de facto e in quanto associato AIAPP), dopo il Dottorato di ricerca e la direzione di Eden. Architettura nel Paesaggio (una bella rivista milanese passata un po’ sotto silenzio) ho aperto un mio ufficio nel ’96 con un obiettivo ambizioso ma possibile in questi anni: le opere pubbliche, con aggiudicazioni tramite concorsi. Con un po’ di fortuna ho subito infilato una serie di lavori importanti. È una storia comune a diversi architetti italiani della mia generazione: abbiamo avviato un percorso professionale proprio quando stava partendo una stagione di concorsi pubblici. Comunque sia, il mio primo progetto è una grande opera, il parco tecnologico di Torino, Environment Park, un progetto purtroppo ancora poco noto (un po’ perché non del tutto finito, un po’ per l’isolamento di Torino che fa e non dice…), 30.000 mq di uffici e laboratori estremamente innovativi per la sostenibilità, per il risparmio energetico, e soprattutto per via di una natura che copre, avvolge, riveste il costruito da ogni parte. In questo progetto infatti ho avuto la preziosa consulenza di Emilio Ambasz. Mettere insieme architettura e natura è una mia passione, una linea di lavoro fondamentale. E questo mi aiuta nel mio lavoro verso una architettura che definirei un-formal. Dopo Envi Park altri lavori di questo taglio, fino al Villaggio Olimpico che stiamo terminando oggi. Sono stati 9, quasi 10 anni di lavoro intensissimo, portato avanti senza un momento di pausa. Ora per me è il momento di fare un primo bilancio.
2. Raccontaci brevemente di come stanno andando i progetti per il Villaggio Olimpico di Torino.
È andata abbastanza bene. Qualità della costruzione mediamente buona pur con tempi quasi miracolosi. Abbiamo progettato e diretto in fase di costruzione un intero quartiere urbano formato da 39 palazzi residenziali, dal recupero dei Mercati Generali come Centro Servizi e dal ponte pedonale (con il noto arco…) in solo 2 anni e mezzo. Il 22 dicembre cerimonia di consegna a Chiamparino e al Toroc delle “case” e del Centro Servizi. Il ponte sarà percorribile a metà gennaio. Il risultato è anche sorprendente. Il masterplan è piuttosto inusuale, abbiamo frazionato i 750 appartamenti in tantissime architetture tra loro connesse da un sistema continuo di piazze e giardini. Lo schema urbano è forte e coerente, ma l’architettura è molto varia: hanno lavorato fianco a fianco 12 architetti europei, solo 4 torinesi, gli altri francesi, inglesi, e di cultura tedesca in senso lato. Poi c’è il piano colore studiato con Wiesner, che è un artista che lavora sui grandi insediamenti urbani. C’è un senso di installazione d’arte contemporanea in grandissima scala. L’insieme è molto articolato, è una scoperta continua. Abbiamo anche trovato un equilibrio speciale tra densità urbana e vivibilità. Certamente più che alle Olimpiadi abbiamo pensato alla città futura, ai futuri abitanti. Sindaco e assessori sono molto contenti. Ma anche il presidente del CIO quando è venuto in visita ha detto che è il più bel Villaggio delle ultime edizioni dei Giochi.
3. Che ruolo ha svolto il tuo studio?
Il ruolo di capogruppo. In pratica il regista del progetto generale. Prima di tutto organizzare un gruppo molto eterogeneo e multilingue, coordinando 12 architetti e altrettanti uffici di ingegneria, molte culture diverse, dando a ogni attore la parte giusta, guidare passo per passo il loro lavoro per mantenere una coerenza tra parti tanto diverse, anche considerando i tempi strettissimi e le questioni normative. Tutti i progettisti non italiani non sarebbero stati in grado di sviluppare in modo utile la loro parte di progetto senza il nostro supporto. E viceversa noi non avremmo potuto coordinare il Villaggio nel suo insieme senza l’entusiasmo dei partner. Penso alla visione di Otto Steidle, alla genialità di Hugh Dutton, alle idee concrete di Albert Constantin, al disegno sicuro di Roger Diener, di Manfred Ortner, di Erich Wiesner. In questo lavoro sono molto ben aiutato dai miei collaboratori di studio, soprattutto Hermann Kohlloffel. Inoltre abbiamo direttamente disegnato molte parti del Villaggio. Una dozzina di edifici, parte del recupero delle strutture storiche, tutto il landscaping, parte dell’intuizione per il ponte e l’arco.
4. Un tuo giudizio sulle olimpiadi: un'occasione mancata per fare di più per l'architettura torinese o comunque un risultato di cui andare orgogliosi?
Non è facile giudicare. Il mandato di una Olimpiade non è l’architettura. Ma i due concorsi di progetto che sono stati fatti hanno portato molta qualità. Oltre al nostro lavoro nel Villaggio, io giudico eccellente quanto hanno fatto Isozaki e Maggiora nel Palazzo dell’Hockey. Ma preferisco fare una considerazione generale. Torino ha scelto di non concentrare le funzioni olimpiche in un unico quartiere, come invece hanno fatto tante altre città in precedenza. Tra l’altro gli eventi sono divisi tra Torino città e le montagne. In ogni modo la strategia dell’amministrazione è stata quelle di distribuire le nuove edificazioni in molte parti della città. La rigenerazione urbana sta quindi interessando molte diverse aree. Credo che sul lungo termine questa sia una strategia molto intelligente. Qualità diffusa per la città dopo le Olimpiadi. Però abbiamo avuto molti problemi ieri (con i cantieri dappertutto) e moltissimi ne avremo durante i giochi (traffico quasi paralizzato)
5: Cosa ne pensi dell' architettura in Italia oggi ...
È una fase di crisi, di trasformazione. Succede di tutto. Credo che sia una fase molto positiva per i giovani più dotati, svegli e organizzati. Abbiamo molti concorsi, e alcuni sono davvero operativi e trasparenti, ma molti altri non lo sono e sono fonte di un incredibile spreco di risorse (per gli architetti). Per complicare la situazione, la contemporanea crisi (relativa) delle opere pubbliche o private in Francia, Inghilterra e Germania ha spinto molti architetti di buona esperienza e struttura a cercar lavori in Italia. Dunque la situazione resta difficile. Anche perché abbiano una normativa che rende la vita molto difficile agli architetti (la Merloni premia l’attività burocratica rispetto all’ideazione) e perché in generale il nostro resta un mercato debole. Passo molto tempo in Germania (il mio terzo figlio è nato poco fa a Amburgo) e visito molto la Svizzera ed è purtroppo evidente che la qualità degli interventi pubblici e anche privati da noi resta molto più bassa.
6. E di quella Torinese? Mi sembra che ultimamente ci sia un certo attivismo; per esempio con la nascita di Turn, e allo stesso tempo un sentore di crisi, forse dovuta anche alla crisi dell'industria automobilistica...
Torino vive una fase molto attiva. I lavori per le Olimpiadi sono solo una parte della grande trasformazione in corso. Ci sono anche l’interramento del passante ferroviario e le importanti aree che di conseguenza si sono liberate (con la nuova Stazione di Porta Susa) e soprattutto il PRG che è stato attivato da metà anni ’90. Inoltre stiamo già lavorando agli studi per il 2011. Questi programmi coincidono con la libertà di pianificazione dell’amministrazione con la nuova legge elettorale e con l’accelerazione degli investimenti immobiliari in Italia dopo l’avviamento dell’euro: ecco allora le molte opere finanziate dal Comune, e i molti investimenti privati, quasi solo nel residenziale (anche se diversamente che a Milano, a Torino operano quasi solo imprenditori immobiliari locali). Aggiungiamo l’attivismo di alcuni soggetti che realizzano nuove opere importanti: il raddoppio del Politecnico, le nuove sedi dell’Università (io sono uno dei progettisti della più importante, quella sull’area Italgas), c’è persino una grande chiesa nel nuovo quartiere di Spina 3. Riguardo all’auto, ben avviato il rilancio Fiat grazie al lavoro di Marchionne, sarebbe interessante che il settore del design e dell’engineering dell’auto si organizzasse come sistema con una serie di azioni di promozione internazionale.
7. Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti costruire casa tua...
La mia casa l’ho appena finita, ma è solo un interno. L’ho disegnata insieme a Piero Brarda e sono contento del risultato. Se volessi farne un'altra, chiederei a Italo Rota. Ma se fosse un edificio ex novo, da costruire nel paesaggio, chiederei a Emilio Ambasz, che possiamo considerare un italiano honoris causa.
8. Il nome di una star internazionale alla quale non faresti costruire casa tua...
In generale chiedere a una star internazionale di disegnare una casa, e in particolare la mia casa, è un controsenso, perché non degnerebbe il progetto di uno sguardo.
9. Il nome di un edificio famoso che non ti piace affatto.
Non ce ne sono. Se un edificio è famoso c’è sempre una buona ragione di qualità generale. Ce ne sono però alcuni che sono stracelebrati ma che non mi convincono. Per esempio Calatrava a Valencia.
10. L'università italiana...la consiglieresti? E se si in quale città? E a Torino?
Non sono abbastanza preparato per questa domanda. Conosco poco le università italiane ed europee per fare un confronto. Ma se vale un giudizio fondato sulle qualità dei neolaureati che lavorano con me, chi viene da fuori Italia ha una preparazione migliore, più completa. Mi pare che la nostra università sia un mondo un po’ chiuso. Per quanto mi risulta, non c’è circolazione di persone che vengano qui ad insegnare o a studiare permanentemente, come capita in certe scuole per esempio a Londra o in Olanda. Ma credo che questo isolamento sia comune a buona parte dell’università italiana. Per quanto riguarda Torino mi sembra che ci sia stato un buon rinnovamento generazionale.
11. La tua visione dell'architettura: autodefinisciti: reazionario, tradizionalista, moderato, progressista, sperimentalista, avanguardista ( o altro purchè la definizione sia al massimo di un paio di parole e non cercare di scappare alla domanda dicendo che sei oltre le sigle...)
Tra queste definizioni scelgo ovviamente sperimentalista. Ogni progetto è una occasione di ricerca, di esperimento appunto, sulle funzioni, sui sistemi, sui materiali. Aggiungo anche altre due definizioni. La prima è: paesaggista. Che implica un aspetto fondamentale del progetto di architettura: la visione dalla lunga distanza, la veduta in movimento. L’altra è un po’ atipica: informale. Vorrei poter uscire da un mondo di forme che si potrebbe definire euclideo per entrare in un mondo che per farmi capire definirei frattale. Non credo di essere solo, nella mia generazione, a nutrire questa ambizione. Ma è una tensione molto difficile da realizzare.
12. Mettimi in ordine di preferenza i seguenti architetti: Eisenman, Koolhaas, Moss, Hadid, Herzog e de Meuron, Gehry, Coop Himmelb(l)au, Fuksas, Piano, Botta, Anselmi, Purini, Cellini, Prati, Portoghesi, Gregotti. ( per cortesia non mettere pari merito). Se non vuoi rispondere a questa domanda puoi scegliere quest'altra: devi organizzare un importante concorso a inviti di architettura e ti danno l'incarico di invitare cinque architetti, chi scegli?
In spirito olimpico partecipo a questo gioco delle preferenze e indico solo i primi tre classificati in una gara di oggi (ma domani il risultato potrebbe essere un altro): l’oro a Herzog e de Meuron per la tensione costante verso l’innovazione (anche in senso quantitativo). L’argento a Massimiliano Fuksas perché lo fa in Italia: molto più difficile. Il bronzo a Renzo Piano perché riesce davvero a essere universale in ogni suo lavoro, e questo da così tanti anni.
13: Gabetti o Olmo?
Difficile scegliere. Sono storie diversissime ma molto vicine e per molti anni. Direi quindi Gabetti e Olmo.
14: Architettura e nuove tecnologie. Un successo o un fallimento?
Né successo né fallimento ma un percorso necessario che alcuni architetti sanno compiere molto prima di altri. Del resto i cambiamenti più forti in architettura derivano dalle nuove possibilità che la produzione tecnica mette a disposizione dei progettisti più intelligenti e intuitivi. Penso a Peter Rice e Hugh Dutton quando hanno inventato il vetro strutturale, mettendo insieme alcune migliorie sviluppate dall’industria del vetro con alcune componenti utilizzate nel mondo della vela. Venti anni dopo tutti usano il vetro strutturale.
15: A proposito di tecnologia. Mi ha incuriosito il tuo progetto dell'arco per Torino. Precedenti Libera e Saarineen. Ce ne parli brevemente?
Prima di tutto una distinzione: Libera (progetto per l’EUR, non costruito, non tutti lo conoscono) e Saarinen (a S.Louis: questo è noto) hanno pensato grandi archi che hanno essenzialmente valore di simbolo. Il nostro arco olimpico ha invece una funzione articolata: è la struttura a cui sono appesi i 32 stralli che sostengono il ponte pedonale che collega il nuovo quartiere del Villaggio Olimpico con il grande complesso delle ex Officine Fiat del Lingotto. Dunque ha una funzione strutturale e urbanistica.
L’idea dell’arco nasce da un incontro tra me e Hugh Dutton. Lui aveva da tempo in mente il progetto di un ponte sospeso ad un arco ed io volevo un segno molto forte che riprendesse la forma degli archi parabolici in cemento dei Mercati generali, realizzati nel 1934. L’arco è piaciuto subito a tutti. Poi Hugh ha sviluppato l’idea da par suo, con il nostro aiuto, realizzando un sistema di elementi la cui forma per certi versi sorprendente risponde in modo essenziale alle tensioni dei materiali e delle masse. C’è una stretta corrispondenza tra innovazione tecnica e forma spaziale. L’impalcato del ponte sale e scende per superare il grande parco ferroviario del Lingotto e le norme di sicurezza, ed è in curva per entrare direttamente dentro il Lingotto attraverso la passerella esistente. L’arco è inclinato di 24 gradi verso la parte sospesa dell’impalcato per migliorare l’angolo degli stralli e per lo stesso motivo è asimmetricamente deformato verso sud. In più abbiamo scelto un colore rosso acceso. Nell’insieme, nonostante la complessità tecnica (due esempi: lo studio in Galleria del vento e il montaggio di grandi ammortizzatori per garantire il comfort ai passanti) è soprattutto un progetto di architettura urbana. Per questi motivi, e non solo per le notevoli misure (l’arco è alto 69 metri, il ponte è lungo 370), questa parte del progetto è stata subito adottata come simbolo delle Olimpiadi di Torino e come simbolo della Torino che cambia.
16: Un libro che consiglieresti a uno studente, uno a un architetto, uno a un critico
Vorrei evitare consigli puntuali di lettura: è un aspetto troppo personale della vita. In generale suggerirei di leggere molta narrativa e pochi testi di architettura, perché sono poche le cose davvero di valore nel nostro mondo. È difficile scegliere bene. Una buona idea è quella di seguire la produzione di alcuni bravi editori. Qualche settimana fa è venuto a vedere casa mia Ramon Pratt: la sua Actar mi pare un riferimento sempre utile.
17: Saranno famosi: fammi tre nomi
Vorrei dire tre architetti italiani, scelti in questa generazione degli anni ’60 che sta lavorando già molto bene. Ma non faccio nomi, ce ne sono ben più di tre. Ma vorrei dire anche tre critici di architettura italiani, nella speranza che possano essere chiamati a dirigere Biennali di architettura nelle Venezie d’altrove.
18: Il tuo artista preferito ( non architetto)
Un italiano: Cattelan. Un non italiano: Charles Ray oppure Dan Graham.
19: Gioco della torre: Boeri o Dal Co? Insomma: Domus o Casabella? ( puoi fare anche una carneficina o dire: passo)
Io abito in una torre e dunque l’idea di buttare giù qualcuno non mi piace. Se proprio devo scegliere, come rivista scelgo Casabella per l’architettura e Domus per la città e il territorio. Come Direttore resto con Boeri perché abbiamo una simpatia reciproca e siamo della stessa generazione.
20: Tre parole oggi importanti…
Come principio: innovazione (non si era capito?). Come valore: il luogo (dove si realizza un progetto .. alcune architetti troppo occupati non vanno nemmeno a vederlo). Come tema: la residenza pubblica (non solo perché oggi è una necessità in Italia ma anche perché non si possono progettare solo musei!).
Benedetto Camerana (Torino, 1963), architetto, paesaggista, PhD in Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica, dopo gli studi ha proseguito la ricerca teorica lavorando sull’integrazione tra architettura e paesaggio, nella direzione di una “green architecture” di chiara matrice ambientale. Di questi temi ha pubblicamente discusso su Il Giornale dell’Architettura, La Stampa, l’Arca, Ottagono, Il Giornale dell’Arte, come Direttore della riviste “Eden. L’architettura nel paesaggio” dal 1993 al 1997 e “Architettura del Paesaggio” dal 2001 al 2005, e in molti interventi in workshop, conferenze, fino all’invito come relatore al XXIII UIA World Congress of Architecture 2008. Nel 1996 entra nel Consiglio di amministrazione di Palazzo Grassi a Venezia e dal 1999 è membro del Comitato Scientifico dello IED - Istituto Europeo di Design, con sedi a Torino e Milano, dove dal 2000 è coordinatore del Master in Exhibit Design.
Dal 2010 è professore a contratto del laboratorio di progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino.
Nel 1997 apre a Torino Camerana&Partners, organizzazione professionale alla quale collaborano giovani architetti italiani ed europei. Il lavoro di Camerana&Partners si è sviluppato in dodici anni di crescente affermazione attraverso i concorsi nel disegno urbano, nel paesaggio e nelle grandi opere di architettura pubblica e privata, in particolare nei settori residenziale, uffici, commerciale, dello spettacolo e delle infrastrutture. La ricerca progettuale è diretta all’innovazione tecnica e formale attraverso la costante attuazione di un concreto impegno ambientale, con l’utilizzo anche sperimentale di tecnologie innovative e sistemi naturali di risparmio di energia, e l’integrazione di essi e dell’elemento naturale nel progetto.
Tra le opere principali già realizzate il Villaggio Olimpico per i XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006, premiato alla Medaglia d’Oro dell’architettura Italiana 2006 e pubblicato in tutta Europa, la nuova sede AMIAT a Torino (2007), la ristrutturazione della sala dell’Auditorium RAI, opera di Mollino del 1952 (Torino, 2006), il centro commerciale e multisala Bicocca (Milano 2005), il centro commerciale Auchan (Cuneo 2004), la Tecnocity Environment Park (Torino 1999).
Tra le opere appena completate il ridisegno del centro urbano di Trino Vercellese, l’Incubatore di Imprese Parco Torricelli a Faenza, l’Urban Center di Rivarolo Canavese, il restauro critico del residence Du Parc a Torino (opera di Corrado Levi e Laura Petrazzini del 1970). Tra le opere in cantiere le nuove Facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche e Biblioteca dell’Università di Torino sull’area Italgas (cantiere avviato nel 2009) e l’Unità Residenziale 14 nel Piano Integrato di Milano Santa Giulia (cantiere previsto dal 2011). Tra i nuovi progetti, l’aggiudicazione del concorsi per il piano urbanistico dell’area Novello a Cesena (2008, con GAP) e per la Città della Salute di Novara (nuovo Policlinico e Università di Medicina, 2009 con Studio Altieri), la Chiesa di Maria Madre dei Giovani per il Sermig a Torino (lavori previsti per il 2011) e il complesso di torri Porta Europa a Torino (con Jan Störmer, lavori previsti dal 2011).
Benedetto Camerana risponde a Luigi Prestinenza Puglisi
(pubblicato su presS/Tletter n.3-2006)
1. Una auto-presentazione in quattro righe...
Mi racconto un po’... classe ’63, architetto e paesaggista (per formazione de facto e in quanto associato AIAPP), dopo il Dottorato di ricerca e la direzione di Eden. Architettura nel Paesaggio (una bella rivista milanese passata un po’ sotto silenzio) ho aperto un mio ufficio nel ’96 con un obiettivo ambizioso ma possibile in questi anni: le opere pubbliche, con aggiudicazioni tramite concorsi. Con un po’ di fortuna ho subito infilato una serie di lavori importanti. È una storia comune a diversi architetti italiani della mia generazione: abbiamo avviato un percorso professionale proprio quando stava partendo una stagione di concorsi pubblici. Comunque sia, il mio primo progetto è una grande opera, il parco tecnologico di Torino, Environment Park, un progetto purtroppo ancora poco noto (un po’ perché non del tutto finito, un po’ per l’isolamento di Torino che fa e non dice…), 30.000 mq di uffici e laboratori estremamente innovativi per la sostenibilità, per il risparmio energetico, e soprattutto per via di una natura che copre, avvolge, riveste il costruito da ogni parte. In questo progetto infatti ho avuto la preziosa consulenza di Emilio Ambasz. Mettere insieme architettura e natura è una mia passione, una linea di lavoro fondamentale. E questo mi aiuta nel mio lavoro verso una architettura che definirei un-formal. Dopo Envi Park altri lavori di questo taglio, fino al Villaggio Olimpico che stiamo terminando oggi. Sono stati 9, quasi 10 anni di lavoro intensissimo, portato avanti senza un momento di pausa. Ora per me è il momento di fare un primo bilancio.
2. Raccontaci brevemente di come stanno andando i progetti per il Villaggio Olimpico di Torino.
È andata abbastanza bene. Qualità della costruzione mediamente buona pur con tempi quasi miracolosi. Abbiamo progettato e diretto in fase di costruzione un intero quartiere urbano formato da 39 palazzi residenziali, dal recupero dei Mercati Generali come Centro Servizi e dal ponte pedonale (con il noto arco…) in solo 2 anni e mezzo. Il 22 dicembre cerimonia di consegna a Chiamparino e al Toroc delle “case” e del Centro Servizi. Il ponte sarà percorribile a metà gennaio. Il risultato è anche sorprendente. Il masterplan è piuttosto inusuale, abbiamo frazionato i 750 appartamenti in tantissime architetture tra loro connesse da un sistema continuo di piazze e giardini. Lo schema urbano è forte e coerente, ma l’architettura è molto varia: hanno lavorato fianco a fianco 12 architetti europei, solo 4 torinesi, gli altri francesi, inglesi, e di cultura tedesca in senso lato. Poi c’è il piano colore studiato con Wiesner, che è un artista che lavora sui grandi insediamenti urbani. C’è un senso di installazione d’arte contemporanea in grandissima scala. L’insieme è molto articolato, è una scoperta continua. Abbiamo anche trovato un equilibrio speciale tra densità urbana e vivibilità. Certamente più che alle Olimpiadi abbiamo pensato alla città futura, ai futuri abitanti. Sindaco e assessori sono molto contenti. Ma anche il presidente del CIO quando è venuto in visita ha detto che è il più bel Villaggio delle ultime edizioni dei Giochi.
3. Che ruolo ha svolto il tuo studio?
Il ruolo di capogruppo. In pratica il regista del progetto generale. Prima di tutto organizzare un gruppo molto eterogeneo e multilingue, coordinando 12 architetti e altrettanti uffici di ingegneria, molte culture diverse, dando a ogni attore la parte giusta, guidare passo per passo il loro lavoro per mantenere una coerenza tra parti tanto diverse, anche considerando i tempi strettissimi e le questioni normative. Tutti i progettisti non italiani non sarebbero stati in grado di sviluppare in modo utile la loro parte di progetto senza il nostro supporto. E viceversa noi non avremmo potuto coordinare il Villaggio nel suo insieme senza l’entusiasmo dei partner. Penso alla visione di Otto Steidle, alla genialità di Hugh Dutton, alle idee concrete di Albert Constantin, al disegno sicuro di Roger Diener, di Manfred Ortner, di Erich Wiesner. In questo lavoro sono molto ben aiutato dai miei collaboratori di studio, soprattutto Hermann Kohlloffel. Inoltre abbiamo direttamente disegnato molte parti del Villaggio. Una dozzina di edifici, parte del recupero delle strutture storiche, tutto il landscaping, parte dell’intuizione per il ponte e l’arco.
4. Un tuo giudizio sulle olimpiadi: un'occasione mancata per fare di più per l'architettura torinese o comunque un risultato di cui andare orgogliosi?
Non è facile giudicare. Il mandato di una Olimpiade non è l’architettura. Ma i due concorsi di progetto che sono stati fatti hanno portato molta qualità. Oltre al nostro lavoro nel Villaggio, io giudico eccellente quanto hanno fatto Isozaki e Maggiora nel Palazzo dell’Hockey. Ma preferisco fare una considerazione generale. Torino ha scelto di non concentrare le funzioni olimpiche in un unico quartiere, come invece hanno fatto tante altre città in precedenza. Tra l’altro gli eventi sono divisi tra Torino città e le montagne. In ogni modo la strategia dell’amministrazione è stata quelle di distribuire le nuove edificazioni in molte parti della città. La rigenerazione urbana sta quindi interessando molte diverse aree. Credo che sul lungo termine questa sia una strategia molto intelligente. Qualità diffusa per la città dopo le Olimpiadi. Però abbiamo avuto molti problemi ieri (con i cantieri dappertutto) e moltissimi ne avremo durante i giochi (traffico quasi paralizzato)
5: Cosa ne pensi dell' architettura in Italia oggi ...
È una fase di crisi, di trasformazione. Succede di tutto. Credo che sia una fase molto positiva per i giovani più dotati, svegli e organizzati. Abbiamo molti concorsi, e alcuni sono davvero operativi e trasparenti, ma molti altri non lo sono e sono fonte di un incredibile spreco di risorse (per gli architetti). Per complicare la situazione, la contemporanea crisi (relativa) delle opere pubbliche o private in Francia, Inghilterra e Germania ha spinto molti architetti di buona esperienza e struttura a cercar lavori in Italia. Dunque la situazione resta difficile. Anche perché abbiano una normativa che rende la vita molto difficile agli architetti (la Merloni premia l’attività burocratica rispetto all’ideazione) e perché in generale il nostro resta un mercato debole. Passo molto tempo in Germania (il mio terzo figlio è nato poco fa a Amburgo) e visito molto la Svizzera ed è purtroppo evidente che la qualità degli interventi pubblici e anche privati da noi resta molto più bassa.
6. E di quella Torinese? Mi sembra che ultimamente ci sia un certo attivismo; per esempio con la nascita di Turn, e allo stesso tempo un sentore di crisi, forse dovuta anche alla crisi dell'industria automobilistica...
Torino vive una fase molto attiva. I lavori per le Olimpiadi sono solo una parte della grande trasformazione in corso. Ci sono anche l’interramento del passante ferroviario e le importanti aree che di conseguenza si sono liberate (con la nuova Stazione di Porta Susa) e soprattutto il PRG che è stato attivato da metà anni ’90. Inoltre stiamo già lavorando agli studi per il 2011. Questi programmi coincidono con la libertà di pianificazione dell’amministrazione con la nuova legge elettorale e con l’accelerazione degli investimenti immobiliari in Italia dopo l’avviamento dell’euro: ecco allora le molte opere finanziate dal Comune, e i molti investimenti privati, quasi solo nel residenziale (anche se diversamente che a Milano, a Torino operano quasi solo imprenditori immobiliari locali). Aggiungiamo l’attivismo di alcuni soggetti che realizzano nuove opere importanti: il raddoppio del Politecnico, le nuove sedi dell’Università (io sono uno dei progettisti della più importante, quella sull’area Italgas), c’è persino una grande chiesa nel nuovo quartiere di Spina 3. Riguardo all’auto, ben avviato il rilancio Fiat grazie al lavoro di Marchionne, sarebbe interessante che il settore del design e dell’engineering dell’auto si organizzasse come sistema con una serie di azioni di promozione internazionale.
7. Il nome di un architetto italiano vivente al quale faresti costruire casa tua...
La mia casa l’ho appena finita, ma è solo un interno. L’ho disegnata insieme a Piero Brarda e sono contento del risultato. Se volessi farne un'altra, chiederei a Italo Rota. Ma se fosse un edificio ex novo, da costruire nel paesaggio, chiederei a Emilio Ambasz, che possiamo considerare un italiano honoris causa.
8. Il nome di una star internazionale alla quale non faresti costruire casa tua...
In generale chiedere a una star internazionale di disegnare una casa, e in particolare la mia casa, è un controsenso, perché non degnerebbe il progetto di uno sguardo.
9. Il nome di un edificio famoso che non ti piace affatto.
Non ce ne sono. Se un edificio è famoso c’è sempre una buona ragione di qualità generale. Ce ne sono però alcuni che sono stracelebrati ma che non mi convincono. Per esempio Calatrava a Valencia.
10. L'università italiana...la consiglieresti? E se si in quale città? E a Torino?
Non sono abbastanza preparato per questa domanda. Conosco poco le università italiane ed europee per fare un confronto. Ma se vale un giudizio fondato sulle qualità dei neolaureati che lavorano con me, chi viene da fuori Italia ha una preparazione migliore, più completa. Mi pare che la nostra università sia un mondo un po’ chiuso. Per quanto mi risulta, non c’è circolazione di persone che vengano qui ad insegnare o a studiare permanentemente, come capita in certe scuole per esempio a Londra o in Olanda. Ma credo che questo isolamento sia comune a buona parte dell’università italiana. Per quanto riguarda Torino mi sembra che ci sia stato un buon rinnovamento generazionale.
11. La tua visione dell'architettura: autodefinisciti: reazionario, tradizionalista, moderato, progressista, sperimentalista, avanguardista ( o altro purchè la definizione sia al massimo di un paio di parole e non cercare di scappare alla domanda dicendo che sei oltre le sigle...)
Tra queste definizioni scelgo ovviamente sperimentalista. Ogni progetto è una occasione di ricerca, di esperimento appunto, sulle funzioni, sui sistemi, sui materiali. Aggiungo anche altre due definizioni. La prima è: paesaggista. Che implica un aspetto fondamentale del progetto di architettura: la visione dalla lunga distanza, la veduta in movimento. L’altra è un po’ atipica: informale. Vorrei poter uscire da un mondo di forme che si potrebbe definire euclideo per entrare in un mondo che per farmi capire definirei frattale. Non credo di essere solo, nella mia generazione, a nutrire questa ambizione. Ma è una tensione molto difficile da realizzare.
12. Mettimi in ordine di preferenza i seguenti architetti: Eisenman, Koolhaas, Moss, Hadid, Herzog e de Meuron, Gehry, Coop Himmelb(l)au, Fuksas, Piano, Botta, Anselmi, Purini, Cellini, Prati, Portoghesi, Gregotti. ( per cortesia non mettere pari merito). Se non vuoi rispondere a questa domanda puoi scegliere quest'altra: devi organizzare un importante concorso a inviti di architettura e ti danno l'incarico di invitare cinque architetti, chi scegli?
In spirito olimpico partecipo a questo gioco delle preferenze e indico solo i primi tre classificati in una gara di oggi (ma domani il risultato potrebbe essere un altro): l’oro a Herzog e de Meuron per la tensione costante verso l’innovazione (anche in senso quantitativo). L’argento a Massimiliano Fuksas perché lo fa in Italia: molto più difficile. Il bronzo a Renzo Piano perché riesce davvero a essere universale in ogni suo lavoro, e questo da così tanti anni.
13: Gabetti o Olmo?
Difficile scegliere. Sono storie diversissime ma molto vicine e per molti anni. Direi quindi Gabetti e Olmo.
14: Architettura e nuove tecnologie. Un successo o un fallimento?
Né successo né fallimento ma un percorso necessario che alcuni architetti sanno compiere molto prima di altri. Del resto i cambiamenti più forti in architettura derivano dalle nuove possibilità che la produzione tecnica mette a disposizione dei progettisti più intelligenti e intuitivi. Penso a Peter Rice e Hugh Dutton quando hanno inventato il vetro strutturale, mettendo insieme alcune migliorie sviluppate dall’industria del vetro con alcune componenti utilizzate nel mondo della vela. Venti anni dopo tutti usano il vetro strutturale.
15: A proposito di tecnologia. Mi ha incuriosito il tuo progetto dell'arco per Torino. Precedenti Libera e Saarineen. Ce ne parli brevemente?
Prima di tutto una distinzione: Libera (progetto per l’EUR, non costruito, non tutti lo conoscono) e Saarinen (a S.Louis: questo è noto) hanno pensato grandi archi che hanno essenzialmente valore di simbolo. Il nostro arco olimpico ha invece una funzione articolata: è la struttura a cui sono appesi i 32 stralli che sostengono il ponte pedonale che collega il nuovo quartiere del Villaggio Olimpico con il grande complesso delle ex Officine Fiat del Lingotto. Dunque ha una funzione strutturale e urbanistica.
L’idea dell’arco nasce da un incontro tra me e Hugh Dutton. Lui aveva da tempo in mente il progetto di un ponte sospeso ad un arco ed io volevo un segno molto forte che riprendesse la forma degli archi parabolici in cemento dei Mercati generali, realizzati nel 1934. L’arco è piaciuto subito a tutti. Poi Hugh ha sviluppato l’idea da par suo, con il nostro aiuto, realizzando un sistema di elementi la cui forma per certi versi sorprendente risponde in modo essenziale alle tensioni dei materiali e delle masse. C’è una stretta corrispondenza tra innovazione tecnica e forma spaziale. L’impalcato del ponte sale e scende per superare il grande parco ferroviario del Lingotto e le norme di sicurezza, ed è in curva per entrare direttamente dentro il Lingotto attraverso la passerella esistente. L’arco è inclinato di 24 gradi verso la parte sospesa dell’impalcato per migliorare l’angolo degli stralli e per lo stesso motivo è asimmetricamente deformato verso sud. In più abbiamo scelto un colore rosso acceso. Nell’insieme, nonostante la complessità tecnica (due esempi: lo studio in Galleria del vento e il montaggio di grandi ammortizzatori per garantire il comfort ai passanti) è soprattutto un progetto di architettura urbana. Per questi motivi, e non solo per le notevoli misure (l’arco è alto 69 metri, il ponte è lungo 370), questa parte del progetto è stata subito adottata come simbolo delle Olimpiadi di Torino e come simbolo della Torino che cambia.
16: Un libro che consiglieresti a uno studente, uno a un architetto, uno a un critico
Vorrei evitare consigli puntuali di lettura: è un aspetto troppo personale della vita. In generale suggerirei di leggere molta narrativa e pochi testi di architettura, perché sono poche le cose davvero di valore nel nostro mondo. È difficile scegliere bene. Una buona idea è quella di seguire la produzione di alcuni bravi editori. Qualche settimana fa è venuto a vedere casa mia Ramon Pratt: la sua Actar mi pare un riferimento sempre utile.
17: Saranno famosi: fammi tre nomi
Vorrei dire tre architetti italiani, scelti in questa generazione degli anni ’60 che sta lavorando già molto bene. Ma non faccio nomi, ce ne sono ben più di tre. Ma vorrei dire anche tre critici di architettura italiani, nella speranza che possano essere chiamati a dirigere Biennali di architettura nelle Venezie d’altrove.
18: Il tuo artista preferito ( non architetto)
Un italiano: Cattelan. Un non italiano: Charles Ray oppure Dan Graham.
19: Gioco della torre: Boeri o Dal Co? Insomma: Domus o Casabella? ( puoi fare anche una carneficina o dire: passo)
Io abito in una torre e dunque l’idea di buttare giù qualcuno non mi piace. Se proprio devo scegliere, come rivista scelgo Casabella per l’architettura e Domus per la città e il territorio. Come Direttore resto con Boeri perché abbiamo una simpatia reciproca e siamo della stessa generazione.
20: Tre parole oggi importanti…
Come principio: innovazione (non si era capito?). Come valore: il luogo (dove si realizza un progetto .. alcune architetti troppo occupati non vanno nemmeno a vederlo). Come tema: la residenza pubblica (non solo perché oggi è una necessità in Italia ma anche perché non si possono progettare solo musei!).
22
novembre 2010
Benedetto Camerana – Progetti recenti (2000-2010)
Dal 22 novembre al 02 dicembre 2010
architettura
incontro - conferenza
incontro - conferenza
Location
CASA DELL’ARCHITETTURA – ACQUARIO ROMANO
Roma, Piazza Manfredo Fanti, 47, (Roma)
Roma, Piazza Manfredo Fanti, 47, (Roma)
Orario di apertura
lun-ven 10.00-18.00
Vernissage
22 Novembre 2010, ore 18
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