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Bepo Spela / Davide Antolini – Trilogia: Le Gardesane, Romeo e Giulieta, La Storia de Verona
Presentazione della nuova edizione delle tre opere più importanti del poeta veronese Bepo Spela (Giuseppe Barni 1891-1964) scomparso da più di quarant’anni.
Le illustrazioni sono state curate da Davide Antolini, artista veronese e professore dell’Accademia Cignaroli di Verona.
Comunicato stampa
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BEPO SPELA (Giuseppe Barni) 1891-1964
TRILOGIA: “Le Gardesane” – “La Storia de Verona” – “Giulieta e Romeo”
Illustrazioni curate da Davide Antolini
I veri affetti non avvertono lo sfrigolio della pialla del tempo. Lo dimostra anche questa raccolta “ Bepo Spela – Giuseppe Barni – Trilogia”, con illustrazioni di Davide Antolini: un ricordo, una celebrazione della famiglia Ghelfi in onore di quel grande amico di Sante Ghelfi (padre di Giorgio uno dei più storici galleristi d’Italia), che seppe con i suoi scritti essere felice maieutico della più autentica veronesità.
Bepo Spela, che strano pseudonimo! Una marchiatura a fuoco quasi profetica. Nonostante il banale errore del proto, il suono di quel popolaresco ”Opela” rimaneva, come una specie di logo indicativo dell’arguzia e dell’infinito amore dell’autore per i temi di Verona e della sua gente.
Se esiste una professione che per eccellenza non dà pane, è proprio l’esercizio del poeta. Barni dovette quindi badare anche alle esigenze della sopravvivenza. Ma il filo d’Arianna per uscire dal labirinto della banalità fu sempre la cultura, insaporita con la sua irresistibile “pazzia” moltebaldina. E il culto dell’amicizia. Come quella per Sante, nella cui galleria di via Roma, riuscì a dar vita ad un piccolo Cenacolo di ritrovo e scambio intellettuale.
Tipi come Bepo non se ne incontrano più per le strade di Verona, che appare sempre più affollata di gente tutta uguale, omogeneizzata in una identica moda, facce comprese.
Non alto di statura, lineamenti da fauno in libera uscita, da folletto arguto e burlone, sembrava l’immagine di uno di quei personaggi dell’epica letteraria che non hanno ruolo primario, ma il sapore del sale di saggezza e del pepe dell’ironia, anche in mezzo a cotante tragedie e disgrazie.
Rileggere i suoi versi è come aprire un barattolo di caffè sotto vuoto e sentire l’aroma. Un profumo di casa che entra nelle narici e nel cuore trascinando memorie fatte di storia maiuscola e microstoria, di leggende, di pennellate minuziose o a spatola su personaggi e paesaggi.
Lo si sente intensamente anche in questa Edizione di Giorgio Ghelfi dove riappaiono “Le Gardesane”, “Giulieta e Romeo”, “La Storia di Verona”, e che comprende tre poesie scelte fra le mai pubblicate “30 Liriche Vernacole Popolaresche Veronesi – in memoria di Sante Ghelfi”.
È una poesia immediata dove caso e destino si intrecciano con una forza intima e nello stesso tempo divulgativa, con la fascinazione del cantastorie dei vecchi filò, con il senso del divertimento e del fato ineluttabile della morte, con la purezza di un dialetto inattaccabile dai vari neologismi, agile e musicale nelle sue accentazioni mirabilmente congruenti agli stati d’animo.
I versi, che mai si sottraggono all’analisi dell’attualità e della storia, contengono spesso una sorta di lenimento a sofferenza e dolore. Ma offrono anche una valida opportunità per riflettere sull’”hic et nunc”, sottintendono un potenziale ordine alternativo da cui attingere insegnamento. E per il poeta, sono occasione di riesame e di approfondimento del suo ruolo e della sostanza del proprio magistero.
Nessuna compiacenza esornativa altera la limpidezza de “Le Gardesane”, non semplici “quadretti” d’ambiente facili al descrittivismo. Ogni paese sulla riva orientale e occidentale del Garda, pur non alterando l’atmosfera locale, sono metafora di emozioni visive e interiori, annodano storia, sentimenti, ricordi, amori, amplessi, leggende, miti, superstizioni popolari, personificazioni di elementi paesaggistici e atmosferici, ed anche pace domenicale ed effluvi di buona cucina e di ottimo vino.
“Giulieta e Romeo” è “roba” tutta nostra. Scende dagli scanni scespiriani per essere tangibile quotidianità di amore e morte. Immediatezza naturale e pratica nelle conversazioni familiari, spontaneità e pathos nel “coro greco” dei servi, dei frati, del popolo, di maschere, madonne e cavalieri. Sui dialoghi serrati, di poche battute, hanno il sopravvento le narrazioni, fatte da protagonisti e comprimari, che a tutti gli effetti sono ossatura dell’intera vicenda.
La scrupolosità di dare a ciascun personaggio un proprio linguaggio, un marcato contegno esteriore, una collocazione ben precisa danno al lettore l’illusione di vivere l’usuale giornata di quel tempo, di far parte della gente e delle famiglie in lotta fra loro, ma di prenderne le distanze in nome di una giustizia superiore o del semplice buon senso. “La Storia de Verona”, che abbraccia un arco di secoli, dalle origini fino ai primi del ‘900, ha un andamento rapsodico mai aulico, facile, colloquiale da testo “ad usum Dephini”, intessuto però di un convinto senso civico, di una spietata chiaroveggenza sulle ingiustizie sociali, di obiettività sui fatti che a volte la leggenda trasfigura.
Verona diventa ricettacolo di memorie e tradizioni di cui Spela rileva la complessità, e la necessità di mettere ordine per una lettura che, tenendo saldo il refe della documentazione e della poesia, consente la appropriazione di una cultura sepolta. Qui la Storia non ha la forma di una spirale conica, ma un andamento trasversale che abbina a volte, per analogia, personaggi di secoli diversi.
Su tale coscienziosa e originale costruzione, ecco il tocco della battuta esilarante, della parola buffa, un po’ sboccata, dell’immagine poetica satirica ed autoironica che ridimensionano l’intenzione didascalica (seppur spassosa) del racconto, rendendolo straordinariamente attuale e amabile.
Le tre poesie che chiudono il volume sono altre facce del prisma della personalità di Spela. L’attenzione per il lavoro di un artista: “Al “Batifero” Berto da Cogol (Tregnàgo)”, dove spiccano la fatica anche fisica, lo sforzo per trarre da strumenti e materiali inerti la scintilla di un’alta creatività. La dolcezza di “Nina...nana” cullante in una maternità ben conscia del ruolo protettivo primario pur nell’esigenza di altri doveri. Il contrasto dell’esistere in “Matutin”, figurazione dell’incapacità e impossibilità di accordo fra i contrari, fra giorno e notte, fra il Bene e il Male.
L’accendersi di una inedita fiamma su una grande luce con l’inserimento di tre poesie, mai pubblicate, dedicate all’amico Sante Ghelfi.
TRILOGIA: “Le Gardesane” – “La Storia de Verona” – “Giulieta e Romeo”
Illustrazioni curate da Davide Antolini
I veri affetti non avvertono lo sfrigolio della pialla del tempo. Lo dimostra anche questa raccolta “ Bepo Spela – Giuseppe Barni – Trilogia”, con illustrazioni di Davide Antolini: un ricordo, una celebrazione della famiglia Ghelfi in onore di quel grande amico di Sante Ghelfi (padre di Giorgio uno dei più storici galleristi d’Italia), che seppe con i suoi scritti essere felice maieutico della più autentica veronesità.
Bepo Spela, che strano pseudonimo! Una marchiatura a fuoco quasi profetica. Nonostante il banale errore del proto, il suono di quel popolaresco ”Opela” rimaneva, come una specie di logo indicativo dell’arguzia e dell’infinito amore dell’autore per i temi di Verona e della sua gente.
Se esiste una professione che per eccellenza non dà pane, è proprio l’esercizio del poeta. Barni dovette quindi badare anche alle esigenze della sopravvivenza. Ma il filo d’Arianna per uscire dal labirinto della banalità fu sempre la cultura, insaporita con la sua irresistibile “pazzia” moltebaldina. E il culto dell’amicizia. Come quella per Sante, nella cui galleria di via Roma, riuscì a dar vita ad un piccolo Cenacolo di ritrovo e scambio intellettuale.
Tipi come Bepo non se ne incontrano più per le strade di Verona, che appare sempre più affollata di gente tutta uguale, omogeneizzata in una identica moda, facce comprese.
Non alto di statura, lineamenti da fauno in libera uscita, da folletto arguto e burlone, sembrava l’immagine di uno di quei personaggi dell’epica letteraria che non hanno ruolo primario, ma il sapore del sale di saggezza e del pepe dell’ironia, anche in mezzo a cotante tragedie e disgrazie.
Rileggere i suoi versi è come aprire un barattolo di caffè sotto vuoto e sentire l’aroma. Un profumo di casa che entra nelle narici e nel cuore trascinando memorie fatte di storia maiuscola e microstoria, di leggende, di pennellate minuziose o a spatola su personaggi e paesaggi.
Lo si sente intensamente anche in questa Edizione di Giorgio Ghelfi dove riappaiono “Le Gardesane”, “Giulieta e Romeo”, “La Storia di Verona”, e che comprende tre poesie scelte fra le mai pubblicate “30 Liriche Vernacole Popolaresche Veronesi – in memoria di Sante Ghelfi”.
È una poesia immediata dove caso e destino si intrecciano con una forza intima e nello stesso tempo divulgativa, con la fascinazione del cantastorie dei vecchi filò, con il senso del divertimento e del fato ineluttabile della morte, con la purezza di un dialetto inattaccabile dai vari neologismi, agile e musicale nelle sue accentazioni mirabilmente congruenti agli stati d’animo.
I versi, che mai si sottraggono all’analisi dell’attualità e della storia, contengono spesso una sorta di lenimento a sofferenza e dolore. Ma offrono anche una valida opportunità per riflettere sull’”hic et nunc”, sottintendono un potenziale ordine alternativo da cui attingere insegnamento. E per il poeta, sono occasione di riesame e di approfondimento del suo ruolo e della sostanza del proprio magistero.
Nessuna compiacenza esornativa altera la limpidezza de “Le Gardesane”, non semplici “quadretti” d’ambiente facili al descrittivismo. Ogni paese sulla riva orientale e occidentale del Garda, pur non alterando l’atmosfera locale, sono metafora di emozioni visive e interiori, annodano storia, sentimenti, ricordi, amori, amplessi, leggende, miti, superstizioni popolari, personificazioni di elementi paesaggistici e atmosferici, ed anche pace domenicale ed effluvi di buona cucina e di ottimo vino.
“Giulieta e Romeo” è “roba” tutta nostra. Scende dagli scanni scespiriani per essere tangibile quotidianità di amore e morte. Immediatezza naturale e pratica nelle conversazioni familiari, spontaneità e pathos nel “coro greco” dei servi, dei frati, del popolo, di maschere, madonne e cavalieri. Sui dialoghi serrati, di poche battute, hanno il sopravvento le narrazioni, fatte da protagonisti e comprimari, che a tutti gli effetti sono ossatura dell’intera vicenda.
La scrupolosità di dare a ciascun personaggio un proprio linguaggio, un marcato contegno esteriore, una collocazione ben precisa danno al lettore l’illusione di vivere l’usuale giornata di quel tempo, di far parte della gente e delle famiglie in lotta fra loro, ma di prenderne le distanze in nome di una giustizia superiore o del semplice buon senso. “La Storia de Verona”, che abbraccia un arco di secoli, dalle origini fino ai primi del ‘900, ha un andamento rapsodico mai aulico, facile, colloquiale da testo “ad usum Dephini”, intessuto però di un convinto senso civico, di una spietata chiaroveggenza sulle ingiustizie sociali, di obiettività sui fatti che a volte la leggenda trasfigura.
Verona diventa ricettacolo di memorie e tradizioni di cui Spela rileva la complessità, e la necessità di mettere ordine per una lettura che, tenendo saldo il refe della documentazione e della poesia, consente la appropriazione di una cultura sepolta. Qui la Storia non ha la forma di una spirale conica, ma un andamento trasversale che abbina a volte, per analogia, personaggi di secoli diversi.
Su tale coscienziosa e originale costruzione, ecco il tocco della battuta esilarante, della parola buffa, un po’ sboccata, dell’immagine poetica satirica ed autoironica che ridimensionano l’intenzione didascalica (seppur spassosa) del racconto, rendendolo straordinariamente attuale e amabile.
Le tre poesie che chiudono il volume sono altre facce del prisma della personalità di Spela. L’attenzione per il lavoro di un artista: “Al “Batifero” Berto da Cogol (Tregnàgo)”, dove spiccano la fatica anche fisica, lo sforzo per trarre da strumenti e materiali inerti la scintilla di un’alta creatività. La dolcezza di “Nina...nana” cullante in una maternità ben conscia del ruolo protettivo primario pur nell’esigenza di altri doveri. Il contrasto dell’esistere in “Matutin”, figurazione dell’incapacità e impossibilità di accordo fra i contrari, fra giorno e notte, fra il Bene e il Male.
L’accendersi di una inedita fiamma su una grande luce con l’inserimento di tre poesie, mai pubblicate, dedicate all’amico Sante Ghelfi.
31
ottobre 2008
Bepo Spela / Davide Antolini – Trilogia: Le Gardesane, Romeo e Giulieta, La Storia de Verona
Dal 31 ottobre all'otto novembre 2008
arte contemporanea
presentazione
serata - evento
presentazione
serata - evento
Location
GALLERIA D’ARTE GIORGIO GHELFI
Verona, Piazza Delle Erbe, 31, (Verona)
Verona, Piazza Delle Erbe, 31, (Verona)
Orario di apertura
da martedì a sabato 9.30-12.30 e 15.30 19.30
Vernissage
31 Ottobre 2008, ore 18.30
Autore
Curatore